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Palermo, 25 settembre 2007,


Inizio Requisitoria Processo Aiello – Cuffaro e altri (talpe alla Dda)

Pm, Michele Prestipino:


Iniziamo a trattare l’imputazione del reato di partecipazione all’associazione mafiosa Cosa Nostra
ai sensi dell’art.416bis del codice penale, che in questo processo è stato contestato all’imputato
Michele Aiello, in aggiunta alle altre ipotesi di reato specifiche.
La contestazione del reato associativo, e quindi della partecipazione, ha trovato nella formulazione
del capo di imputazione una concreta specificazione in alcune frazioni di condotta e in particolare in
quattro frazioni di condotta che sono state enucleate nel capo di imputazione con riferimento alla
gestione di lavori, con riferimento alla raccolta di informazioni riservate da parte di pubblici
ufficiali, informazioni finalizzate poi alla reimmisione nel circuito mafioso e quindi alla tutela
dell’organizzazione mafiosa Cosa Nostra. Informazione tutte coperte da segreto e reimmissione nel
circuito mafioso in particolare attraverso la persona di Salvatore Eucaliptus, per quanto ad alcune di
esse.
La terza frazione di condotta che è stata contestata è quella relativa al finanziamento
dell’organizzazione mafiosa da parte dell’imputato mediante erogazione di ingenti somme in
contante.
La quarta frazione è quella della disponibilità all’assunzione presso imprese e società all’imputato
facenti capo, di diversi soggetti a seguito di segnalazioni, raccomandazioni ricevute da componenti
dell’organizzazione mafiosa, tra i quali i fratelli Rinella di Trabia e Nicolò Eucaliptus di Bagheria.
Benché le frazioni di condotta determinate siano 4 in realtà i nuclei essenziali di queste condotte
sono soltanto due, il primo connesso al profilo imprenditoriale dell’attività dell’imputato, secondo,
il paradigma del cosiddetto patto di protezione che costituisce il segno distintivo del reato
associativo quando, come è noto, a commetterlo è un soggetto che conduce un’attività d’impresa,
imprenditoriale.
L’altro nucleo, il secondo, che è anch’esso in questo caso specifico connesso all’attività
imprenditoriale di Aiello, ma che potenzialmente è scindibile, è invece attinente all’attività di
acquisizione di informazioni riservate. Informazioni coperte dal segreto d’indagine, informazioni
che in buona parte sono ulteriori e diverse rispetto a quelle che riguardavano e hanno riguardavato i
procedimenti in corso nei confronti dello stesso imputato, cioè di Michele Aiello e delle sue
imprese. Quindi sono informazioni che non riguardano più Michele Aiello indagato per mafia, non
riguardano più Michele Aiello presumibilmente indagato in un processo sulla sanità, non riguardano
più la gestione delle sue società operative nel settore della radioterapia, ma informazioni riservate
che riguardano attività investigative aventi ad oggetto l’attività dell’organizzazione mafiosa e poi
vedremo in particolare di quali specifiche attività si sia trattato.
In particolare si fa rifermimento all’attività di illecita acquisizione di informazioni sulle
investigazioni che sono state condotte in un lungo e apprezzabile arco temporale da uno dei reparti
d’eccellenza dell’arma dei carabinieri e cioè il Ros nell’ambito delle iniziative di contrasto
all’organizzazione mafiosa Cosa Nostra e in particolare, nell’ambito di attività, con riferimento alle
ricerca di due dei più importanti capimafia da tempo latitanti, ossia Matteo Messina Denaro e il
capo di Cosa Nostra, allora latitante Bernardo Provenzano. Queste informazioni venivano
reimmesse nel circuito interno a Cosa nostra più vicino proprio ai due capi mafiosi.
Chi è l’imprenditore Michele Aiello da questo punto di vista, attraverso questo angolo prospettico
del processo. L’ing. Michele Aiello è l’imprenditore bagherese che ha operato per lungo tempo
nella realizzazione delle stradelle interpoderali, che a metà degli anni novanta si è attivato e ha
operato anche nel campo sanitario in particolare nel settore della radioterapia, della diagnostica per
immagini, dove ha segnato la sua presenza imprenditoriale per il tramite di alcune società, villa

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Santa Teresa e società Atm, di cui Aiello era il diretto gestore e titolare di tutte o gran parte delle
quote.
Nell’esercizio di tutte queste attività, sia la realizzazione delle strade interpoderali e sia le attività
concernenti il settore della sanità, Michele Aiello ha certamente fruito dell’appoggio, dell’ausilio
determinante, dell’organizzazione mafiosa Cosa Nostra, con la quale è entrato in quel particolare
rapporto di reciproco scambio di utilità che come dicevo caratterizza la condotta di partecipazione
organica di chi esercita un’attività imprenditoriale.
È un paradigma noto nelle nostre aule, si ha da un lato un particolare ausilio da parte
dell’organizzazione mafiosa al quale consegue per l’imprenditore l’attribuzione di posizioni e
vantaggi che non sarebbero stati altrimenti conseguibili, attraverso questo ausilio vengono piegate
le regole del mercato, vengano realizzati interessi che perciò diventano illeciti, interessi funzionali
sia al soggetto imprenditore che in tal modo diventa organico, che all’organizzazione mafiosa, come
vedremo.
Questo determinante ausilio ha come controprestazione l’impegno a finanziare l’organizzazione
attraverso il versamento di cospicue somme in favore delle sue articolazioni territoriali di
competenza, nell’ambito della scrupolosa osservanza della regole della così detta “messa a posto”.
L’ausilio ha come controprestazione l’impegno, e lo ha avuto ovviamente per Michele Aiello,
l’assunzione di personale segnalato dai mafiosi, l’impegno ad accettare le forniture da parte delle
imprese amiche di Cosa Nostra, ha infine e lo vedremo in particolare nel caso di Michele Aiello, un
altro impegno, quello di rendere ulteriori prestazioni e favori come l’acquisizione e la reimmissione
nel circuito mafioso di informazioni importanti, come appunto lo svolgimento di un ruolo di
tramite, di cerniera con settori della vita pubblica con i quali l’organizzazione mafiosa non avrebbe
la possibilità di interloquire utilmente, per gli interessi della stessa organizzazione.

Questa è la lettura degli atti del processo della pubblica accusa. Di segno opposto è quella,
presentata nel corso di un lunghissimo esame, proposta dall’imputato Michele Aiello, il quale si è
presentato come un imprenditore che opera Sicilia, che dunque fa impresa in quella che viene
definita una situazione difficile, che non lascia alternativa e, per come ci ha detto esplicitamente in
alcuni passaggi del suo esame lo stesso M. A., con scelte che sono state, di conseguenza, coartate
sempre e comunque dalla forza di intimidazione esercitata nei suoi confronti dall’organizzazione
mafiosa Cosa Nostra nelle sue diverse articolazioni.
Dunque è complice, anzi come diciamo noi, vero e proprio protagonista organico di cn ai massimi
vertici o vittima della mafia l’ing Michele Aiello?
È il tema che si propone nelle nostre aule di giustizia ogni volta che è imputato di reati di mafia un
imprenditore ed è questo anche uno dei temi di questo processo che dovrà trovare nel proprio
svolgimento sulla scorta dei rigorosi elementi di prova che sono stati raccolti nel corso
dell’istruttoria dibattimentale.
Questi elementi di prova che riguardano anche la contestazione del reato associativo, hanno trovato
nel corso dell’istruttoria dibattimentale un’ampia ed eterogenea rappresentazione. Noi, e mi
riferisco allle fonte di prova che riguardano la contestazione del reato associativo, abbiamo raccolto
elementi davvero eterogenei, dichiarazioni di soggetti che hanno scelto di collaborare con l’autorità
giudiziaria, abbiamo raccolto le dichiarazioni di numerosi testimoni, consulenti, abbiamo raccolto le
dichiarazioni di imputati di questo stesso processo ma anche di imputati di reato connesso e poi
abbiamo ricostruito conversazioni oggetto di intercettazioni telefoniche e ambientali e poi abbiamo
fatto acquisire documenti che si sono rivelati particolarmente importanti e significativi. Si tratta di
elementi di prova, tutti, che si pongono in un chiaro evidente reciproco rapporto di interazione, si
combinano secondo un’evidente equivalenza probatoria, un’equivalenza probatoria di elementi che
ha finito per caratterizzare tutti i processi di mafia celebrati nelle nostre aule, almeno negli ultimi
anni.
Se si volesse attribuire un ordine, anche solo di carattere logico, ai diversi elementi di prova, allora
non c’è dubbio che occorre prendere le mosse dalle dichiarazioni accusatorie che nei confronti di

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Michele Aiello ha reso, nel corso dell’istruttoria dibattimentale, il collaboratore Antonino Giuffrè.
Dichiarazioni che per la loro ampiezza e complessità hanno assunto nell’economia del processo la
veste di chiamata di correo, nel senso più tecnico e sostanziale del termine, dopo che proprio le
dichiarazioni di Antonino Giuffrè nei confronti di Michele Aiello avevano a suo tempo, ossia nel
novembre del 2002, costituito l’occasione per l’avvio dello stesso procedimento penale per reati di
mafia nei confronti dello stesso Aiello. Dunque occorre prendere le mosse proprio da Giuffrè.
Antonino Giuffrè in questo processo ha reso un lungo e ampio esame e controesame e riesame nella
veste di imputato di reato connesso nel corso delle udienze del 8-9-10 marzo 2005. A seguito di una
precisa richiesta della difesa di Michele Aiello, all’udienza del 24 febbraio 2005 abbiamo anche
esibito, e poi è stato acquisito nel fascicolo del pubblico ministero, per la parte di interesse di questo
processo, il verbale illustrativo della collaborazione di Giuffré. Noi abbiamo provveduto ad analoga
incombenza anche rispetto ad altri collaboratori di giustizia che pure sono stati esaminati nel corso
dell’istruttoria dibattimentale come aveva richiesto la stessa difesa, in osservanza del consolidato
orientamento presso la corte di cassazione secondo cui la disciplina del verbale illustrativo della
collaborazione si applica soltanto a chi ha fatto la scelta di collaborare dopo l’entrata in vigore della
legge del febbraio 2001. Sicché non è atto che produce effetti determinanti sia da un punto di vista
penale che amministrativo nei confronti di quei collaboratori che avevano fatto la scelta di
collaborare prima del febbraio del 2001.
Giuffrè è stato tratto in arresto il 16 aprile 2002 dopo un lungo periodo di latitanza e dopo circa 2
mesi, nella metà del mese di giugno 2002 ha iniziato a collaborare con l’autorità giustiziaria. GHa
subito assunto gli impegni previsti dalla legge 45 del 2001 e al termine dei 180 giorni previsti dalla
legge45/2001 ha anche sottoscritto il verbale illustrativo della collaborazione. È stato quindi
ammesso in via definitiva al programma speciale per i collaboratori di giustizia che nel frattempo è
stato anche più volte prorogato. Il percorso collaborativo di Giuffrè è lineare e senza intoppi.
Giuffrè ha rilasciato dichiarazioni sia nella veste di imputato di reato connesso sia come imputato in
tutti i più importanti e rilevanti processi che hanno avuto svolgimento negli ultimi 5 anni in tutte le
sedi giudiziarie siciliane e non solo nei confronti dell’organizzazione mafiosa Cosa Nostra. Molti di
questi processi sono stati definiti con il riconoscimento della penare responsabilità degli imputati
che erano stati tra l’altro chiamati in causa proprio da Antonino Giuffrè e di conseguenza il suo
contributo collaborativo durante questo periodo è già stato valutato positivamente in quanto alla
cosiddetta attendibilità generica da diversi organi giurisdizionali, con un gran numero di sentenza
che nel frattempo sono divenute definitive.
Alcune di queste sentenze sono state prodotte nel corso dell’istruttoria dibattimentale, faccio
riferimento in particolar ad alcune decisioni che si segnalano anche da un punto di vista di
attendibilità generica per i temi che abbiamo affrontato in questa sede. Faccio riferimento in primo
luogo alla sentenza 6 maggio 2004, della corte di Cassazione, ed è il documento 28 della
produzione del Pm acquisita all’udienza del 10 maggio 2007, con la quale la Corte ha confermato la
decisione della Corte d’Assise di Caltanissetta dell’8 luglio 2003, processo contro Salvatore Riina e
altri, imputati e condannati in via definitiva per il fallito attentato dell’Addaura commesso il 21
giugno 1979 nei confronti di Giovanni Falcone. Questa motivazione della corte si segnala perché in
esso è contenuto l’esplicito riconoscimento dell’inserimento di Antonino Giuffrè ai massimi livelli
di Cosa Nostra in epoca anteriore al periodo delle stragi, quindi al 1992-93. Abbiamo poi prodotto
la sentenza della corte d’Appello di Palermo, in data 27 febbraio 2003, anche la sentenza di primo
grado, sono i documenti 10 e 11 della produzione acquisita all’udienza 10 maggio 2007. Si tratta
della sentenza con la quale, sia in primo che in secondo grado è stata affermata la penale
responsabilità di Nicolò La Barbera, di Mezzoiuso, per il reato di partecipazione mafiosa
all’organizzazione mafiosa C.n. La sentenza della corte di appello si segnala perché nel riconoscere
la piena attendibilità delle deposizioni accusatorie che in quell’occasione aveva reso Giuffrè,
proprio nella fase d’appello, ha ricostruito l’attendibilità della ricostruzione fatta da Giuffrè durante
la fase di appello, sul ruolo di Nicolò La Barbera quale punto di riferimento fino alla data del suo
arresto, quindi parliamo degli anni che vanno dal 1996-97-98 fino al gennaio 2001, punto di

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riferimento nella gestitone della latitanza, e di tutti gli aspetti connessi alla latitanza, sia di
Benedetto Spera che di Bernardo Provenzano. Nella motivazione di questa sentenza viene
riconosciuta l’attendibilità, in particolare delle dichiarazione con cui Giuffrè ha ricostruito i
rapporti, che attraverso Nicolò La Barbera aveva avuto fino alla data del 30 gennaio 2001 con B
Provenzano e B Spera, e ha riconosciuto attendibilità alla ricostruizione di Giuffrè delle modalità,
tempi, oggetto delle riunioni di vertice che si erano tenute proprio nel territorio di Mezzoiuso, in
locali nella disponibilità di La Barbera e suoi parenti e fratelli, tra lo stesso Giuffrè, Spera,
Provenzano, con altri capi mafia quali Pino Lipari e Tommaso Cannella, entrambi condannati più
volte per il reato di associazione, condannati anche di recente anche sulla scorta delle dichiarazioni
di Giuffrè e poi tratti in arresto di nuovo, ma questa è storia di questi ultimi tre mesi.
Abbiamo anche prodotto, sempre in riferimento all’attendibilità generica di Giuffrè, la sentenza 12
dicembre 2003 del Gup di Palermo, confermata dalla corte di cassazione. È una sentenza
importante, che si segnala perché ha riconosciuto la genuinità, l’attendibilità e l’importanza delle
plurime chiamate in causa che in quel processo Giuffrè Antonino ha effettuato nei confronti di Pino
Lipari e di tutti gli altri numerosi imputati che fino alla data del 2 ottobre 2002 hanno fatto parte di
quello strettissimo circuito fiduciario di tipo mafioso che garantiva la circolazione dei pizzini e
quindi la comunicazione di Bernardo Provenzano, latitante, e che ne gestivano gli affari, ne
curavano, amministravano il patrimonio.
In ultimo abbiamo prodotto una quarta sentenza, che è quella del gup presso il tribunale di Palermo
in data 27 febbraio 2004, confermata in appello l’11 febbraio 2005. Questa sentenza si segnala sotto
un altro profilo perché con questa sentenza sono stati segnalati sotto un altro profilo per il reato di
associazione mafiosa cosa nostra, per altro con funzioni di promotore e organizzatore, alcuni
soggetti che fino al 29002 avevano occupato una posizione ed un ruolo determinante all’interno di
cosa nostra in particolare nelle zone di Trabia e Termini Imerese. Si tratta di Diego Rinella, di
soggetti operanti nell’aria di Trabia e Termini Imerese e nelle motivazioni della sentenza c’è il
riconoscimento del ruolo apicale fino al 2002, fino al momento del suo arresto, aveva volto
Antonino Giuffrè nell’ambito del mandamento di Caccamo che comprende nel suo territorio anche
le zone di Trabia e Termini Imerese.
Come dicevo, sono sentenze queste che forniscono una prova certa, sotto tutti i profili a partire dal
periodo precedenti alle stragi, l’attendibilità intrinseca delle dichiarazioni rese nei vari processi dal
collaboratore di giustizia Giuffrè. Su questa attendibilità, su quella che si chiama intrinseca,
certamente nessuna incidenza negativa può avere la circostanza, che è pure stata oggetto di
discussione nel processo, che Giuffrè durante la sua carcerazione ha avuto la possibilità di leggere i
giornali e di informarsi. In Particolare di leggere le pagine del giornale di Sicilia. Durante la
discussione dibattimentale era stata avanzata una richiesta da parte della difesa di Aiello, e questa
richiesta è stata respinta. Sotto questo profilo, va detto subito, a prescindere dall’individuazione
sotto il profilo temporale dello specifico momento in cui Giuffrè avrebbe avuto la possibilità di
leggere i giornali e di guardare la televisione, deve comunque ribadirsi e sottolinearsi che tutte le
notizie riguardanti Michele Aiello e le vicende processuali che lo hanno riguardato hanno avuto una
vasto eco sulla stampa solo dal giorno 6 novembre 2003, cioè quello successivo al suo arresto e
l’arresto di Giuseppe Ciuro e Giuseppe Riolo. Al 6 nnovembre 2003 il termine di legge dei 180
giorni perché il collaboratore renda le sue dichiarazioni era già trascorso da quasi un anno. Giuffrè,
lo ricordo, ha sottoscritto il verbale della sua collaborazione l’11 dicembre 2002 e in questo verbale
già figurano le dichiarazioni che nel frattempo Giuffrè aveva reso sui fatti, sulle vicende, sulla
persona di Michele Aiello, dichiarazioni che ha poi reiterato nella sostanza durante l’istruttoria
dibattimentale. Detto questo, va anche detto c he di Giuffrè, con i consenso delle parti, nell’udienza
dell’8 marzo 2005, all’apertura del suo esame, sono state acquisiti i verbali di altri processi, in
particolari le dichiarazioni che Giuffrè ha reso di fronte al tribunale di Termini Imerese nell’ambito
del processo a Giuseppe Biondolillo e altri, durante l’udienza dibattimentale del 16 ottobre 2002.
Nel corso di quella lunga deposizione, il verbale ne da ampio conto, Giuffrè ha ricostruito la propria
storia personale all’interno dell’organizzazione mafiosa Cosa Nostra ed ha chiarito circostanze

