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Tra il caos e l’instabilità dilaganti ad Haiti

dopo il terremoto del 12 gennaio,


aumentano le aggressioni sessuali
contro donne e bambine all’interno dei
rifugi temporanei che affollano il Paese.
Secondo alcuni resoconti, le donne sono
dovute ricorrere a misure drastiche per
proteggersi dalla violenza nelle tendopoli
sorte dopo il terremoto: madri sveglie
tutta la notte, che non riescono
nemmeno ad andare in bagno o a
prendere l'acqua, per paura che gli
uomini ne stuprino le figlie mentre
dormono; alle ragazze più giovani è stato detto di indossare i jeans sotto i vestiti, per
essere ulteriormente protette durante la notte. Gli uomini del luogo si sono organizzati in
gruppi per proteggere le donne e le bambine dei loro campi, dotandosi di armi artigianali
per allontanare gli aggressori. La paura è dovuta anche alla presenza di molti criminali
fuggiti dalle prigioni locali dopo il terremoto, e non ancora catturati. La storia della violenza
sessuale ad Haiti è lunga e oscura. Anche prima del devastante sisma, il tasso delle
violenze sessuali era tra i più alti del mondo, secondo il rapporto di Amnesty International
del 2008. Lo stupro è stato riconosciuto come reato dalla legge haitiana solo nel 2005 e, in
generale, ha sempre goduto di una certa impunità (come sottolineava ancora Amnesty
International nel 2006). Difatti, lo stupro è comunemente percepito come qualcosa che può
accadere solo ad una ragazza molto giovane o vergine. La normativa haitiana lo considera
un "reato d'onore", facendo gravare, di conseguenza, un grande senso di vergogna sulla
vittima. Nel 2004, durante il periodo precedente la fuga del presidente Jean Bertrand
Aristide dal Paese, un momento di grande caos e sconvolgimento politico, le violenze
sessuali e gli stupri erano particolarmente frequenti. Gli aggressori rimanevano impuniti e
raramente venivano arrestati, anche quando erano identificati dalle vittime. Una donna che
si è recata in lacrime dalla polizia per denunciare uno stupro, è stata portata fuori e
nuovamente violentata dal poliziotto. Taina Bien-Aime, direttore esecutivo di Equality Now,
ha parlato su MediaGlobal (testata indipendente delle Nazioni Unite) dell’attuale situazione
ad Haiti: «Un minuto dopo il sisma, abbiamo temuto e previsto che si sarebbero verificati
stupri e violenze sessuali. Quasi ogni giorno, vengono pubblicate storie di violenza
sessuale e stupri nelle tendopoli. Dobbiamo imparare dagli errori del passato rispetto alla
tutela delle donne e delle bambine nei periodi di guerra o calamità naturali. Alle donne
haitiane viene spesso insegnato a soffrire in silenzio, ma la comunità internazionale non
deve considerare inevitabile l’incontrollata violenza sessuale nell’Haiti del post-terremoto.
Abbiamo fatto dei rapidi controlli nei campi in cui stiamo lavorando e ci siamo imbattuti in
denunce, molto simili fra loro, di bambine e donne vittime di violenza proprio in quanto
donne. C'è un urgente bisogno di adottare misure appropriate per garantire la loro
protezione». Molte organizzazioni sono attualmente impegnate sul campo ad Haiti. Solveig
Routier, specialista in emergenze e tutela dei minori per Plan International, ente
internazionale per lo sviluppo centrato sui bambini, ha dichiarato su MediaGlobal: «Negli
spazi a misura di bambino che Plan sta allestendo nelle tendopoli, sarà in vigore un
sistema di monitoraggio, in modo che ogni episodio di violenza sessuale contro le donne e
le bambine potrà essere denunciato in un ambiente sicuro. Il personale qualificato valuterà
e fornirà il livello di sostegno psico-sociale necessario ad ogni singolo caso e, quando si
riterrà necessario un intervento più articolato, Plan indirizzerà queste persone ai più
adeguati centri di salute mentale della zona». Nello stesso intervento su MediaGlobal,
Routier ha spiegato come si cerca di prevenire la violenza di genere. «Ciò significa
migliorare l'illuminazione, fornire latrine e bagni separati per le donne. Di vitale importanza
è l’impiego nei campi-profughi di pattuglie di sicurezza per proteggere le bambine e le
donne soprattutto di notte. Tutto ciò comporta ovviamente il rafforzamento della
collaborazione con la polizia e i sistemi di giustizia, così come con il servizio sanitario». È
estremamente importante che le organizzazioni di soccorso lavorino insieme. A questo
riguardo, Bien-Aime ha sollecitato le Nazioni Unite e le altre maggiori agenzie
internazionali di soccorso al fine di garantire che «le misure di prevenzione siano messe in
atto sistematicamente e non in maniera casuale».

Haiti: crescono le violenze sessuali contro le donne nelle tendopoli La Stampa


3/3/2010

Aid organizations work vigorously to protect women as threat of rape grows in


Haitian tent camps MediaGlobal 23 febbraio 2010

rapporto di Amnesty International del 2008

rapporto di Amnesty International del 2006

Equality Now

Plan

Roma, 08 marzo 2010.

