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Guido Gili, Industria culturale, cultura di massa e mass media, in Mancini P., Marini R. (a cura di), Le comunicazioni di massa.

Teorie, effetti, contenuti, Carocci, Roma, 2006.


Il concetto di industria culturale ormai entrato stabilmente nel vocabolario delle scienze sociali ed economiche per indicare lorganizzazione produttiva della cultura e il rapporto tra cultura e mercato. Tale concetto nasce tuttavia fortemente connotato in senso ideologico allinterno del dibattito sviluppatosi a partire dagli anni quaranta e cinquanta negli Stati Uniti e in Europa tra difensori e detrattori della cultura di massa, la nuova cultura nata e diffusa dai mass media. 1. Un lungo dibattitoancora aperto 1.1. Le origini: la teoria della societ di massa Tra le due guerre mondiali si sviluppata una teoria che ha animato il dibattito sociologico per pi di un trentennio: la teoria della societ di massa. Si trattava di una teoria generale sullevoluzione e la struttura della societ contemporanea, che assegnava tuttavia ai mass media un ruolo fondamentale nella trasformazione dei rapporti sociali (Wilensky 1964; Mannucci, 1967; Giner, 1976; Gili, 1990, 2001). Senza approfondire in dettaglio i singoli filoni, sufficiente ricordare i principali elementi comuni: 1) la societ contemporanea si caratterizza per laccresciuto potere delle grandi organizzazioni e delle istituzioni centrali della societ; 2) anche i mass media come le altre istituzioni sociali sono soggetti a un processo di concentrazione, per cui il potere di influenzare lopinione pubblica appare controllato da ristrette lites; 3) il tessuto sociale per una serie complessa di cause e fattori diventa pi debole, meno organizzato, e gli individui appaiono pi isolati e privi di forti legami di gruppo; 4) il pubblico atomizzato e coinvolto in rapporti sociali formali e astratti risulta pi vulnerabile allinfluenza dei mass media, i quali contribuiscono a loro volta alla disgregazione del tessuto sociale. Nellambito delle teorie della societ di massa, un nodo cruciale costituito dal dibattito sulla cultura di massa che della societ di massa costituisce il versante culturale e simbolico. 1.2. Le teorie critiche della cultura di massa Tra le teorie critiche della cultura di massa, possiamo distinguere una critica conservatrice ed una radicale. La critica conservatrice, portavoce dei valori umanistici di difesa della civilt europea ed occidentale, denunciava linvasione dei sottoprodotti culturali dellindustria moderna, sottolineando gli aspetti di banalizzazione, decadenza del gusto, divertimento plebeo, volgarizzazione. La distinzione concettuale principale era quella tra alta cultura e bassa cultura (o, appunto, cultura di massa) e, ancor pi radicalmente, tra cultura autentica e inautentica. Tra gli autori pi significativi possiamo ricordare Jos Ortega y Gasset (1930), Hannah Arendt (1958) e Gunther Anders (1956). La critica di sinistra, debitrice perlopi della vulgata marxista, vedeva invece nella cultura di massa il nuovo oppio dei popoli, moderna e pi efficace versione della funzione ideologica e consolatoria gi svolta dalla religione. Una consapevole mistificazione con cui il capitalismo distrae le masse dai loro veri problemi e ne indebolisce la coscienza di classe. Allinterno di questa area gli esponenti della scuola di Francoforte, emigrati in America negli anni trenta per sfuggire al nazismo, apportarono un approccio critico radicale, ispirato dal marxismo ma essenzialmente originale. Oltre al saggio sullindustria culturale di Horkheimer e Adorno (1947) e allo studio di Lowenthal sulle biografie di personaggi famosi nelle riviste popolari (1944), vanno ricordati Eclipse of Reason di Horkheimer (1947), la ricerca coordinata da Adorno The 1

Authoritarian Personality (1950), i saggi di Fromm, Escape from Freedom (1941) e The Sane Society (1955) e, infine, negli anni sessanta, One-dimensional Man (1964) di Marcuse, che ha esercitato grande influenza sul clima intellettuale al di qua e al di l delloceano, e lopera desordio del maggiore esponente della seconda generazione, J. Habermas, sul passaggio dallopinione pubblica criticamente fondata al pubblico consumatore di cultura (1962). Lindustria culturale. Lespressione industria culturale venne introdotta da Horkheimer e Adorno nel saggio omonimo, inserito in Dialektik der Aufkrung (1947; trad. it. Dialettica dellIlluminismo, 1966, poi 1974). Si tratta di una consapevole rottura terminologica e concettuale. Come spieg in seguito Adorno, lespressione cultura di massa, utilizzata negli appunti preparatori, venne sostituita nella stesura definitiva con quella di industria culturale per eliminare fin dallinizio linterpretazione consueta e cio che si tratti di una cultura che nasce spontaneamente dalle masse stesse, di una forma contemporanea di arte popolare (Adorno, 1967). Sebbene, come rilevano vari interpreti, gli autori della scuola di Francoforte contestino al marxismo di ridurre troppo semplicisticamente la cultura e larte alleconomia, essi non rinnegano tuttavia il principio fondamentale del materialismo storico per cui la struttura sociale, in particolar modo la struttura economica (capitalistica) della societ, a definire ultimamente la cultura. Horkheimer e Adorno dichiarano espressamente che i meccanismi e le logiche che governano la produzione e la distribuzione della cultura attraverso i mass media sono del tutto analoghi a quelli degli altri settori dellindustria capitalistica. I prodotti culturali costituiscono delle merci, nel senso che il contenuto artistico ed estetico soggetto alle regole dello scambio e del profitto. Levoluzione del settore della comunicazione di massa nei paesi capitalistici simile a quella degli altri settori industriali e la concorrenza sul mercato della comunicazione tende a sfociare nella creazione di posizioni dominanti di tipo oligopolistico. La concentrazione dello spirito non che un aspetto ed una conseguenza della concentrazione del sistema economico (Horkheimer, Adorno, trad. it. pp. 132-133). Linteresse degli esponenti della scuola di Francoforte non rivolto agli effetti di singoli media e messaggi, ma alla funzione che il sistema dei mass media nel suo insieme svolge nellambito della societ capitalistica (ivi, p.131-2). Lindustria culturale non solo un settore dellindustria capitalistica, ma esercita anche una fondamentale funzione ideologica per tutto il sistema. Essa non ha una propria ideologia, ma riflette lideologia dei settori dominanti della societ. Al di l delle differenze di media, generi e messaggi, vi un comune orientamento ideologico, costituito dallapologia della societ: lindustria culturale torna a fornire come paradiso la stessa vita quotidiana (ivi, p.153); la nuova ideologia ha per oggetto il mondo come tale (ivi, p.160). Partendo da queste premesse, Horkheimer e Adorno non riservano particolare attenzione alla prospettiva dei riceventi, ma sono interessati a quella degli emittenti, di coloro che controllano i media e lindustria culturale. La logica che guida le scelte dei grandi comunicatori e dei manager dellindustria culturale la stessa che per i due autori segna la storia delloccidente: quella razionalit strumentale o logica amministrativa che porta a considerare gli altri come oggetti per i propri fini senza alcuna considerazione della loro soggettivit e dei loro bisogni (ivi, pp.132-133). Questi prodotti culturali (e la loro ideologia implicita) si impongono ai riceventi, cosi che la sfera del consumo e della cultura cessa di essere la sfera della libert del consumatore: il consumatore non sovrano, come lindustria culturale vorrebbe far credere, non il suo soggetto bens il suo oggetto (Adorno, 1967, trad. it. p.6). Lindustria culturale contribuisce secondo la nota espressione di Marcuse a creare un mondo uni-dimensionale (1964), nel quale lamministrazione della vita da parte dei poteri forti della societ non si esaurisce nella sfera della produzione e del lavoro, ma viene ad abbracciare anche la sfera del consumo e della cultura. La cultura omogeneizzata. La prospettiva critica della Scuola di Francoforte ha influenzato direttamente un gruppo di autori radicali americani, i cui contributi compaiono sullinfluente rivista della sinistra intellettuale Politics, diretta da Dwight MacDonald, e nei volumi collettanei Mass culture (a cura di Rosenberg e White, 1957) e Culture for the millions? (a cura di Jacobs, 1961). 2

