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In ogni parte del mondo, le vittime di stupro e di violenza sessuale si vedono negare
l'accesso alla giustizia, a causa della discriminazione di genere e di pregiudizi sul loro
comportamento sessuale. È la denuncia lanciata da Amnesty International, in occasione
della Giornata Internazionale delle Donne, attraverso due rapporti che mettono
a confronto la violenza sessuale in due contesti opposti: la Cambogia e i Paesi nordici
europei (Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia). «Tanto nei Paesi poveri quanto in
quelli ricchi, le donne che hanno subito stupri e abusi sessuali hanno poche speranze di
vedere i loro aggressori portati davanti alla giustizia», ha dichiarato Widney Brown di
Amnesty, «è agghiacciante constatare che nel Ventunesimo secolo, con tutte le leggi
esistenti che dovrebbero garantire l'uguaglianza delle donne, praticamente non vi è
governo che le protegga realmente e chiami i responsabili a rispondere dei loro crimini». I
rapporti di Amnesty mettono in luce i molti ostacoli che sono posti alle vittime che cercano
giustizia per la violenza sessuale e domestica, quali l'atteggiamento inadeguato, negativo
o minimizzante da parte della polizia, dei giudici e dei medici. «A causa della radicata
indifferenza delle autorità nei confronti della violenza sessuale», riferisce Amnesty, «molte
donne si vergognano o addirittura si addossano la colpa e rinunciano a denunciare alla
polizia i reati subiti. Quando invece lo fanno, le loro richieste di giustizia vengono accolte
raramente». I due rapporti dimostrano come le incriminazioni per stupro siano tra quelle
percentualmente più basse rispetto ad altri tipi di reato. «Salvo che non sia accompagnata
da violenza fisica, la violenza sessuale non viene presa seriamente in considerazione», ha
spiegato Brown, «una donna che ha subito uno stupro senza gravi conseguenze fisiche
viene spesso stigmatizzata e giudicata responsabile per un crimine che in realtà è stata lei
a subire, mentre il suo aggressore se la cava, nella maggior parte dei casi, con una
blanda sanzione penale e una riprovazione sociale minima». Sebbene i sistemi penali
esaminati nei due rapporti varino profondamente, Amnesty vi ha trovato "carenze e
discrepanze" che, allo stesso modo, scoraggiano le donne e le ragazze dal chiedere
giustizia. Nei paesi nord-europei, a determinare la gravità di uno stupro non è la violazione
dell'autonomia sessuale di una donna, quanto l'uso o meno della violenza o la minaccia di
violenza. In Cambogia, le donne non hanno nessuna fiducia nel sistema giudiziario. «Le
spese legate ai procedimenti, talvolta sotto forma di mazzette da pagare alla polizia ma
anche legate alle visite mediche e ai trasporti, scoraggiano le donne dal denunciare», si
legge nel documento.
Stalking - Wikipedia
DOMESTIC VIOLENCE
Ogni minuto una donna subisce una violenza domestica. E non in paesi del Terzo Mondo,
ma nella “civilissima” Europa. Al punto che il Consiglio
d'Europa ha deciso di dare il via alla prima campagna
europea “Stop alla Violenza Domestica sulle Donne”,
inaugurata a Madrid il 27 novembre scorso. Gli obiettivi che
si prefigge la campagna sono di due tipi: prima di tutto,
mobilitare i 46 Paesi membri del Consiglio d'Europa per
aumentare e inasprire le leggi contro la violenza domestica,
e poi, incrementare le campagne di informazione per
sensibilizzare le persone e cambiarne i comportamenti. Le
donne subiscono violenze soprattutto tra le mura
domestiche, dal marito o compagno, proprio nel luogo in cui dovrebbero sentirsi
maggiormente protette. «Una donna su quattro è stata vittima di maltrattamenti durante la
propria vita» - afferma il segretario del Consiglio d'Europa, Terry Davis - «mentre una su
dieci ha subito una violenza sessuale. Molte di queste donne non sono sopravvissute alla
violenza domestica, che è ancora uno dei killer più spietati per le donne tra i 18 e i 44
anni». Le violenze domestiche hanno conseguenze sia sulla vita delle vittime che per la
società. Attacchi di panico, paura, depressione, incapacità di relazionarsi con l'esterno e di
contribuire all'educazione dei figli sono solo alcuni dei sintomi più frequenti a cui vanno
incontro le donne violentate. Alla sofferenza umana si aggiungono poi gli effetti negativi