In ogni parte del mondo, le vittime di stupro e di violenza sessuale si vedono negare
l'accesso alla giustizia, a causa della discriminazione di genere e di pregiudizi sul loro
comportamento sessuale. È la denuncia lanciata da Amnesty International, in occasione
della Giornata Internazionale delle Donne, attraverso due rapporti che mettono
a confronto la violenza sessuale in due contesti opposti: la Cambogia e i Paesi nordici
europei (Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia). «Tanto nei Paesi poveri quanto in
quelli ricchi, le donne che hanno subito stupri e abusi sessuali hanno poche speranze di
vedere i loro aggressori portati davanti alla giustizia», ha dichiarato Widney Brown di
Amnesty, «è agghiacciante constatare che nel Ventunesimo secolo, con tutte le leggi
esistenti che dovrebbero garantire l'uguaglianza delle donne, praticamente non vi è
governo che le protegga realmente e chiami i responsabili a rispondere dei loro crimini». I
rapporti di Amnesty mettono in luce i molti ostacoli che sono posti alle vittime che cercano
giustizia per la violenza sessuale e domestica, quali l'atteggiamento inadeguato, negativo
o minimizzante da parte della polizia, dei giudici e dei medici. «A causa della radicata
indifferenza delle autorità nei confronti della violenza sessuale», riferisce Amnesty, «molte
donne si vergognano o addirittura si addossano la colpa e rinunciano a denunciare alla
polizia i reati subiti. Quando invece lo fanno, le loro richieste di giustizia vengono accolte
raramente». I due rapporti dimostrano come le incriminazioni per stupro siano tra quelle
percentualmente più basse rispetto ad altri tipi di reato. «Salvo che non sia accompagnata
da violenza fisica, la violenza sessuale non viene presa seriamente in considerazione», ha
spiegato Brown, «una donna che ha subito uno stupro senza gravi conseguenze fisiche
viene spesso stigmatizzata e giudicata responsabile per un crimine che in realtà è stata lei
a subire, mentre il suo aggressore se la cava, nella maggior parte dei casi, con una
blanda sanzione penale e una riprovazione sociale minima». Sebbene i sistemi penali
esaminati nei due rapporti varino profondamente, Amnesty vi ha trovato "carenze e
discrepanze" che, allo stesso modo, scoraggiano le donne e le ragazze dal chiedere
giustizia. Nei paesi nord-europei, a determinare la gravità di uno stupro non è la violazione
dell'autonomia sessuale di una donna, quanto l'uso o meno della violenza o la minaccia di
violenza. In Cambogia, le donne non hanno nessuna fiducia nel sistema giudiziario. «Le
spese legate ai procedimenti, talvolta sotto forma di mazzette da pagare alla polizia ma
anche legate alle visite mediche e ai trasporti, scoraggiano le donne dal denunciare», si
legge nel documento.

Stuprate e senza giustizia, Rainews24, 09 marzo 2010

Amnesty names and shames Finland in sexual violence report, Helsinkitimes, 08


marzo 2010

Cambodia's government must protect victims of sexual violence as reports of rape


increase, Amnesty International, 08 marzo 2010

Complessivamente, circa un milione di donne italiane ha


subito nel corso della sua vita uno stupro o un tentato
stupro. 74 mila, tra i 16 e i 70 anni, quelle che nell’ultimo
anno hanno subito uno stupro o un tentato stupro, di cui il
69,7% da partner o ex partner. È quanto emerge da
un'indagine svolta dall'Istat per il Ministero delle Pari
Opportunità, resa nota a febbraio del 2007. Nel totale, la
maggior parte di queste violenze sono ad opera del partner
(come il 69,7% degli stupri) e la grandissima maggioranza
(oltre il 90%) non è stata denunciata. Tra tutte le violenze
fisiche rilevate è frequente l'essere spinta, strattonata, aver
avuto i capelli tirati (56,7%), l'essere minacciata di essere
colpita (852%), schiaffeggiata, presa a pugni, a calci o a
morsi (36,1%). Tra la violenza sessuale, la più diffusa è la
molestia fisica, ossia essere stata toccata sessualmente
contro la propria volontà (79,5%), l'aver avuto rapporti
sessuali non desiderati accettati per paura (19%), il tentato
stupro (14%), lo stupro (9,6%) e i rapporti sessuali degradanti ed umilianti (6,1%). Oltre
due milioni, inoltre, le donne italiane perseguitate dagli ex partner. Il 18,8% delle 2.077.000
donne perseguitate (tecnicamente si chiama “stalking”) sono spaventate dal partner al
momento della separazione o dopo la separazione. Tra le donne che hanno subito lo
stalking, il 68,5% dei partner ha cercato insistentemente di parlare con la donna contro la
sua volontà, il 61,8% ha chiesto ripetutamente appuntamenti per incontrarla, il 57% l'ha
aspettata fuori casa, a scuola o al lavoro, il 55,4% le ha inviato messaggi, telefonate,
email, lettere o regali indesiderati, il 40,8% l'ha seguita o spiata.

Indagine Istat commissionata dal ministero delle Pari opportunità

Stalking - Wikipedia

Secondo le stime dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), 150 milioni di


bambine e 73 milioni di bambini (dati 2002) sono vittime di violenze fisiche o sessuali. Lo
riferisce il rapporto annuale dell'Unicef sulla condizione dell'infanzia (11 dicembre 2006).
Negli Stati Uniti, ogni 2 minuti e 30 secondi, in media, una persona è aggredita
sessualmente; una persona su sei in America è stata vittima di stupri, tentati stupri, o
molestie sessuali e il 10% sono uomini; nel 2003-2004 ci sono stati 408.740 stupri e tentati
stupri, una media di 204.370 per anno; circa il 44% delle vittime sono minori di 18 anni e
l'80% minori di 30 anni; dal 1993 gli stupri sono aumentati di più
del 64%; si ritiene che circa il 58% degli stupri non venga
denunciato. In Canada, i 2/3 delle donne hanno subito stupri,
tentati stupri, o molestie sessuali. Secondo un altro studio
dell'OMS, la violenza subita dalle donne per mano del proprio
compagno è un problema diffuso globalmente e poco conosciuto.
La ricerca è stata condotta in partnership con la London School of
Hygiene and Tropical Medicine, con il Program for Appropriate
Technology in Health e con i team di ricerca istituiti localmente,
nelle aree dove il problema degli abusi sulle donne è più diffuso:
Bangladesh, Brasile, Etiopia, Giappone, Namibia, Perù, Samoa,
Serbia e Montenegro, Tailandia e Tanzania. Dal 15 al 71% delle
donne intervistate hanno risposto di essere state vittime di
violenza da parte del proprio partner. In totale, più di 24 mila
donne, di età compresa tra i 15 ed i 49 anni, sono state sottoposte ad un questionario
standardizzato. Per ogni paese sono state contattate circa 1.500 donne (i risultati
dell’indagine sono stati pubblicati dalla rivista The Lancet). La prevalenza di abusi sulle
donne, con violenze di tipo fisico, considerando tutta la vita passata dei soggetti
intervistati, varia dal 13% del Giappone al 61% delle aree peruviane, attestandosi nella
maggioranza dei paesi su valori compresi tra il 23 e il 49%. Per quanto riguarda le
violenze sessuali, la prevalenza oscilla tra il 6% del Giappone e della Serbia Montenegro e
il 59% dell'Etiopia. La prevalenza di donne che hanno subito violenza sia sessuale, sia
fisica è molto più alta in tutti i paesi, ma soprattutto in Etiopia, dove raggiunge il 71% (più
di una donna etiope su due ha dichiarato di avere subito violenza nell’anno passato). A
queste forme di violenza fisica o sessuale, si aggiungono le forme più silenti, ma non
meno gravi, rappresentate dagli atteggiamenti di eccessivo controllo e dalle limitazioni
esercitate dagli uomini sulle rispettive compagne. Nell'evoluto Giappone, una donna su
cinque ha dichiarato di essere sottoposta a controllo da parte del partner; in Tanzania, tale
abuso è stato riportato dal 90% delle donne intervistate. A confermare quanto ancora oggi
le donne siano poco tutelate e considerate, è giunta anche la classifica sullo status delle
donne nel mondo pubblicato dal World Economic Forum. Quattro gli indici presi in esame
per assegnare a ogni paese un punteggio: partecipazione e opportunità economica delle
donne; accesso all'educazione; influenza politica; differenze tra uomo e donna in termini di
salute e di aspettative di vita. Dalla ricerca, emerge un risultato disastroso per l'Italia,
classificatasi al 77° posto (su 115), preceduta da Filippine, Giamaica, Moldavia e
Thailandia. Ai primi posti si collocano i paesi dell'Europa del Nord - Svezia, Norvegia e
Finlandia - mentre all'ultimo posto tra gli Stati membri dell'Unione Europea si trova Cipro
(83°). «Siamo ancora in una situazione in cui metà della popolazione è a rischio», ha detto
il segretario Davis.