Muovendo da posizioni progressiste, essi collocano le ragioni storiche della nascita della cultura di massa nella democrazia politica e nellistruzione di massa, ma deprecano il fatto che la grande industria, grazie al controllo delle nuove tecnologie produttive e della comunicazione, si sia appropriata del mercato dei beni culturali (MacDonald, 1953, poi in 1957; van den Haag, 1957). La cultura di massa (mass culture) ha raccolto leredit della cultura popolare pre-industriale (folk culture), ma le differenze sono pi significative delle somiglianze (MacDonald 1953, poi 1957). Mentre la cultura popolare cresceva dal basso, come espressione spontanea del popolo, la cultura di massa invece imposta dallalto, fabbricata da professionisti arruolati dagli imprenditori del settore. E una homogenized culture che abbatte le barriere di classe, tradizione, gusto, e dissolve ogni differenza culturale. Ironicamente MacDonald osserva che la cultura di massa molto, molto democratica (1953, poi 1957, p. 62). La cultura di massa anche essenzialmente conservatrice: si basa sulle opinioni e i sentimenti diffusi. Produce una continua stimolazione ed eccitazione superficiali, ma non disturba e non inquieta. Il suo messaggio fondamentale : rimanete come siete, vivete come avete sempre fatto (Howe, 1957). Offre la felicit o almeno la libert dallansia attraverso il consumo, una specie di religione popolare non-cristiana (van den Haag, 1957, 1961). I prodotti della cultura di massa sono standardizzati e includono la reazione controllata del destinatario. Questa idea, gi avanzata da Adorno (1954, poi 1957), viene sviluppata nel saggio di Greenberg sul kitsch e il cattivo gusto (1957). Il kitsch non una qualit bassa o deteriore di un prodotto, ma un particolare modo di intendere il rapporto tra produttore e fruitore delloggetto culturale. Il prodotto culturale costruito in modo tale da favorire una ricezione immediata e superficiale: lindustria culturale assieme al prodotto vende (prescrive) anche le modalit del suo uso, la stessa reazione del destinatario. Allinterno della cultura di massa, MacDonald introduce infine una distinzione tra due diversi livelli: la cultura di massa propriamente detta (o Masscult) e il Midcult (1960, poi in 1962). Il Midcult possiede le qualit essenziali del Masscult la formula, la reazione controllata, la mancanza di qualsiasi metro di misura tranne la popolarit ma le nasconde pudicamente con una foglia di fico culturale. Nel Masscult il trucco scoperto piacere alle folle con ogni mezzo. Ma il Midcult contiene un duplice tranello: finge di rispettare i modelli dellAlta cultura, mentre in effetti li annacqua e li volgarizza (ivi, trad. it. p.82). Manipolazione ed eterodirezione. La sociologia critica americana ha espresso negli anni cinquanta alcuni autori che, per quanto isolati dal contesto accademico e osteggiati dal predominante orientamento struttural-funzionalista, hanno raggiunto una vasta popolarit influenzando profondamente il clima intellettuale del dopoguerra. The Power Elite (1956; trad. it Llite del potere, 1959) di Charles Wright Mills pone in modo radicale e polemico il problema del rapporto tra la struttura del potere reale nella societ americana che egli identifica in una ristretta lite composta dagli oligarchi del governo, dai dirigenti dei principali gruppi industriali e degli alti gradi dellesercito e la funzione assolta dallinsieme delle istituzioni culturali (chiesa, scuola e, soprattutto, mass media) o apparato culturale (1963). Attraverso i mass media si realizza, secondo Mills, quella particolare forma di esercizio del potere, che egli chiamer manipolazione, che si affianca e si sostituisce alle forme pi tradizionali, costituite dallautorit e dalla coercizione. La manipolazione lesercizio segreto del potere, sconosciuto a chi ne subisce linfluenza che si afferma quando gli uomini hanno potere accentrato e incondizionato, ma non autorit, oppure quando, per una ragione qualsiasi, non desiderano fare uso apertamente del loro potere (Mills, 1956, trad. it., pp. 297-8). La condizione perch ci avvenga, osserva Mills in sintonia con Horkheimer e Adorno, che llite del potere detenga la propriet o controlli direttamente o indirettamente tutti i principali mezzi di comunicazione di massa, anche in condizioni di apparente pluralismo delle fonti e dei canali di comunicazione. Attraverso i mass media diventa possibile formare le opinioni, sollevare o neutralizzare i problemi, canalizzare i bisogni e le aspirazioni, orientare gli atteggiamenti senza che 3

appaia mai direttamente il collegamento con le lite dominanti. Lapparato culturale, da un lato, trasforma le finalit di mantenimento del potere delle lite e di conservazione dello status quo in influenze formatrici, modelli di identificazione, simboli e immagini della societ; dallaltro impedisce una effettiva comunicazione dalla base al vertice. The Lonely Crowd di David Riesman (1950, trad. it. La folla solitaria, 1956) sviluppa un punto di vista diverso (e complementare) rispetto ai Francofortesi e a Mills. Il fortunato concetto intorno al quale Riesman costruisce il suo saggio quello di eterodirezione, che indica al tempo stesso una disposizione fondamentale della personalit e un principio di organizzazione sociale. Ci che comune a tutte le persone eterodirette scrive Riesman che i contemporanei sono la fonte di direzione per lindividuo, quelli che conosce o quelli con cui ha relazioni indirette attraverso gli amici o i mezzi di comunicazione di massa. Questa fonte naturalmente interiorizzata nel senso che la dipendenza da essa come guida nella vita radicata nel fanciullo molto presto. I fini verso i quali tende la persona eterodiretta si spostano con lo spostarsi della guida: solo il processo di tendere a una meta e il processo di fare stretta attenzione ai segnali degli altri che rimangono inalterati per tutta la vita. Questo modo di tenersi in contatto con gli altri permette una stretta conformit di comportamento (...) attraverso una eccezionale sensibilit per le azioni e i desideri degli altri (1950, trad. it. pp.29-30). Per Riesman leterodirezione non una passivit imposta, ma un atteggiamento attivo di ricerca della conformit. un fondamentale atteggiamento di permeabilit, di disponibilit verso influenze esterne. Riesman d una spiegazione strutturale di questo orientamento della personalit: leterodirezione il carattere sociale o modo di conformit pi adatto alle societ industriali avanzate dellOccidente. La continua ricerca del consenso e dellapprovazione degli altri, la rapida circolazione dei gusti e delle preferenze, rispondono infatti alle esigenze di funzionamento di una societ a capitalismo maturo il cui vero problema non pi la produzione, ma il consumo e la sua continua promozione. Questi tratti della personalit vengono dunque coltivati, sebbene in forme e secondo modalit diverse, da tutte le agenzie di socializzazione: dalla famiglia alla scuola, dal gruppo dei pari agli ambienti professionali, ai mass media (ivi, pp.83-103). 1.3. La teoria della democratizzazione della cultura Alle teorie critiche si oppone la teoria consensuale della societ di massa, i cui autori pi significativi sono Edward Shils e Daniel Bell, riconducibile in senso lato allorientamento strutturalfunzionalista che ha egemonizzato la teoria sociologica negli Stati Uniti fino agli anni sessanta. Muovendo da una matrice di pensiero liberale, tale teoria concepiva la cultura di massa come un aspetto fondamentale della democratizzazione della societ. Le teorie critiche della societ di massa hanno avuto il merito, secondo Shils, di aver attirato lattenzione della sociologia, anche se con esiti fuorvianti, su un aspetto fondamentale della pi recente fase di sviluppo della societ moderna: linclusione della massa della popolazione nella societ (Shils, 1962). Grazie al diffuso benessere, allestensione dei diritti civili, alla democrazia politica, allistruzione di massa, la maggioranza della popolazione entrata a pieno titolo a far parte della societ e a goderne i benefici. In questo contesto si situa la decisa contestazione della teoria critica della cultura di massa e dellindustria culturale. Nelle societ del passato i gruppi sociali dominanti svolgevano un ruolo di direzione politica e di mediazione culturale e costituivano il punto di partenza e di arrivo della circolazione sociale dei prodotti culturali. La societ di massa si caratterizza invece per la democratizzazione dellaccesso alla cultura (Shils, 1957, 1960; Bell 1956, 1962; White 1957). Per Shils lespressione cultura di massa non rimanda ad un concetto univoco e scientificamente valido, ma viene riferita, a seconda dei casi, alle propriet sostantive della cultura, alla posizione sociale dei suoi fruitori o ai mezzi attraverso i quali trasmessa (1960, trad. it. p.129). Essa inoltre appiattisce la pluralit di forme dellesperienza culturale moderna sulle sue espressioni pi rozze e brutali. Nella societ di massa convivono invece diversi livelli di cultura: la cultura superiore o raffinata, la cultura mediocre e la cultura brutale. Questi si differenziano non solo per i temi trattati, 4