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modi e tempi del suo avvicinamento e della sua affiliazione agli inizi degli anni ottanta
all’organizzazione all’interno della famiglia di Caccamo e omonimo mandamento. In quella
deposizione ha chiarito circostanze, modi e tempi della successiva assunzione, in via temporalmente
graduata di cariche formali all’interno dell’organizzazionee e in particolare della carica di
rappresentante del mandamento di Caccamo, carica conferitagli da salvatore Riina nel 1987 epoca
in cui, nella sua qualità di capomandamento di Caccamo, entra a far parte della commissione
centrale di Cosa nostra. Sempre in quel verbale Giuffrè ci ha dato contodelle circostanze, modalità e
tempi con le quali dopo il 1993, dopo le stragi aveva svolto un ruolo apicale, di vertice, tra l’altro
suolo riconosciuto dalle sentenze ai sensi dell’articolo 416bis comma 2 in relazione a questi periodi,
un ruolo apicale all’interno di quel ristretto gruppo attraverso il quale Bernardo Provenzano dal
1993-94 ha ininterrottamente governato cosa nostra fino alla data del suo arresto. Sempre in quella
lunga deposizione di fronte al Tribunale di Termini Imerese Giuffrè ci ha chiarito circostanze tempi
modi del suo arresto e della successiva scelta di collaborare, raccontando la genesi del suo rapporto
di collaborazione, avvenuto su sua richiesta senza lo svolgimento di colloqui investigativi, e
soprattutto ci ha chiarito le motivazioni della sua scelta. Dopo di che Giuffrè ha reso l’esame
nell’istruttoria dibattimentale di questo processo e in tutta la fase iniziale dell’esame Giuffrè ha
tenuto conto del fatto che era stato acquisito il verbale delle deposizioni di fronte il Tribunale di
Termini Imerese. Durante l’esame reso in questo processo Giuffrè ha in primo luogo ricostruito,
con molto particolari, i contatti personali ed epistolari che aveva avuto fino a pochi giorni prima il
suo arresto, quindi fino ad aprile del 2002, con Bernardo Provenzano allora latitante. Ha riferito in
particolare degli incontri con Provenzano e dei temi affrontati durante questi incontri e in
particolare ci ha fornito indicazioni assolutamente specifiche che erano stati utilizzati e
reciprocamente utilizzati per il recapito della corrispondenza tra i due capi latitanti e per
l’organizzazione degli appuntamenti. In questa prima parte dell’esame Giuffrè sotto questo profilo
ci ha indicato una per una le persone che fino al suo arresto avevano il contatto per raggiungere
Provenzano e ne costituivano altrettanti tramiti nei rapporti anche epistolari con il resto
dell’organizzazione mafiosa. Giuffrè nel corso dell’esame ha ricordato di aver fatto questo
dettagliato elenco per la prima volta nel suo primo interrogatorio reso al pm come collaboratore di
giustizia e quindi nella data del giugno 2002. Quindi in epoca non sospetta. Viene chiesto a Giuffrè,
quale fu l’oggetto del primo interrogatorio dopo ache lui aveva preso la decisione di collaborare, del
2002. Giuffrè risponde, [Prestipino legge] “penso di non sbagliare, l’argomento iniziale, forse
l’argomento più importante è stato Bernardo Provenzano. Pm: lei ricorda in quell’interrogatorio chi
indicò come possibili tramiti per arrivare alla cattura di Provenzano per tutte le zone di cui abbiamo
parlato e in particolare per Bagheria? Giuffrè: in modo particolare, per quanto riguarda Bagheria, ho
indicato Pietro Loiacono e Onofrio Monreale, Pino Pinello su Baucina e poi persone di Ciminna di
cui ho parlato in precedenza: Angelo Tolentino, Nino Episcopio e sempre per quanto riguarda il
contesto di Mezzoiuso, l’ambito familiare di Nicola La Barbera, ma in modo particolare ho indicato
su Ciminna Ciccio Episcopo, Nino Episcopo e Angelo Tolentino”.
Ecco dunque quali erano i tramiti operativi di Bernardo Provenzano fino al 16 aprile 2002, nelle
zone di interesse in questo processo. Pietro Loiacono e Onofrio Monreale du Bagheria, Pino Pinello
su Baucina e La Barbera per Mezzoiuso e i fratelli Eposcopo e Angelo Tolentino su Ciminna. Il
paese che fino all’estate del 2002, quindi oltre la catture di Giuffrè e la data in cui segretamente
aveva iniziato a collaborare, era stato proprio il quartier generale per gli appuntamenti e le riunioni
e lo smistamento della posta di Provenzano il quale, divenuta pubblica la notizia della
collaborazione di Giuffrè, il 20 settembre del 2002, aveva immediatamente spostato il quartier
generale da Ciminna a Bagheria- Villabate e non era la prima volta che Bagheria assumeva il ruolo
di quartier generale, Si trattava solo di un ritorno. Si tratta di nomi e circostanze cui ha fatto ampio
cenno il colonnello Antonio Damiano nel corso dell’udienza del … aprile 2005, riferendoci sulle
attività e sui risultati dell’attività di investigazione condotte dal Ros negli ultimi 4-5 anni, in
particolare sull’area territoriale di Bagheria. Basti qui dire che le indagini che si sono sviluppate sia
da parte del Ros che della polizia di Stato a seguito delle dichiarazioni di Giuffrè, indicazioni

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specifiche ne dimostrano la fondatezza, la rilevanza, l’attendibilità di quelle dichiarazioni sul punto
specifico. Ne fa prova, l’esito del processo Grande mandamento di cui sono stati acquisiti
all’interno di questo processo la richiesta di rinvio a giudizio, il decreto che ha disposto il giudizio,
il dispositivo del giudizio abbreviato con il quale in primo grado è stata definita la posizione di un
gran numero di imputati. E sono i documenti 2 3 e 4 che abbiamo acquisiti all’udienza del 20
giugno 2007.
Giuffrè nel corso del suo esame ci ha poi riferito sul sistema di comunicazione facente capo a tutti i
capi mafioso, a lui e a Bernardo Provenzano, in particolare in merito alla circolazione dei cosidetti
pizzini. Ci ha parlato dei destinatari dei pizzini. Ci ha riferito dei mittenti e ci ha spiegato le ragioni
per cui lui, Giuffrè, ne aveva conservati, anche se occultati, un così cospicuo numero, e cioè tra
quelli che sono stati poi rinvenuti e sequestrati. Giuffrè si è poi soffermato sui soggetti e sul
contenuto dei diversi rapporti epistolari che intratteneva con gli altri capi mafiosi e in particolare ha
trattato del rapporto che aveva con Provenzano.
Sulla base di queste premesse, Giuffrè ha poi affrontato il tema oggetto del processo. L’esame è
iniziato con domande sulla posizione, sul ruolo, occupato da Michele Aiello nell’ambito di Cosa
Nostra. Possiamo sintetizzare le dichiarazioni di Antonino Giuffrè su Michele Aiello con il
riferimento in particolare a tre punti. Nel corso del suo esame, nel fornirci il quadro della posizione
e del ruolo di Aiello nell’ambito di Cosa Nostra, Giuffrè ci ha innanzitutto
Punto1: riferito sui suoi rapporti di conoscenza , suoi di Giuffrè prima con il padre dell’ingegnere
Aiello, cioè Gaetano Aiello e poi con l’ingegnere personalmente e direttamente.
Punto 2: ha ricostruito le relazioni mafiose di Michele Aiello in particolare nell’ambito della
famiglia di Bagheria, ci ha spiegato, passo passo, le ragioni e lo sviluppo della particolare
protezione che il capo d Cosa Nostra Bernardo Provenzano ha riservato a Michele Aiello, e ce ne ha
fornito i motivi
Punto 3: ha fatto specifico riferimento e ci ha spiegato l’intreccio di interessi connesso alle attività
imprenditoriali di Michele Aiello, indicandolo come un imprenditore di fatto organico
all’organizzazione mafiosa che da tempo ha sistematicamente finanziato, sia attraverso elargizioni
spontanee sia soprattutto attraverso l’adesione al sistema della “messa a posto” delle attività
esercitate e dei singoli lavori realizzati.
Partendo dal primo dei tre profili che ho indicato: Giuffrè ci ha in primo luogo riferito di aver
conosciuto, per quanto in maniera superficiale, Michele Aiello negli anni ottanta. Ma ci ha detto che
aveva approfondito tale rapporto di conoscenza agli inizi degli anni novanta, quando era accaduto
un fatto particolare. Dice testualmente Giuffrè: “Conoscerò Michele Aiello negli anni novanta
perché ci sarà un passaggio importantissimo per lui, probabilmente il più importante. Dovremmo
essere attorno al 91, e qua ci dovrebbe essere quella famosa data dell’arresto di Nicola Eucaliptus,
io conoscerò indirettamente Michele Aiello tramite Nicola Eucaliptus. Conoscevo già Michele
Aiello come un ingegnere, come un imprenditore però mi sarà detto da parte di Nicola Eucaliptus
che lo stesso Michele Aiello si era avvicinato alla famiglia mafiosa, cioè alla corrente, alla parte di
Nicola Eucaliptus e di Bernardo Provenzano”.
Giuffrè ci ha poi specificato quale era stata l’occasione concreta che aveva messo in contatto
diretto, sia pure con il tramite di Nicola Eucaliptus, Michele Aiello con Antonino Giuffrè. Dice
testualmente Giuffrè: “conoscerò Michele Aiello nel contesto di una strada interpoderale che
interesserà a me personalmente, nel mio paese, che sarà nell’interesse dei fratelli Liberto su
Caccamo, dove il Giorgio e il Giovanni Liberto sono uomini d’onore della mia famiglia, ragion per
cui farò il favore della mia famiglia con l’interessamento a favore dei Liberto per fare questa strada
interpoderale”.
Ci ha spiegato Giuffrè che già prima del 90-91, quando colloca questa circostanza, quindi negli anni
ottanta, aveva già conosciuto personalmente il padre di Michele Aiello, Gaetano Aiello. Giuffrè ha
indicato Gaetano Aiello come un abituale frequentatore di Cosimo Lanza, uomo d’onore che per un
periodo di tempo aveva avuto la coreggenza della famiglia di Bagheria assieme con Franco
Baiamonte, soggetto quest’ultimo legatissimo, allora, a Bernardo Provenzano. Ci ha detto Giuffrè

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che Cosimo Lanza, testualmente “Era colui che intratteneva contatti con altri esponenti di rilievo di
Cosa Nostra, in particolare con il Presti Filippo con i Greco di Ciaculli”. Di natura imprenditoriale
E ci ha detto che Cosimo Lanza alla fine era stato ucciso in una delle tante guerre di mafia che
aveva visto contrapposti schieramenti anche sull’area territoriale ove ricade Bagheria.
In questo contesto, ci ha detto Giuffrè “Gaetano Aiello aveva intrattenuto stretti rapporti
imprenditoriale” quindi vere cointeressenze economiche, anche di tipo socetario “con il gruppo dei
Mineo e in particolare con Antonino Mineo” uno dei capi storici della famiglia mafiosa di Bagheria,
con il quale, ha detto Giuffrè “Gaetano Aiello era particolarmente legato”.
Giuffrè ha poi riferito sui rapporti che Michele Aiello aveva stretto con la famiglia mafiosa di
Bagheria in epoca successiva. Ci ha parlato di queste relazioni mafiose indicandoci di quali punti di
riferimento importantissimi di queste relazioni, dapprima Nicolò Eucaliptus e quindi Pietro
Loiacono. A seconda dei rispettivi periodi di disponibilità nel senso dei periodi di libertà da
provvedimenti restrittivi che avevano riguardato entrambi questi capi mafiosi negli anni novanta in
particolare.
Ricostruendo la vicenda e il succedersi di questi rapporti, Giuffrè ha testualmente affermato che
Michele Aiello si era avvicinato al gruppo dell’Eucaliptus e del Provenzano, poi probabilmente
sarebbe nel 1993, all’arresto di Nicola Eucaliptus, all’ingegnere Aiello mancherà il punto di
riferimento basilare, che era Eucaliptus. “L’ingegnere Aiello” dice Giuffrè “sa perfettamente che io
faccio parte del gruppo del Provenzano, sa che faccio parte e sono legato in maniera particolare a
Nicola Eucaliptus, sa che sono in modo particolare legato ad Antonio Gargano ed automaticamente
si viene a rivolgere a me. Ci abbiamo il discorso d’entrata, grosso modo quello della strada di
Liberto, poi ci abbiamo il discorso delle conoscenze di suo padre e diciamo che per un periodo di
tempo su Bagheria, quasi quasi, diventerò io il punto di riferimento di Michele Aiello. Del discorso
informerò il Provenzano e dopo un periodo di tempo, si era affacciata la figura di Pietro Loiacono,
sento il dovere di mettere Michele Aiello nelle mani di un'altra persona “giusta” del discorso
mafioso di Bagheria”.
Ha aggiunto Antonino Giuffrè che a questo punto, sempre in accordo con Provenzano informato di
tutto, aveva provveduto a quelle che lui stesso, il collaboratore, ha chiamato le presentazioni tra
Michele Aiello e Pietro Loiacono. Presentazioni, lo ha detto chiaramente Giuffrè, dal punto di vista
mafioso, perché dal punto di vista personale di rapporti altri e diversi da Cosa Nostra, Michele
Aiello e Pietro Loiacono già si conoscevano. E questo è un dato pure acquisito nel corso
dell’istruttoria dibattimentale.
E da allora, ci ha detto Giuffrè, che inizia il cammino nuovo dell’ingegnere Aiello nei rapporti con
Cosa Nostra di Bagheria che portano a Bernardo Provenzano.
Nello specifico i rapporti che agli inizi degli anni novanta erano intercorsi tra Michele Aiello e
Nicola Eucaliptus ci sono stati spiegati da Giuffrè, il quale in via preliminare ci ha spiegato chi era,
in quel momento, agli inizi degli anni novanta, Nicola Eucaliptus e di quali speciali rapporti fossero
entrambi legati lui Giuffrè con Nicola Eucaliptus, in un medesimo contesto, che ne accumunava la
specifica appartenenza all’organizzazione mafiosa che era appunto la comune condivisione dello
schieramento facente capo direttamente al capo di Cosa Nostra Bernardo Provenzano.
Ci ha detto su questo punto, dei rapporti con Eucaliptus, Giuffrè “io con Eucaliptus, in modo
particolare dopo l’arresto di Nicola Gargano, restiamo particolarmente legati, e d'altronde siamo
molto legati e molto vicini a Provenzano. Quindi io, avendo già un mandamento nelle mani,
diciamo che godo di un prestigio in più da parte di Nicola Eucaliptus, quindi spesso e volentieri
parliamo e lo stesso mi tiene informato dei discorsi su Bagheria”.
Proprio nell’ambito di questo particolare rapporto che legava Eucaliptus a Giuffrè, ci ha detto il
collaboratore, Nicola Eucaliptus gli aveva parlato dell’ingenere Michele Aiello. Gliene aveva
parlato come di un imprenditore che si era avvicinato alla famiglia mafiosa di Bagheria che “si
comportava molto bene” tanto che in una circostanza nell’approsimarsi di un Natale a cavallo del
1990-91, Michele Aiello aveva contribuito “alle esigenze della famiglia e dei carcerati”. Lo aveva
fatto con un versamento volontario di 100 milioni di lire in una sola volta, versamento effettuato

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nelle mani di Nicola Eucaliptus. Dice Giuffrè testualmente “in modo particolare, c’è stato un
discorso che mi è rimasto particolarmente impresso, che mi dirà dell’avvicinamento del Michele
aiello a loro, cioè al nostro gruppo. E nello stesso tempo c’è un fatto importantissimo, che siamo
nelle vicinanze del Natale, però signor presidente non ricordo esattamente se era il 90 o il 91, e
Nicola Eucaliptus con un certo stupore, mi dice sai l’ingegnere Aiello oltre a essersi messo nelle
nostre mani, nell’avvicinarsi delle festività natalizie, per la nostra famiglia e per i carcerati in modo
particolare ci ha offerto la somma di 100 milioni, di allora” dice Giuffè e prosegue “diciamo che
questo è un discorso che mi è rimasto particolarmente in mente e mi serve, se ce ne fosse di
bisogno, di spinta a portare avanti Michele Aiello nell’ambito di Cosa Nostra, in modo particolare
di Bagheria. Questo, diciamo è uno dei motivi più importanti che mi porta a metterlo nelle mani
dell’atro nascente di Bagheria, Pietro Iacono, che poi siamo sempre nel contesto Provenzano”.
Giuffrè, sulla natura di questa generosa dazione, di 100 milioni di lire è stato assolutamente chiaro,
perché sul punto dopo l’esame è stato nuovamente interpellato e ha sempre ribadito che, per come
gli era stato riferito da Nicola Eucaliptus, quei 100 milioni costituivano il frutto di una vera e
propria donazione spontanea, non di un adempimento di “messe a posto” di lavoro e di altre attività
imprenditoriali. In particolare Giuffrè lo haribadito e chiarito ancora all’udienza del 9 marzo 2005,
quando uno dei difensori ha chiesto “Senta, ma Eucaliptus le disse che questi 100 milioni erano un
regalo”, Giuffrè “Eucaliptus, ripeto sempre le stesse cose avvocato, è rimasto sorpreso dell’azione
dell’ingegnere Aiello, appositamente perché era un dono, un regalo dell’ingegnere Aiello alla
famiglia di Bagheria e in particolare per i carcerati”. A seguito della contestazione di precedenti
dichiarazioni rese da Giuffrè nel corso dei suoi interrogatori al pm, Giuffrè ha ribadito e spiegato
“Signor presidente, l’ingegner Aiello non è che prende 100 milioni così, che sarebbe troppo bello,
ma sempre questo è un investimento sul futuro, perché appositamente l’ingegnere aiello ha di
bisogno perché ha dei lavori nelle zone di Caccamo e di altre parti”. Allora viene chiesto “Ma scusi,
questi sono lavori per cui lui paga già la “messa e posto”?”, Giuffrè: “ non c’entra, signor
presidente, il discorso della tangente è uno, il discorso dei 100 milioni è tutto un altro discorso”.
Insomma nelle parole di Giuffrè, per come la circostanza gli era stata rierita da Nicola Eucaliptus, la
dazione della somma serviva a Michele Aiello come prezioso passpartout per ingraziarsi in gruppo
di Cosa Nostra al quale lui si era avvicinato, quello che in quel momento faceva capo a Nicola
Eucaliptus e quindi a Bernardo Provenzano. E dunque quella dazione non aveva causa in “messa a
posto” di lavori o attività imprenditoriali, era un’altra cosa.
Giuffrè ci ha spiegato, gli equilibri mafiosi che governavano su Bagheria e ci ha detto che Bagheria,
da sempre, si dagli anni ottanta era la roccaforte di Provenzano ed infatti di Bagheria Provenzano
aveva fatto il quartier generale e, nel corso del suo esame , Giuffrè ci ha spiegato gli appuntamenti
che Provenzano teneva, vere e proprie riunioni di vertici mafiosi, siamo nella meta degli anni
ottanta, riunioni e appuntamenti che venivano organizzate da Franco Baiamonte e Nicola Eucaliptus
anche presso locali nella loro diretta disponibilità, come la casa d’abitazione di Nicolò Eucaliptus
che allora era in costruzione, in contrada Consona a Bagheria. E a Bagheria, ci ha detto Giuffrè,
Provenzano dalla fine degli anni ottanta, aveva potuto contare su diversi esponenti di punta, lui,
Giuffrè l’ha chiamata la triade: certamente Nicola Eucaliptus, che dopo l’arresto di Nino Gargano
era stato chiamato ad occuparsi della famiglia e del “discorso di Provenzano”. Lo aveva fatto, dice
Giuffrè, fino ai giorni nostri, anche con il genero Onofrio Monreale. A Bagheria Provenzano
poteva contare su Nino Gargano, che per un periodo era stato il rappresentante della famiglia, e su
… Greco, che aveva pure lui un ruolo apicale e formalmente svolgeva le funzioni di consigliere
della famiglia.
Poi, ci ha detto Giuffrè, agli inizi degli anni novanta, Nicolò Eucaliptus era stato arrestato, Michele
Aiello aveva potuto fare riferimento su di lui, su Giuffrè, per poi assumere come proprio punto di
riferimento mafioso Pietro Loiacono. Puntualizza Giuffrè “per un perdilo Michele Aiello si
rivolgerà a me per il discorso della “messa a posto” in determinate zone, su come si deve muovere,
e poi io lo metterò nelle mani di Pietro Loiacono”. Giuffrè ovviamente spiega perché si era rivolto a
lui e indica il motivo della precedente circostanza, indica il motivo della particolare vicinanza, di