"La condizione dell´infanzia nel mondo 2006", rapporto UNICEF

Global study says that domestic violence is widespread 24 novembre 2005


VIOLENZA DI GENERE

“Date Rape” = stupro (o botte) su appuntamento. Lo


subisce il 40% delle ragazze americane tra i 14 e i 17
anni: escono per una serata romantica con il proprio
boyfriend, che poi le costringe ad un rapporto
sessuale oppure le picchia dopo averle drogate. Altro
caso: il 35% delle francesi denuncia violenze
psicologiche da parte del compagno sentimentale.
Ancora: ogni anno nel mondo 5.000 donne vengono
ammazzate per “salvare l'onore”, circa 3.000 solo in
Pakistan. Sono alcuni dei dati contenuti nell'ultimo
rapporto ONU sulla violenza di genere, un flagello mondiale che colpisce una donna su tre
almeno una volta nella vita e che in 89 stati sui 192 che compongono l'Assemblea delle
Nazioni Unite non viene neppure punito. Una crisi globale, perché, come afferma il
rapporto, «la violenza contro le donne non è circoscritta ad una specifica cultura, regione
o paese, o a particolari gruppi di donne all'interno della società». È ovunque. All'ONU non
sfugge lo scopo di questa violenza: «mantenere l'autorità maschile garantita dal
patriarcato». Anche quando è nascosta tra quattro mura. «La violenza non è mai
individuale», ma punisce la ribelle per aver osato trasgredire le norme sociali. Le 139
pagine del rapporto descrivono le varie declinazioni della violenza di genere. Che non è
solo quella brutale delle botte, dell'omicidio, dello stupro etnico o dell'aborto selettivo (in
India 500.000 bambine mancano all'appello), ma include l'anoressia e la bulimia: le giovani
indotte a diventare filiformi magari per apparire - mercificate - negli spot e in TV. Come a
dire che la violenza non è solo fisica, psicologica, economica ma anche sociale. E di Stato:
in vari paesi non viene punito il marito che picchia e violenta la moglie o abusa
sessualmente delle figlie femmine, che impedisce alle donne della famiglia di uscire di
casa o che ordina la mutilazione genitale. Non solo: a queste donne non è permesso
votare, partecipare alla vita politica, lavorare fuori casa. Il giro del mondo attraverso le cifre
è spaventoso. In Australia, Canada, Israele, Sudafrica e Stati Uniti tra il 40 e il 70% delle
donne assassinate lo sono dai mariti e dagli amanti. In Nuova Zelanda e in Australia
almeno il 15% denuncia di aver subito abusi o stupri da uno sconosciuto, e il 9% delle
teenagers americane è stata costretta ad avere il primo rapporto sessuale dal fidanzato di
turno. In Perù si arriva al 40%. Le lavoratrici devono difendersi dalle molestie sessuali in
ufficio, una piaga che coinvolge tra il 40 e il 50% delle donne europee e il 35% delle
asiatiche. A scuola, in Malawi, il 50% delle ragazze dice di essere stata toccata
lascivamente dai professori o dai compagni di classe. Poi esistono le pratiche tradizionali,
quelle che coinvolgono la vita della comunità e perpetuano il dominio culturale sulla
donna: in 130 milioni hanno subito la mutilazione genitale nel mondo, con percentuali del
99% in Guinea; in Corea del Nord il 30% delle gravidanze viene interrotta volontariamente
non appena si scopre che il feto è femmina. Le famiglie asiatiche e subsahariane spesso
forzano le proprie bambine a sposare uomini molto più grandi, o comunque uomini che
loro, le ragazze, non avrebbero scelto. Non è raro che i matrimoni coatti includano
rapimenti, violenze fisiche nei confronti della donna che si oppone, stupri o il carcere per le
più rivoltose. Una volta sposate, alle disgraziate può accadere che la famiglia del marito
non sia soddisfatta della dote: in India più di 6.000 donne sono state ammazzate nel 2002
per questo motivo. Se il marito muore, la vedova viene spinta al suicidio, oppure isolata
dalla comunità, accusata di stregoneria, persino uccisa da chi avrebbe il dovere di
mantenerla, visto che di lavorare non se ne parla. Purtroppo non è finita qui. La tratta delle
donne, la riduzione in schiavitù e lo sfruttamento sessuale coinvolge 127 paesi di partenza
e 137 di arrivo. Fuori dai confini del crimine, a volte è lo Stato a violentare le donne,
magari attraverso politiche di forzata sterilizzazione (in Europa praticata principalmente
sulle Rom), stupri nelle carceri da parte degli agenti di polizia, aborti coatti o gravidanze
coatte (dove ad esempio l'aborto è illegale). Altro capitolo agghiacciante è quello degli
stupri di guerra. La violenza di genere ha anche un costo, lo ha calcolato la Banca
Mondiale. Un costo psicologico e fisico per le vittime, innanzitutto: in Occidente, il 5% dei
disturbi per le donne dai 15 ai 44 anni è imputabile alla violenza domestica o allo stupro.
Ma è anche un costo economico: programmi di sostegno, centri antiviolenza, processi,
incarcerazioni. Capitoli di spesa che ogni anno costringono ad esempio il civilissimo
Canada a sborsare un miliardo di dollari canadesi. Per i paesi poveri, sicuramente meno
propensi a recuperare le vittime, la violenza di genere impedisce che una quota importante
della popolazione lavori e in generale contribuisca al benessere della società. «Il rapporto
svela l'importante ruolo giocato dai movimenti per le donne, che hanno sollevato il
problema a livello mondiale», dice il sottosegretario generale ONU per gli affari economici
e sociali José Antonio Ocampo. «Ora, però è un problema di tutti». Anche dell'ONU, dove
il 63% dei componenti del gabinetto sono uomini.