ma soprattutto per la ricchezza di contenuto simbolico. Gi nel diciannovesimo secolo, con la formazione di un vasto pubblico di lettori, si avuta una grande espansione nel consumo di cultura mediocre o brutale: periodici popolari, romanzi dappendice, libri politici di interesse passeggero, poesia inferiore, biografie, opere esemplari di teologia e di edificazione morale. In tempi pi recenti, questi prodotti sono stati affiancati e, in parte sostituiti, dai film e dai programmi radiofonici e televisivi. Essi costituivano, e costituiscono tuttora, la gran parte dei consumi culturali. In sintesi, la tesi fondamentale dei due autori che, per quanto prevalgano ancora gli aspetti mediocri e brutali, la cultura della societ di massa non pu essere misurata sul metro di una visione ideale e romantica dellintegrit dellesperienza letteraria ed artistica, privilegio di pochi, ma va giudicata, nel contesto di una pi complessiva evoluzione socio-culturale, come una prima fase di inculturazione di vaste masse, in precedenza pressoch analfabete e del tutto escluse da ogni accesso alla cultura. 1.4. La teoria tecnologica della cultura Il dibattito sui mass media e la cultura di massa vede salire alla ribalta negli anni sessanta un nuovo protagonista, Marshall McLuhan, portatore di un nuovo paradigma di analisi dei media, alternativo sia al paradigma dominante della mass communication research, espresso da Lazarsfeld e dai sociologi riuniti intorno al Bureau of Applied Social Research della Columbia University, sia al paradigma critico, di cui abbiamo ricordato i principali protagonisti. Lopera di McLuhan costituisce la versione pi nota ed estremistica del paradigma tecnologico, che annovera altri importanti e pi rigorosi autori, quali Innis (1950, 1951) e Ong (1967, 1982). Sebbene sia stata fortemente osteggiata, accusata di dilettantismo e impressionismo, senza dubbio la teoria di McLuhan ha rappresentato una sfida che ha spinto gli studiosi a mettere in dubbio le teorie correnti sulla comunicazione e la cultura di massa. McLuhan insiste su unidea centrale e semplice: i media non rappresentano il mondo sebbene in modo ideologico e deformato, come affermavano gli esponenti della teoria critica ma danno forma al mondo, poich danno forma alla nostra stessa esperienza del mondo. Lambiente umano si costruisce a partire dai media e intorno ai media, poich questi plasmano le strutture percettive e cognitive con cui luomo vede il mondo ed agisce nel mondo. Per dirla con le parole dello stesso McLuhan, i nuovi media non sono dei nuovi modi per riportarci al vecchio mondo reale; sono essi stessi il mondo reale e rimodellano radicalmente la cultura e la societ precedenti. McLuhan enuncia i principi fondamentali della sua pi nota teoria in The Gutenberg Galaxy (1962) e Understanding media (1964). Gli aspetti salienti possono essere cos riassunti: a) la teoria dei mass media viene ripensata nel contesto di una pi ampia teoria delle tecnologie, intese come estensioni delluomo. Queste estensioni non costituiscono solo delle cose, degli strumenti che luomo utilizza, ma anche delle funzioni attive (Barilli, 1974) che retroagiscono e modificano il loro artefice. b) I mezzi di comunicazione sono estensioni degli organi e delle funzioni sensoriali. McLuhan propone una antropologia sensorialista (Morin, 1976), secondo la quale le essenziali caratteristiche psicologiche e sociali delluomo derivano dalle modificazioni sensoriali provocate dai mezzi di comunicazione. Un vero e proprio tecnomorfismo (Di Nallo, 1970). c) La teoria dei media di McLuhan presenta un carattere tendenzialmente deterministico. Afferma, infatti, che luomo il servomeccanismo dei suoi media (1964) ed erige lo sviluppo tecnologico a variabile indipendente del mutamento socio-culturale (Gili, 1983, 1993). A partire da queste tesi McLuhan rifiuta tutto il dibattito sulla cultura di massa: il vero problema non sono i contenuti dei media e la loro funzione ideologica, n interessante chiedersi se propongano una visione realistica o deformata della realt sociale. In verit non ha senso parlare di una cultura di massa; occorre parlare piuttosto di una cultura dei media, poich sono i diversi media, di volta in volta dominanti, che generano e definiscono i diversi modelli di cultura. La teoria di McLuhan, anche se ha goduto di vasta risonanza ed divenuta per un certo periodo una moda culturale, non mai riuscita ad entrare nel main stream della teoria e della ricerca sulla 5

comunicazione di massa, costituendo peraltro uno dei principali bersagli polemici degli esponenti dellapproccio critico di cui si collocava agli antipodi (come anche emerge dal titolo del libro di Eco, Apocalittici e integrati). Tuttavia la sua influenza sotterranea appare pi ampia e profonda di quanto non si creda, soprattutto perch ha introdotto una visione dei media come linguaggi e ambienti culturali (Meyrowiz, 1993), che molte teorie successive hanno in vario modo ripreso e sviluppato, come anche avremo modo di vedere in alcuni pi recenti approcci alla cultura di massa. 1.5. Culture nazionali, umanistiche, religiose e cultura di massa Mentre negli Stati Uniti ferve il dibattito tra le opposte visioni della cultura di massa e McLuhan elabora la sua teoria dei media, nel contesto europeo, soprattutto in Francia e Gran Bretagna, emergono alcuni autori e correnti che risentono pi o meno direttamente dellinfluenza della Scuola di Francoforte, ma sviluppano percorsi e prospettive autonome. Il tratto che li accomuna lintendere la cultura di massa come una vera e propria cultura in senso antropologico e sociologico e lavvalersi nella sua analisi di una molteplicit di prospettive disciplinari, dalla sociologia alla linguistica, dalla semiotica alla psicanalisi. Il principale centro propulsore dellanalisi delle comunicazioni e della cultura di massa in Francia il Centre dtudes des communications de masse, fondato dal sociologo Georges Friedmann, con la rivista Communications. Vi collaborano diversi studiosi tra cui Roland Barthes, di cui vanno ricordate le finissime analisi sui riti e i miti della cultura di massa e sul sistema della moda (1957, 1967), Moles, Morin e Greimas. Il nuovo spirito dei tempi. Lesprit du temps di Edgar Morin (1962, che nella traduzione italiana reca significativamente il titolo Lindustria culturale, 1963) lo studio che pi direttamente si riferisce al saggio di Horkheimer e Adorno. Non solo Morin riconosce la superiorit dellapproccio della Scuola di Francoforte rispetto a tutte le altre analisi critiche, ma opera anche un interessante approfondimento della visione del mondo dellindustria culturale: il nuovo spirito dei tempi appunto. La cultura di massa chiarisce subito Morin deve essere considerata a tutti gli effetti una cultura poich: costituisce un corpo di simboli, di miti e immagini concernenti la vita pratica e la vita immaginaria, un sistema di proiezioni e di identificazioni specifiche, e si aggiunge alla cultura nazionale, alla cultura umanistica, entrando in concorrenza con loro. Le societ moderne sono policulturali. In esse focolari di cultura di natura diversa sono in attivit: la religione o le religioni, lo Stato nazionale, la tradizione umanistica si affrontano o coniugano le loro morali, i loro miti, i loro modelli nellambito della scuola e fuori di essa. () La cultura di massa integra e al tempo stesso si integra in una realt policulturale, si fa contenere, controllare, censurare (dallo Stato, dalla Chiesa), e nello stesso tempo, tende a corrodere e disgregare le altre culture. Per questo, cio, essa non autonoma in senso assoluto, pu permearsi di cultura nazionale, religiosa, o umanistica, e a sua volta permeare la cultura nazionale, religiosa o umanistica. Parimenti, essa non la sola cultura del XX secolo. Ma la corrente davvero di massa e nuova del XX secolo. Nata negli Stati Uniti, essa si acclimatata nellEuropa occidentale. Alcuni dei suoi elementi si diffondono su tutto il globo. Essa cosmopolita per vocazione e planetaria per estensione, ci pone i problemi della prima cultura universale della storia dellumanit (trad. it., p.12) Il primo carattere di questa nuova cultura, come gi affermato da Horkheimer e Adorno, di essere prodotta secondo le norme della fabbricazione di massa industriale (ivi, p.10). Si tratta di una industria ultra-leggera, ma organizzata sul modello dellindustria pi concentrata tecnicamente ed economicamente: nel campo privato, pochi grandi gruppi di stampa, poche grandi catene radio e televisive, poche societ cinematografiche concentrano gli strumenti (rotative, studi) e dominano le comunicazioni di massa. Nel campo pubblico [e questo un carattere specifico dellEuropa rispetto agli Stati Uniti], lo Stato che assicura la concentrazione (ivi, pp. 21-22).

