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Hannah Arendt

Hannah Arendt nasce nel 1906 a Hannover, in una famiglia benestante appartenente alla borghesia ebraica. Decide di iscriversi all'Universit di Marburg, dove si stava facendo strada la tendenza pi interessante di quegli anni, la fenomenologia di Husserl. Arendt incontra un giovane docente destinato a diventare uno dei pensatori pi importanti del XX secolo: Martin Heidegger. Con il filosofo tedesco Hannah intratterr un rapporto personale intenso, che la coinvolger sotto diversi aspetti (anche sentimentali) per l'intero arco della vita. Nel 1925 si reca a Friburgo per un semestre di studio, al fine di seguire le lezioni del fondatore della filosofia fenomenologica Edmund Husserl. Quindi, seguendo le indicazioni di Heidegger, si sposta all'Universit di Heidelberg, dove sotto la guida di Karl Jaspers prepara e porta a termine nel 1929 la ricerca di dottorato Il concetto di amore in Agostino. Saggio di interpretazione filosofica. Dopo l'avvento al potere del nazionalsocialismo e l'inizio delle persecuzioni nei confronti delle comunit ebraiche, Hannah abbandona la Germania. Fino al 1951, anno in cui le verr concessa la cittadinanza statunitense, rimane priva di diritti politici. In un primo momento si trasferisce a parigi, dove collabora presso istituzioni finalizzate alla preparazione di giovani ad una vita come operai o agricoltori in Palestina, ma gli sviluppi storici del secondo conflitto mondiale portano Hannah Arendt a doversi allontanare anche dal suolo francese: internata nel campo di Gurs dal governo Vichy in quanto "straniera sospetta" e poi rilasciata, dopo varie peripezie, riesce a salpare dal porto di Lisbona alla volta di New York, che raggiunge insieme al coniuge nel maggio 1941. Il periodo americano inizia in maniera non certo facile: alle iniziali difficolt economiche si aggiunge l'impegno, faticoso quanto necessario, dell'apprendimento di una nuova lingua. Nonostante tutto proprio nel nuovo mondo che Hannah ha modo di creare nuove amicizie e di scrivere opere importanti, che le permettono di acquisire autorevolezza e notoriet come intellettuale e pensatrice politica. Nel 1951 pubblica Le origini del totalitarismo, frutto di un accurata indagine storica e filosofica. In tale contesto, particolarmente interessante risulta essere l'analisi della cosiddetta "ideologia", intesa come uso indebito della facolt razionale umana e perci crogiolo potenziale di ogni dinamica totalitaria. La mente gioca con se stessa: l'atteggiamento ideologico, privo di un vero ideale, assolutizza la facolt logica facendola esorbitare dai suoi limiti costitutivi, in modo tale da costruire una pseudo-realt, impermeabile all'esperienza della realt autentica, al cui interno vige la pretesa di spiegazione totale che nega, di fatto, la vocazione della natura umana alla libert di iniziativa. Dal 1957 comincia la carriera accademica vera e propria: ottiene insegnamenti presso le Universit di Berkeley, Columbia, Princeton e, dal 1967 fino alla morte, anche alla New School for Social Research di New York Nel 1961, in qualit di inviata del settimanale "New Yorker", assiste al processo contro il gerarca nazista Eichmann. Il resoconto di questa esperienza viene inizialmente pubblicato a puntate sulla rivista newyorkese e successivamente proposto in forma unitaria nel 1963, La banalit del male. Eichmann in Gerusalemme). Sempre nel 1963 pubblica Sulla rivoluzione, saggio politologico dalle cui pagine emergono giudizi negativi sia sulla Rivoluzione francese