Date rape - Wikipedia

WHO | Gender-based violence

Violenza di genere - Wikipedia

DOMESTIC VIOLENCE

Ogni minuto una donna subisce una violenza domestica. E non in paesi del Terzo Mondo,
ma nella “civilissima” Europa. Al punto che il Consiglio
d'Europa ha deciso di dare il via alla prima campagna
europea “Stop alla Violenza Domestica sulle Donne”,
inaugurata a Madrid il 27 novembre scorso. Gli obiettivi che
si prefigge la campagna sono di due tipi: prima di tutto,
mobilitare i 46 Paesi membri del Consiglio d'Europa per
aumentare e inasprire le leggi contro la violenza domestica,
e poi, incrementare le campagne di informazione per
sensibilizzare le persone e cambiarne i comportamenti. Le
donne subiscono violenze soprattutto tra le mura
domestiche, dal marito o compagno, proprio nel luogo in cui dovrebbero sentirsi
maggiormente protette. «Una donna su quattro è stata vittima di maltrattamenti durante la
propria vita» - afferma il segretario del Consiglio d'Europa, Terry Davis - «mentre una su
dieci ha subito una violenza sessuale. Molte di queste donne non sono sopravvissute alla
violenza domestica, che è ancora uno dei killer più spietati per le donne tra i 18 e i 44
anni». Le violenze domestiche hanno conseguenze sia sulla vita delle vittime che per la
società. Attacchi di panico, paura, depressione, incapacità di relazionarsi con l'esterno e di
contribuire all'educazione dei figli sono solo alcuni dei sintomi più frequenti a cui vanno
incontro le donne violentate. Alla sofferenza umana si aggiungono poi gli effetti negativi
sulla società, con una crescita delle spese per sanità, polizia e giustizia, e una riduzione
della produttività. Ad esempio, la Svizzera - secondo l'indagine del Consiglio d'Europa,
condotta dal professor Carol Hagemann White - spende ogni anno 260 milioni di euro
mentre, nel 2001, in Inghilterra e in Galles il costo è stato di 34 miliardi di euro. Tutti i paesi
europei sono colpiti da questa piaga: nel 2002 il governo spagnolo ha pagato 2,4 miliardi
di euro, nei Paesi Bassi 151 milioni di euro e in Finlandia 101 milioni. Il regista Frederick
Wiseman ha realizzato un film-documentario proprio su questo fenomeno (il film, girato a
Tampa, in Florida, è stato presentato, nella sezione “Nuovi Territori”, alla Mostra del
Cinema di Venezia 2001). In tre ore, Wiseman ha
riassunto - attraverso un lungo lavoro di montaggio -
materiale derivato da più di cento ore di crude
sequenze. Le immagini, girate come un home-video,
con pellicola 16 mm, mostrano l'attività terapeutica
delle associazioni femministe impegnate in prima
linea nell'aiuto di donne e minori che hanno subito
abusi fisici e sessuali entro le mura domestiche. Il
recupero psicologico delle vittime cerca di renderle
consapevoli che la violenza ha una sua logica e non
ha niente a che vedere con loro come individui. Un
film, dunque, che tenta di rappresentare l'assuefazione all'assurdità del quotidiano. Come
quando una donna minaccia di colpire tutti gli uomini che cercano di molestare sua figlia e
viene arrestata per violenza domestica; o nella scena di chiusura del film, quando un
uomo chiama la polizia perché porti via la sua fidanzata che non vuole fare sesso con lui.
Nel 2003, Wiseman ha realizzato un sequel, “Domestic Violence 2”, in cui l’attenzione
dell'autore si sposta dalle case dove sono avvenuti casi di violenza domestica alle aule dei
tribunali. Con l'intento di mettere a nudo l'ipocrisia della giustizia americana e, al tempo
stesso, rivelare i segni di una grave crisi interna alla società.

Nella Francia che candida una donna, Ségolène Royal, alla presidenza della Repubblica,
ogni tre giorni una donna viene uccisa dal proprio compagno. Il rapporto, illustrato dal
ministro della Coesione Sociale e della Parità, Catherine Vautrin, parla chiaro: dall'inizio
dello scorso anno sono stati commessi 113 omicidi tra coniugi o ex, e l'83% delle vittime
sono donne. Nel 41% dei casi, questi delitti coincidono con una separazione, mentre la
metà degli assassini sono disoccupati e un quarto hanno agito sotto l'influsso dell'alcol. Il
ministro Vautrin ha sottolineato la drammaticità dei dati: «Le vittime, che, contrariamente a
quanto si pensa talvolta, vengono da ambienti diversi, hanno spesso paura di parlare. Per
incoraggiarle ad uscire dal silenzio, stiamo per lanciare una campagna di sensibilizzazione
sulle violenze coniugali, mentre il prossimo anno creeremo una linea telefonica riservata
alle vittime». In pratica, campagne sociali e numeri verdi appaiono strumenti antiquati e
inadeguati, soprattutto se al dato sugli uxoricidi si affianca quello sugli stupri (in Francia,
ogni due ore una donna viene violentata). Nella Spagna riformista di Zapatero, malgrado
una legge ad hoc, la violenza contro le donne è aumentata. E anche nel caso spagnolo, si
tratta della violenza perpetrata tra le mura della propria casa (nei primi sette mesi dello
scorso anno ha già provocato 50 vittime, a fronte delle 62 dell’intero 2005). Nella
“religiosissima” Israele, una donna su cinque, fra 15 e 50 anni, è stata vittima di violenza
sessuale (a incrementare le statistiche ci ha pensato anche il presidente Moshe Katsav
accusato di abusi sessuali nei confronti di sue segretarie, ndr); nella Turchia che aspira
all'Europa, dal 2000 ad oggi, sono stati accertati 91 casi di donne, tra i 19 ed i 25 anni,
uccise per ragioni d’onore dal marito o da altri familiari. Gli esperti fanno risalire le cause di
tanta violenza alla noia estiva e alla crescente parità tra i sessi che avrebbe provocato al
genere maschile un’eccessiva quanto funesta frustrazione. L'unico modello più o meno
incruento viene da una cittadina colombiana, Tunja, dove vari mariti avrebbero denunciato
le consorti per maltrattamento: alle brutalità domestiche, le signore hanno risposto a colpi
di padella.