Un secondo carattere della cultura di massa, che ne definisce la logica intrinseca, la ricerca del grande pubblico. Agli inizi del XX secolo, le barriere delle classi sociali, delle et, del livello di educazione delimitavano le rispettive zone di cultura. Queste barriere non sono del tutto abolite, nel senso che permangono delle differenze nei consumi culturali, ma a partire dagli anni trenta in modo sempre pi accentuato emerso un nuovo tipo di stampa, di radio, di cinema, e finalmente di televisione, il cui carattere di rivolgersi a tutti, al di l di ogni differenza. Dallinterazione tra questi due aspetti discendono i criteri con cui i contenuti vengono prodotti e le caratteristiche sostantive di questi contenuti. La principale leclettismo, la coesistenza dei pi diversi contenuti, temi e generi: La variet, nellambito di un giornale, di un film, di un programma radiofonico, mira a soddisfare tutti gli interessi e i gusti, in modo da ottenere un massimo di consumi (ivi, p.33). La cultura mosaico. Se Lesprit du temps di Morin si riferisce esplicitamente alla riflessione di Horkhiemer e Adorno e al dibattito sulla cultura di massa, Sociodynamique de la culture di Moles (1967, trad. it. Sociodinamica della cultura, 1971) propone una teoria sistematica della cultura e del ciclo culturale in una prospettiva cibernetica, cio di una scienza generale degli organismi (trad. it. p. 25). A differenza di Morin, che privilegia una prospettiva di contenuto (le idee guida, le figure, i miti, etc.), Moles intende definire le caratteristiche strutturali della cultura di massa. Le culture grecoromana, cristiano-medievale, umanistica, rinascimentale, illuminista, idealista (da Aristotele allottocento), hanno affermato lesistenza di soggetti principali, di temi del pensiero predominanti di fronte a soggetti meno importanti e agli elementi minuti della vita di tutti i giorni. La struttura della cultura moderna appare invece del tutto diversa: Ormai la tessitura di questo schermo di conoscenze profondamente cambiata: diremmo, per mantenere limmagine, che essa tende piuttosto verso una specie di sistema fibroso, di feltro: i frammenti della nostra conoscenza sono minuzzoli senza ordine, legati a caso da semplici relazioni di prossimit, di epoca di acquisizione, di assonanza, di associazione didee, senza una struttura definita dunque, ma con una coesione che pu, quanto il legame logico visto precedentemente, assicurare una certa densit dello schermo delle nostre conoscenze Chiameremo questa cultura cultura mosaico poich si presenta essenzialmente aleatoria, come un insieme di frammenti giustapposti senza costruzione, senza punto di riferimento, in cui nessuna idea necessariamente generale, ma molte idee sono importanti (idee forza, parole chiavi, ecc.) (ivi, p. 43). I mass media sono i principali soggetti e artefici della nuova cultura: reggono la nostra cultura filtrandola, prelevano elementi particolari dai fenomeni culturali per conferire loro importanza, valorizzano unidea e ne svalorizzano unaltra, infine polarizzano completamente il campo culturale (ivi, p.130). In tale contesto, cambia anche la modalit della trasmissione e della acquisizione delle conoscenze: Ormai ci che lindividuo incorpora nel suo tessuto mentale gli giunge assai pi con limpregnazione della mente immersa nella sfera dei messaggi che attraverso il processo razionale delleducazione, pi ordinato e metodico certo, ma operante soltanto per un breve periodo della sua vita (ivi, pp.45-46). Connaturato allidea di impregnazione il fatto che le nostre conoscenze non provengono da uno sforzo (che presuppone anche un filtro), ma da un apporto permanente dellambiente esterno a noi in tutti i suoi aspetti (ivi, p. 129). La societ dei consumi. Un altro importante contributo francese allanalisi della cultura di massa costituito dagli studi di Jean Baudrillard, di cui il pi noto e influente La socit de consommation (1970; trad. it. La societ dei consumi, 1976). Baudrillard pone al centro della riflessione il rapporto tra sistema del consumo e industria culturale. Societ dei consumi e industria culturale sono infatti le due facce, sociale e simbolica, dello stesso processo fondamentale: la produzione industriale delle differenze (trad. it. p.115). Secondo Baudrillard, luomo caratterizzato da un bisogno essenziale di differenziarsi dagli altri. Nelle societ del passato, pre-moderne e della prima modernit, le differenze di nascita, di sangue, 7

di religione riguardavano lessenziale, o almeno ci che veniva considerato come essenziale. Erano dunque differenze che creavano coesione e riconoscimento reciproco allinterno del gruppo di appartenenza e, al tempo stesso, distanza e separazione dagli altri gruppi o strati sociali (ivi, p.123). La societ industriale capitalistica tende invece ad abolire le differenze reali tra gli uomini, omogeneizza le persone e i prodotti. Al tempo stesso per essa genera e controlla un sistema, quello dei consumi, che si basa sulla continua produzione delle differenze attraverso la personalizzazione del consumo e il possesso di oggetti che conferiscono identit (ivi, p.116117). Il sistema dei consumi costituisce un fondamentale meccanismo di riproduzione sociale, non appena un pre-requisito del funzionamento delle economie capitalistiche avanzate, poich tiene sotto controllo la tensione alla differenza degli individui e dei gruppi sociali, trasformandola da fattore di separazione, ostilit e conflitto sociale in fattore di integrazione, mezzo di comunicazione e di scambio. Laspetto fondamentale, che gi Riesman aveva individuato, che la societ dei consumi (e tutti i media che la circondano e la presidiano), facendo del consumo (simbolico) un linguaggio di comunicazione, non produce conflitto e ostilit tra gli individui e i gruppi, ma integrazione sociale, nel senso che la differenza (marginale) unifica, propone gli stessi modelli, costruisce terreni per la comunicazione anzich per la separazione e il conflitto. 1.6. I Cultural studies: industria culturale e cultura di classe Allinizio degli anni sessanta emerge in Inghilterra un gruppo di studiosi, riuniti intorno al Center for Contemporary Cultural Studies dellUniversit di Birmingham, che dar vita al filone di studi noto come Cultural studies. Anche la prospettiva dei Cultural studies inglesi si riferisce direttamente al marxismo, con cui condivide lapproccio critico, i concetti di ideologia dominante e di egemonia (ricavati da Gramsci), limpegno militante. Come bene riassume Crane: come i marxisti essi affermano che lideologia dominante riflette gli interessi politici ed economici della classe che controlla il sistema economico e politico. Il loro principale obiettivo quello di capire come questa classe riesca ad imporre la sua concezione del mondo (egemonia) sui membri delle altre classi sociali, al punto che queste accettano le istituzioni sociali, politiche ed economiche esistenti come fossero naturali ed inevitabili. Mentre altri filoni del marxismo, come la scuola di Francoforte, erano principalmente interessati alla natura e agli effetti dellideologia, la tradizione dei Cultural studies inglesi ha cercato di capire come gruppi sociali diversi rispondano allideologia della classe dominante (1992, trad. it. p.121). A differenza della teoria critica dei francofortesi e delle analisi degli studiosi francesi, pi orientate al contenuto e allideologia implicita della cultura di massa, i Cultural studies dirigono invece la loro attenzione sul rapporto tra produzione e ricezione. Questa prospettiva stata aperta dai lavori dei tre padri fondatori: lo studioso di letteratura Richard Hoggart (1958), lo storico Edward P.Thompson (1963) e Raymond Williams (1958, 1961, 1974), uno dei pi acuti e poliedrici studiosi di storia e sociologia della cultura e della comunicazione. Il maggior interesse di questi studi per il nostro tema sta nel tentativo di delineare le relazioni tra cultura commerciale di massa e cultura operaia. Distaccandosi da una astratta formulazione di coscienza di classe, essi intendono la cultura e quindi anche la cultura della classe operaia non come un semplice epifenomeno della collocazione di classe, n come un insieme di prodotti dellintelletto e della fantasia. La cultura un intero sistema di vita (Williams 1958, trad. it. p. 382), che si definisce per alcuni elementi comuni, come i costumi e la lingua nazionale, ed alcuni elementi specifici, come appunto la cultura che nasce dallappartenenza di classe. La cultura operaia, pur subendo linfluenza della cultura commerciale e dei suoi modelli, e non potrebbe essere altrimenti, capace di una relativa autonomia e di una resistenza, che affonda le sue radici nei modi di vita tradizionale delle comunit operaie, nelle relazioni concrete di gruppo primario e nelle pratiche di vita quotidiana (il club operaio, il pub, etc.). Questo tema della autonomia-relazione tra

cultura popolare e industria culturale diventer centrale in tutta la riflessione successiva dei Cultural studies. Codice egemonico e lotta per il significato. Secondo Stuart Hall, che alla fine degli anni sessanta succede a Hoggart nella direzione del Center for Contemporary Cultural Studies divenendo la principale figura intellettuale del gruppo, tutta la cultura prodotta dai mass media (si tratti di informazione o intrattenimento) costruita secondo un codice egemonico che tende a perpetuare la struttura di potere esistente e la divisione classista della societ. La funzione ideologica dei mass media non consiste per essenzialmente nella trasmissione delle direttive dei gruppi dominanti, n in unopera di consapevole censura o distorsione di avvenimenti o problemi sociali da parte degli operatori dei media. Essi assumono invece un ruolo fondamentale nel produrre e articolare una definizione della realt, una cornice consensuale su cui ognuno concorda, che traccia i confini di ci che socialmente accettato, pacifico, naturale. Questo incorniciamento ideologico della realt sociale opera attraverso meccanismi raffinati e complessi di inclusione/esclusione che, da un lato, lasciano ampio spazio ad una diversit pluralistica di forme espressive e rappresentazioni sociali, dallaltro stabiliscono cosa debba essere emarginato o ignorato come inaccettabile e deviante (Hall, 1982). Secondo Hall e i suoi collaboratori nelle societ industriali avanzate il conflitto sociale si sposta in larga parte sul terreno della definizione della realt: una vera e propria lotta di classe nel linguaggio, una lotta per il predominio nel discorso (ivi, pp. 76-79). Questa lotta per il significato trova il suo fondamento nello scarto tra i processi di produzione (codifica) e di ricezione (decodifica). Riferendosi in particolare al messaggio televisivo, Hall osserva che vi una distorsione e un fraintendimento sistematico tra il processo della produzione e della ricezione, che deriva dalla asimmetria dei codici della fonte e quelli del ricettore e, ancor pi radicalmente, dalle differenze strutturali, sia di relazione che di posizione, tra emittente e audience (Hall, 1980, trad. it. p.72-3). Secondo questa prospettiva, i mass media sono certamente veicoli della ideologia egemone, la quale riflette gli interessi delle lites e delle classi dominanti. Questa ideologia non ha tuttavia una presa assoluta e indifferenziata sulla societ: le diverse classi e gruppi sociali reagiscono diversamente in funzione della loro collocazione nella struttura sociale (Hall, 1982). I destinatari non accettano necessariamente e nello stesso modo i significati immanenti al testo e costruiti secondo il codice egemonico. Essi possono attivare tre diversi percorsi interpretativi: accanto ad una lettura preferenziale, per cui i riceventi aderiscono sostanzialmente al codice dominante e alle intenzioni dei produttori, sono possibili anche letture negoziate (cio selettive) che, pur accettando il quadro di valori del codice dominante, elaborano proprie definizioni e letture particolari divergenti, e infine letture oppositive che ridefiniscono il messaggio in un quadro di riferimento alternativo che comporta lesplicito rifiuto del codice egemonico (Hall, 1980, trad. it. pp. 80-84). Secondo questa prospettiva, il limite dellapproccio dei francofortesi stava nellavere appiattito lattivit di decodifica alla sola lettura preferenziale, interna e succube del codice dominante, non riuscendo a scorgere alcuno spazio per la libert interpretativa del ricevente, cos che il dominio culturale attraverso i mass media appariva loro assoluto e incontrastato. Una pi sofisticata e realistica analisi del processo comunicativo conduce invece a identificare strutturalmente una distanza, una asimmetria tra processi di codifica/decodifica, e quindi la possibilit di letture parzialmente o totalmente divergenti. Gli audience studies. Lo schema codifica/decodifica di Hall ha costituito lipotesi di partenza per una serie di ricerche sul consumo televisivo note come audiences studies (per una presentazione, cfr. Grandi, 1992; Moores, 1993; McQuail, 1997; Losito, 2002) Tre aspetti fondamentali caratterizzano questi studi. 1. Mentre lapproccio degli usi e gratificazioni (Katz, Gurevitch, Haas, 1973; Blumler, Katz, 1974; Rosengren, Wenner, Palmgreen, 1985) mette il potere dei media tra parentesi, dirigendo 9