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cui Michele Aiello era ben consapevole, tra Giuffrè e Nicola Eucaliptus. Ovviamente, ci ha detto
Giuffrè, lui non si era tirato indietro all’idea di sostituire, seppur momentaneamente, il punto di
riferimento mafioso per Michele Aiello, per le sue esigenze di attività, per le sue “messe a posto” e
per tutto.
In questa particolare fase, di transizione, lui personalmente, Giuffrè si era occupato delle messe a
posto delle strade interpoderali che le imprese di Aiello avevano in fase di realizzazione e aveva
costituito per lui un punto di riferimento per ogni tipo di necessità, anche fuori territorio, cosa che
sarebbe accaduta anche in futuro. Ha aggiunto Giuffrè, che si era adoperato in tal modo, anche per
questa fase transitoria, soltanto dopo averne parlato a chiare lettere con Provenzano. Chwe già era
stato informato dagli Eucaliptus sull’avvicinamento e sulle dazioni di denaro. In quel periodo, ci
dice testamente Giuffrè “non sono a conoscenza di discorsi tra Provenzano ed Aiello, per me è la
prima volta che parlo di Aiello con Provenzano, però il Provenzano era al corrente, perché
Eucaliptus si era messo a posto con il Provenzano, per meglio dire aveva informato
dell’avvicinamento del Michele Aiello prima, del discorso dei 100 milioni, e tutto. Cioè il
Provenzano sapeva tutto, nello stesso tempo mi dava lo “sta bene” perché trattavasi di persona che
si ci può affidare”.
Ci spiega Giuffrè, lo ha ripetuto anche all’udienza del 9 marzo 2005, alla domanda su cosa avesse
fatto lui Giuffrè per Michele Aiello, risponde “vado a fare da ponte di congiunzione tra lui e il
gruppo di Bagheria e Bernardo Provenzano”. E ha proseguito spiegando appunto cosa avesse fatto
per Michele Aiello, aggiungendo “Ci faccio un regalo all’ingegnere Aiello, un regalo grandissimo,
che spesso è un termine che non si viene a capire, ma è quello il passaggio che poi nel futuro si
troverà a cambiare, che gli metterò in contatto altre persone e nello stesso tempo, nel momento in
cui io parlo con Provenzano, lui è autorizzato, e lo sa e lo capisce, continuare la sua attività
tranquillamente perché ha le spalle coperte”.
Ci ha detto Giuffrè per un periodo, per quanto breve, di transizione tra Nicola Eucaliptus e Pietro
Loiacono, si erano sviluppati rapporti personali e diretti tra lui, Giuffrè e Aiello. Dice testualmente
“il discorso è continuato così, ci incontravamo presso il suo ufficio, però è stato un periodo
abbastanza limitato, poi verrà fuori la figura di Pietro Loiacono, io conoscerò Pietro Loiacono, lo
conoscerò nell’ambiente di Provenzano e arrivati a un certo punto, sempre d’accordo con
Provenzano, l’ho passato, diciamo, a Pietro Loiacono. E fino al 2001 Michele Aiello per alcuni
versi, diciamo che le notizie messe a posto e altre, mi arrivavano attraverso Pietro Loiacono e altri.
Cioè il discorso ha funzionato da allora fino a quando le condizioni permettevano il movimento del
pietro Loiacono stesso”.
E il Giuffrè ci ha spiegato chi è Pietro Loiacono e ciha detto che è un uomo d’onore della famiglia
di Bagheria, che come tale gli era stato, a lui Giuffrè, formalmente presentato come uomo d’onore,
attorno agli ani 90, e dice Giuffrè, Pietro Loiacono si abffaccerà sulla ribalta di cosa Nostra dopo
l’arresto di Gargano e quello successivo di Nicola Eucaliptus. Loiacono, ci ha detto Giuffrè,
manteneva stretti rapporti con bernardo Provenzano, si era occupato di lui subito dopo che
Eucaliptus si era trovato nell’impossibilità di provvedervi perché tratto in arresto. Con Provenzano,
ha specificato Giuffrè, Loiacono era in rapporti epistolari, tant’è che in un paio d’occasioni
Provenzano gli aveva trasmesso anche biglietti allegati che provenivano da Loiacono ed erano
appunto indirizzati a Provenzano. Si trattava di biglietti che riguardavano vicende che poi doveva
gestire lui nel mandamento di Caccamo e quindi, come soleva fare ogni tano, il Provenzano aveva
allegato alla sua lettera anche il biglietto o la copia di Pietro Loiacono.
Tra il 2000 2 il 2001, ci ha detto Giuffrè, Loiacono era uno dei punti di riferimento di Provenzano
su Baghero, e quindi, ha detto Giuffrè che dopo averne parlato con Provenzano aveva presieduto
alla presentazione formale di Michele Aiello a Pietro Loiacono. Non era una presentazione tra
uomini d’onore perché Michele Aiello non era e non è uomo d’onore normalemtne affiliato, ci ha
detto però che era una presentazione da un punto di vista formale perché loiacono veniva presentato
come lui lo stava facendo, a Michele Aiello come un punto di riferimento preciso di carattere
mafioso al di là delle appartenenze di tipo formale a seguito di combinazioni.

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E ha aggiunto giuffrè. Il rapporto traAiello e Loiacono si era sviluppato dopo la fase di Michele
Eucaliptus e dopo la fase transitoria in cui il ruolo era stato svolto da Giuffrè. In quel periodo, ha
detto Giuffrè, era stato Loiacono ad occuparsi dell’Aiello. Testualmente “dal 1994 in poi non
incontrerò Michele Aiello però io con Michele Aiello indirettamente sono in continuo contratto
tramite il Provenzano, ma io sono rimasto un punto di riferimento per fuori, buona parte dei discorsi
di Aiello per fuori passavano da me”. Lo vedremo, Giuffrè in questa fase dell’esame intendeva
riferirsi alla sua, di Giuffrè, attività di “messe a posto” che sono continuate nel 2001, per i lavori
delle stradelle interpoderali che l’impresa di Michele Aiello effettuavano fuori dalla provincia di
Palermo e in particolare in quella di Messina, e questi sono i famosi discorsi di fuori cui fa
riferimento Giuffrè.
È stato sollecitato Giuffrè su quali specifici vantaggi avessero tratto reciprocamente Cosa Nostra e
Michele Aiello dai rapporti che quest’ultimo aveva intrattattenuto con i principali vertici mafiosi di
Bagheria. E Giuffrè, nell’udienza del 9 marzo 2005 si è a lungo soffermato sulle ragioni e sui
motivi che hanno da sempre spinto Cosa Nostra ad avvicinare all’organizzazione, in varie forme,
anche attraverso rapporti di compenetrazione del tutto organici, soggetti, in particolare coloro che
esercitano attività imprenditoriali. Su questo punto Giuffrè è stato molto chiaro, testualmente “da
parte di cosa nostra c’è un discorso di natura econoca importantissimo, che va dal discorso della
tangente, dal discorso della fornitura dei mezzi, inerti, ferro, cemento, movimento terra e trasporti, e
c’è un altro motivo importantissimo, che si ripercuote sui rapporti di potere, cioè questo cunnubio
che si viene a creare tra cosa nostra e la parte imprenditoriale, automaticamente acquisisce una certa
forza cosa nostra perché sfrutterà alcuni imprenditori per trarne dei vantaggi non solo economici ma
anche favori che poi vanno ad interessare altri organi dello stato”. In una parte privata del processo
è stato chiesto a Giuffrè, se da questo punto di vista, in base alle sue conoscenze, per Michele Aiello
ci fossero stati questa tipologia di vantaggi di cui lui stesso aveva parlato, e Giuffrè ha testualmente
risposto “Aiello interessava nel discorso imprenditoriale, cioè interessava, ripeto ancora una volta,
perché erano in crisi personaggi di Bagheria e interessavano personaggi nuovi nel discorso
imprenditoriale, che poi andrà a sfociare nei discorsi della diagnostica, discorsi che vanno a
interessare contatti con i politici, con i vari assessorati e così via di seguito. E tutto questo,
tranquillamente, anche da parte di Aiello, c’è stato”. E alla sucessiva domanda, “nello specifico
quali contatti politici a favore di Cosa Nostra ha creato Aiello?”, Giuffrè ha aggiunto “Aiello ormai
faceva parte appositamente del gruppo di potere più importante di Bagheria, era una pedina di
Provenzano e della famiglia, con cui giustamente l’Aiello era particolarmente legato. E nel
momento in cui Aiello entra a far parte, non da mafioso ma, diciamo, come qualcuno che appoggia
quel gruppo mafioso, deve portare avanti quella strategia di quel gruppo e la porta avanti sia da un
punto di vista imprenditoriale, sia da un punto di vista sociale, si da un punto di vista prettamente
politico. E Aiello” ha concluso Giuffrè, “anche sotto questo profilo aveva fatto la sua parte”.
Giuffrè si è poi soffermato sui rapporti e sulle relazioni che nel tempo Aiello aveva stretto con
esponenti di famiglie mafiose diverse da quella di Bagheria. Ed in particolare con la famiglia
mafiosa di Trabia, capeggiata da Salvatore Rinella, che ne era il rappresentante, coadiuvato dai
fratelli Diego, detto Dino, e Piero Rinella. […].
Ha specificato Giuffrè che Aiello aveva rapporti con i fratelli Rinella, ha detto “sapevo che già da
quando eravamo liberi già c’era un rapporto tra Salvatore Rinella e Michele Aiello, e quando lo
stesso Salvatore Rinella era latitante so che Michele Aiello si incontrava con i fratelli e se ricordo
bene c’era addirittura il Piero che lo andava trovare di tanto in tanto a Bagheria”.
Di questi rapporti Giuffrè ci ha detto di essere stato messo a conoscenza da Salvatore rinella, che da
sempre a Bagheria aveva sempre avuto buoni rapporti con Nino Gargano e con lo stesso Aiello per
motivi di lavoro, e questi rapporti, come quelli intrattenuti dagli altri due fratelli, erano rapporti che
lo stesso Giuffrè, come capo del mandamento conosceva e aveva autorizzato.

Arriviamo al terzo profilo delle sue dichiarazioni. Giuffrè si è soffermato sulle attività
imprenditoriali nelle quali era stato impegnato Michele Aiello e si è soffermato in particolare sui

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suoi personali interventi, di Giuffrè, per la “messa a posto” di lavori ed attività. Dice Giuffrè
“Michele Aiello io l’ho conosciuto come imprenditore che si occupava, diciamo, di strade, in modo
particolare interpoderali”. Ha poi fatto riferimento Giuffrè alle stradelle interpoderali che Michele
Aiello aveva realizzato sul suo mandamento, quindi nella zona di Caccamo. A Caccamo Aiello
aveva come riferimento l’ingegnere Antonino Guzzino, uomo d’onore dell’importante famiglia
mafiosa dei Guzzino, nonché cognato dello stesso Intile, che nel mandamento di Caccamo era stato
capo, rappresentante della famiglia fino al 1994. L’ingegnere Guzzino è stato assessore
all’urbanistica del comune di Caccamo. Dice Giuffrè che il punto di riferimento di Aiello era
Guzzino Antonino, che si occupava sia per quanto riguarda tutti i bisogni di Aiello ne comune e poi,
spiega Giuffrè, avere un punto di riferimento nella zona, nel settore della realizzazione delle strade
interpoderali, significava avere un punto di riferimento utile per organizzare le diverse fasi che
precedevano la realizzazione della stradella, in particolare la costituzione dell’associazione fra
proprietari dei terreni limitrofi interessati all’opera, la scelta e la designazione del presidente
dell’associazione,, fino alla vera e propria istanza di richiesta di finanziamento al competente
assessorato e a seguire l’iter burocratico che ne derivava. Per esempio, la scelta del presidente era
importante, perché doveva essere una persona affidabile, perché era quello che doveva percepire
materialmente il contributo regionale o era quello che doveva firmare la procura per riscuotere il
contributo una volta realizzati i lavori. E poi, ha detto Giuffrè, certamente Guzzino era un punto di
riferimento, un po per la sua posizione in comune, un po’ perché era il fratello di Diego Guzzino,
aveva un’influenza forte nella scelta formalmente effettuata dall’associazione interpoderale e dal
suo presidente, ma aveva un peso nella scelta dell’impresa che doveva poi eseguire i lavori della
strada. E Aiello si avvantaggiava di questo particolare rapporto con Guzzino proprio sotto il profilo
della scelta delle sue imprese per realizzare le strade interpoderali. Ci ha detto Giuffrè che Antonino
Guzzino era deceduto sul finire degli anni novanta a causa di una grave malattia. Aiello invece non
aveva bisogno di nessun punto di riferimento e non aveva alcun problema per la gestione della
procedura, per la fase competente all’assessorato, testualmente “c’era l’assessorato con cui
l’ingegnere Aiello era, in gergo, ammanicato, e non aveva problemi in questo”. E Giuffrè ci ha
indicato la fonte di tale conoscenza, sia in alcuni uomini d’onore di Bagheria ma anche, come fonte
di questa sua conoscenza, dell’essere ammanicato con l’assessorato, anche nel contesto
imprenditoriale, in quegli imprenditori che lavoravano in concorrenza con Aiello e quindi si
opponevano, dal punto di vista imprenditoriale, al regime di sostanziale monopolio con il quale
Aiello occupava tutto il settore della realizzazione delle stradelle, in particolare nella zona di
Caccamo. Pm: lei come sa che l’ingegnere Aiello era ammanicato con l’assessorato? Giuffrè:
Signor procuratore, lo so perché come ho detto andavo a Bagheria, avevo notizie da parte di
Eucaliptus, da Pietro Loiacono, ed ero in contatto con Provenzano, che il discorso lo sapeva, ed
inoltre, diciamo altrettanto, che vi era una certa ostilità da parte di altre imprese che si occupavano
di queste costruzioni di strade interpoderali, perché diciamo, che il monopolio ce lo aveva quasi
Michele aiello e anche tra imprenditori non è che lo vedevano di buon occhio, lo stesso Michele
Aiello, per una questione di concorrenza pura. Nel mio paese vi era anche un altro personaggio
importante, lo stesso Cosimo Leone si occupava di strade interpoderali, m se ne occupava Giuseppe
Panseca insieme ad Antonino Priolo e verso Aiello, vi era un’ostilità imprenditoriale da parte di
Giusepe Panseca, uomo d’onore della famiglia di caccamo, nipote di uno dei suoi capi storici, ossia
Lorenzo Digesù. I loro rapporti, [tra Giuseppe panseca e Michele aiello] erano conflittuali, magari
come gelosia di mestiere. Perché pansefa faceva pochissime strade. A Caccamo l’Aiello era di casa,
l’Aiello andava per la maggiore perché fra l’altro, le posso tranquillamente dire, anche un altro
fatto, che il Panseca e il Digesù non erano in buoni rapporti con l’ingegnere Guzzino, in modo
particolare Giuseppe Panseca e Tonino Priolo”.
Giuffrè ci ha poi riferito di una complessa vicenda che è lo specchio di come si intrecciano interessi
particolari con gli interessi che erano riferibili all’organizzazione mafiosa, un episodio che riguarda
la realizzazione di una strada da parte dei fratelli Liberto, vicini a Giuffrè […].