sia su quella russa. L'assunto principale dell'opera, il punto fisso su cui fa leva il discorso dell'autrice, l'intelligenza della correlazione presente fra libert e politica: la politica infatti vista, essenzialmente, come l'attivit che preserva, cura e garantisce lo spazio all'esercizio concreto della libert in tutte le sue forme di attuazione. Altre opere significative sono Vita activa. La condizione umana (1958) e il volume teoretico La vita della mente, uscito postumo nel 1978, attraverso cui Hannah, sulla scia originaria della migliore filosofia greca, riporta al centro dell'esistenza umana la "meraviglia". Tale "stupore" metafisico non uno stato psicologico, bens un elemento costitutivo della capacit dell'essere umano di conoscere, pensare e vivere in modo costruttivo, come persona in comunione con altre persone. Il 4 dicembre 1975 muore a causa di un secondo arresto cardiaco. Lo studio di Marx e del problema del lavoro conduce la Arendt ad interrogarsi sul tema dell'equilibrio delle attivit umane: nasce di qui il volume "La condizione umana " (1959), noto anche col titolo " Vita activa ". Ispirandosi all'etica aristotelica, Arendt individua tre componenti nella vita attiva degli uomini: sono tre attivit, il lavoro, la fabbricazione, o produzione di oggetti, e l'azione (in greco, "praxis"), le quali si connettono alle condizioni generali dell'esistenza umana, ossia al nascere e al morire, al rapporto con gli altri e alla permanenza sulla terra. Il lavoro assicura la sopravvivenza non solo individuale, ma della specie umana, mentre la fabbricazione produce un mondo sulla terra. Mentre possibile lavorare e produrre anche in solitudine, non possibile agire se non in relazione almeno ad un'altra persona, ossia, in generale, ad una pluralit di individui. Questo vuol dire che lavoro e fabbricazione non realizzano qualit specificamente umane, dal momento che anche un animale pu lavorare e una divinit artefice potrebbe produrre. Specificamente umano , invece, l'agire insieme, che costituisce l'ambito della politica e presuppone il linguaggio come mezzo essenziale per il rapporto tra una pluralit di individui. Ci stabilisce una distinzione tra la sfera pubblica, corrispondente alla polis (citt) dei greci, e la sfera privata, corrispondente all' oikos (casa) dei greci: quest'ultima il regno della necessit, caratterizzato dalle attivit economiche del lavoro e della produzione necessarie per sopravvivere, mentre la politica il regno della libert, dell'emergenza del nuovo. Tutte queste attivit, infatti, sono radicate nella natalit, in quanto hanno il compito di preparare e conservare il mondo per i nuovi venuti, ma pi di tutte lo l'agire come capacit di dar luogo a qualcosa di integralmente nuovo. I rapporti tra queste attivit, che sono le costanti dell'esperienza umana, variano storicamente. Nel mondo moderno, il lavoro ha assunto una posizione di primato rispetto all'agire, prioritario presso i greci, e al fabbricare, dominante nell'immagine cristiana di un Dio creatore. Questo mutamento ha indebolito la distinzione tra pubblico e privato e ha generato una nuova sfera, quella del sociale, che viene ad assumere le funzioni prima pertinenti all'oikos e alla polis. I risultati sono, da un lato, una nazione amministrata burocraticamente come se si trattasse di un'unica famiglia e un generale conformismo e, dall'altro, una riduzione della partecipazione politica attiva e la trasformazione della sfera privata in intimit puramente individuale. L'integrazione armonica delle varie attivit, con l'attribuzione del primato all'agire e,

quindi, alla politica, si invece realizzata, ad avviso di Arendt, nella polis, ma gi i filosofi greci avevano minato questo modello, nel momento in cui, a partire da Platone, avevano spezzato la connessione tra la prassi e il discorso, che caratterizza la politica, e subordinato la politica alla loro attivit, intesa come teoria, ossia attivit contemplativa. In questa situazione, la politica veniva concepita come un ambito che deve essere disciplinato da regole che nascono nella sfera superiore della teoria e sono accessibili soltanto ad una saggezza superiore. In opposizione a ci occorre, secondo Arendt, una nuova scienza politica, che torni a porre al centro l'azione, interpretata come inizio di qualcosa di nuovo e di imprevedibile, non fabbricabile ne dall'uomo ne da Dio. Infatti, quando un'azione si perverte in una specie di fabbricazione, si pu generare il male e la distruzione degli uomini, proprio come per fare una frittata occorre rompere le uova. Nel 1961 Hannah Arendt segu le 120 sedute del processo Eichmann (il famigerato criminale nazista) come inviata del settimanale New Yorker a Gerusalemme. Otto Adolf Eichmann (nato nel 1906), era stato responsabile della sezione IV-B-4 (competente sugli affari concernenti gli ebrei) dell'ufficio centrale per la sicurezza del Reich (RSHA). Eichmann aveva coordinato l'organizzazione dei trasferimenti degli ebrei verso i vari campi di concentramento e di sterminio. Nel maggio 1960 agenti israeliani lo catturarono in Argentina, dove si era rifugiato, e lo portarono a Gerusalemme. Processato da un tribunale israeliano, nella sua difesa tenne a precisare che, in fondo, si era occupato "soltanto di trasporti". Fu condannato a morte mediante impiccagione e la sentenza fu eseguita il 31 maggio del 1962. Il resoconto di quel processo e le considerazioni che lo concludevano furono pubblicate sulla rivista e poi riunite nel1963 nel libro "La banalit del male. Eichmann a Gerusalemme. In questo libro la Arendt analizza i modi in cui la facolt di pensare pu evitare le azioni malvagie. La prima reazione della Arendt alla vista di Eichmann pi che sinistra. Lei sostenne che "le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoch normale, ne demoniaco ne mostruoso". La percezione dell'autrice di Eichmann sembra essere quella di un uomo comune, caratterizzato dalla sua superficialit e mediocrit che la lasciarono stupita nel considerare il male commesso da lui, che consiste, nell'organizzare la deportazione di milioni di ebrei nei campi di concentramento. Ci che la Arendt scorgeva in Eichmann non era neppure stupidit ma qualcosa di completamente negativo: l'incapacit di pensare. Eichmann ha sempre agito all'interno dei ristretti limiti permessi dalle leggi e dagli ordini. Questi atteggiamenti sono la componente fondamentale di quella che pu essere vista come una cieca obbedienza. Egli non era l'unica persona che appariva normale mentre gli altri burocrati apparivano come mostri, ma vi era una massa compatta di uomini perfettamente "normali" i cui atti erano mostruosi. Dietro questa "terribile normalit" della massa burocratica, che era capace di commettere le pi grandi atrocit che il mondo avesse mai visto, la Arendt rintraccia la questione della "banalit del male". Questa "normalit" fa s che alcuni atteggiamenti comunemente ripudiati dalla societ - in questo caso i programmi della Germania nazista - trova luogo di manifestazione nel cittadino comune, che non riflette sul contenuto delle regole ma le applica incondizionatamente . Eichmann