lanalisi sul ricevente e sulluso attivo dei media in una prospettiva essenzialmente utilitaristica e funzionalistica, gli audience studies collocano al centro dellattenzione linterazione, il gioco aperto di incontro/scontro, inclusione/conflitto tra i codici dei produttori e quelli dei destinatari, indagandone le diverse modalit e determinanti sociali. 2. Gli audience studies non considerano semplicemente i lettori o gli spettatori come individui, ma come membri di comunit interpretative (per una presentazione generale, cfr. Lindlof, 1988), cio di gruppi sociali, generazionali, sessuali, etnici, che condividono esperienze di vita e codici culturali omogenei. 3. Vengono adottati e progressivamente affinati dei metodi qualitativi di analisi del consumo mediale, spesso integrati tra loro, tra cui il metodo etnografico, gi utilizzato in antropologia e sociologia, che consiste nellosservazione partecipante da parte del ricercatore della concreta situazione di fruizione in ambito domestico che, oltre agli studiosi inglesi, vede tra i suoi alfieri anche lamericano J. Lull (1988, 1990). La prima ricerca sul consumo televisivo nata nellambito dei Cultural studies inglesi riguarda il magazine popolare Nationwide trasmesso dalla Bbc nella fascia pre-serale negli anni settanta. La ricerca si componeva di due parti: una prima parte di analisi testuale (Brundson, Morley, 1978) esaminava il programma dal punto di vista della codificazione, cio i suoi contenuti ideologici (il codice egemonico immanente al testo) e il modo in cui si rivolgeva al pubblico; la seconda parte (Morley, 1980) indagava, attraverso una serie di interviste di gruppo a manager, sindacalisti, studenti, apprendisti, il modo in cui queste diverse categorie di spettatori interpretavano il testo accettando, riformulando o rifiutando la lettura (dominante) adottata dal programma dei problemi e degli eventi. Il principale risultato di questa seconda ricerca fu che effettivamente le diverse categorie sociali tendevano a relazionarsi diversamente al codice dominante, aderendo o distanziandosi dai significati contenuti nel testo e rielaborandoli attivamente, anche se la collocazione socio-economica degli interpreti, pur significativa, non era sufficiente a dar conto di tutta la variet di gusti e interpretazioni che emergeva. Se lapproccio di Hall privilegia lappartenenza di classe come fondamentale riferimento dei processi di decodifica, un secondo filone di ricerca pone al centro dellattenzione il rapporto tra gender e consumi culturali e televisivi. Questi studi si sono rivolti innanzitutto ai generi televisivi femminili, come la soap opera e la fiction romantica, tradizionali oggetti di denigrazione e disprezzo da parte dei critici della cultura di massa, cercando di cogliere lo stretto rapporto tra il testo e le pratiche di consumo da parte delle donne. Come riassume Brundson, il genere della soap opera implica testualmente un lettore femminile (1981, p.37). Tale rapporto pu essere analizzato dai due lati del processo di codifica/decodifica. Da un lato, vari studi hanno documentato come i media tendano a formare i generi intorno a determinate comunit interpretative, adattandoli ad esse: cos le ricerche sui programmi preferiti dalle donne hanno mostrato che questi riflettono il modo di conversare e gli stili emozionali femminili (Brown, 1990). Landamento lento, ripetitivo, ricco di pause, la struttura narrativa aperta, i continui dilemmi morali ed emozionali di fronte a cui si trovano i protagonisti (e il pubblico) delle soap opera risponde, ad esempio, ad un tipico genere di discorso femminile, il pettegolezzo (Jones, 1980, p. 197). Dallaltro lato, Hobson (1980, 1982) e Buckingham (1987) hanno concretamente analizzato, utilizzando il metodo etnografico, le pratiche di fruizione delle donne, in particolare casalinghe. Da questi studi sono emersi due mondi totalmente diversi di consumo televisivo: un mondo maschile e uno femminile. Mentre per gli uomini, la casa essenzialmente il luogo del riposo e del tempo libero, per le donne essa coincide, anche quando svolgono un lavoro esterno, con la sfera del lavoro domestico (Hobson 1980, p.105). In tal senso, la fruizione della radio e della televisione, e di alcuni particolari generi come la soap opera, costituisce la principale compagnia nelle attivit domestiche e le aiuta a combattere il senso di monotonia e di frustrazione collegato alla routine e alla ripetitivit della vita quotidiana. Lascolto della radio e della televisione fornisce anche la punteggiatura della giornata lavorativa, accompagnando e marcando i suoi diversi momenti.

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Le subculture giovanili. Un altro campo di ricerca dei Cultural studies inglesi riguarda le subculture giovanili. La relazione tra industria culturale e condizione giovanile ormai ampiamente documentata. A partire dagli anni cinquanta emerge un nuovo fenomeno culturale: la differenziazione dei gusti in base allet. In questo contesto si crea una sfera di consumi culturali specificamente rivolta ai giovani, con particolari media, come il giradischi e il juke-box, e generi, come il rock and roll (Flichy 1991, trad. it. p.263, sgg.). Se lemergere di questo tipo di cultura certamente un fatto generazionale, dagli anni sessanta si sono anche sviluppate delle subculture giovanili, talvolta con i caratteri di controcultura: rocker, mod, teddy boy, hippy, skinhead, punk, etc. Due studi segnano in modo particolare gli esordi di questo filone di ricerca: lantologia Resistance Through Rituals, curata da Hall e Jefferson (1976) e il saggio di Dick Hebdige, Subculture: The Meaning of Style (1979). Queste subculture giovanili appaiono come il prodotto dellinterazione tra lelemento generazionale e la appartenenza di classe (proletaria) e si caratterizzano per la invenzione di uno stile di vita, espresso da un particolare gergo, rituali, modi di vestire, preferenze musicali, che conferiscono significati diversi e alternativi ai rituali e ai comportamenti tipici della cultura di massa. Il rapporto tra industria culturale e subculture giovanili tuttavia un gioco aperto. Se, da un lato, i gruppi giovanili esprimono la loro distanza dalla cultura dominante e dai valori ufficiali attraverso particolari gusti musicali, tipi di ballo, forme di aggregazione non istituzionalizzate, spesso creando dei particolari bricolage o re-inventando riti e miti della cultura di massa, anche lindustria culturale costantemente impegnata a monitorare e ricondurre al suo interno ci che si muove ai suoi margini. In uno studio successivo, Hiding in the Light (1988), Hebdige, riconosce di avere sottovalutato la presa dellindustria culturale su questi stili culturali anti-egemonici, nel senso che la cultura commerciale capace di riappropriarsi delle strategie culturali oppositive e davanguardia, sterilizzandole e inserendole in unofferta pi vasta e differenziata di stili giovanili di vita e di consumo. 1.7. Cultura di massa o culture dei media? Un dato che caratterizza tutte le teorie che abbiamo fin qui considerato lidea delluniformit e dellomogeneit della cultura di massa. Ci del tutto evidente nel paradigma critico, ma anche nella teoria del codice dominante di Hall, in cui la differenziazione viene affidata alla relativa autonomia interpretativa dei riceventi, legata essenzialmente allappartenenza di classe. Negli ultimi ventanni sono emerse tuttavia varie teorie di diversa provenienza che rifiutano questa visione e sottolineano invece la ricchezza e la multiformit della produzione dellindustria culturale. Queste stesse teorie enfatizzano, dallaltro lato, lidea della libert del ricevente. I moderni narratori di storie. Riprendendo unidea gi espressa da Riesman, a partire dagli anni settanta vari autori come Carey, Newcomb e Fiske, riconducibili anchessi allampio e diversificato universo internazionale dei Cultural studies, hanno indicato nel medium televisivo il pi importante narratore di storie del nostro tempo. Newcomb (1988) ha definito la televisione il central story teller system della societ attuale. Pur non rinunciando ad una prospettiva critica, questi autori non considerano la televisione un medium piatto e univoco, ma un sistema narrativo di grande ricchezza, variet e significativit. La fiction cinematografica e televisiva costituisce infatti il pi ricco corpus narrativo del nostro tempo ed ha la possibilit di raggiungere un gran numero di destinatari. Essa ci dischiude tanti mondi possibili e ci consente di vivere in modo vicario, nellimmaginazione e nella fantasia, situazioni diversissime che ci sono precluse nella vita quotidiana. Cos non appare esagerato considerare la televisione the most popular art (Newcomb, 1974). I contenuti della televisione, e la fiction in particolare, possono essere studiati non meno seriamente dei generi letterari e teatrali dellalta cultura, con metodologie e strumenti altrettanto raffinati. Non solo. Secondo Newcomb (con Alley, 1983) lo story-telling televisivo assume anche una 11