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Giuffrè ha poi parlato dell’altro ruolo imprenditoriale esercitato da Michele Aiello, ossia l’attività
esercitata nel settore della diagnostica per immagini e la radio terapia. Che aveva appunto sede in
Bagheria nel centro specializzato Villa santa Teresa. “Sin dall’inizio – ci ha detto Giuffrè – questo
centro era il fiore all’occhiello di Bagheria ed è stato molto sponsorizzato nell’ambito nostro, io
sono stato subito informato che c’era questo progetto e sono stato informato per due motivi, uno di
natura, che vado a interessare cosa nostra di Bagheria per un verso e Provenzano per l’altro verso,
anche per un altro motivo, nel momento in cui si può avere di bisogno sappi che tra Michele Aiello
e noi c’è questo discorso, se avete di bisogno, a disposizione”. Questo discorso, dice Giuffrè, gli era
stato fatto in tempi diversi da due persone diverse, sia da Pietro Loiacono, sia da Bernardo
Provenzano. E ci ha detto Giuffrè che la realizzazione di questo centro avevasostanzialmente
soddisfatto anche dei precisi interessi di Cosa Nostra che Giuffrè aveva così specificato “c’è un
duplice interesse anche se diciamo che poi è sempre uno. C’è un interesse della famiglia mafiosa di
Bagheria, portata avanti da Pietro Loiacono, c’è un altro interesse anche qua duplice. Uno di natura
economica del Provenzano, e uno che vanno ad interessare la salute personale del Provenzano
stesso e non solo.
Giuffrè ha precisato che anche tali notizie avevano come fonte Pietro Loiacono e che di tali
questioni lui aveva parlato anche con Provenzano, ci ha detto “Pietro Loiacono mi ha detto che era
un discorso che interessava la famiglia mafiosa proprio di Bagheria, che la famiglia aveva degli
interessi economici e li aveva assieme allo zio, ossia a Bernardo Provenzano”. E ha aggiunto che
appunto ne aveva parlato con Provenzano, ricevendone una sostanziale conferma anche con
Bernardo Provenzano per il quale, in quel periodo, Michele Aiello era già diventato il nuovo
imprenditore su Bagheria”. E ce lo ha spiegato Giuffrè il motivo “ del provenzano comunque,
volente o dolente, Michele Aiello era un punto di riferimento preciso per tutto un complesso di
cose”. E ci ha spiegato Giuffrè che in un certo momento, che noi sappiamo essere intorno alla metà
degli anni novanta, a Bagheria molti dei personaggi più importanti dal punto di vista mafioso e
imprenditoriale, Giuffrè ci ha fatto i nomi di Enzo Giammanca e Pino Scianna, erano stati arrestati e
dunque c’era il problema per Cosa Nostra e soprattutto per Bernardo Provenzano che di queste
persone era per così dire lo sponsor naturale, c’era il problema di trovare nuove figure di
riferimento dal punto di vista mafioso e imprenditoriale. Ci ha detto Giuffrè “nel momento in cui
questi personaggi sono offuscati da tutto un complesso di cose c’è bisogno di una persona pulita,
nuova a Bagheria, e l’astro nascente di Bagheria da questo punto di vista è Michele Aiello. Per
questo i discorsi di Aiello erano di ordinaria amministrazione con lo stesso Provenzano, e questo –
ha concluso Giuffrè – si riferiva anche all’attività e ai relativi interessi che avevano sede nel settore
della sanità”.
Giuffrè ha infine fatto riferimento anche all’acquisto da parte di Aiello della struttura che ospitava
l’albergo Zabara. Questa struttura era sulla statale 113, in prossimità di Bagheria, in passato questo
albergo, che Giuffrè ha significativamente definito “l’anti zagarella”, era stato al centro di
complesse controversie e contrapposti interessi che aveva coinvolto la famiglia di Bagheria e Nino
Gargano in particolare, ai quali era sfuggito sostanzialmente il potere di controllo sulle attività che
venivano svolte in questa struttura alberghiera, che aveva dei punti di riferimento diversi, fuori da
Bagheria, benché avesse sede a Bagheria, cosa che invece non accadeva per l’hotel Zagarella che
aveva come punto di riferimento, appunto, Nino Gargano.
E Giuffrè nel ricostruire questa situazione complessa di contrasto di interessi e mancanza di
controllo sulla struttura Zabara, ci ha detto che l’acquisizione di questa struttura da parte di Aiello
aveva segnato un punto conclusivo, “l’ingegnere Aiello chiuderà il cerchio del discorso Zabara e la
famiglia mafiosa di Bagheria si metterà nelle mani l’hotel Zabara”.
Giuffrè ha poi riferito anche sulle specifiche messe a posto delle attività imprenditoriali di Aiello e
sul ruolo attivo di Giuffrè in numerose vicende che hanno poi trovato, come si vedrà , un’evidente
traccia nel contenuto di alcuni documenti, in pizzini inviati da Provenzano a Giuffrè.
Prima di entrare nello specifico delle “messe a posto” a Giuffrè è stato chiesto e lui ha spiegato le
ragioni che stanno alla base del sistema della “messa a posto”.

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A Giuffrè è stato chiesto: Pm “Lei dice che lei ha messo a posto Aiello per le strade interpoderali,
che cosa vuol dire che lei metteva a posto Aiello?”, Giuffrè “sta a significare cha Aiello come
qualsiasi altro impresa che va a fare un lavoro in una qualsiasi altra zona, alla famiglia di quel
comune, dove ricade il lavoro, deve essere versata una tangente che in linea di massima corrisponde
al 2%”. Giuffrè ha quindi precisato che tale regola riguardava indistintamente tutti, cioè compresi i
lavori , le attività realizzate da imprese che appartengono a uomini d’onore a soggetti organici a
cosa nostra. Questa regola “riguarda tutti, anche imprese di uomini d’onore” ha detto Giuffrè
“quando io ho detto tutti intendo riferirmi a tutti, cioè le posso tranquillamente dire a mo’ di
esempio che Provenzano Bernardo, a metà, attorno agli anni novanta, sul finire dell’89 aveva fatto
un lavoro grazie ad Enzo Giammanco nella zona di Castronuovo di Sicilia, mandamento di
Caccamo. La prima cosa che ha fatto, mi ha chiesto quanto doveva versare, e stiamo parlando di
Provenzano. Anche se io poi, per i fatti miei, sul Provenzano non ho fatto versare una cifra, però
tutti devono versare predendosi un lavoro, una determinata tangente. Tuttalpiù, per essere più
precisi, quando si vuole rispettare che c’è un uomo importante, una determinata persona, si ci fa
qualche sconto, questo sì”.
Lo ha spiegato Giuffrè le ragioni per le quali un imprenditore, che già gravita all’interno di Cosa
Nostra, è tenuto a versare questo obbligo contributivo. Pm “perché uno che è già di Cosa Nostra
nostra deve pagare una tangente a un'altra famiglia se va a fare il lavoro in quel posto?”, G “perché
nel momento in cui c’è un giro di soldi, che siano di natura imprenditoriale, che siano anche altri
discorsi, perché è un modo di finanziamento per la famiglia di quel luogo dove va a ricadere quel
determinato lavoro. Diciamo in assoluta franchezza che è il sistema più importante di finanziamento
delle famiglie mafiose, in modo particolare dell’entroterra siciliano. Oltre al discorso della tangente
– ha aggiunto G – su quella zona l’imprenditore che fa un determinato lavoro si deve appoggiare
per quelle che sono le forniture di materiali, di quelle che sono i movimenti terra, a tutto un
complesso di altre situaizoni”.
Giuffrè ci ha detto di essersi personalmente occupato di alcune messe a posto per la realizzazione di
strade interpoderali realizzate da Michele Aiello, sia nella provincia di Palermo che in altre
provincia, in modo particolare nel periodo del 2000 nella provincia di Messina. Ha spiegato come
funzionavano i distinti passaggi attraverso i quali si completava la messa a posto di Michele Aiello
per quanto riguarda le strade interpoderali, ci ha detto “Michele aiello nel momento in cui si
accingeva a costruire una determinata strada, parlava con Bagheria, Bagheria, con Pietro Loiacono,
o con altri che c’erano in quel periodo, fava pervenire al Provenzano e il provenzano, se erano
discorsi che dovevo fare io me li passava a me. Successivamente , sempre per le stesse mani, finito
il lavoro, Michele Aiello mi faceva pervenire attraverso lo stesso passaggio, i soldini che poi li
facevo pervenire alla famiglia delle zone dove ricadeva il lavoro”.
G. ha spiegato che ogni volta che Aiello e chicchessia deve iniziare un lavoro, deve andare a
mettersi a posto, deve dire che deve portare i mezzi in quel determinato territorio a dire che è a
disposizione. “Quando si dice “a disposizione” si dice per versare la tangente primo, per secondo
per quella che è la zona di bisogno per quanto riguarda i materiali. Dopo di ciò – ci ha detto G –
inizia il lavoro. Finito il lavoro, e in linea di massima non sono lavori di grande entità quelli di
Aiello, successivamente, nel momento in cui incassa il mandato Aiello, prenderà i soldi, che in linea
di massima sono il 2%, e la strada era sempre la stessa. Due anni fa la messa a posto, poi
consegnerà anche i soldi: cioè nel momento in cui io mettevo a posto a messina un lavoro di Aiello
io per messina sono la persona responsabile per andare a versare i soldini, ma non solo, sono
responsabile per tutti i discorsi di Aiello, cioè anche nel momento in cui aiello o chicchessia
dovrebbe fare una cattiva figura nei confronti delle persone del posto vengono a cercare sempre a
me”.
G. a precisato che il punto di incontro tra lui e Bagheria era sempre Provenzano “il discorso parte da
Aiello, nello specifico, Aiello-Pietro Loiacono. Pietro Loiacono –Provenzano, Provenzano –me per
quanto riguarda la messa a posto, stesso discorso, stesso passaggio per quanto riguarda i soldini”. Ci

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ha detto di ricordare che nell’ultimo periodo l’aiello aveva fatto molti lavori nel territorio di
Caccamo e nel 2000-2001 molti lavori nel territorio di Ciminna. […].
G. ci ha spiegato che la cifra per la messa a posto corrispondeva a sette milioni di lire per strada e la
datione ha un valore complessivo di 400 milioni di lire che era il valore dei lavori finanziati e
realizzati per ogni singolo lotto di lavori, per ogni strada.
A conclusione del suo esame, G. ci ha puntualizzato chi è Michele Aiello, nell’udienza nel 9 marzo
2005, “M. A. è un adulto, un emancipato, comincia a muoversi per i fatti una volta tracciata la
strada, e in parte in questo ho dato anch’io il mio contributo, e Michele Aiello sarà negli anni 90 e
parte del 2000 il fiore all’occhiello anche di Provenzano”.
Quindi Giuffrè chiama in causa complessivamente Michele Aiello non solo come soggetto
perfettamente inserito nell’ambito di cosa nostra e particolarmente legato, sotto questo profilo, agli
esponenti di vertice che nel tempo hanno retto le sorti della famiglia mafiosa di Bagheria o ne sono
stati i punti di riferimento, Nino Gargano, Nicola Eucaliptus, Pietro Loiacono. Ma soprattutto G.
indica Michele Aiello dal punto di vista mafioso, come un soggetto pienamente organico dentro
cosa nostra, al sistema provenzano, di quel sistema, ha detto g. “Michele aiello era un anello
importante”. Alla fine del suo esame lo ha definito “il fiore all’occhiello”.
Non c’è dubbio che queste dichiarazioni, lunghe e complesse devono essere analizzate all’ambito
del paradigma probatorio che ci pone l’art192 terzo comma del codice di rito, sui cui criteri, da
ultimo e proprio in riferimento alla prova nel reato associativo di tipo mafioso, è intervenuta con
una sentenza importante la cassazione a sezioni unite, faccio riferimento alla sentenza 12 luglio
2005, la famosa sentenza “Mannino”. Questa sentenza è nota, anzi notissima, per i principi dettati in
materia del reato di partecipazione all’organizzazione di tipo mafioso, sul finire della motivazione
la sentenza contiene un altro importante arresto, che noi condividiamo, in materia di parametri di
valutazione nella chiamata di correo nel reato associativo di tipo mafioso. […].

Nel caso di Aiello, il ruolo ovvero la funzione nei quali è concretizzato il suo fare parte, devono
individuarsi in primo luogo in quello connesso allo svolgimento della sua attività imprenditoriale
nel rispetto del patto di protezione contratto con l’organizzazione, e quindi deve essere riscontrata la
concreta disponibilità ad adempiere agli obblighi di finanziamento, ad adempiere alla disponibilità
all’assunzione. Ma nel caso di Michele Aiello, la peculiarità della sua posizione, del suo ruolo, sono
dati anche da un ruolo autonomo che è quello del procacciamento e comunicazione di informazioni
di vitale importanza per l’organizzazione.
Allora sulla scorta di questi principi devono essere analizzati i numerosi elementi di riscontro, che
con riferimento alle dichiarazioni rese da Antonino Giuffrè sono stati raccolti nel corso della
complessa istruttoria dibattimentale.
Da un primo esame di massima delle dichiarazioni di Antonino Giuffrè, Michele Aiello si presenta
come un imprenditore organico, che trae vantaggi dall’organizzazione mafiosa e che a sua volta
adempie esattamente, in termini civilistici, a tutti gli obblighi derivanti dal vincolo associativo,
primo fra tutti quello di finanziamento. Da quelle dichiarazioni emerge ancora che M A, come
imprenditore organico ha in concreto reso quegli ulteriori favori, quelle prestazioni a carattere
speciale che G ha sintetizzato in due battute dicento che cosa nostra sfrutterà alcuni imprenditori per
trarne dei vantaggi non solo economici ma anche favori che poi vanno ad interessare anche altri
organi dello Stato. Sotto questo profilo, G. ci dice che A è contraente del patto di protezione e ha
adempiuto esattamente le sue prestazioni di finanziamento, assunzioni. Ci dice anche che m. A. ha
anche effettuato altre prestazioni di carattere speciale: sotto questo profilo l’istruzione
dibattimentale ha evidenziato che questi speciali favori si sono materializzati tra l’altro
nell’acquisizione di informazioni riservate rivelatisi strategiche per l’organizzazione mafiosa e in
particolare al suo capo Provenzano, consentendogli di eludere gli effetti di diverse importanti
attività investigative condotte sul territorio. Il particolare attivismo di m.a. in questo settore
concorre ad enucleare un autonomo e distinto ruolo nel quale si articola la condotta associativa che
viene contestata sotto il profilo dell’articolo 416bis.

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Viene contestata sulla scorta di elementi di prova che in questo processo si atteggiano in modo
sostanzialmente autonomo rispetto alle dichiarazioni di Giuffrè, pertanto saranno oggetto di un
successivo e distinto esame, ruolo autonomo e distinto, risultandovi peraltro strettamente connesse
anche la posizione del coimputato Giorgio Riolo.
Dunque le dichiarazioni di giuffrè vanno riscontrate in primo luogo in riferimento all’esercizio
dell’attività imprenditoriale esercitata da aiello e tale vaglio deve essere condotta sotto il profilo
degli intrecci di interessi che lo svolgimento di queste attività ha garantito, e avendo in particolare
riguardo ai reciproci vantaggi che sono scaturiti dal rapporto organico di qualificata appartenenza
all’organizzazione mafiosa di Michele aiello. L’esame e la valutazione di questo intreccio di
interessi evidenzia il ruolo di imprenditore protetto, e quindi che si è giovato del determinante
appoggio dell’organizzazione mafiosa, ma evidenzia nel contempo l’adempimento delle
controprestazioni, evidenzia il ruolo di finanziatore il particolare reticolato delle relazioni mafiose
attraverso cui tali interessi, prestazioni e controprestazioni hanno trovato realizzazione.
Partiamo dalle attività imprenditoriali: Giuffrè ci ha fornito indicazioni sul contesto relazionale del
padre dell’ingegnere Aiello, Gaetano, dicendoci che aveva delle cointeressenze economiche
nell’ambito della famiglia mafiosa di Bagheria. Questa circostanza, di contesto, ha formato oggetto
dell’esame dello stesso Aiello che all’udienza del gennaio 2006 ci ha detto testualmente che “la
famiglia dei Mineo è la sotria della mafia di Bagheria, e che la mafia d bagheria aveva sottratto
l’impresa a suo padre quando i Mineo avevano imposto a suo padre la costituzioni di
un’associazione temporanea di imprese che poi era stata abbandonata da Gaetano Aiello”. Sul punto
significative indicazioni ci sono state fornite da un testimone, Domenico Pancera […]

Giuffrè ha riferito dell’attivissima presenza di Michele aiello nel settore della costruzione delle
strade interpoderali. La presenza di Michele Aiello nel settore della realizzazione delle strade
interpoderali ha occupato gran parte dell’istruttoria dibattimentale, e in particolare ricostruita dal
maggiore Stefano Sancricca e dal Maggiore Michele Miulli che sentiti nelle udienze di febbraio
2005, ci hanno in primo luogo riferito attraverso quali società aiello ha operato in tale settore, le
loro compagini e le vicende che avevano caratterizzato la gestione di tali società […]

Aiello, dice Giuffrè ha lavorato in regime di quasi monopolio, ha lavorato nella provincia di
Palermo, lo ha fatto soprattutto nella zona di caccamo e in quella zona ha avuto un punto di
riferimento essenziale in Antonino Guzzino, fratello di Diego Guzzino, elemento di spicco della
locali famiglia mafiosa. G. ha indicato come fonte della sua conoscenza non solo la sua esperienza
come capomandamento diretto di Caccamo ma anche, che queste notizie lui le aveva apprese sia in
ambito mafioso di bagheria che in un contesto non mafioso, di tipo imprenditoriale, da parte di
quegli imprenditori, semplici concorrenti di Aiello nella realizzazione delle strade interpoderali e
dei quali Giuffrè aveva appreso le lamentele perché tutti i lavori li faceva Michele Aiello.
Noi dobbiamo cercare il riscontro in questa duplice direttrice: qualche preziosa indicazione ci viene
fornita da Angelo Siino, collaboratore di giustizia, la posizione, il ruolo interno a cosa nostra, la
scelta di collaborare, la storia di Siino sono ampiamente ripercorse e tracciate in alcune sentenza
definitive, alcune acquisite […]. Angelo Siino è stato sentito durante l’udienza dell’8 giugno 2005 e
ci ha riferito sul punto di una particolare circostanza, ha detto che avendo intenzione di ottenere un
finanziamento da parte della regione siciliana per trasformare una stradella interpoderale una
vecchia trazzera che attraversava una proprietà di sua madre in contrada Cerasa d Monreale, nel
1997 aveva preso contatti con certo Serafino Morici, “un personaggi certamente vicino a Cosa
nostra ma non di grande pese”. Dopo aver preso contatto con Morici lo aveva mandato
all’assessorato all’agricoltura. Dice Siino “dove potevo mandarlo? all’assessorato all’agricoltura,
dove facevano questo tipo di finanziamenti e lui di ritorno mi aveva detto “angelo, non c’è chi ffari,
perché bisogna rivolgersi a questo ingegnere Aiello. Mi venne a dire subito “Angelo, guarda che per
avere fatta la stradella a cerase l’unica persona che ti devi rivolgere è a Bagheria”, “ma Bagheria,
chi?” “Aiello” “ma scusami, Aiello chi?” “l’ingegnere Aiello” al che insomma ero un po’