sulla società, con una crescita delle spese per sanità, polizia e giustizia, e una riduzione
della produttività. Ad esempio, la Svizzera - secondo l'indagine del Consiglio d'Europa,
condotta dal professor Carol Hagemann White - spende ogni anno 260 milioni di euro
mentre, nel 2001, in Inghilterra e in Galles il costo è stato di 34 miliardi di euro. Tutti i paesi
europei sono colpiti da questa piaga: nel 2002 il governo spagnolo ha pagato 2,4 miliardi
di euro, nei Paesi Bassi 151 milioni di euro e in Finlandia 101 milioni. Il regista Frederick
Wiseman ha realizzato un film-documentario proprio su questo fenomeno (il film, girato a
Tampa, in Florida, è stato presentato, nella sezione “Nuovi Territori”, alla Mostra del
Cinema di Venezia 2001). In tre ore, Wiseman ha
riassunto - attraverso un lungo lavoro di montaggio -
materiale derivato da più di cento ore di crude
sequenze. Le immagini, girate come un home-video,
con pellicola 16 mm, mostrano l'attività terapeutica
delle associazioni femministe impegnate in prima
linea nell'aiuto di donne e minori che hanno subito
abusi fisici e sessuali entro le mura domestiche. Il
recupero psicologico delle vittime cerca di renderle
consapevoli che la violenza ha una sua logica e non
ha niente a che vedere con loro come individui. Un
film, dunque, che tenta di rappresentare l'assuefazione all'assurdità del quotidiano. Come
quando una donna minaccia di colpire tutti gli uomini che cercano di molestare sua figlia e
viene arrestata per violenza domestica; o nella scena di chiusura del film, quando un
uomo chiama la polizia perché porti via la sua fidanzata che non vuole fare sesso con lui.
Nel 2003, Wiseman ha realizzato un sequel, “Domestic Violence 2”, in cui l’attenzione
dell'autore si sposta dalle case dove sono avvenuti casi di violenza domestica alle aule dei
tribunali. Con l'intento di mettere a nudo l'ipocrisia della giustizia americana e, al tempo
stesso, rivelare i segni di una grave crisi interna alla società.
Nella Francia che candida una donna, Ségolène Royal, alla presidenza della Repubblica,
ogni tre giorni una donna viene uccisa dal proprio compagno. Il rapporto, illustrato dal
ministro della Coesione Sociale e della Parità, Catherine Vautrin, parla chiaro: dall'inizio
dello scorso anno sono stati commessi 113 omicidi tra coniugi o ex, e l'83% delle vittime
sono donne. Nel 41% dei casi, questi delitti coincidono con una separazione, mentre la
metà degli assassini sono disoccupati e un quarto hanno agito sotto l'influsso dell'alcol. Il
ministro Vautrin ha sottolineato la drammaticità dei dati: «Le vittime, che, contrariamente a
quanto si pensa talvolta, vengono da ambienti diversi, hanno spesso paura di parlare. Per
incoraggiarle ad uscire dal silenzio, stiamo per lanciare una campagna di sensibilizzazione
sulle violenze coniugali, mentre il prossimo anno creeremo una linea telefonica riservata
alle vittime». In pratica, campagne sociali e numeri verdi appaiono strumenti antiquati e
inadeguati, soprattutto se al dato sugli uxoricidi si affianca quello sugli stupri (in Francia,
ogni due ore una donna viene violentata). Nella Spagna riformista di Zapatero, malgrado
una legge ad hoc, la violenza contro le donne è aumentata. E anche nel caso spagnolo, si
tratta della violenza perpetrata tra le mura della propria casa (nei primi sette mesi dello
scorso anno ha già provocato 50 vittime, a fronte delle 62 dell’intero 2005). Nella
“religiosissima” Israele, una donna su cinque, fra 15 e 50 anni, è stata vittima di violenza
sessuale (a incrementare le statistiche ci ha pensato anche il presidente Moshe Katsav
accusato di abusi sessuali nei confronti di sue segretarie, ndr); nella Turchia che aspira
all'Europa, dal 2000 ad oggi, sono stati accertati 91 casi di donne, tra i 19 ed i 25 anni,
uccise per ragioni d’onore dal marito o da altri familiari. Gli esperti fanno risalire le cause di
tanta violenza alla noia estiva e alla crescente parità tra i sessi che avrebbe provocato al
genere maschile un’eccessiva quanto funesta frustrazione. L'unico modello più o meno
incruento viene da una cittadina colombiana, Tunja, dove vari mariti avrebbero denunciato
le consorti per maltrattamento: alle brutalità domestiche, le signore hanno risposto a colpi
di padella.