fondamentale funzione rituale e partecipativa, in quanto alimenta continuamente un processo simbolico di condivisione dei significati attraverso i quali gli individui comprendono, costruiscono, conservano, ma anche re-immaginano e trasformano la realt. La televisione ha sempre una funzione insieme di conservazione e di trasformazione culturale. Una prospettiva per certi aspetti analoga contenuta nella teoria della funzione bardica della televisione di Fiske e Hartley (1978; per una presentazione sintetica: Hartley, 1994). Come lordine dei bardi nelle societ celtiche, la televisione costituisce unistituzione sociale distinta e identificabile, il cui ruolo quello di costruire attraverso un linguaggio retorico specializzato un mondo comune tra le lites dominanti e la pi vasta societ. Assolvendo questo ruolo di mediazione, la televisione non riflette semplicemente le opinioni dei gruppi dominanti (secondo lidea di cinghia di trasmissione dellideologia), n il sentire generalizzato degli spettatori (secondo lidea di specchio della cultura condivisa). Svolge invece una funzione di distillazione e di sintesi: i materiali culturali grezzi, che emergono dalle pi diverse interazioni e pratiche sociali, vengono rielaborati, soprattutto attraverso la fiction cinematografica e televisiva, e restituiti al pubblico come modelli, norme e forme di comportamento e di relazione, che ispirano la vita quotidiana e i comportamenti sociali, in forza del prestigio professionale e sociale dei nuovi bardi e delle gratificazioni che il pubblico ricava dalle loro storie. Il supermarket culturale. Una immagine ancor pi radicale della variet dellindustria culturale e dellautonomia dei riceventi stata proposta da Fiske in alcune opere successive. Secondo Fiske (1989a) la cultura di massa assomiglia un supermarket, che offre una ricchissima variet di prodotti, da cui ognuno preleva ci che gli serve e meglio risponde ai suoi gusti e preferenze per poi cucinarlo e assemblarlo in modo personale. In questa prospettiva, che lo stesso Fiske definisce della democrazia semiotica e della resistenza culturale popolare (1987, 1989a, 1989b), il ricevente non si limita a negoziare i significati della cultura comune elaborata dai nuovi bardi della cultura di massa, ma utilizza i contenuti dei media come un puro pretesto, una semplice occasione, un materiale grezzo da utilizzare liberamente per ricostruire come in un puzzle i propri significati, a volte anche del tutto divergenti e indipendenti dallo stesso prodotto culturale. Pi in generale Fiske ritiene che anche le pratiche quotidiane ispirate dalla societ dei consumi e dalla cultura di massa possano essere oggetto e luogo della resistenza culturale popolare. E cita la pratica dello shopping, il rito che pi di ogni altro descrive ed incarna la societ dei consumi e della cultura di massa. Fiske osserva che gruppi di giovani utilizzano i centri commerciali come luoghi di ritrovo sfruttando questo spazio per esprimere una propria identit autonoma e ribelle, gli anziani passeggiano al caldo nel centro commerciale nei mesi invernali senza acquistare nulla, e tante persone guardano le vetrine nella pausa lavorativa di mezzogiorno, sbirciano qua e l nei negozi, provando le merci, guardandosi allo specchio senza avere alcuna intenzione di comprare (1989b). Questa teoria porta alle estreme conseguenze la prospettiva della decodifica di Hall. La relativa autonomia, sempre determinata dalle concrete collocazioni sociali dei riceventi, di cui parla il sociologo inglese, si trasforma in questo caso in una autonomia assoluta nel contesto di una teoria che potremmo definire della ricezione anarchica. Ma siamo certi che questi siano davvero comportamenti difformi? O non si potrebbe ritenere, come osserverebbe Riesman, che il centro commerciale, costituendosi come il luogo dellinterazione e dellincontro, prima ancora che dellacquisto, si propone come cornice della stessa vita sociale e forse agisce anche su quei giovani ribelli come una potente socializzazione anticipatoria a pi disciplinati comportamenti di consumatori di domani? Peraltro, questa teoria, con la sua retorica sulla libert e la capacit di resistenza dei consumatori attivi che sfuggono agilmente alla presa della cultura dominante, non finisce per distogliere lattenzione, come ha rilevato Bee (1989), dallanalisi del momento della produzione e dei meccanismi con cui opera il potere culturale, ma anche degli stessi contenuti di molta cultura popolare? 12

Le culture dei media. A differenza della prospettiva della Scuola di Francoforte, ma anche degli approcci fin qui considerati, la teoria della mediatizzazione culturale di Altheide e Snow afferma che i media o, meglio, ogni medium specifico sia portatore di una propria, distintiva, visione del mondo. Mutuando i principali concetti della teoria dei media di McLuhan, dalla frame analysis di Goffman e dalla teoria della costruzione sociale della realt, i due autori sostengono che la cultura non passa semplicemente attraverso i mass media, ma prende forma nei (e dai) media. Essi costituiscono infatti dei fattori primari nella formazione della coscienza collettiva, cio di quellinsieme di idee sulla realt sociale che accettiamo come ovvie e date per scontate (Snow, 1983, trad. it., p.14). I media contribuiscono alla formazione di questa coscienza collettiva non solo perch la alimentano di contenuti (cose da sapere, di cui parlare, etc.), ma pi radicalmente perch operano come delle cornici o strutture interpretative della realt. Lindustria culturale e dei media non esprime dunque una unica ideologia (come ritenevano i francofortesi) o un codice egemonico o ordine di discorso unico e tendenzialmente onnicomprensivo (come ritiene Hall), ma una pluralit di forme culturali. Ogni medium, ma anche ogni genere o formato mediale, si caratterizza infatti per una particolare grammatica o logica, cio per un proprio modo, tipico e distintivo, di presentare e ricostruire la realt (Altheide, Snow, 1979, 1988; Snow, 1983; Altheide, 1985). Cos, ad esempio, le news centrate sullevento singolo diventano lo schema con cui ci rappresentiamo la realt socio-politica contemporanea, la situation comedy o la soap opera offrono un termine di paragone per le relazioni della vita quotidiana, la percezione del passato storico assume le forme del romanzo storico o del western, il senso del mistero viene coltivato dalle immagini dei generi fantasy e horror. In secondo luogo queste visioni del mondo dei media non sono riflessi o epifenomeni di determinate relazioni sociali ed economiche o rapporti di potere, ma costituiscono delle vere e proprie forme a priori dellesperienza culturale alla stregua delle grandi cornici ideologiche e culturali con cui gli individui danno senso alla realt, quali il cristianesimo, la visione scientifica del mondo o il capitalismo. Tali forme culturali diventano normali e vengono reificate come la realt nella coscienza collettiva di una societ (Altheide e Snow 1988, pp. 197-198, p. 207), ed appaiono cos pervasive che possono essere assimilate alle istituzioni totali di Goffman (Altheide, 1991). 1.8. Stili di vita e consumi mediali Il concetto di stile di vita costituisce una radicale contestazione dellimmagine della moderna societ industriale come societ uniforme e omogeneizzata e, al tempo stesso, la forma pi estrema di differenziazione dei riceventi. Esso tuttavia non emerge da una prospettiva antagonistica, ma costituisce forse la pi coerente espressione della teoria della de-massificazione della societ, cio la teoria del superamento della societ di massa per evoluzione interna. Unidea annunciata, ad esempio, allinizio degli anni ottanta da un best seller di Toffler (1980), secondo cui le forze che hanno concorso alla realizzazione della societ di massa [cio urbanizzazione, industrializzazione, burocratizzazione, comunicazione tecnologica] hanno preso improvvisamente ad operare in senso inverso, cos da far emergere una societ e una economia, una politica, una tecnologia, una comunicazione, etc. sempre pi de-massificata, nella quale cresce lo spazio per le differenze individuali e di gruppo. Se nel significato sociologico pi classico, legato agli studi di Weber, Simmel e Veblen, il concetto di stile di vita appare legato a gruppi specifici di status e al prestigio di cui godono, luso che si affermato negli ultimi decenni enfatizza maggiormente la dimensione dellidentit individuale e della costruzione soggettiva rispetto alla collocazione sociale oggettiva. La crescente differenziazione dei valori, delle opinioni, degli atteggiamenti, dei gusti lespressione di un orientamento culturale generale delle societ industriali avanzate, che Inglehart (1977) ha definito 13