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esarcebato dal fatto di essere stato in galera, di essere stato male, e me ne uscii con una forte
espressione “ma chi cavolo è questo aiello? O la fa o non la fa, e va beh vedremo chi è questo
ingegnere Aiello dai bagarioti, a Bagheria, ora lo vediamo…”.
Poi ci dirà Siino di avere colto in una particolare occasione di incontro con particolari personaggi e
con Lorenzo Vaccaro, uno dei capimafia del nisseno, e Lorenzo Vaccaio, con parole colorite gli
aveva sostanzialmente detto chi era questo ingegnere Aiello di Bagheria, una persona che aveva
protezioni importanti perché molto vicina a bernardo provenzano. Indicazioni del tutto analoghe e
riferibili alla zona di Caccamo ci sono state riferite anche una altro collaboratore di giustizia che
abbiamo sentito nel dibattimento e cioè Salvatore Barbagallo. Anche per Salvatore Barbagallo
inserimento mafioso e collaborazione, etc. mi riporto alle sentenze definitive dove sono contenute
valutazioni sia sull’inserimento mafioso sia sul percorso collaborativi di Barbagallo, sicuramente la
sentenza del tribunale di palermo in data 2 marzo 2002 nei confronti di Simone Castello,
sicuramente la sentenza della corte d’assise di palermo, anch’essa definitiva, in data 13 marzo 1999
contro Andrea Cottone e altri.
Anche Barbagallo Salvatore è stato sentito all’udienza dell’8 giugno 2005, e barbagallo ha
ricostruito i suoi rapporti di conoscenza con Michele Aiello datandoli agli inizi degli anni ottanta, e
ci ha detto che all’epoca l’ing aiello era un giovane professionista che faceva capo alla calcestruzzi
termini, famosa calcestruzzi di Termini Imerese, dove barbagallo come longa manus di Giuseppe
Panseca era addetto agli uffici di ragioneria. Ci ha detto in quegli anni aiello andava alla
cancestruzzi per rifornirsi di calcestruzzi per la realizzazione di strade nei dintorni e che con aiello
aveva avuto dei rapporti non sempre lineari, nel senso che ci furono delle discussioni sulla qualità di
alcune forniture di calcestruzzi in relazione alle quali a un certo punto cessò di fornirsi presso la
calcestruzi termini. In quel periodo Salvatore Barbagallo, lui dice forse verso il 1996 forse dopo,
aveva ricevuto un incarico da parte di Giusepe Panseca, il suo punto di riferimento mafioso, il uale
dicendogli di essere stato interessato da parte di antonino Giuffrè, si era recato a bagheria presso
l’ufficio dell’ing aiello e – ci ha detto barbagallo – che questa volta nono aveva trovato più il
giovane professionista che aveva conosciuto alla calcestruzzi ma un professionista affermato, in
uffici importanti, con particolari di un certo tenore. Si era recato dall’ing aiello per ritirare una busta
con dei soldi dentro che lui poi aveva portato a caccamo e consegnato a giusepe panseca, venendo a
sapere – ci ha detto Barbagallo – che si trattava di solfdi che l’ing doveva versare perché in quel
periodo realizzava moltissime strade interpoderali nella zona di caccamo. Ci ha detto Barbagallo
che anche Panseca si occupava insieme ad un altro imprenditore di nome Priolo di strade
interpoderali che voleva realizzare nella zona di Caccamo. E Panseca si era lamentato “in modo
forte” della presenza che lui aveva giudicato eccessiva di Michele aiello nella zona di caccamo, che
tra l’altro era la zona di Giuseppe Panseca.
E ci ha raccontato B. che panseca dicendogli queste cose gli aveva detto “Aiello Michele, Aiello
Michele, sempre aiello ogni qualvolta lui cercava di prendersi un lavoro [lui, panseca] il lavoro era
sempre già preso, cioè lo doveva fare Michele aiello con le sue imprese.
Ci ha detto poi barbagallo che panseca, in occasione della consegna della busta, gli aveva
esplicitamente detto che Michele aiello aveva, testualmente “un’esclusiva sulle strade interpoderali,
un po su tutta la provincia di palermo, in particolare sulla zona di caccamo. Doveva realizzare
strade interpoderali e ancora non si era presentato a pagare, nel senso che non si era presentato da
nessuno lì a dire se poteva farlo e quanto doveva pagare”. Salvatore Barbagallo ha aggiunto che
pochi giorni dopo a questo fatto, ossia il ritorno e consegna della busta, panseca era tornato alla
calcestruzzi, lo aveva chiamato e lo aveva mandato di corsa dall’ingegnere aiello per restituirgli la
busta che aveva ricevuto pochi giorni prima, dicendogli in buona sostanza che Michele Aiello era
un protetto di bernardo provenzano. Barbagallo ci ha detto che adempiendo all’incarico conferitogli
da panseca siera recato a Bagheria, era andato presso gli uffici di Michele aiello, gli aveva
personalmente consegnato la busta con i denari e, almeno così gli era apparso, aiello aveva
considerato quella restituzione un fatto assolutamente normale, un fatto quasi scontato, tanto quanto
si era invece meravigliato l’aiello quando lui si era presentato per esigere denaro e busta. Ora questo

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specifico episodio, della busta, non è stato confermato da Antonino Giuffrè, il cui ruolo non
risultava direttamente al barbagallo, il barbagallo non aveva cioè diretti con Giuffrè, ma gli era stato
riferito l’interessamento del giuffrè da giuseppe panseca, che ovviamente, poteva avere molte buone
ragioni per tirare in ballo giuffrè come mandante di una vicenda tanto delicata, tanto da farne il
nome con barbagallo.
Comunque per questo aspetto, al di là di ogni plausibile giustificazione, per questo aspetto per lo
specifico fatto che rimane privo di riscontro, la dichiarazione di barbagallo non può certo costituire
una fonte di prova contro aiello, però posso essere certamente utilizzate le altre circostanze sempre
riferite da barbagallo che invece sono del tutto coerenti con le altre risultante processuali che lo
confermano e in particolare il regime di quasi monopolio esercitato da Michele Aiello nella
provincia di palermo e in particolare nella zona di Caccamo. E sotto il profilo in questione, va
specificato che le dichiarazioni di Barbagallo nel loro nucleo essenziale sono state rese all’inizio
della sua collaborazione con la giustizia e siamo nel 1995-96 quando, come vedremo, aiello era un
perfetto sconosciuto. E così al racconto di barbagallo che risale a quegli altri e che contiene
certamente un nucleo di circostanze riscontrate da altri elementi di prova, va riconosciuta il crisma
della genuinità.
Ma che Michele aiello gestisse gran parte dei lavori nella zona di caccamo era circostanza, ci ha
detto barbagalo, che gli era stata riferita non solo da giuseppe panseca, mafioso imprenditore, ma
anche da un altro soggetto che, dico io è un imprenditore mafioso, e cioè Dolce Sebastiano. Ci ha
detto narbagallo di aver incontrato diverse volte e aver commesso dei reati con dolce Sebastiano, in
materia di gestioni dei lavori pubblici, in materia di appalti, di combine di appalti, e dolce
Sebastiano si era lamentato con lui del fatto che aiello facesse lui tutti i lavori nella zona di
caccamo, agli inizi degli anni novanta, quando praticamente si era svolta una gare per la
realizzazione del parco urbano nella zona di caccamo. L’udienza del 5 giugno 2007 è stato sentito
in qualità di indagato di reato connesso l’imprenditore mafioso Sebastiano dolce, che ha
ovviamente escluso di aver mai parlato con barbagallo della gestione dei lavori nella zona di
caccamo, e ha escluso di aver mai fatto riferimento al ruolo che Michele aiello vi avrebbe avuto, in
posizione predominante, considerato – ha detto dolce – che lui questo aiello manco lo conosceva.
Ma Sebastiano Dolce ci ha detto anche una seconda cosa, durante la sua deposizione perchè ha
escluso di sapere chi fosse Michele aiello ma ha escluso anche di aver avuto rapporti di alcun
genere con salvatore barbagallo che conosceva, ci ha detto, “solo per averlo visto qualche volta
negli uffici di giuseppe panseca”, con il quale lui, dolce, in associazione temporanea di imprese, si
era aggiudicato dei lavori che poi aveva fatto da solo panseca. Per dire quale era nella testa di dolce
lo stato dei rapporti con salvatore barbagallo. Dice dolce “ i miei rapporti con salvatore barbagallo
erano buongiorno e buonasera e qualche battuta nell’ufficio del dottor panseca. Punto e basta”.
Certo, diciamo noi, punto e basta, peccato che per questo buon giorno e buona sera sebastano dolce
ha poi chiesto, lui stesso e ottenuto, l’applicazione della pena per concorso esterno in associazione
mafiosa, commesso, manco a dirlo in concorso con quello stesso barbagallo che dolce ci ha detto di
non aver mai conosciuto. Faccio riferimento alla sentenza definitiva del gip presso il tribunale di
palermo in data 14 maggio 1999, acquisita all’udienza del 20 giugno 2007, e basta leggere il capo
di imputazione per capire di cosa stiamo parlando.
La deposizione di Sebastiano dolce in quest’aula è durata pochissimi minuti, in tutto 3 pagine di
trascrizione, durante le quali Sebastiano dolce ha detto sostanzialmente due cose, su una ha mentito
completamente, quella dei suoi rapporti con barbagallo, co l’altra valuterà il tribunale quale
attendibilità può avere.
Sulla stessa questione dell’attività imprenditoriale di Aiello di “quasi monopolio”, come le ha
definite giuffrè, abbiamo sentito un altro imprenditore che opera nella zone ricompresa nella zona di
caccamo e che si chiama Sebastiano iuculano e che abbiamo sentito come indagato di reato
connesso all’udienza 15 maggio 2007. Iuculano è un imprenditore del settore edilizio, è stato sentito
come indagato di reato connesso perché il suo nome è stato scritto nel registro degli indagati per il
reato di concorso esterno in associazione mafiosa, ma poi la sua posizione è stata archiviata. Ci ha

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riferito che nel corso degli ultimi 20 anni aveva realizzato tra mille difficoltà, pur avendo intenzione
di impegnarsi nel settore, soltanto tre strade interpoderali tra il 19982-96, a un certo punto aveva
addirittura rinunziato all’idea di realizzare altre strade interopoderali e riferendosi agli uffici del
genio civile ci ha detto, “ho rischiato per farmi arrestare là dentro per un mio diritto, non ci vado
più”. Nel 1996 in una specifica occasione lui aveva in corso di finanziamento una domanda per la
realizzazione di una stradella interpoderalare in contrada Malluta, Cerda, paese d’origine dello
Iuculano. Ci ha detto che come tutti gli altri imprenditori e tecnici seguivano passo passo
l’istruttuoria delle pratiche e quindi se ne era andato di buon mattino all’ufficio del genio civile per
seguire l’iter della sua pratica […].
A fronte di queste prime emergenze, Aiello si è difeso e ci ha fornito una serie di numeri e una
spiegazione di carattere preliminare. I numeri, che ci ha fornito aiello dovrebbero dirci che le sue
imprese non hanno acquisito alcuna posizione predominante o ancor meno di monopolio nel settore
della realizzazione delle stradelle interpoderali, la spiegazione logica invece è funzionale a
contestare in radice la stessa possibilità che anche ove si sia realizzata, questa posizione
predominante non sarebbe comunque il frutto di atti di imposizione, di un ausilio di tipo mafioso
perché, ci ha detto in sostanza aiello, le imprese che realizzavano i lavori venivano liberamente
scelte dalle diverse associazioni interpoderali che si istituivano proprio a tal fine.
I numeri: 8 marzo 2006, nel corso dell’esame Michele aiello ha quantificato il numero delle strade
interpoderali nelle quali erano state impegnate le sue imprese “con riferimento a tutto il territorio
della regione siciliana abbiamo presentato 1080 progetto, ne abbiamo realizzati 289” e ha precisato
che “in quota percentuale rispetto a quelli presentati da noi siamo sull’ordine del 20%”. Michele
aiello ha poi precisato che con riferimento al dato complessivo e avendo come termine di
riferimento il numero di stradelle finanziate e realizzate, testualmente “se si guarda il dato palermo
– intendeva la provincia di palermo – possiamo arrivare anche alla percentuale del 30 % rispetto
alle opere globalmente finanziate, sul dato globale regionale noi potremmo essere in ordine al 10%
orientativo, non ho i dati ufficiali potrei anche discostarmi”. Poi in sede di contro esame,
all’udienza del 14 marzo 2006 e facendo riferimento ai documenti che nel frattempo erano stati
depositati su iniziativa della difesa aiello ha fornito dati più precisi, infatti, domandato sul punto ha
detto “ho il dato ufficiale di tutte le strade interpoderali che sono state finanziate dall’assessorato
regionale agricoltura e foreste e sono 2151 strade complessivamente realizzate nel territorio
siciliano, tutte fino al decreto del 2002 in relazione al programma del 1991. – è ancora aiello che
parla – cioè tutte le strade interpoderali realizzate nel territorio regionale sono 2151, e quelle da noi
realizzate sono 289”.
Ripeto, ha dato questi dati avendo come punto di riferimento un serie di elenchi depositati dalla
difesa. Il geometra antonino puleo lo abbiamo sentito all’udienza del 10 novembre 2006. Il
geometra puleo non è uno dei geometri di Michele aiello, Antonino Puleo è Il geometra di Michele
aiello, perché alla specifica domanda su quante strade interpoderali avesse realizzato lui ci ha detto
1089, “per chi?” “per Michele Aiello”, quante strade interpoderali aveva progettato per altri
“nessuna”. Quindi antonino puleo, peraltro associato al geometra antonino cusimano in uno studio,
è il geometra di Michele aiello.
Ci ha detto Puleo che insieme al geometra cusimano avevano presentato fino al 1995, per conto
dell’ing, aiello e quindi in collaborazione con le sue imprese 1058 progetti per strade interpoderali,
realizzandone 289. Ne corrispondente periodo e cioè – ci ha detto puleo – nel 1978-79, fino al 2003
sono stati realizzate in tutta la Sicilia circa 2000 stradelle interpoderali. Quindi ha confermato il
dato globale fornito anche dall’ingengere aiello, 2151 strade interpoderali realizzate
complessivamente da sempre sul territorio siciliano e a fronte di questo dato, 289 realizzate dalle
imprese di Michele aiello su 1058 progetti presentati. Alcuni dati utili ci sono stati però forniti dal
maggiore Miulli che ci ha quantificato il dato complessivo dei progetti ammessi al finanziamento
nel decennio 93-2003. Ha detto Miulli: “abbiamo acquisito presso l’assessorato regionale
agricoltura e foreste un elenco di strade che sono state ammesse a finanziamento nel decennio 93-
2003, accertando che in quel periodo ha finanziato 727 progetti, in altri termini – ha precisato il

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maggiore Miulli – sono stati erogati 727 in favore di queste associazioni per la realizzazioni di
strade di penetrazione agraria. […]
Quindi noi sappiamo che negli ultimi 15 e passa anni l’assessorato all’agricoltura ha proposto due
programmi di intervento, uno nel 1985, uno nel 1991. Dopo allora non ci sono stati più altri
programmi di intervento deliberati dall’assessorato ne, tanto meno ovviamente, approvati dalla
giunta regionale di governo. Sappiamo che il programma di intervento approvato nel 1991 – ce lo
dice Puleo – prevedeva più di 3700 richieste, cioè nel programma di intervento c’era un elenco di
più di 3700 richieste, ma ci ha detto puleo la copertura finanziaria per quelle domande, nel 1991 era
per meno di 600. Sappiamo che dal 1993-2002, sulla base dei programmi di intervento approvati nel
85 e nel 91, sono state in concreto realizzate 700 strade. Allora per meglio capire che cosa
significano questi numeri e coglierne la specifica inferenza con quanto sul punto hanno
concordemente dichiarato Giuffrè, barbagallo, Siino e che ci ha confermato Iuculano, occorre
disaggregare questi dati numerici.
Occorrre disaggregare questo dato numerico complessivo, innanzitutto per un semplice banalissimo
motivo, perché sia giuffrè, barbagallo, siino e iuculano hanno tutti fatto riferimento e
specificamente localizzato nella provincia di palermo lo stratopotere di Aiello nel settore delle
strade interpoderali. Mentre il dato complessivo che ci è stato fornito in valutazione, 289 strade
realizzate dalle imprese aiello contro le 2151 finanziare e realizzate complessivamente, si riferisce
appunto a tutto il territorio della regione siciliana. Non solo ma è lo stesso aiello che ci ha detto che
in diverse province della regione siciliana, dove risultano realizzate molte strade interpoderali, lui
con le sue imprese non ne aveva realizzata nemmeno una. Ora come si desume dai documenti 33 e
36 del secondo elenco prodotto dalla difesa aiello, noi possiamo disaggregare un primo dato. E cioè
è vero che le imprese aiello hanno realizzato in tutto 289 strade interpoderali ma è vero che di
queste 289 ben 184 sono localizzate tutte nel territorio della provincia di palermo. Oran i non
abbiamo il dato di tutte le strade interpoderali finanziate e realizzate nella sola provincia di palermo,
da tutte le imprese, e dunque non siamo in condizione di calcolare la percentuale di quelle riferibili
alle imprese di aiello. Aiello ci ha detto che la percentuale di quelle realizzate dalle sue imprese,
nella sola provincia di palermo è comunque prossima la 30%. E questo è certamente un dato di per
sè significativo ma è un dato ancora più significativo ove si tenga conco anche di un’altra
circostanza. E cioè, dire che le imprese di aiello hanno realizzato il 30% delle strade interpoderali
finanziate e realizzate nella provincia di palermo, di per sé ha un significato assolutamente limitato
se non si dispone dell’altro dato su cui parametrare questo dato percentuale. Un altro dato che deve
essere costituito dalla quota percentuale dei lavori realizzati dalle altre imprese. Ed è chiarissimo il
motivo, perché è chiaro è una cosa è se il restante 70%, ammesso che quello sia un 30% che per ora
prendiamo per buono, una cosa dicevo è se il restante 70% dei lavori se lo sono divoso soltanto 2, 3,
4, imprese, allora noi possiamo trarre una conclusione, ossia che intorno ad un’impresa che occupa
il 30% del mercato, ce ne sono 2 o 3 che ne occupano il 70%, e cioè che accanto alla posizione di
quasi monopolio di aiello ci sono altre posizioni altrettanto ed egualmente significative, che
possono aggiungersi. Ma c’è un altro dato, che è completamente diverso. È completamente diverso
se invece i lavori corrispondenti alla quota residua del 70% si sono spalmati sdu un numero
maggiore di imprese in modo che ciascuna di esse ne ha realizzato solo una piccola quota
imprenditoriale, quindi abbiamo una realtà imprenditoriale che occupa una quota del 30% del
mercato e poi abbiamo una miriade di imprese che occupano con percentuali bassissime tutto il
sestante segmento del mercato. Allora sì che il 30% dei lavori effettuati dalle imprese di Michele
aiello assumerebbe una connotazione ancora maggiore, diventerebbe una quota di quasi monopolio
o una posizione certamente predominante. Ora, noi durante il dibattimento l’abbiamo raccolta la
testimonianza di due imprenditori che fanno strade interpoderali e sotto questo profilo Sebastiano
Iuculano e Nicolò Testa di strade interpoderali ne hanno realizzate ben poche, Iuculano 3, dal 1992
e il 1996, Testa ci ha detto che dopo il 1992 di strade interpoderali ne ha realizzate in tutto, no
ricordava bene, 8 o 10, e ricordava che la maggior parte di queste strade erano state realizzate ad
Agrigento Enna e caltagirone. Ma sempre dal punto di vista di numeri c’è un secondo profilo che è