Stop alla violenza domestica sulle donne

International Day for the Elimination of Violence against Women


Frederick Wiseman's 'Domestic Violence'

French Want More Action on Domestic Violence 27 novembre 2006

Francia, aumentano gli stupri 28 settembre 2006

Roma: Uno Stupro Ogni Tre Giorni

Allarme a Milano, uno stupro ogni dieci giorni 27 agosto 2006

In Sud Africa ogni 17 secondi avviene uno stupro 07 ottobre 2008

STUPRO E MASS-MEDIA

A Roma, il 22 novembre 2007, si è svolta la


“Giornata Parlamentare contro la Violenza alle
Donne”, alla quale sono intervenuti anche
esperti europei. Mentre sabato 25 novembre
si è svolta la “Giornata Europea contro la
Violenza alle Donne”. Di tolleranza zero, e di
lotta alla “rimozione culturale” della violenza
sessuale, ha parlato il ministro dei Diritti e
delle Pari Opportunità, Barbara Pollastrini. Per
Carolina Lussana, responsabile donne della
Lega Nord, che chiede la castrazione chimica
per i colpevoli di gravi crimini sessuali, «la
violenza sessuale va considerata non come
semplice reato contro la libertà personale, ma come reato contro la vita e l'incolumità della
persona». Il fenomeno della violenza sulle donne è molto più ampio e complesso di quello
che viene rappresentato dai mass-media, che se ne occupano in modo cinico, acritico,
ricercando solo la sensazionalità. Emblematica è la trattazione del fenomeno degli stupri di
gruppo filmati con videofonino, con le immagini scambiate tra ragazzi e/o messe su
internet, che diventano così di dominio pubblico. Il primo caso del genere a salire al
“disonore” delle cronache italiane fu quello dei tre ragazzi di Torrette (Ancona) che tra
giugno e settembre 2006 filmarono e diffusero lo stupro di una ragazzina di tredici anni. La
vittima chiese un giorno ad un'amica di farle da tramite per avvicinare un quindicenne che
le piaceva. L'incontro divenne un orrore. Secondo la ricostruzione avvenuta nel corso del
processo, lo stupro ci fu già al primo incontro in campagna, sotto minaccia del ragazzino di
non riaccompagnarla a casa, poi abusi e vessazioni da parte di altri due ragazzi poco più
grandi, anche qui con la minaccia di raccontare tutto ai genitori o di fare del male alla
sorellina. Tutto filmato e scambiato tra i partecipanti al gruppo e i loro amici, ma non solo.
«Dopo stavo male, vomitavo, ma non sapevo cosa fare - ha raccontato la ragazzina -
sono andata anche dal medico ma non ho detto niente neanche lì, perché c'era mia
madre». Per la procura, i maschi avrebbero approfittato dello stato di inferiorità psicologica
della tredicenne nell'indifferenza generale. Fino a novembre, quando la madre di un
ragazzino ha scoperto uno di questi mms sul telefonino del figlio e ha chiamato la polizia.
Dopo che le cronache hanno iniziato a “pompare” il fenomeno, i casi si sono moltiplicati.
Come l'ignobile stupro di gruppo, da parte di minorenni, ai danni di una bambina di nove
anni. «Negli ultimi mesi del 2006 - hanno spiegato gli investigatori in una conferenza
stampa - in tutto il Nord della Sardegna si sono verificati episodi di violenze sessuali di
gruppo, stranamente in coincidenza con la messa in onda di trasmissioni televisive
sull'argomento, peraltro, messe in onda in ore di massimo ascolto ed in concomitanza di
analoghi episodi verificatisi in altre regioni italiane». «Apprendiamo dai quotidiani - ha
affermato la responsabile del Dipartimento Junior del Movimento Difesa del Cittadino
(MDC), Lucia Moreschi - che gli autori dello stupro di Olbia sono stati “ispirati” dalla
visione di alcuni servizi televisivi che, trasmessi nella fascia di massimo ascolto,
proponevano con dovizia di particolari episodi di violenza di gruppo compiuti da bande di
minorenni. Quanti di questi episodi - ha continuato la Moreschi - dovranno ancora
accadere, prima che qualcuno si accorga dei danni che può fare una sovraesposizione
televisiva incapace di tutelare i minori da spettacoli penosi e brutali? Non sarebbe forse
ora di insegnare ai bambini e ai ragazzi che non esiste solamente una sessualità fatta di
violenza ed esibizionismo?». Il Dipartimento Junior di MDC si è appellato alla sensibilità
del Ministro Fioroni affinché nelle scuole siano promossi programmi che aiutino i ragazzi
allo sviluppo di una sessualità responsabile e lontana dalla violenza. A chiedere una
maggiore riflessione sul problema, che vada oltre le notizie flash pubblicate dai media sui
casi di stupro, è anche Telefono Rosa, che insieme alla Publica Res-Swg di Trieste ha
realizzato un'indagine sul modo in cui l'opinione pubblica percepisce la violenza sulle
donne. «Il progetto è partito nel 2005 - ha spiegato la presidente dell'associazione,
Gabriella Moscatelli - ma negli ultimi mesi è diventato di drammatica attualità. Il nostro
sondaggio lo sottolinea: per l'84% delle persone intervistate, sia uomini che donne, la
violenza sessuale è una piaga sociale. Di fronte a una tale emergenza, la risposta delle
istituzioni è considerata del tutto insufficiente, perché il 75% degli interpellati ritiene che
non ci sia tutela». Mentre i fatti di cronaca enfatizzano la violenza fatta alle donne da
sconosciuti e riconducono i reati a situazioni di emarginazione e di criminalità comune, a
monte c'è, come ha enfatizzato Cinzia Dato, «un problema di violenza quotidiana,
casalinga ed istituzionale». Si tratta, insomma, di ri-educare la società» (sì, ma come?,
ndr). I dettagli dell'indagine sono stati esposti dalla ricercatrice Elena Sismig, della Swg,
che ha premesso che si è scelto di intervistare telefonicamente un campione nazionale di
uomini e donne e di eseguire un'altra parte del sondaggio solo su Internet. «Le donne
interpellate sul web - ha spiegato Sismig - hanno avuto modo di esprimersi con meno
remore su aspetti più personali della violenza e della sua percezione». Proprio dall'analisi
delle risposte delle internaute è infatti emerso che la paura di subire una violenza è molto
alta e che molte donne in seguito al timore hanno modificato i loro comportamenti. I dati
più rilevanti emersi dall'indagine riguardano le cause delle violenze. Secondo gli
intervistati, due sono le possibili origini: il 46% indica i disturbi psicologici gravi, il 31% (più
uomini che donne) la crescita in un ambiente violento. I più giovani, inoltre, riconoscono
nella violenza un tentativo da parte dell'uomo di affermare la propria superiorità sulla
donna, mentre chi ha una scolarità più bassa e le donne con un età superiore ai 54 anni,
indicano anche nella cattiveria una delle probabili cause. È molto alta la percentuale di chi
ritiene che ci vogliano pene più severe per chi commette una violenza, il 34%, e un
ulteriore 17%, tra i quali molti giovani, è ancora più radicale e chiede la castrazione
chimica dei recidivi. Su questo punto c'è stata divergenza di opinioni tra le esponenti
politiche. Cinzia Dato ha ribadito che innalzare le pene per i reati di violenza contro le
donne è controproducente, mentre Isabella Rauti ha chiesto pene più severe nei casi
specifici di violenza sessuale, pur dicendosi d'accordo che esistono episodi più subdoli da
affrontare con un approccio più ampio. Adriana Spera, di Rifondazione Comunista,
presidente della Commissione Consiliare Scuola e Lavoro del Comune di Roma, ha
riportato un dato indicativo dell'atteggiamento delle istituzioni. «Nonostante i casi siano in
aumento - ha sottolineato Spera - l'Istat fornisce soltanto dati quinquennali. L'ultimo
rilevamento, del 2002, aveva registrato un preoccupante aumento del fenomeno, ma
anche che, nel 90% dei casi, le donne non denunciano le violenze subite e il 77% non
parla con nessuno». Spera ha inoltre ricordato che l'Organizzazione Mondiale della Sanità
ha indicato la violenza come fattore di rischio per una serie di patologie (ginecologiche,
gastroenterologiche e mentali), tanto da diventare la prima causa di morte per le donne tra
i 15 e i 44 anni.