ha introdotto il pericolo estremo della irriflessivit. Ma il guaio del caso Eichmann era che di uomini come lui ce n'erano tanti e che quei tanti non erano n perversi n sadici, bens erano, e sono tuttora, terribilmente normali. E questa normalit pi spaventosa di tutte le atrocit messe insieme, poich implica - come fu detto e ripetuto a Norimberga dagli imputati e dai loro patroni - che questo nuovo tipo di criminale, realmente "hostis generis humani", "commette i suoi crimini in circostanze che quasi gli impediscono di accorgersi o di sentire che agisce male. " L'analisi delle interrelazioni fra la facolt di pensare, la capacit di distinguere tra giusto e sbagliato, la facolt di giudizio, e le loro implicazioni morali, come detto sopra rappresentano il nucleo tematico dell'opera . A questo proposito la Arendt si chiesta se la facolt di pensare, nella sua natura e nei suoi attributi intrinseci, coinvolge la possibilit di evitare di "fare il male". In questo senso la Arendt si domanda se la dimensione di male una condizione necessaria di "fare il male". In altre parole "Il fenomeno del male ha necessariamente una radice desiderata?" Era innegabile che questo nuovo insieme di domande del fenomeno del male, di cui le radici non sono state ancorate negli standard filosofici, morali, religiosi tradizionali, al meno aprir una prospettiva nuova sul comprensione del male. Tale nozione stata menzionata da Arendt nelle prime pagine dell'introduzione de "La Vita della Mente". Assistendo al processo Eichmann la Arendt disse: ." mi sono sentita scioccata perch tutto questo contraddice le nostre teorie di male". La perplessit davanti ad un fenomeno che ha contraddetto le teorie note di male, e la relazione chiara tra il problema di male e la facolt di pensare, era quello che la Arendt ha espresso con la frase "la banalit del male". Un accenno alle sue tesi sulla banalit sono presenti ne "Le Origini di Totalitarismo" (1951), il suo primo libro, nel quale sosteneva che l'aumento di totalitarismo era dovuto all'esistenza di un nuovo genere di male, il male assoluto, che, "non poteva essere a lungo spiegato e capito con malvagie ragioni di egoismo, avidit, bramosia, risentimento, sete per potere, e codardia". Spesso la Arendt sostiene che la tradizionale comprensione del male non era di nessun aiuto riferita a questa variante moderna, e ha voluto seguire il processo probatorio ad Eichmann per confrontare chiarificare le sue idee. Come pu dunque la capacit di pensare muoversi in modo da evitare il male? Per prima cosa, secondo la Arendt, gli standard etici e morali basati sulle abitudini e sulle usanze hanno dimostrato di poter essere cambiati da un nuovo insieme di regole di comportamento dettate dall'attuale societ. Lei domanda come sia possibile che poche persone non aderiscano al regime malgrado ogni coercizione. A tale domanda risponde in maniera semplice: i non partecipanti, chiamati irresponsabili dalla maggioranza, sono gli unici che osano essere "giudicati da loro stessi"; e sono capaci di farlo non perch posseggano un miglior sistema di valori o perch i vecchi standard di "giusto e sbagliato" siano fermamente radicati nella loro mente e nella loro coscienza, ma perch essi si domandano fino a che punto essi sarebbero capaci di vivere in pace con loro stessi dopo aver commesso certe azioni; e loro decidono che meglio non far nulla. La Arendt chiaramente presuppone alla facolt del pensare questo tipo di giudizio. Questa presupposizione non necessita di una elevata intelligenza ma semplicemente l'abitudine di vivere insieme, e in particolare con se stessi, che significa, essere occupato in un dialogo silenzioso tra io e io, che da Socrate stato chiamato