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altrettanto se non più interessante rispetto a quello cui ho fatto finora cenno. Motivo per cui i
numeri globali vanno disaggregati. Giuffrè ci ha dato un’indicazione, guardate Michele aiello è
l’imprenditore che fa le strade interpoderali in provincia di palermo e in particolare nella zona di
Caccamo perché ha le spalle coperte, ha l’appoggio di cosa nostra, Provenzano, Bagheria, ci sono io
, etc.
Però giuffrè ci ha datato questo avvicinamento, ci ha parlato della fine degli anni 80, del natale 90-
1991, e ci ha detto che da quel momento in poi si era realizzato l’avvicinamento di Aiello
all’organizzazione mafiosa, a Eucaliptus, a bernardo provenzano, consegna la famosa dazione dei
100 milioni. Allora noi questo dato lo dobbiamo disaggregare perché è nel periodo successivo la 90
e 91 che dobbiamo capire, valutare che cosa è successo. Ed è soprattutto con riferimento a questo
momento successivo che il dato numerico disaggregato ci offre delle indicazioni ancora più puntuali
e pertinenti. In altri termini, se Michele aiello si avvicina alla famiglia mafiosa di bagheria,
provenzano, eucaliptus e gli altri, nel 91 noi dobbiamo verificare se dopo tali anni, si registra come
effetto di tale avvicinamento un significativo incremento rispetto al dato precendente delle strade
realizzate da Michele aiello, sì da dire che questo incremento ha una sua ragion d’essere, una radice,
nell’avvicinamento di Michele aiello alla mafia che conta, quella che negli affari detta legge, quella
di bernardo provenzano.
Proviamo a disaggregare questo dato. Sappiamo – ce lo ha detto Miulli – che tra il 93 e il 2003 in
tutta la Sicilia sono state finanziate 727 strade interpoderali e sappiamo che nell’ultimo programma
di intervento approvato, cioè quello del 1991 figuravano 2700 domande inserite. Di queste 727
strade interpoderali realizzate nel decennio ben 181 risultano essere state realizzate dalle imprese di
aiello dal 26 settembre 1991 fino al 26 febbraio 2002. Nel periodo precedente, quello del 24 ottobre
1979 – faccio riferimento ai dati degli elenchi depositati dalla difesa - al 15 ottobre 1990, che è
l’ultima strada realizzate prima di quella del 91, le imprese di aiello avevano realizzato 108 strade
interpoderali, 108 strade per le quali erano intervenute il verbale di collaudo.
Un dato che già di per sè evidenzia un significativo, assolutamente significativo, perché siamo quasi
vicini a un aumento in percentuale del 90%, un incremento di strade realizzate. Un incremento che
è ancor più significativo perché va riferito delle 3700 strade contenute nel documento di intervento
approvato. Ed è un dato di incremento che è significativo da un punto di vista generale, e
certamente non è che in Sicilia l’esigenza di realizzare strade interpoderali non c’era negli anni
ottanta e invece c’era negli anni novanta, ed è un dato di incremento, quasi vicino al 905 sul dato
generale, diventa ancora più significativo e va oltre il 100% proprio in quelle zone indicate da
Giuffrè e da Barbagallo come quelle nelle quali il superpotere di aiello si è manifestato , per capirci
la provincia di palermo e il territorio di caccamo. E allora disaggreghiamo il dato soltanto sulle zone
relartive al mandamento di caccamo: se analizziamo i dati numerici abbiamo questi dati, per le
ragioni bipartisan che ci hanno fornito da una parte Antonino Giuffrè e dall’altro l’architerro
Nicosia, loro ci hanno spiegato come si configura il territorio di caccamo e quello prossimo,
confinante con il comune montemaggiorebelsito, e ci hanno spiegato che è un comune che entra a
cuneo fino a dentro all’altro paese, basta pensare che nell’associazione interpoderale dei fratelli
liberto, che tutto il mondo sa che sono di caccamo, la presidenza era di Nicosia che è di
montemaggiore, conseguenza della particolare configurazione territoriale. Configurazione
territoriale che impone di considerare insieme il dato relativo ai due comuni, caccamo e
montemaggiore.
Le imprese di aiello hanno realizzato dal 1991 in poi 19 strade a caccamo e 10 a montemaggiore,
per un totale di 29 strade su questi due territori dal 1991. Non solo, ma ll’interno dei 10 anni, c’è un
dato che diventa ancora più significativo, che di queste 19 strade di caccamo ben 17 sono state
realizzate dal 1996, su 10 strade realizzate a montemaggiore, 8 sono state realizzate del 99 e il
2000. Confrontiamolo con gli anni precedenti: dal 1979 al 1991, in tutte e due le zone
complessivamente lo stesso aiello aveva realizzato 6 strade, 6 contro 29 e nel dato delle 29 sono 25
quelle realizzate dopo il 1996, cioè gli anni in cui su caccamo antonino giuffrè ha un predominio
assoluto, provenzano governa tutti quei territori addirittura, se vogliamo con la presenza fisica.

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Andiamo ad un'altra zona strategica, giuffrè aveva fatto riferimento alla zona di ciminna, non a
caso, perché la zona di Ciminna, per dirla in termini banali e crudi, Provenzano e Giuffrè l’hanno
fatta da padroni, tenendovi riunioni, organizzando appuntamenti, ebbene nella zona di ciminna le
imprese di aiello hanno realizzato 20 strade interpoderali, delle quali 4 dal 1979 al 1992, tre nel
1993, tredici dal 1997 al 2002.
Allora il dato numerico disaggregato delle strade interpoderali realizzate dalle imprese di aiello,
analizzato sia sotto il profilo della distinzione della provincia di palermo e del territorio di caccamo
in particolare rispetto al dato complessivo regionale, sia analizzato sotto il profilo temporale, cioè le
strade che sono state realizzate del 1991 in poi, sono quelle significative, ci confermano, la lettura
di questi dati numerici è assolutamente compatibile con le indicazioni che sul punto di hanno
fornito in particolare Giuffrè, che ci ha confermato salvatore barbagallo e che, seppur intermini
coloriti ma efficaci, ci ha riferito Sebastiano Iuculano.
E risulta in particolare, che nella provincia di palermo l’aiello ha goduto senz’altro di una posizione
predominante, che ha avuto un significativo incremento proprio a partire dal 1991 e proprio in
quelle zone che sono state controllate in quel periodo dallo schieramento mafioso più vicino a
bernardo provenzano e ad antonino giuffrè.

[…]
Dice Michele Aiello che le organizzazioni interpoderali “scelgono loro l’impresa cui affidare i
lavori, lo fanno senza alcun tipo di vincolo, formale o sostanziale, lo fanno senza alcun tipo di
forma di coazione. Dunque l’acquisizione di lavori per la realizzazione di strade interpoderali si è
realizzata – dice aiello – e non poteva essere diversamente, a prescindere da qualsiasi ausilio o
intervento dell’organizzazione mafiosa cosa nostra o di sue propaggini territoriali”. La questione,
per capire di che cosa parliamo e uscire dalle formule asettiche, la questione pone degli
interrogativi, bisogna capire preliminarmente chi è che gestiva, ancor prima che i lavori, il mercato
della domanda di finanziamento delle strade interpoderali. Le associazioni appositamente costituite,
le cosiddette associazioni interpoderali o il mercato sin dalla fase della domanda intanto era oggetto
di intervento da parte delle imprese, dei loro tecnici e di chi stava dietro queste imprese.
A riguardo ci ha detto Giuffrè che aiello veniva scelto, non perché era il più bravo, può essere anche
che fosse il più bravo, ma che intanto veniva scelto perché aveva un radicamento, perché aveva
degli appoggi, perché aveva un punto di riferimento che si chiamava antonino guzzino, fratello di
diego guzzino, e abbiamo visto cosa diceva giuffrè in proposito. Allora cerchiamo di capire intanto
se i protagonisti, sin dalla fase della domanda, sono le associazioni interpoderali come dice Aiello
oppure, come dice Giuffrè, se c’è un’altra dinamica. Anche qui, circostanze, certamente
significative e sul punto ampiamente riscontrate sono state riferite da Salvatore Barbagallo
all’udienza dell’ 8 giugno del 2005.
Barbagallo, quando ci riferisce queste circostanza, qua non c’è de relato, non ci riferisce cosa che ha
avuto a sua volta dette, che ha sentito dire, non ci riferisce le sensazioni, ci riferisce della sua diretta
esperienza lavorativa perché ci dice che lui aveva maturato sul campo delle stradelle interpoderale
una certa esperienza avendo lavorato alle dipendenze di giuseppe panseca che, come abbiamo visto,
con Antonino Priolo era interessato, impegnato anche lui nel settore dele strade inter,
Barbagallo ci ha riferito delle associazioni che si costituivano per la realizzazione di queste strade
interpoderali e ci ha raccontato qualche cosa anche sulla scelta dell’impresa cui le associazioni
affidavano i lavori. Barbagallo, testualmente “di solito era l’impresa che andava cercare queste
associazioni. Per esempio io ricordo che quando uscì Digesù Lorenzo dal carcere, mi diede
l’incarico di prendere tutte le cartine topografiche di una certa zona di messina e lì segnare alcune
strade che lui mi aveva indicato e dove potevano nascere delle nuove associazioni. Anche tra cerda
e montemaggiorebelsito, una l’abbiamo fatta di sana pianta, ne senso che abbiamo riunito i
proprietari, siamo andati a fare il tracciato, abbiamo scelto la strada e tutte cose, e lì, sempre in
questo discorso di messina, sempre lì veniva fuori il nome di Michele aiello che in quella zona era
già interessato anche lui alle stradelle interpoderali. Proprio questo pezzo della dichiarazionie di

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Barbagallo troverà dei riscontri specifici, li chiamerei riscontri in fotocopia con fonti di prova
inaspettate, però fin d’ora possiamo dire che ci sono altre dichiarazioni a dimostrazione che fossero
proprio le imprese, quelle che dovevano eseguire i lavori, con i loro tecnici, a muoversi, a muoversi
sin dall’inizio ad organizzare esse stesse le associazioni, a fare nominare i presidenti, a tenere i
contatti con l’assessorato a curare la presentazioni delle domande, ad assumere informazioni e
seguire l’iter delle domande presentate. Ovviamente oltre che ad eseguire i lavori, si tratta di
circostanze che, come emergono dalle dichiarazioni di salvatore Barbagallo con riferimento
specifico ad un episodio, ci vendono confermate dalle dichiarazioni che sistematicamente in questo
processo che hanno reso tutti i presidenti di associazioni interpoderali, che in cospicui numero sono
stati sentiti nell’udienza del 31 ottobre 2006.
Nelle loro dichiarazioni, di questi presidenti, si rispecchiano fedelmente, e proprio in riferimento
alle imprese di Michele aiello e ai loro due tecnici ossia i geometri Puleo e cusimano, si
rispecchiano i termini della stessa situazione che barbagallo ci aveva descritto con riferimento ad
un'altra zona e con riferimento ad un altro boss mafioso della zona che si chiama Lorenzo digesù.
Abbiamo sentito Filippo Loiacono, presidente di un’associazione interpoderale che ha ottenuto un
finanziamento per una strada realizzata nel 1999 in provincia di messina, nella zona di ristretta. Che
cosa ci ha detto Loiacono, che dei lavori si era occupato di tutto il geometra Puleo, che lui aveva
contattato tramite certo Colantonio, titolare di un oleificio. Ci dice Loiacono “siccome io dovevo
fare questa strada e mi hanno detto di parlare con questo geometra, colantonio mi dice, ci sono
questi geometri che fanno fare queste strade. E allora una giorno me lo fanno conoscere a mistretta,
mi chiedono i documenti, io ce li ho dati e si sono occupati tutto di loro”.
Bellardita Rosario, altro presidente di associazione interpoderale che ha realizzato sempre nel 1999
una strada interpoderale nella stessa zona, comune di Reitano. Ci ha riferito di essersi rivolto,
sempre per tramite di questo colantoni, titolare dell’olificio, al geometro puleo, al quale – ci ha
detto Bellardita – avevano consegnato tutte le carte, poi non ne avevano saputo più niente finchè
anni dopo aveva riceuto la notizia dell’intervenuto finanziamento, notizia che gli era stata data dal
titolare dell’olificio, Colantonio.
Orlando Vincenzo, presidente di un’altra associazione interpoderale, ci ha detto che per ottenere il
finanziamento di un’altra strada interpoderale nel comune di Ventimiglia di Sicilia, in contrada
Traversa, quindi tra ventimiglia e Casteldaccia, si erano rivolti all’impresa di Gaetano Aiello per
ragioni di pregressa conoscenza e ci ha detto che di tutto si erano occupati i tecnici di Gaetano
Aiello. Anche in questo caso il contatto era stato creato dal geometra Puleo e anche in questo caso
era stato puleo ad informare i diretti interessati che per la strada ormai realizzata era stato erogato e
quindi era in pagamento il mandato avente in oggetto il contributo della regione.
[…] Nicosia racconta, “guardi le dico questo, c’è stato un periodo che si potevano presentare perché
con il geometra cusimano e puleo guardavamo l’icm, quindi la topografia del terreno e quindi dive
c’era la possibilità di presentare qualche domanda per qualche strada e c’è stato un periodo in cui io
come presidente facevo istanza per qualche strada perché fino a quella data, che ora non so, non
c’era bisogno di essere frontisti delle strade. Successivamente occorreva essere frontisti delle strade,
perché sicuramente in qualcuna in sui io avevo presentato istanza, successivamente poi si è dovuto
cercare la persona, vedere chi erano gli interessati per poter realizzare questa strada con i frontisti di
questa strada”. È praticamente la stessa situazione descrittaci da salvatore barbagallo, solo che li
l’input era arrivato dal boss mafioso digesù, qui, Nicosia non ci ha spegato da dove gli veniva
l’input. Sicuramente sappiamo che si mettevano a tavolino, lui e i due geometri, cusimano e puleo,
che lavoravano in esclusiva per il gruppo aiello, guardavano le topografie, le carte dei terreni,
vedevano dove si potevano fare le strade interpoderali, facevano associazioni, facevano domande,
dove lui si poteva presentare come presidente senza neppure essere titolare di diritti sui terreni
interessati dalle strade.
Ovviamente, l’architetto Nicosia che è nato e lavora a montemaggiore, punto di riferimento a
montemaggiore di tante persone, di tanti proprietari di fondi agricoli che a lui si rivolgevano per
farsi spiegare come finanziare le strade interpoderali, lo stesso architetto nicosia che si presta a fare

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da presidente nell’associazione allegra, quella dei fratelli di Liberto, che non è proprietario frontista
in quella specifica zona, tanto che è costretto a lasciare l’incarico, questo è l’architetto nicosia, che
ovviamente non conosce il geometra guzzino, non sa chi sia, uno che ha svolto le funzioni di
assessore nel comune di caccamo, non conosce antonino giuffrè, non sa chi sia, e nel corso della sua
deposizione, non si ricorda nemmeno il nome dei Liberto, ma non il nome di battesimo, giorgio e
giovanni, ma il cognome, non ricorda che si chiamano Liberto, ma si ricorda che con loro nel 1986
si era recato da un notaio a Bagheria per costituire l’associazione interpoderale allegra.
Queste testimonianze, che sono lo specchio fedele delle circostanze che sul punto ci ha descritto
barbagallo, dimostra che associazioni interpoderali, domande e finanziamenti venivano totalmente
gestiti sin dalla fase della loro origine, addirittura a volte trovavano proprio l’imput, venivano
gestite da imprese e da tecnici che poi si occupavano dei relativi lavori e dunque, per il caso che ci
occupa, da Michele aiello, da puleo e cusimano. E si è capito benissimo, anche grazie a queste
testimonianze quale ruolo abbiano avuto certi personaggi come l’architetto nicosia o colantoni,
titolare dell’olificio. Resta invece da capire il rulo di un personaggio che non è mai stato nominato
da queste persone e che nessuno conosce e che però è lo stesso personaggio, cioè l’ingegnere
antonino guzzino, di cui giuffrè dice che era un punto di riferimento di Michele aiello e dei suoi
geometri per realizzare le strade interpoderali.
La traccia di questi rapporti tra aiello e l’ingegnere antonio guzzino si trova in una vicenda che nel
corso dell’istruttoria dibattimentale ci ha riferito Michele Aiello, ed è una vicenda che aiello ha
riferito per la prima volta nell’istruttoria, non ne aveva fatto cenno durante le indagini, ed è una
vicenda che è confermata passo passo anche dal suo tecnico di fiducia, il geometra Antonino Puleo.
È Aiello che parla, siamo all’udienza 21 febbraio 2006, e ci ha riferito di una visita, l’ultima, che
all’udienza 8 marzo 2006 ha datato fine estate del 93. Una visita che gli era stata fatta da Giuffrè,
dice che questa che era l’ultima visita che gli faceva giuffrè e questo riscontra quanto dice giuffrè
che dice che dal 1994 non vede più aiello personalmente, Michele aiello dice che giuffrè lo va a
trovare, fine estate 93, senza preavviso, nel suo studio di bagheria, che è peraltro lo stesso luogo
indicato da antonino giuffrè come sede degli incontri che aveva com michele aiello. Ci ha detto
testualmente aiello “aveva appreso, il signor giuffrè, che era venuto il signor guzzino con un
impresa, all’interno del mio studio, e che in qualche modo li stavamo aiutando per una strada
interpoderale. E c’è venuto, giuffrè, a minacciare di brutto, che non dovevamo avere a che fare, e
questa è stata la seconda e ultima volta che ho visto a questo signore che si chiama antonino
giuffre”.
Aiello ci ha spiegato l’antefatto di questa visita e ci ha detto che questa visita era stata preceduta da
una particolare circostanza, era accaduto, ha detto Aiello, che alcuni giorni prima della visita del
signor Giuffrè “era venuto presso il mio studio l’ingegner Guzzino il quale – dice aiello – era quasi
una larva umana perché terminale. [Devo dire che era il 93 e che guzzino era morto sul finire degli
anni 90, comunque lui ci dice che era in questo stato]. L’ingegnere guzzino era venuto lì con suo
fratello, che ho appreso si chiamava diego, ed era venuto lì con un’impresa, [probabilmente un
imprenditore] che aveva bisogno di essere aiutato per redigere una contabilità finale di una strada
interpoderale. Mi sono chiamato il geometra puleo, è sceso, e praticamente se ne doveva occupare
lui in ordine a redigere questa contabilità finale”. Questo è l’antefatto, aiello ci dice anche cosa era
successo successivamente, ci dice “non so come è venuto a saperlo il signor, noto collaboratore,
questa cosa. Passa qualche giorno e si presenta il signor giuffrè mi viene a minacciare,
personalmente e poi anche al geometra puleo, che avevo chiamato per spiegargli un po le cose come
andavano proprio sul fatto perché stavamo aiutando in qualche modo l’ingegnere guzzino” testuali
parole di Michele aiello “Abbiamo tentato in ogni modo di spiegare a lui che non si trattava di
chissà di che cosa d’aiuto, ma semplicemente un aiuto che stava dando il geometra puleo per quanto
riguarda l’impostazione di un computo metrico, né più e né meno. Ma giuffrè non aveva voluto
sentire ragioni” e poi ha aggiunto che “per giuffrè non dovevamo più avere a che fare con
l’ingegnere guzzino, pena la nostra vita, pena la nostra vita. Questo è quello che ci minaccia a me e
al geometra puleo se ci mettiamo a disposizione, in qualsiasi maniera da un punto di vista di lavoro,