Ma come ha risposto finora la giustizia italiana? Nel febbraio del 1999, la Cassazione ha
annullato con una sentenza la condanna a due anni e dieci mesi decisa dalla corte
d'Appello di Potenza contro Carmine C., 45 anni, istruttore di guida, portato in tribunale per
violenza sessuale da una ragazza di 18 anni, Rosa. Secondo la Corte, dato che lo
stupratore era riuscito a sfilarle i jeans, indumento difficilmente sfilabile “senza la fattiva
collaborazione di chi lo porta”, la ragazza era “consenziente”, e dunque non poteva essere
stata stuprata. Eppure, la legge, numero 66 del 15 febbraio 1996, parla chiaro: “Chiunque,
con violenza o minaccia o mediante abuso di
autorità, costringe taluno a compiere o subire
atti sessuali è punito con la reclusione da
cinque a dieci anni”. Nel febbraio 2006, i giudici
della Terza Sezione penale della Cassazione,
accogliendo il ricorso di Marco T., allevatore
41enne cagliaritano, ex tossicodipendente, che
violentò e minacciò la figlia di 14 anni della sua
convivente e fu condannato in primo grado a
Cagliari a tre anni e quattro mesi, hanno
emesso la sentenza secondo cui lo stupro di
una minorenne è meno grave se la ragazzina ha già avuto rapporti sessuali. Cioè, se la
vittima è vergine, “il danno è più lieve”. Un verdetto choc, che immediatamente ha
scatenato reazioni di stupore e di condanna molto dure, come quella della stessa Corte di
Cassazione che dichiarò: «È stato uno sbaglio, questa sentenza sarà seppellita con
ignominia». Nel Regno Unito, Ian Huntley, l'assassino di Soham, condannato nel 2003,
era stato denunciato nove volte per stupro e violenze sessuali nel corso di anni prima di
uccidere le due bambine Holly Chapman e Jessica Wells. È tipico del sessismo del
sistema della giustizia criminale quando si tratta di stupro. A livello nazionale, solo il 5%
dei casi registrati di violenza domestica e meno del 6% degli stupri riportati finisce con una
condanna. A tre anni di distanza dalla sentenza n. 1636/99, la Cassazione è tornata a
pronunciarsi sull'argomento “jeans e stupro”, adottando un orientamento di segno opposto:
la nuova sentenza (Cass. Sez. III n. 42289/2001) ha stabilito che, anche chi indossa i
jeans, può essere vittima di stupro.