post-materialistico, in cui diventa sempre pi importante laspetto dellidentit e della espressivit personale. Gli stili di vita vengono identificati attraverso un particolare tipo di analisi empirica (detto ricerca psicografica) volto ad indagare le determinanti psicologiche e socio-culturali di comportamenti individuali e collettivi. Uno dei primi programmi di ricerca realizzato a partire dagli anni sessanta il Values and Life Styles (VALS) che, partendo dalla scala dei bisogni di Maslow (1954) e dalla tipologia dei caratteri sociali di Riesman, ha suddiviso la popolazione americana in nove diversi stili di vita (Mitchell, 1983). Simili programmi di ricerca sono stati realizzati anche in altri paesi: in Italia ricordiamo Sinottica (Eurisko) e Monitor 3SC (GPF & Associati). Questa metodologia di ricerca consente di identificare dei gruppi con particolari profili socioculturali relativamente omogenei al loro interno e diversi tra loro, ma anche di coglierne nel corso del tempo i mutamenti quantitativi e qualitativi. Ci che accomuna questi gruppi non sono tanto e principalmente delle variabili socio-demografiche derivanti dalle grandi strutture di differenziazione sociale, come la classe sociale, il genere, let, lappartenenza etnica, lo status socio-economico, il livello di istruzione o la professione, bens variabili pi sottili e immateriali, quali determinati valori, opinioni, atteggiamenti, gusti, che presentano un certo grado di coerenza e consentono di delineare un profilo psicologico e socio-culturale caratteristico. Lanalisi degli stili di vita strettamente correlata agli stili di consumo e alle mode (Bovone, 1996; Di Nallo, 1997), ed anzi il maggior impulso a questi studi venuto proprio dalle applicazioni nel campo del marketing e della pubblicit. Ci stato possibile perch anche in questo campo si assistito ad un rovesciamento di prospettiva, legato ai mutamenti del sistema produzione/consumo nelle societ industriali avanzate: non pi il cliente che deve adattarsi al prodotto, ma il prodotto che deve adattarsi al cliente. Questa nuova filosofia aziendale dellorientamento al consumatore ha trovato il suo punto darrivo nel concetto di marketing individualizzato (Rapp, Collins, 1992). Laspetto degli stili di vita infine collegato alle diverse forme e modalit di uso dei media, in un duplice senso. Da un lato, gli stili di vita influenzano i modelli di consumo e quindi anche i modelli di consumo dei media; dallaltro, luso dei media o particolari diete mediali costituiscono una parte integrante di una pi ampia costellazione di atteggiamenti e comportamenti psicologici e sociali (Livolsi 1992; Morcellini, 1992). 2. Il sistema dellindustria culturale Sebbene quello dellindustria culturale rimanga un tema caldo e ideologicamente sensibile, a partire dagli anni settanta emerge gradualmente un pi chiaro orientamento analitico, che produce una serie di studi e ricerche empiriche sullindustria culturale, i suoi attori, i suoi prodotti, i suoi meccanismi di produzione, distribuzione e consumo. Studiare lindustria culturale come sistema significa analizzare le diverse organizzazioni e i processi attraverso i quali i prodotti culturali film, dischi, libri a basso costo, programmi televisivi, etc. vengono creati, distribuiti e fruiti dai consumatori nei mercati nazionali e internazionali. 2.1. La produzione nellindustria culturale A partire dagli anni settanta varie ricerche sono state condotte sul processo di produzione e sul management delle industrie culturali: cinema, televisione, editoria, musica leggera. E emerso che le decisioni artistiche in queste industrie sono capillarmente sorvegliate dai vertici aziendali (Cantor, 1971; Bennett, Woollacoot, 1987; Thurston, 1987) che intervengono in ogni fase della produzione, dalla scrittura dei copioni alla scelta delle strategie promozionali, con esiti non sempre felici a causa di strategie basate su stereotipi e modelli ormai superati. Nellindustria cinematografica (Faulkner, Anderson 1987), televisiva (Gitlin, 1983; Cantor, Pingree, 1983) e, sebbene in modo pi limitato, in quella della musica leggera (Rothenbuhler, Dimmick, 1982), il numero dei creatori poi limitato a

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una cerchia relativamente ristretta ed esclusiva di autori che ne hanno perfettamente assimilato i valori e i modelli espressivi. Anche se si registrano stagioni di particolare effervescenza creativa come gli anni settanta, in cui si ebbe una straordinaria fioritura di serie televisive destinate ad un grande successo internazionale (Newcomb, Alley, 1983), sia nel campo cinematografico sia in quello della produzione televisiva vi una crescente standardizzazione delle formule e una insofferenza verso i contenuti insoliti. In campo televisivo, ad esempio, poich linnovazione percepita come un rischio, vengono selezionati e costruiti prodotti simili a quelli che gi hanno ottenuto successo in passato, come libri best-seller e film di successo, da cui vengono tratte le serie televisive, oppure si ricombinano formule o ripresentano personaggi gi amati ed apprezzati dal pubblico. Come nel campo dellinformazione giornalistica, anche nella realizzazione di questi prodotti artistici i creatori e gli strateghi dellindustria culturale si osservano reciprocamente per convalidare le proprie scelte culturali ed estetiche e non trovarsi spiazzati. 2.2. I sistemi nazionali di produzione, circolazione e consumo culturale Le arene culturali. Un primo modello del sistema dellindustria culturale stato proposto da Diana Crane (1992). Si tratta di un modello sincronico, basato sulle interazioni tra i tre principali ambiti nei quali si determina la produzione e la circolazione dei prodotti culturali. Il settore centrale dominato da conglomerati [cio compagnie con interessi in molti campi diversi] che diffondono cultura a pubblici nazionali ed internazionali e ai quali tutti i membri della popolazione sono in qualche modo esposti. La televisione il principale medium in questo settore, insieme al cinema e ad alcuni grandi quotidiani e periodici di informazione. Il settore periferico dominato da organizzazioni come network radiofonici, case discografiche ed editori di riviste e libri che diffondono cultura su base nazionale ma a gruppi specifici solitamente basati sullet e sullo stile di vita. Il terzo settore quello della cultura urbana, prodotta e diffusa in contesti cittadini per pubblici locali. Le organizzazioni che attirano pubblici ristretti con i pi esoterici ed eccentrici materiali tendono ad essere organizzazioni culturali locali la cui importanza nella produzione e diffusione della cultura generalmente trascurata da quanti evidenziano il ruolo della cultura popolare prodotta dai conglomerati. Le organizzazioni culturali locali, che sono solitamente parte di network culturali subculture o mondi artistici sono spesso fonte di nuove idee, alcune delle quali raggiungono alla fine larena culturale (trad. it. pp. 24-26). Mentre la teoria critica dellindustria culturale concepiva il settore centrale come capace di assorbire e amalgamare tutti i contenuti culturali che provenivano dai settori pi periferici e marginali, la teoria delle arene culturali di Crane sottolinea invece che: C una tensione continua tra la tendenza dei media centrali a dominare il sistema nel suo insieme e la regolare proliferazione di nuove organizzazioni culturali nei settori periferico e locale. Nella misura in cui le organizzazioni del settore centrale si fondono per formare conglomerati sempre pi grandi, sembra impossibile sfuggire alla minaccia di egemonia, alla imposizione di una concezione del mondo elitaria su tutta la societ. In ogni caso, il numero delle organizzazioni nei settori periferico e locale continua a crescere. I generi entro ciascun tipo di cultura tendono continuamente a differenziarsi, cos come costantemente in crescita il numero dei diversi stili di vita (ivi, p. 29). Dalla produzione al consumo: interfacce, filtri e feedback. Un secondo modello analitico del sistema dellindustria culturale stato elaborato da Hirsch (1972), poi ripreso e adattato da Griswold (1994, trad. it. pp. 102-108). Questo modello si sviluppa secondo una logica diacronica, nel senso che ricostruisce il viaggio di un prodotto culturale (libro, canzone, film, etc.) dalla sua ideazione fino al consumo finale, attraverso una serie di organizzazioni o sottosistemi.