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dell’ingegnere guzzino”. Ha poi puntualizzato Michele aiello, perché questo fatto avviene nel 1993
e viene chiesta ad aiello di tracciare un quadro dei suoi rapporti dei suoi rapporti con antonino
guzzino in precedenza, cioè prima del 93, e michele aiello ci ha detto che aveva conosciuto guzzino
sin dal 1983 perché dirigerà l’ufficio tecnico, lavori pubblici del comune di bagheria, e ci ha riferito
anche delle circostanze in cui si era sviluppata questa conoscenza e poi come questi rapporti
avevano avuto qualche seguito, sempre sul piano, ci ha detto Michele aiello, del piano del lavoro.
Michehe aiello imprenditore – ingegnere guzzino ingegnere, ufficio tecnico, etc. E ricorda Michele
a iello, e anche questo riscontra perfettamente quanto detto da giuffrè, che l’ingengere guzzino, lui
aiello, con le sue imprese aveva anche anche realizzato una strada interpoderale in territorio di
caccamo. Una strada interpodrale che serviva la contrada san felice o san rocco, una zona dove
l’ingegnere guzzino aveva una villetta e trascorreva il periodo estivo.
Abbiamo sentito antonino puleo il quale naturalmente ci ha riferito, parola per parola, tutti i fatti
riferiti da Michele Aiello su questa vicenda. Una vicenda interessante, che mostra aspetti
interessanti: qui le date sono importanti, siamo nell’estate del 1993, ci dice che giuffrè che lui dal
1994 in poi lui Michele aiello non lo vede più. Giuffrè, a cui devo dire sul punto non è stata
formulata alcuna domanda durante l’istruttoria dibattimentale, è da sei anni capomandamento sul
territorio di caccamo, dal 1987, e in tale qualità ha un ovvio, banale, interesse ad esercitare
controllo su tutte le attività di impresa, economiche, che vengono svolte sul territorio di sua
competenza mafiosa. E soprattutto sotto questo profilo, quello della effettività del potere di
controllo esercitato dal capo mandamento sul suo territorio, possiamo dire, e ce lo ha detto
chiaramente giuffrè, giuffrè ha un problema, ha un problema e questo problema si chiama diego
guzzino, questo problema giuffrè lo ha dal 1984. Questo problema giuffrè lo avrà fino alla data del
16 aprile 2002, cioè fino alla data in cui sarà tratto in arresto. Perché ha questo problema, che si
chiama diego guzzino, perché giuffrè viene affiliato a cosa nostra nella posizione di soldato
semplice, di accompagnatore, anzi di autista, di Francesco Intile che agli inizi degli anni 80 era
capomandamento di caccamo. Intile ha un cognato che si chiama diego guzzino. Quando intile
viene arrestato, nel 1983-84, per un brevissimo lasso temporale Intile lascia detto che al suo posto,
le redini del mandamento, dovevano essere rette da suo cognato, cioè Diego Guzzino. Se non che
accade che da li a poco viene arresta anche diego guzzino e le redini del mandamento vengono
prese da antonino giuffrè e giuffrè, da quel momento, le redini del mandamento non le ha più
abbandonate, anche perché nel frattempo nel 1987 la investitura ufficiale gli viene dal capo di cosa
nostra, salvatore riina, perciò non c’era più motivo per giuffrè di lasciare le redini della direzione
del mandamento. E da quel momento questa situazione di contesa della leadership del mandamento,
ma anche della famiglia mafiosa di caccamo che ha contrapposto in una situazione di attrito
antonino giuffrè e guzzino non è ma venuta meno, fino al momento del suo arresto 16 aprile 2002.
Quindi giuffrè, come capo mandamento, nel corso degli anni in cui ha esercitato l’attività di
controllo sulle attività in corso nel suo mandamento di fronte alle iniziative sotterranee, talvolta
meno sotterranee, che dalla parte dei guzzino contestavano la sua leadership su tutto il
mandamento. Su queste iniziative che antonino giuffrè aveva motivo di temere non vi è dubbio che
ce ne fosse una meno evidente ma non meno pericolosa di qualche altra, e questa iniziativa che
giuffrè aveva motivo di temere più delle altre è senza dubbio lo stringersi di particolari rapporti tra i
guzzini che quindi avevano seguito nella famiglia mafiosa di caccamo e un gruppo imprenditoriale
come quello di aiello. Rapporto che in quegli anni si andava stringendo sul terreno delle stradelle
interpoderali e che era mediato da una figura tecnica, cioè il fratello di diego guzzino, antonino.
Ecco perché giuffrè appena si rende conto che l’ingengere guzzino diventa un punto di riferimento
per il gruppo di aiello sul suo territorio, il tramite di quel rapporto dal cui approfondirsi lui stesso
giuffrè ha molto da temere, giuffrè si attiva immediatamente e si reca da aiello intimandogli di
rompere ogni rapporto con l’ingegnere guzzino. Lo capiamo ancora meglio se volgiamo il
ragionamento anziché dal punto di vista di osservatorio esterno, lo capiamo ancora meglio se ci
poniamo dal lato prospettico di antonino giuffrè, cioè del capo mandamento di caccamo.

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Siamo nell’estate del 93, sul finire, giuffrè che non ha mosso un passo ne confronti di Michele
aiello senza proma informare bernardo provenzano, d’accordo anche questa volta con provenzano
ha traghettato Michele aiello dal punto di vista mafioso quanto a punti di riferimento da Nicola
Eucaliptus a Pietro loiacono, lo ha già fatto, perché siamo a fine 1993 e dal 94 giuffrè non vede più
aiello, ci dice che la fase transitoria era durata molto poco ed eucaliptus era stato arrestato da poco.
Ebbene, nell’aprile del 93 per giuffrè, capo mandamento, che parla di aiello con provenzano già, il
punto di riferimento per Michele aiello è pietro loiacono, un uomo d’onore di un altro territorio,
della famiglia mafiosa di bagheria, che non appartiene al mandamento di caccamo. Pietro Loiacono
non è un sottoposto di Antonino giuffrè, è un altro uomo d’onore di un altro territorio, e però
quando giuffrè sa e teme l’approfondirsi dei rapporti tra aiello e antonino guzzino viene meno a
tutte le regole prudenziali, a tutte le cautele a cui pure si appellato in tante sue deposizioni per
spiegarci le vicende, i motivi e le ragioni di tanti suoi comportamento. Basti pensare che giuffrè,
che dal punto di vista mafioso, dal suo punto di vista, si trova nelle mani Michele aiello, che
sarebbe diventato il più importante contribuente della Sicilia, eppure si pone il problema, io sono il
capomandamento di caccamo e aiello appartiene a bagheria, non posso essere io il suo punto di
riferimento. E “lo mette nelle mani di pietro loiacono. Questo stesso giuffrè quando percepisce, o
teme, l’apptrofondirsi dei rapporti tra aiello e guzzino viene meno a qualsiasi regola prudenziale,
viola qualsiasi regola e si precipita a bagheria, scende personalmente a bagheria, entra nello studio
di Michele aiello ,senza alcun preavviso, senza avvertire nessuno. Ci ha detto giuffrè che quand si
era trattato della strada dei liberto, che pure ne aveva fatto un punto d’onore aveva chiamato Nicola
eucaliptus per raggiungere Michele aiello, questa volta scende, diretto a bagheria, “fa irruzione”,
uso le parole di Michele aiello, nel suo ufficio, lo minaccia, “pena la vita”. Cioè giuffrè minacciadi
morte Michele aiello che sa essere un protetto di bernardo provenzano, tutto questo per che cosa?
Secondo Michele aiello per una semplice, episodica consulenza, di tipo contabile, marginale, senza
alcun significato, dopo che era stata già realizzata una stradella interpoderale, un aiuto di nessuna
valenza, un aiuto ad un imprenditore, di cui non sappiamo il nome perché non c’è stato detto, che si
presenta, bontà sua, accompagnato da diego guzzino e antonino guzzino. Solo per questo? Solo per
questo antonino giuffrè va a minacciare di morte quello che lui sa essere il protetto di bernardo
provenzano?
Io dico che non può essere, che c’è dell’altro che va riscontrato con quanto ci ha detto giuffrè sul
punto di riferimento, perché allora si che ha un senso, perché allora sì che ha senso che giuffrè
abbia una reazione violenta, perché viene messa in discussione il suo potere, di capo del
mandamento e viene messa in discussione con un’alleanza ibrida con quella parte della famiglia
mafiosa a lui da tempo avversa.
C’è poi un secondo aspetto delle dichiarazioni che antonino giuffrè ha reso e che riguarda il ruolo di
Michele aiello nella realizzazione delle stradelle interpoderali.
Avevo detto che le questioni sono due: la presenza imprenditoriale e quello che io ha chiamato”gli
interventi”.
Giuffrè ha fatto riferimento ad alcuni interventi che lui stesso aveva effettuato su Michele aiello
perchè velocizzasse la realizzazione di alcune stradelle interpoderali di interesse di alcune famiglie
di cosa nostra o vicine a cosa nostra nell’ambito territoriale di caccamo. Giuffrè ci ha riferito tempi,
modi e circostanze di questi interventi indicandone come beneficiari nei fratelli liberto e nei fratelli
muscia, tutti di caccamo, mafiosi i primi, vicini ai mafiosi i secondi.
Anche con riferimento a questa seconda questione sulle attività di Michele aiello nella realizzazione
delle stradelle interpoderali, abbiamo registrato le dichiarazioni che ha reso Michele aiello nel corso
del suo esame. Michele aiello nel corso del suo esame ha decisamente negato che tali interventi
abbiano avuto luogo e ha decisamente negato, a maggior raggione che a tali interventi lui abbia dato
in qualche modo seguito. Ci ha detto in sostanza aiello che il sistema di finanziamento delle
stradelle interpoderali e il sistema di ammissione del contributo regionali, per l’automaticità dei
meccanisi che ne regolano l’iter non consente in pratica alcuna iniziativa che consente di invertire
l’ordine di smaltimento delle pratiche secondo l’ordine cronologico dettato dai tempi di

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presentazione delle domande. Con la conseguenza che se avesse avuto sollecitazioni a velocizzare
le pratiche per realizzare certe strade, in concreto lui stesso nulla avrebbe potuto fare per
velocizzare i tempi della pratica di realizzazione della strada interpoderale rispetto all’ordine
automatico di presentazione delle domande e di erogazione del corrispondente contributo.
Insomma, l’automaticità del sistema secondo aiello precluderebbe ogni possibilità di intervento e
quindi gli interventi di cui ha parlato giffrè, ci ha detto aiello, sarebbero fantasie, calunnie inventate
nei suoi confronti da parte di giuffrè. Non ci sono stati a) perché non ci potevano essere, e se ci
fossero stati b) erano comunque inutili perché nulla lui avrebbe potuto fare per dargli seguito.
Aiello ci ha spiego questo in termini tecnici, riferendosi in termini precisi e puntuali, ma omettendo
qualcosa come vedremo, alle fonti normative del sistema. È l’udienza dell’8 marzo 2006 […].

L’iter amministrativo in questione in realtà già di per sè, secondo il suo sviluppo fisiologico non
garantiva affatto l’automaticità del sistema, non garantiva affatto la corrispondenza tra l’ordine
cronologico di presentazione delle domande, l’ordine cronologico con il quale le domande erano
state inserite nel programma di intervento, e l’ordine cronologico con il quale, al termine di tutto il
processo procedurale, queste domande venivano finanziate.
Tutto questo, stiamo ancora parlando ancora della fisiologia del sistema, di uffici tecnici più o meno
attrezzati, di funzionari e uffici tecnici più o meno solleciti, più o meno bravi, stiamo parlando di
pratiche che necessitano di più o meno parere. Poi c’è l’effetto degli interventi che possiamo
definire anomali, quelli frutto del rapporto che si era creato tra l’imprenditore Michele aiello e gli
uffici dove venivano istruite le pratiche delle stradelle che le sue imprese alla fine dovevano
realizzare ottenendo il contributo regionale.
E anche sotto questo punto di vista qualche cosa ci aveva detto antonino giuffrè, perché quando gli
è stato chiesto se sapesse come funzionava il finanziamento per la realizzazione delle strade, giuffrè
ha risposto “c’era l’assessorato con cui l’ingegnere aiello era in gergo ammanicato e non aveva
problemi in questo”. Abbiamo cercato il riscontro a questa affermazione, abbiamo cercato di capire
se nell’istruttoria dibattimentale altre alla dichiarazione di giuffrè vi fosse una qualche traccia che ci
desse modo, concretezza di questo particolare rapporto “era ammanicato”. E naturalmente lo
abbiamo fatto con i funzionari che sono stati sentiti, ed è stato chiesto ai tecnici e i funzionari
competenti a istruire le domande di finanziamento, se avessero mai ricevuto richieste o pressioni a
velocizzare le pratiche per i progetti di cui si occupava l’ingegnere aiello e per lui i suoi tecnici
progettisti puleo e cusimano.
Lo abbiamo chiesto all’ingegnere mineo che ci ha detto che nel suo ufficio “non si facevano
soverchierie”, non ha mai ricevuto forme di pressione, richieste di favore, non ha mai fatto favori di
velocizzare i pareri. Lo abbiamo chiesto a Dalla Costa che ha escluso che cusimano e puleo gli
abbiano mai chiesto di sollecitare le pratiche che gli riguardavano, a lui assegnate, ci ha detto, “per
quanto mi riguarda l’iter era uguale, uguale per tutti”. Lo abbiamo chiesto al geometra Lauricella il
quale è stato molto più diplomatico degli altri, e alla domanda se avesse ricevuto pressioni da aiello
o dai suoi geometri per velocizzare le pratiche ha risposto che lui no, non aveva mai ricevuto
richieste ma ha aggiunto “può darsi che sia accaduto, però è un discorso del capogruppo”. Allora
abbiamo sentito il capogruppo, Santo Naselli, il 16 ottobre 2006, il funzionario dopo averci spiegato
come funzionava il sistema, gli è stata posta la stessa domanda di rito, se avesse ricevuto pressioni.
Naselli ha risposto che per quanto lo riguardava non aveva mai ricevuto richieste per velocizzare
una pratica piuttosto che un’altra, in senso asooluto. Allora gli è stato chiesto se conoscesse
l’ingegnere aiello, e lui ha risposto “io l’ingegnere l’ho visto un paio di volte in ufficio, due e tre
volte e poi per motivi famigliari, presso la sua struttura sanitaria perché mia moglie aveva problemi
seri di ernia al disco”. Ha concluso Naselli che lui con l’igegnere aiello aveva mantenuto sempre
rapporti formali. Senonché agli atti risulta, da una telefonata che è stata intercettata nel febbraio
2003 alle utenze ufficiali di Michele aiello. E nel corso di questa telefonata, Michele aiello parla
proprio con santo naselli, quale occasione migliore di una telefonata per capire quali fossero i
rapporti tra due persone. E devo dire che, da questo punto di vista, questa telefonata brevissima

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certo non ci ha lasciato insoddisfatti perché, al di là del suo specifico contenuto chiarisce per bene
quali fossero i rapporti tra i due interlocutori, tra l’imprenditore Michele aiello e il funzionario
dell’assessorato Santo Nasello. Sono pochi minuti di conversazione, intercettati il 10 febbraio 2003,
alle 13 e 47 sull’utenza 335-1338669 in uso a Michele aiello. “pronto” dice aiello “Michele ciao,
santo naselli sono”, A. “Eh ciao santo, come stai?”, N. “ma bene, e tu?”, A. “mah, insomma
diciamo tutto bene” N. “senti, ti devo chiedere una cortesia. Siccome ho cercato di rintracciare a
nino, e siccome c’è qualche novità favorevole, alcune cose che abbiamo in corso, non di poco
conto, che dici? Ci dici che si mette in contatto con me? Me la usi questa cortesia?” A. “certo” N. “e
poi facciamo una cosa. Alla luce anche di questa riflessione poi ne parlo con lui e poi ci vediamo”
A. “quando vuoi, sì va bene. Ti chiamo al cellulare” N. “si va bene, ciao” “ciao ciao” “ciao”.
Durante la deposizione di Santo Naselli questa conversazione è stata oggetto di una richiesta di
spiegazioni. Pm “lei avvisa l’ingengere aiello di determinate novità che si verificano nel suo ufficio
per alcune strade che non erano interpoderali ma di altro genere e quindi chiedeva all’ingegnere
aiello di avvisare una persona, che dal tono della conversazione sembra essere suo amico, e cioè il
geometra Antonino Puleo, cioè nino, ci spiega questa telefonata?” “N. “ricordo bene. Sì il geometra
puleo non è che è mio amico, io lo conosco il geometra puleo perché è venuto in ufficio e quindi
seguiva le pratiche”. Pm: “Allora su questa telefonata che…”, N “sì, ricordo bene. Ma riguradava
che… veniva spesso in ufficio assieme ad altri operatori per chiedere informazioni sull’emissione di
un bando e siccome io non stavo lavorando sul bando, ma stava lavorando sul bando l’ufficio di
gabinetto non ero in grado di dare informazioni. Anche perchè coloro i quali venivano in ufficio
chiedevano quanto era [incomprensibile] finanziaria, chiedevano che tipo di spesa c’era per
l’organizzazione e per la presentazione del progetto. E quindi, se ho fatto questa telefonata la facevo
per questo, perché il bando era stato emesso nel febbraio mi sembra del 2003, non ricordo quando
facevo questa telefonata”. E poi naselli ha aggiunto, perché era stato contestato “ma io volevo dire
una cosa signor presidente, che la mia.. volevo comunicare questo… che il problema non era solo
questo… siccome in quel periodo avevo problemi di salute e stavo facendo indagini diagnostiche,
sincerità per sincerità, infatti non ho partecipato neanche successivamente ai lavori del comitato
perché avevo problemi, volevo chiedere al geometra puleo, che lo conoscevo appunto, se all’interno
della struttura c’erano servizi o possibilità per usufruire di questa cosa, poi non si è fatto più niente,
perché mi sono rivolto ad altro, mi sono rivolto ad altra struttura perché mi è stato riferito che non
c’erano, sotto il profilo dell’urologia, che non c’erano servizi di questo. Comunque il discorso è che
lui mi veniva a chiedere informazioni” allora a questo punto, considerata la spiegazione di naselli
che lui si era sentito in dovere di chiamare Michele aiello, per poi farsi richiamare da antonino
puleo, per poi dargli delle informazioni sul bando di qualche cosa che riguardava dei lavori, allora a
questo punto è stato chiesto a naselli se avesse usato anche per altri imprenditori, che lui ha detto
che erano andati in tanti a chiedere informazioni, se avesse utilizzato anche per tutti questi altri
soggetti che erano interessanti al bando ed erano andati a chiedere informazioni e non le avevano
ottenuto, se aveva utilizzato la stessa cortesia che aveva riservato all’imprenditore Michele aiello e
tramite esso al geometra puleo. Naselli ci ha dato una risposta estremamente chiara “no, non
telefonavo a nessuno. Non mi permetterei mai, diciamo che siccome che io, in questo caso, forse
che io ho sbagliato, mi rendo conto. Cioè di più la cosa che mi premeva, stavo male fisicamente, di
incontrarlo, perché non riuscivo diciamo, sotto certi aspetti, non sapevo a chi rivolgermi per certi
problemi un po’ seri di salute, però non mi permettevo di chiamare mai nessuno, né il signor puleo
né nessun altro, anche perché io faccio un servizio pubblico e chiunque può venire a chiedere
informazioni. Quindi se lei mi dice, il bando è stato emesso il 13, e quindi dopo un mese e mezzo
che c’era stata la situazione dell’urgenza per manifestare il discorso del bando”. E poi ha
confermato, a seguito di nuove domande in forma di contestazione, naselli ha ribadito “no, no, mi
guarderei bene, io volevo soltanto comunicare, visto che il bando aveva tre mesi di validità, che il
bando era stato comunicato, ma non c’erano problemi di altra natura, né io gli volevo fornire altri
elementi all’interno del contesto del bando, perché trattasi di cosa pubblica e chiunque ne può