Giornata contro la violenza alle donne 26 novembre 2008

Stupro filmato con il cellulare Spunta giro di video con minori 15 dicembre 2006

Violenza sulle donne: non solo stupri La paura è anche tra le mura domestiche 28
settembre 2006

Con i jeans lo stupro diventa "consenziente" Repubblica 10 febbraio 1999

La Cassazione: “È stupro anche se la vittima indossa i jeans” 21 luglio 2008

Soham murders – Wikipedia


CULTURA DELLO STUPRO

La scena si apre in una stazione della metropolitana, in una grande


città del Giappone. Forse Tokyo, o Kyoto, o magari Yokohama.
Una ragazza, minorenne, aspetta il treno. Con l’ingenuità e la
malizia di cui un’adolescente è capace, ammicca ad un uomo. Nel
porno-videogioco intitolato “RapeLay”, gioco di parole tra “Rape”
(“Stupro”) e “Replay” (“Ripetuto”), il giocatore deve stuprare la
prima ragazza minorenne che incontra, poi le sue due sorelle e,
infine, anche la madre. Un viaggio allucinante in cui le vittime
inseguite, molestate e poi violentate, con i vestiti strappati, gridano
e piangono. La Illusion, una società specializzata di Yokohama, ha
lanciato il suo nuovo prodotto nel 2006. Inizialmente destinato al
solo mercato nipponico, per qualche strano motivo è riuscito a
varcare i confini dell’Occidente ed a finire ovviamente su Amazon e
eBay, finché le proteste di associazioni e autorità in Usa e Regno Unito non sono riuscite a
farlo bandire dai due siti Web. In Giappone, nonostante le numerose condanne dalla
comunità internazionale in Giappone, nessuno si è sognato di chiedere alla società
produttrice di fermare la distribuzione. Tantomeno l’azienda si è presa la briga di
rispondere alle lamentele d’oltreoceano. Nel Paese del Sol Levante i giochi come
RapeLay sono liberamente venduti e soprattutto non fanno scandalo. “Io Donna” (il
femminile de Il Corriere della Sera), ha intervistato a riguardo Ornella Civardi, esperta di
storia e cultura giapponese. (…) Il sesso, che per definizione rappresenta uno spazio di
libertà, vera o percepita, diventa il territorio in cui l’uomo giapponese si rifà delle
frustrazioni della vita di tutti i giorni in una società dove controllo dell’individuo e gerarchia
sono cifra quotidiana dell’esistenza. Presente in gran parte delle fantasie erotiche in forma
sottile, la violenza è vissuta come valvola di sfogo: l’immaginario restituisce all’uomo
giapponese quel potere che altrove non può esercitare. (…) In Giappone gli stupri non
sono emergenza sociale. Vero, le molestie in metrò fanno notizia per la frequenza,
soprattutto ai danni delle giovanissime. Però sono espressioni di fantasia, per quanto
destabilizzante ai nostri occhi. Non gesti destinati ad avere un seguito. Le perversioni
giapponesi sono spesso legate al rapporto tra uomo adulto e ragazzina, oggetto fetish per
eccellenza se in più indossa una divisa da marinaretta, tipica delle scuole medie. (…) Per
cultura ed educazione, i maschi giapponesi sono eterni bambini: crescono nel timore delle
donne adulte (madri che li sorvegliano e li spronano senza pietà a superare esami e
ostacoli sociali). Paura annullata di fronte un’adolescente, vista anche come Essere
ancora puro. La trasgressione è appunto violare questo candore ideale. Ricompensa: il
massimo dell’eccitazione erotica. (...) (“Quando lo stupro diventa un gioco”, pinkblog, 27
aprile 2009). “Rapelay” altro non è che il seguito non ufficiale di “Interact Plat Vr”, il gioco
coi contenuti più violenti e immorali che si sia mai visto nella storia videoludica. Rispetto al
suo “predecessore”, “Rapelay” è stato notevolmente alleggerito, mantenendo comunque
inalterate le caratteristiche chiave che contraddistinguevano il titolo a cui si è ispirato. Vale
a dire che impersonerete ancora un maniaco, rapirete delle ragazze e le….beh, non ci
farete nulla di carino e piacevole. La sequenza a bordo del treno è breve ma molto
interattiva: si può toccare la ragazza quasi ovunque e svolgere diverse azioni concatenate
che prima o poi vengono interrotte dalla vittima. L’obbiettivo in questo livello è quello di
eccitare e svestire il più possibile il personaggio, dopodiché si passa alla sequenza
successiva. In quest’ultima fase avviene la violenza vera e propria, abbastanza
impressionante per il realismo con cui avviene, gemiti e pianti della ragazza compresi;
l’interazione non è molto alta ma ci sono diverse opzioni per far pronunciare diverse frasi
al protagonista e per concludere in vario modo il rapporto sessuale. Conclusa la prima
parte si accede alle altre due restanti che si svolgono in maniera del tutto identica.
Completato lo story mode, viene fornito un save date che permette di accedere all’H
Mode, la modalità più interattiva di tutto il gioco, dove potete fare tutto, ma proprio tutto,
con le ragazze: potete decidere di fare sesso con uno, due o tutti i personaggi disponibili,
sesso di gruppo con una donna e più uomini; scegliere lo scenario e le donne che vorrete.
Una volta fatte le scelte che anticipano la modalità vera e propria, sarete liberi di
comportarvi e di fare quello che vorrete. Quello dei videogiochi a sfondo pornografico è un
vero e proprio mercato, come da noi quello dei film hard. Quindi è assolutamente normale
che ci siano giochi in cui si stupra così come nel mercato delle pellicole porno in Italia è
assolutamente normale che ci siano dei film dove accade la stessa cosa. È legale!

La violenza - fisica, psicologica, sociale e sessuale -


colpisce tutte le donne senza distinzione di classe sociale,
razza, religione ed età. E, nella maggior parte dei casi, i
maltrattamenti e le minacce di morte che avvengono nelle
case sono silenziosi e invisibili. Poche denunciano e molte
subiscono, attribuendo lividi e contusioni a cadute per scale
o a incidenti domestici. Il dato è stato confermato anche da
un sondaggio di Amnesty International dal quale emerge
che, nel Regno Unito, il 30% della popolazione ritiene che
non sia sbagliato picchiare le donne, mentre il 50% degli
interpellati non ritiene giusto intromettersi durante le liti tra
partners. L'organizzazione internazionale per la difesa dei
diritti umani ha dovuto ammettere una sconvolgente verità:
la gente si indigna di più per i maltrattamenti sugli animali
che sulle donne. “Cultura dello Stupro” è un termine usato
per denotare una cultura nella quale lo stupro e altre forme
di violenza sessuale sono comuni, e in cui le prevalenti
attitudini, norme, pratiche e atteggiamenti dei media, normalizzano,
giustificano, o incoraggiano lo stupro e altre violenze sulle donne.
Fanno parte della cultura dello stupro anche atti di “innocuo”
sessismo, come, ad esempio, raccontare una barzelletta sessista
che promuove la mancanza di rispetto per le donne e che fa
sembrare accettabile stupri e abusi. Il termine è ampiamente usato
nell'ambito del femminismo e degli studi sulle donne. In uno scritto
del 1992, apparso sul Journal of Social Issues, intitolato “Una
Ridefinizione Femminista di Stupro e Assalto Sessuale:
Fondamenta Storiche e Cambiamento”, Patricia Donat e John
D'Emilio suggeriscono che il termine ha origine come “cultura
solidale con lo stupro” nel libro del 1975 di Susan Brownmiller,
intitolato “Against Our Will” (“Contro la Nostra Volontà; Uomini,
Donne e Stupro”). Esempi di comportamenti che tipizzano la cultura
dello stupro comprendono la colpevolizzazione della vittima, la
banalizzazione dello stupro e la rappresentazione della donna
come oggetto sessuale (tipo le veline, i calendari porno-pop, la pornografia hard, ndr).