STUPRO E MASS-MEDIA
Ma come ha risposto finora la giustizia italiana? Nel febbraio del 1999, la Cassazione ha
annullato con una sentenza la condanna a due anni e dieci mesi decisa dalla corte
d'Appello di Potenza contro Carmine C., 45 anni, istruttore di guida, portato in tribunale per
violenza sessuale da una ragazza di 18 anni, Rosa. Secondo la Corte, dato che lo
stupratore era riuscito a sfilarle i jeans, indumento difficilmente sfilabile “senza la fattiva
collaborazione di chi lo porta”, la ragazza era “consenziente”, e dunque non poteva essere
stata stuprata. Eppure, la legge, numero 66 del 15 febbraio 1996, parla chiaro: “Chiunque,
con violenza o minaccia o mediante abuso di
autorità, costringe taluno a compiere o subire
atti sessuali è punito con la reclusione da
cinque a dieci anni”. Nel febbraio 2006, i giudici
della Terza Sezione penale della Cassazione,
accogliendo il ricorso di Marco T., allevatore
41enne cagliaritano, ex tossicodipendente, che
violentò e minacciò la figlia di 14 anni della sua
convivente e fu condannato in primo grado a
Cagliari a tre anni e quattro mesi, hanno
emesso la sentenza secondo cui lo stupro di
una minorenne è meno grave se la ragazzina ha già avuto rapporti sessuali. Cioè, se la
vittima è vergine, “il danno è più lieve”. Un verdetto choc, che immediatamente ha
scatenato reazioni di stupore e di condanna molto dure, come quella della stessa Corte di
Cassazione che dichiarò: «È stato uno sbaglio, questa sentenza sarà seppellita con
ignominia». Nel Regno Unito, Ian Huntley, l'assassino di Soham, condannato nel 2003,
era stato denunciato nove volte per stupro e violenze sessuali nel corso di anni prima di
uccidere le due bambine Holly Chapman e Jessica Wells. È tipico del sessismo del
sistema della giustizia criminale quando si tratta di stupro. A livello nazionale, solo il 5%
dei casi registrati di violenza domestica e meno del 6% degli stupri riportati finisce con una
condanna. A tre anni di distanza dalla sentenza n. 1636/99, la Cassazione è tornata a
pronunciarsi sull'argomento “jeans e stupro”, adottando un orientamento di segno opposto:
la nuova sentenza (Cass. Sez. III n. 42289/2001) ha stabilito che, anche chi indossa i
jeans, può essere vittima di stupro.
Stupro filmato con il cellulare Spunta giro di video con minori 15 dicembre 2006
Violenza sulle donne: non solo stupri La paura è anche tra le mura domestiche 28
settembre 2006
ANTI-PORNO
La più dura battaglia contro la pornografia, è stata condotta negli anni Settanta dal
movimento femminista “anti-porno”, secondo cui, il messaggio
della pornografia è la prostituzione, un'immagine di donna
degradata funzionalizzata esclusivamente al dominio e al
piacere maschile, che disconosce la vera sessualità della
donna: essa è resa oggetto da guardare e da usare. Il corpo
della donna diviene un feticcio. Questa obiezione femminista
non è solo morale ma anche politica, non si scaglia in toto
contro l'oscenità della rappresentazione, ma contesta il ruolo
che riveste la donna nella rappresentazione. In questo attacco,
rientrava anche la forte critica alla violenza di tale
rappresentazione, perché propone una modalità di rapporto
sessuale che istiga alla violenza sessuale sulle donne. “La
pornografia è la teoria, lo stupro la pratica”, recitava uno slogan
in voga tra le femministe anti-porno come Susan Brownmiller.
Questa nuova consapevolezza fece emergere realtà ignorate
fino a quel momento come lo stupro, le molestie sessuali in ambito lavorativo ed altre
manifestazioni di violenza nel rapporto fra i sessi. Negli anni 80, la campagna anti-porno
riuscì ad imporsi sulla stampa statunitense grazie alle teorie di Andrea Dworkin e
Catharine Mac Kinnon che, tramite diversi studi e ricerche, sostennero che la pornografia
era la principale causa della violenza sessuale verso le donne (A.
Dworkin, "Pornography Men Possessing Women", Perigee Books,
New York, 1982). Dworkin e MacKinnon stimolarono una vera
battaglia che suscitò l'interesse della stampa e portarono avanti
una proposta di legge per censurare la pornografia in quanto
“propaganda contro la donna”, riuscendo a farla approvare dal City
Council di Minneapolis e di Indianapolis. La legge sollevò molti
consensi tra i moralisti perché la vaghezza del criterio che
determinava se un'immagine fosse censurabile o meno permetteva
di proibire qualsiasi immagine sessualmente esplicita.
Successivamente, venne dichiarata incostituzionale dalla Corte
Federale.
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