"pensare". L'incapacit di pensare non stupidit: pu essere presente nella gente pi intelligente e la malvagit non la sua causa, ma necessaria per causare grande male. Dunque l'uso del pensiero previene il male. Una delle questioni principali della Arendt il fatto che un'intera societ pu sottostare ad un totale cambiamento degli standard morali senza che i suoi cittadini emettano alcun giudizio circa ci che sta accadendo. La Arendt sceglie Socrate come suo modello di pensatore. Una maniera per prevenire il male come detto sopra rintracciabile nel processo del pensare. Questo pensare per Socrate provoca essenzialmente la perplessit che ha il potere di dislocare gli individui dalle loro regole di comportamento. La capacit di pensare ha dunque la potenzialit di mettere l'uomo di fronte ad un quadro bianco senza bene o male, senza giusto o sbagliato, ma semplicemente attivando in lui la condizione per stabilire un dialogo con se stesso e permettendogli dunque di deliberare un giudizio circa tali eventi. La Arendt sta cercando di evitare l'aderire degli uomini a ogni tipo di standard morale, sociale o legale senza esercitare la loro capacit di riflettere, basata sul dialogo con se stessi circa il significato degli avvenimenti, in altre parole la manifestazione del pensiero capace di provocare perplessit e obbliga l'uomo a riflettere e a pronunziare un giudizio. La banalit del male che appare attraverso Eichmann rende evidente come il fenomeno del male pu mostrare la sua faccia. In un trattato scritto per un dibattito su "Eichmann a Gerusalemme" nel Collegio Hofstra nel 1964, la Arendt ha affermato che banalit significa 'senza radici', non radicato nei 'motivi cattivi' o 'impulso' o forza di 'tentazione'. La Arendt afferma inoltre: "la mia opinione che il male non mai 'radicale', ma soltanto estremo, e che non possegga n la profondit n una dimensione demoniaca. Esso pu invadere e devastare tutto il mondo perch cresce in superficie come un fungo. Esso sfida come ho detto, il pensiero, perch il pensiero cerca di raggiungere la profondit, andare a radici, ed nel momento in cui cerca il male, frustrato perch non trova nulla. Questa la sua "banalit"... solo il bene ha profondit e pu essere integrale."

L'ultima opera, rimasta incompiuta, " La vita della mente ", pubblicata postuma nel 1978, presentata da Arendt come " un trattato del buon governo mentale ": essa descrive le attivit dello spirito, ossia il pensare, il volere e il giudicare, cercando di mostrare la necessit di un controllo e di un equilibrio reciproco fra esse. Il pensare diverso dal conoscere, che ha un oggetto e un fine: esso, invece, non ha un oggetto, ma si riferisce solo a s e produce significati, non la verit, che piuttosto prodotta dal consenso. Il pensare consente di affrontare i fenomeni direttamente, senza alcun sistema preconcetto, e quindi prepara il terreno al giudizio, che rappresenta la vera attivit politica della mente. Anche il volere costitutivo della sfera politica, in quanto mira a produrre un riconoscimento reciproco tra gli individui. In questo senso, la Arendt critica Heidegger per aver rifiutato il volere a favore del pensiero, concepito come forma di azione: ci equivale, infatti, a rifiutare la politica. Condizione dell'armonia fra le tre attivit la libert interna di ciascuna. Anche in Germania, nel dopoguerra, ridiventa essenziale il problema del tipo di sapere e di razionalit che

deve sovrintendere all'agire individuale e collettivo. Presupposto diffuso che il modello non possa essere offerto dalle scienze naturali, ne dalle scienze sociali che si costruiscono in conformit ad esse. In questo orizzonte ha luogo, dall'inizio degli anni Sessanta, quella che stata denominata riabilitazione della filosofia pratica, ossia del diritto, dell'etica e della politica, alla quale hanno contribuito vari autori, tra i quali Gadamer e Joachim Ritter (1903-1974), allievo di Heidegger e di Cassirer.

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