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Artisti creativi (sottosistema tecnico)

Filtro 1

Organizzazi oni (sottosistema manageriale)

Filtro 2

Media (sottosistema istituzionale)

Filtro 3

Consumatori

Feedback 1 Feedback 2

Allorigine del processo vi sono gli artisti creativi: scrittori, compositori, cantanti, attori, registi. Ne fanno potenzialmente parte tutti coloro che pensano, scrivono, compongono, realizzano performance artistiche. Al suo interno si forma unarea di professionisti, che dispongono di mezzi espressivi e tecnici pi sofisticati e intrattengono relazioni privilegiate con il secondo sottosistema, quello manageriale, costituito dalle aziende attive nei diversi settori dellindustria culturale: case discografiche, case editrici, strutture di produzione cinematografica e di fiction televisiva. Tra questi due sottosistemi esiste unarea di confine, che funziona come interfaccia. Gli artisti creativi possono servirsi di agenti o proporsi direttamente alle aziende del settore, le quali, a loro volta, possono utilizzare scopritori di nuovi talenti. Questarea di connessione per anche un filtro, una struttura di gatekeeping, che decide chi e che cosa sia interessante dal punto di vista delle organizzazioni manageriali. Si tratta di considerazioni non riferite esclusivamente alla qualit degli artisti e dei prodotti culturali, ma soprattutto alla loro valorizzazione e vendibilit sul mercato. Il sistema manageriale promuove un artista o un prodotto sul mercato con una serie di iniziative pubblicitarie, anche se non tutti ricevono lo stesso trattamento. Le iniziative promozionali si rivolgono direttamente al pubblico, ma possono anche indirizzarsi verso un terzo sottosistema, quello dei mass media. Recensori di libri, giornalisti, disk-jockey, conduttori di talk show, cio gli operatori e gli intermediari culturali attivi in questo terzo sottosistema, possono promuovere attivamente, bocciare o semplicemente ignorare un prodotto. Trasmettere continuamente una nuova canzone su un network radiofonico, recensire benevolmente un film su un quotidiano o una rivista specializzata, presentare un libro e il suo autore in un seguito programma televisivo, sono scelte che influenzano in modo determinante il successo di un prodotto culturale presso il pubblico. Per questo le organizzazioni manageriali dispongono di uffici stampa e strutture di marketing che intrattengono rapporti con i mass media al fine di assicurare una accoglienza positiva e una adeguata promozione dei prodotti culturali. Laccoglienza (pi o meno positiva) del prodotto da parte dei mass media costituisce un primo feedback per lorganizzazione manageriale, che in tal modo pu disporre di un importante elemento di valutazione del successo di un prodotto. Il carattere strategico di questo legame tra organizzazioni produttive dellindustria culturale e mass media fa s che si creino varie forme di collusione, dalle bustarelle ai disk-jockey al maggiore spazio che le riviste letterarie riservano ai migliori inserzionisti. A questo proposito occorre anche considerare che, talvolta (e sempre pi con i processi di concentrazione orizzontale e verticale), le aziende produttrici e i mass i media fanno parte di uno stesso grande gruppo editoriale e mediale, per cui il sottosistema mediale coopera attivamente come rinforzo e momento costitutivo nella strategia promozionale delle aziende. Attraverso questa successione di filtri il prodotto culturale viene selezionato e canalizzato verso i destinatari. Il pubblico, anche se variamente indirizzato e stimolato allaccoglimento favorevole di un certo prodotto dalla struttura di marketing che lo accompagna, rimane tuttavia larbitro finale del suo successo, misurato dal numero di biglietti, dischi o libri venduti e, possiamo aggiungere, in riferimento alla televisione, dagli indici di ascolto e di gradimento. La risposta del pubblico costituisce il secondo e inappellabile feedback di cui le aziende dispongono per valutare il successo dei loro prodotti, la validit delle linee editoriali, lefficacia delle strategie promozionali, la direzione degli investimenti futuri. 16

2.3. La circolazione internazionale dei prodotti culturali Fino a qualche decennio fa, lindustria culturale si rivolgeva in primo luogo ai mercati domestici. I mercati extra-nazionali rappresentavano un di pi, una specie di valore aggiunto, ma la maggior parte del fatturato veniva realizzato in ambito nazionale. Anche gli attori e i processi dellindustria culturale si definivano essenzialmente allinterno di contesti nazionali. Oggi non pi cos. Un aspetto fondamentale del processo della globalizzazione comunicativa che i grandi sistemi industriali di produzione vedono derivare la maggior parte dei loro introiti dalle vendite su un mercato globale. Ad esempio, a partire dalla met degli anni novanta, lindustria cinematografica statunitense ricava la maggior parte dei suoi introiti dalle vendite allestero rispetto al mercato domestico americano, senza contare i video e i passaggi televisivi. Lo stesso accade per i programmi televisivi. Il mercato mondiale mostra una continua crescita del volume degli scambi negli ultimi tre decenni. Il quadro generale appare caratterizzato dai seguenti elementi: a) a livello globale poche nazioni occidentali, con in testa gli Stati Uniti, figurano tra i principali produttori di programmi televisivi; b) in numerosi paesi, la percentuale dei programmi importati raggiunge quote ragguardevoli dellintera programmazione, con presenze significative nelle fasce di maggior ascolto; c) il flusso costituito soprattutto da programmi di intrattenimento e di evasione: film, fiction televisiva, spettacoli sportivi e cartoni animati; d) va sottolineato, infine, che in termini di dipendenza dallestero, anche i paesi europei risultano fortemente dipendenti dagli Stati Uniti (Nordenstreng, Varis, 1974; Varis, 1984, 1985; Mowlana, 1996). Questo quadro del flusso internazionale dei prodotti dellindustria cinematografica e televisiva stato tuttavia messo in discussione da alcune evidenze empiriche che, se non ne smentiscono la generale validit, lo arricchiscono di alcuni importanti elementi. 1. Numerose ricerche in diversi paesi hanno mostrato la preferenza del pubblico per la fiction di produzione nazionale, purch di qualit accettabile, sulla base del principio della prossimit culturale, che uno dei principali regolatori dei consumi culturali e mediali. I programmi acquistati allestero si attestano in genere su livelli di ascolto medi, mentre i picchi di audience premiano sistematicamente la fiction domestica (Straubhaar, 1983; Tracey, 1985, 1988; Bechelloni, Buonanno, 1997). Cos negli ultimi anni in Europa, anche in relazione al rafforzamento delle capacit produttive dellindustria nazionale, la fiction di produzione domestica ha conquistato il prime time, mentre permane un predominio americano nelle altre fasce di programmazione durante la giornata (Eurofiction 2002, 2003). 2. Si ridisegna almeno parzialmente la geografia dei centri di produzione. Un caso interessante rappresentato dallAmerica latina, una delle aree in cui tradizionalmente pi alta risultava la penetrazione dei prodotti dellindustria culturale americana. Nel 1982 una ricerca in sei paesi ha messo in luce la tendenza a produrre di pi e ad importare di meno. I primi passi in questa direzione sono stati compiuti dal Messico, seguito da Brasile, Argentina e Venezuela (Antola, Rogers, 1984). Protagoniste principali di questa inversione di tendenza erano le telenovele, un tipo di soap opera che costituisce il pi popolare genere televisivo di produzione latino-americana. Il loro successo internazionale non solo avrebbe favorito la riduzione delle importazioni, ma avrebbe anche in qualche modo equilibrato il rapporto con i paesi pi industrializzati costituendo un importante prodotto di esportazione (Rogers, Schement, 1984; Rogers, Antola, 1985). 3. Anche i prodotti dellindustria culturale occidentale pi affermati ricevono una accoglienza diversa nei vari contesti nazionali e socio-culturali. E il caso di Dallas, che costitu uno dei pi grandi successi televisivi internazionali degli anni ottanta, citato come lesempio pi evidente della conquista del mondo da parte dellindustria televisiva americana. I sostenitori della tesi dellimperialismo culturale ( per una presentazione, cfr. Tomlinson, 1991) vi hanno visto, infatti, un tipico caso di esportazione dei modelli culturali americani: valori, concezioni, modi di intendere i rapporti sociali e familiari, penetrano impercettibilmente nella mentalit di chi guarda il

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programma, anche in contesti come lAsia, lAfrica o il Medio Oriente lontanissimi da quello in cui esso nato e che vi rappresentato. Cos, alle analisi qualitative del contenuto si sono affiancati vari studi sul significato attribuito a Dallas dai pubblici di diversi paesi. La pi nota e influente ricerca per costituita da un ampio studio comparativo di Liebes e Katz (1987, 1990). La ricerca analizza quattro pubblici di diversa origine etnica e culturale in Israele, messi a confronto con il pubblico americano di Los Angeles e il pubblico giapponese, di un paese cio dove Dallas ha registrato uno dei pochi brucianti insuccessi. Dallanalisi risultato che gli schemi interpretativi dei gruppi appartenenti alla stessa comunit culturale erano assai simili per forma e contenuto, mentre differivano notevolmente da comunit a comunit. Una importante conclusione a cui perviene la ricerca di Liebes e Katz che i valori dei gruppi sociali e la loro collocazione sociale influenza profondamente lattivit di ricezione, confermando la prospettiva espressa ad esempio da Hall e da altri autori dei Cultural studies, ma volgendola contro le tesi dei sostenitori dellimperialismo culturale. La comprensione deriva sempre da una complessa interazione tra testo e ricevente. Il testo ha senza dubbio una sua oggettivit ed costruito secondo una serie di criteri culturali, ideologici e stilistici ben definiti, che dirigono lattenzione su certi temi e guidano le possibili interpretazioni. Al tempo stesso per lo spettatore, inserito in determinate comunit interpretative, dispone sempre di una capacit di decodifica e negoziazione dei significati sia dal punto di vista estetico, sia dal punto di vista morale e ideologico.

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