Il 26 febbraio 2007, l'Associazione Orlando ha richiesto di ritiro di una pubblicità violenta e


sessista di Dolce e Gabbana, dopo che, il 19 Febbraio scorso, in Spagna, l'Instituto de la
Mujer, un ente che è parte del Ministero del Lavoro del
governo spagnolo, insieme a varie associazioni
femministe e gruppi dei consumatori spagnoli, aveva
chiesto, con una lettera aperta di protesta all'azienda di
moda Dolce e Gabbana, il ritiro della stessa pubblicità
che utilizza una scena di stupro di gruppo.
L'Osservatorio dell'Immagine dell'Instituto de la Mujer,
che si occupa di monitorare la rappresentazione della
donna nei media, ha dichiarato che questa pubblicità
incita alla violenza contro le donne, perché «se ne può
dedurre che è ammissibile l'uso della forza come modo di
imporsi alle donne» e che questo tipo di immagine «rafforza
atteggiamenti che al giorno d'oggi sono un crimine,
attentano contro i diritti delle donne e ne denigrano
l'immagine». L'Istituto ha chiesto a tutti i mezzi di
comunicazione, stampa, televisione, ecc., di non prestarsi
alla diffusione di questa immagine. L'associazione dei
consumatori FACUA e il partito dei Verdi spagnoli si sono
associati all'appello dichiarando che l'annuncio viola
l'articolo 3 della legge spagnola sulla pubblicità, che
proibisce ogni annuncio che “attenti contro la dignità della
persona”. Il 23 Febbraio Dolce e Gabbana in persona hanno
dichiarato che avrebbero ritirato la pubblicità dalla Spagna,
ma solo dalla Spagna, in quanto si tratta di un paese “arretrato”, e che l'avrebbero
mantenuta in tutti gli altri paesi del mondo dove smerciano i loro (ignobili) prodotti. Lo spot
di Dolce e Gabbana è un tipico esempio di cultura dello stupro. C'è poi chi sostiene, come
Bell Hooks, che il paradigma della cultura dello stupro dovrebbe essere considerato
nell'ambito di una più generale “cultura della violenza”.

Cultura dello stupro - Wikipedia

Pubblicità choc, tutti contro Dolce e Gabbana 02 marzo 2007

ANTI-PORNO

La più dura battaglia contro la pornografia, è stata condotta negli anni Settanta dal
movimento femminista “anti-porno”, secondo cui, il messaggio
della pornografia è la prostituzione, un'immagine di donna
degradata funzionalizzata esclusivamente al dominio e al
piacere maschile, che disconosce la vera sessualità della
donna: essa è resa oggetto da guardare e da usare. Il corpo
della donna diviene un feticcio. Questa obiezione femminista
non è solo morale ma anche politica, non si scaglia in toto
contro l'oscenità della rappresentazione, ma contesta il ruolo
che riveste la donna nella rappresentazione. In questo attacco,
rientrava anche la forte critica alla violenza di tale
rappresentazione, perché propone una modalità di rapporto
sessuale che istiga alla violenza sessuale sulle donne. “La
pornografia è la teoria, lo stupro la pratica”, recitava uno slogan
in voga tra le femministe anti-porno come Susan Brownmiller.
Questa nuova consapevolezza fece emergere realtà ignorate
fino a quel momento come lo stupro, le molestie sessuali in ambito lavorativo ed altre
manifestazioni di violenza nel rapporto fra i sessi. Negli anni 80, la campagna anti-porno
riuscì ad imporsi sulla stampa statunitense grazie alle teorie di Andrea Dworkin e
Catharine Mac Kinnon che, tramite diversi studi e ricerche, sostennero che la pornografia
era la principale causa della violenza sessuale verso le donne (A.
Dworkin, "Pornography Men Possessing Women", Perigee Books,
New York, 1982). Dworkin e MacKinnon stimolarono una vera
battaglia che suscitò l'interesse della stampa e portarono avanti
una proposta di legge per censurare la pornografia in quanto
“propaganda contro la donna”, riuscendo a farla approvare dal City
Council di Minneapolis e di Indianapolis. La legge sollevò molti
consensi tra i moralisti perché la vaghezza del criterio che
determinava se un'immagine fosse censurabile o meno permetteva
di proibire qualsiasi immagine sessualmente esplicita.
Successivamente, venne dichiarata incostituzionale dalla Corte
Federale.

Anti-porn crusader Dworkin dies 13 aprile 2005

(Pubblicato su Ecplanet 14 marzo 2007)

LINKS

United Nations Annan calls for more political will to combat scourge of violence
against women

Telefono Rosa

Associazione Orlando

Diritti umani delle donne

Amnesty Italia (campagne donne)

Center Against Domestic Violence

Casa delle donne (Bologna - come ci trovi)

London School of Hygiene and Tropical Medicine

APOCALISSE AD HAITI

STUPRI DI GUERRA

INVISIBLE CHILDREN

ABUSO

RAPPORTO PEDOFILIA

LA COSPIRAZIONE DEL SILENZIO


SCHIAVE DEL SESSO

STORIA DELLA PROSTITUZIONE

PORN FOR THE MASSES

PORNO IMPERO

IL PORNO IMPERO COLPISCE ANCORA

PORNOCULTURA

RIVOLUZIONE SESSUALE

EFFETTO COPYCAT

La Mostra Delle Atrocita' 2

TOTEM E TABOO

L’ANTICRISTO

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