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prendere visione con l’emissione del bando”. E poi ha ribadito di aver effettuato la telefonata che
gli era contestata, per leggerezza.
Dice naselli il bando era stato pubblicato il 13 febbraio, la telefonata è di tre giorni precedente.
Quindi diciamo è un’informazione preventiva sul contenuto di un bando. Ma il contenuto di questa
conversazione telefonica e le spiegazioni che ci ha fornito santo naselli, compreso” forse ho agito
con leggerezza” “forse ho sbagliato me ne rendo conto”, in effetti devo dire che almeno
personalmente mi hanno offerto qualche spunto di riflessione che propongo al tribunale. In primo
luogo direi che gli interlocutori aiello e naselli, francamente non mi sembrano avere rapporti così
formali, piuttosto mi sembra che il rapporto sia amicale, che ognuno sia a conoscenza del cellulare
dell’altro, anzi, vorrei dire che il tono è complice più che amicale. In secondo luogo c’è dubbio che
nel corso di questa telefonata, il preposto ad ufficio pubblico e cioè sabnto naselli, telefona ad un
utente di quell’ufficio, un privato imprenditore, per comunicargli o perché egli comunichi al suo
tecnico di fiducia, geometra puleo, che sta per essere pubblicato un bando che gli interessa da un
punto di vista imprenditoriale? E ancora, c’è dubbio che si tratta di una sola informazione visto che
la telefonata si chiude con naselli che, rivolgendosi ad aiello dice “e poi facciamo una cosa. Alla
luce anche di questa riflessione poi ne parlo con lui e poi ci vediamo” , c’è dubbio ancora che non si
tratta di questioni private tra i due interlocutori e non di questioni connesse all’attività dell’ufficio di
santo naselli, questioni che lo stesso naselli definisce di non poco conto. E infine, c’è dubbio che è
naselli che chiama aiello e che analoghe chiamate informative, chiamiamole così, per sua stessa
ammissione, naselli non le ha fatte a nessuno di quegli altri imprenditori e tecnici che pure si erano
recatiin precedenza, per sua stessa ammissione, nel suo ufficio a chiedere informazioni sulla
pubblicazione di quel bando, che lui con tre giorni di anticipo partecipa solo ed esclusivamente a
Michele aiello.
E allora, io credo che ci sia, a queste domande, soltanto una risposta e che sia obbligata. Ossia che
questa breve telefonata lascia emergere una sola realtà, ossia la realtà di un ufficio pubblico, di un
suo funzionario, il funzionario che vi risulta preposto, che è, come dire, a servizio quanto meno, di
una impresa e cioè quella di aiello, in quella logica di scambio di attività che, se proprio vogliamo
tenerci allo stretto delle emergenze processuali come è doveroso fare, lo scambio di utilità è
connesso all’esercizio di attività sanitaria da parte di aiello quanto meno, ce lo ha detto naselli, in
quella logica di scambio di utilità che contraddistingue una certa logica di fare impresa da un lato e
dall’altro un certo mdo di amministrare la cosa pubblica in Sicilia e probabilmente anche altrove, in
una logica mercantilistica e di scambio di favori. Ed è un tipo di rapporto che l’ing, aiello ha tenuto
con tutti gli uffici che si occupavano delle sue cose, dalle stradelle interpoderali, alle pratiche
sanitarie a tutte le questioni a cui Michele aiello imprenditore era dunque interessato.
Questa situazione, che emerge da questa telefonata e davvero così lontana dalla descrizione che ne
ha dato il collaboratore giuffrè, quando ha detto che aiello era ammanicato presso gli uffici
dell’assessorato all’agricoltura dove ci ha detto che non aveva problemi. O la descrizione di giuffrè
e quella più colorita di Sebastiano Iuculano rappresenta fedelmente la realtà di un imprenditore
come Michele aiello che è in grado di mandare la presidente della regione Sicilia, Salvatore cuffaro,
sottolineato in rosso e in blu i prezzi che ritiene congrui e quelli che vuolo invece modificati a suo
esclusivo vantaggio. E si tratta di importi di miliardi, e anche in quel caso, quello del tariffario oltre
che quello delle stradelle, c’era la legge, l’automaticità, le commissioni e i pareri tecnici e anche in
quel caso si è invocata in quell’aula il rispetto delle leggi e dei regolamenti. Ed è lo stesso
imprenditore che come risulta dall’intercettazione del 31 ottobre del 2003 viene pregato da
salvatore cuffaro di accettare i prezzi stabiliti pur se inferiori alle sue aspettative. Forse sarebbe
meglio dire “pretese”, con la promessa che sarebbero stati modificati da lì a tre mesi ancora una
volta a suo vantaggio. Allora aveva torto giuffrè quando ci ha detto che l’ing. Aiello all’assessorato
all’agricolturadi cui, sarà un caso, per molti anni è stato titolare l’onorevole cuffaro, era
ammanicato e non aveva nessun problema?
E allora non solo il sistema di finanziamento delle stradelle interpoderali non era affatto regolato dal
rigido principio della cosiddetta automaticità, ma i rapporti tra gli uffici dell’assessorato e

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l’ingegnere aiello erano in concreto tali che le pratiche dell’imprenditore bagherese vi godevano
quanto meno un trattamento di particolare riguardo.
In altri termini, per rispondere alla domanda iniziale, a differenza di quanto ci ha detto Michele
aiello, interventi esterni, utili ad accelerare gli iter per la realizzazione delle stradelle erano
certamente possibili, e di qualcuno di questi interventi ci ha riferito giuffrè durante il dibattimento.
Faccio riferimento al caso dei fratelli liberto e quello in cui sono stati interessati i fratelli muscia, in
quanto interessati alla realizzazione di stradelle interpoderali nel territorio di caccamo e quei lavori,
concretamente sono stati portati a termine da imprese di Michele Aiello.

Se il sistema non è affatto automatico, se il sistema nella sua fisiologia di funzionamento prevedeva
un sovvertimento dell’ordine cronologico delle domande e se poi la fisiologia del funzionamento
aggiungiamo la patologia delle relazioni tra Michele aiello e gli uffici preposti all’esame delle
pratiche, non ci resta che verificare se in concreto proprio gli interventi su cui ci ha riferito antonino
giuffrè, in concreto possibili, si sono poi verificati. Se cì’è riscontro al racconto che su questi
interventi ci ha fatto giuffrè.
Sono due le vicende, una più complicata una più semplice. La prima riguarda i fratelli Liberto, su
questa abbiamo sentito il maggiore Michele Miulli all’udienza 6 aprile 2005. Miulli ci ha riferito
che nel corso degli accertamenti realizzati sulle strade interpoderali realizzate dalle imprese aiello
nella zona di caccamo era stata acquisita presso l’assessorato la documentazione, relativa tra l’altro
ad alcune strade, tra le altre la strada denominata “Allegra”, realizzata da un’associazione
interpoderale omonima, della quale erano partecipi i fratelli liberto. Ci ha deto miulli che questa
strada è stata realizzata in territorio di caccamo, in contrada raffo, da un’associazione tra i cui soci
figuravano giogo liberto, giovanni liberto, Giuseppe liberto, salvatore liberto classe 25 e presidente
dell’associazione salvatore liberto, classe 1960, figlio di uno dei soci, di Giuseppe liberto. Ha
aggiunto miulli che il progetto di questa strada in origine era stato predisposto e depositato in data
20 dicembre 1986. Ci ha detto miulliche era stato aggiornato il 3 novembre 1993 dallo studio di
progettazione sicilproject, ci ha detto miulli che questo studio tecnico, di progettazione, è quello
che fa capo ai geometri antonino puleo e Gaetano cusimano che sono soci in questa attività, e
significativamente, ci ha detto che questo studio ha sede in bagheria, in via ingegnere bagnera n 14
che è lo stesso indirizzo in cui insiste la sede di villa santa teresa srl. E ci ha detto miullo che questo
stesso studio si è occupato nel territorio di caccamo della progettazione e realizzazione di tutte le
stradelle interpoderali che sono state realizzate in quel territorio dalle imprese di Michele aiello. In
data 3 novembre 1993, data dell’aggiornamento del progetto, la direzione dei lavori era stata
affidata al geometra puleo che si era occupato anche di progettazione, assistenza tecnica e
procedure amministrative. Ci ha detto miulli che oltre a questa strada anche altre strade realizzate a
caccamo dalle imprese di aiello hanno avuto il diretto coinvolgimento dei fratelli liberto, e ci ha
detto in particolare che questo interessamento riguardava la strada interpoderale Fusci il cui primo
presidente dell’associazione era lo stesso liberto salvatore classe 60, già presidente
dell’associazione interpoderale allegra.
Ci ha detto miulli che il progetto era stato redatto il 30 dicembre 1996, aggiornato il 4 ottobre 1999
da cusimano che ne era stato anche il direttore dei lavori, […]
Nel caso di queste due strade, ci ha detto miulli, quella denominata allegra e quella denominata
fusci, era stato riscontrato dall’esame della documentazione acquisita all’assessorato che in un
primo tempo i progetti erano stati predisposti da altri tecnici e che poi erano stati aggiornati in
particolare erano stati presentati nuovi progetti a firma puleo e cusimano, i tecnici che avevano poi
assunto la direzione dei lavori. Per entrambe le strade, ci ha spiegato miulli, i lavori erano stati
effettuali dalle imprese di Michele aiello. Peraltro liberto salvatore calsse 60 figurava anche
nell’atto costitutivo di un’altra associazione interpoderale, quella fondata dall’associazione cordaro
e anche nell’associazione che aveva realizzato la strada interpoderale Angiletto. Di queste strade, in
particolare, quella denominata allegra, ci ha riferito Michele aiello in due distinte occasioni, durante
l’esame e durante il controesame. Il 21 febbraio 2006, aiello ci ha detto che effettivamente aveva

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realizzato nella zona di caccamo alcune strade interpoderali cui erano interessati i fratelli liberto, la
“strada allegra, caccamo” ha detto aiello, e poi ha precisato “ il progetto della strada era stato
presentato il 20 dicembre 1986 dall’allora geometra Filippo nicosia, [in realtà architetto] uno dei
collaboratori del geom puleo, collaboratore per quanto riguarda le strade di caccamo e di
montemaggiorebelsito” ha aggiunto aiello che poi in un secondo momento “il progetto era stato
aggiornato quanto al computo metrico secondo le voci del nuovo prezziario che era stato varato”.
Ci ha dtto “non era una ripresentazione come ha detto il capitano miulli erroneamente, ma era solo
una presentazione di aggiornamento prezzo a seguito della pubblicazione del prezziario, quello
nuovo” quindi nel 1993 era stato presentato a nome di liberto salvatore e dell’associazione
l’oistanza di aggiornamento, il 31 marzo 94 viene redatto un primo verbale di aggiornamento
operativo dei lavori, che viene redatto invece definitivamente il 14 giugno 1994.
Poi nel corso del controesame, l’8 marzo 2006, anche in questo caso facendo riferimento alla
specifica documentazione depositata dalla difesa, Michele aiello ha modificato la sua ricostruzione
della vicenda, relativamente a un particolare, riferendo che fin dall’inizio la strada interpoderale
allegra era stata progettata dal geometra puleo ed aveva confermato, quanto al resto dei passaggi
quanto aveva detto nel corso della precedente udienza.
In sintesi, durante il controesame, aiello ha detto, “il progetto è stato redatto dal geometra puleo e
presentato in data 20 dicembre 1986 dal signor Filippo nicosia in qualità di presidente
dall’associazione interpoderale allegra”. Tale domanda, ci ha detto aiello “era stata inserita nel
programma di intervento deliberato dalla giunta regionale nel 1991, […].
“Sulla scorta di queste delibere si era proceduto – ci ha detto aiello – alla costituzione
dell’associazione con gli effettivi proprietari cui il presidente è salvatore di liberto“ di ha detto poi
che il 3 novembre 1993 il signor liberto ha presentato istanza per l’aggiornamento dei prezzi del
computo metrico ancora una volta redatto da puleo, […]. Una vicenda complessa di cui possiamo
dire subito due dati certi, perché questa vicenda inizia nel 1986 con la presentazione della prima
domanda, il verbale di lavoro della prima strada reca la data del 14 giugno 1994, sono passati circa
8 anni. Si tratta di verificare, giuffrè aveva raccontato, “era dieci anni che non si faceva questa
strada”, si tratta di verificare se dalle circostanze di questa vicenda si può trovare riscontro a quanto
su questa vicenda ci ha raccontato giuffrè. Ma occorre una necessaria premessa, giuffrè quando ci
ha riferito i termini e le circostanze del suo intervento ha fatto una premessa e ha detto “io non
conosco i passaggi tecnici ma so che a n certo punto i fratelli liberto si sono rivolti a me, io mi sono
rivolto a nicola eucaliptus e dal momento in cui i sono intervenuto su bagheria, la pratica ha preso
corpo”, ha trovato un suo sviluppo e la strada è stata fatta.
Detto questo vediamo in concreto, al di là delle parole, che cosa è successo. Faccio puntualmente
riferimento all’elenco di documenti agli atti depositati dalla difesa. Tra i quali figura la copia della
domanda di finanziamento presentata in origine dall’associazione interpoderale allegra ed è il
documento cui ha fatto riferimento aiello nel corso del suo controesame. Dalla lettura di questa
domanda non si desume esattamente, come è accaduto per molte delle dichiarazioni rese da Michele
aiello, quello che ha detto Michele aiello perché dal documento si può solo trarre la conclusione,
reca apposta la data 20 dicembre 1986, è sottoscritta dall’architetto Filippo nicosia, che la presenta
nella dichiarata qualità di presidente dell’associazione allegra con sede nel comune di
montemaggiorebelsito. In questa domanda di finanziamento non si fa nessuna mensione degli
allegati, in particolare non c’è alcuna mensione dei progetti tecnici allegati, tanto meno di chi li ha
predisposti, di chi li ha redatti chi infine li ha sottoscritti. Devo dire che è pur vero che poi
l’architetto nicosia, quando è stato sentito nell’udienza del 31 ottobre 2006 ha precisato che aveva
presentato la domanda per strada nel 1986 e che i relativi progetti erano stati predisposti dai
geometri puleo e cusimano ma non ci aveva detto chi aveva firmato i progetti almeno inizialmente.
L’unico dato vero certo è che il 20 dic 1986 la domanda di finanziamento viene presentata dal arch
nicosia e che se sono stati depositati in allegato i progetti sono stati presentati da Filippo nicosia, ed
è la stessa cosa che sci ha detto puleo. Bisogna fare attenzione alle parole, perché sono stati tutti
attentissimi all’uso delle parole, leggo così si capisce puleo che inizialmente della strada

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interpoderale allegra e di tutto ciò che la riguardava si era occupato interamente l’arch nicosia,
testualmente “siccome l’architetto essendo del posto conosceva le varie persone e poi si
individuavano dei siti dove era diciamo quella famosa fattibilità da un punto di vista agricolo [in
altri termini sceglievamo noi le strade] siccome la zona si prestava bene perché c’era un
bell’agrumeto e si presentavano le caratteristiche, si presentò un progetto e tra queste peculiarità
c’era un fatto, che c’era un proprietario compaesano suo [parla di nicosia] e quindi lui lo presentò,
nel 1986” quindi detto da puleo nicosia non si limita a presentare la domanda ma anche i progetti
tecnici, di cui, ripeto, non c’è traccia nella domanda di finanziamento.
Ci sono due atti importanti che hanno fatto seguito alla domanda di finanziamento […]
Il dato certo è che, esattamente come ci ha raccontato giuffrè, che non se li è potuti inventare questi
particolari che coincidono esattamente con le vicende tecniche della realizzazione della strada
allegra, questa strada, che interessava i fratelli liberto, certamente dopo la domanda e i progetti
presentati dopo il 1986 da Filippo nicosia era rimasta in sospeso per molti anni, poi era stata
costituita una nuova associazione, ne era cambiato il presidente la domanda era sta reiterata
adiverso nome, i progetti erano stati ritirati aggiornati e ripresentati, e nell arco di poco tempo
effettivamente la strada era stata realizzata da una delle imprese di aiello con la direzione e
l’interessamento attivo dei geometri di aiello e cioè del geometra puleo. Mentre in passato se ne era
occupato l’architetto nicosia.
Si tratta, si badi bene, di uno dei famosi progetti finanziati e realizzati nel programma di intervento
del 10 giugno 1991, uno dei fortunati 600 progetti perché facenti parte di quei 3711 che figuravano
nell’elenco di intervento approvato dalla giunta di governo.
L’altra strada cui ha fatto riferimento antonino giuffrè, e ce ne ha parlato in termini generici, ci ha
detto che era stato realizzato un primo lotto, poi lui si era dato da fare perché fosse completata ,
aveva fatto un intervento tramite delle persone, dei mafiosi della famiglia di caccamo a lui vicini,
cioè i fratelli puccio, ma che lui non ne aveva poi sentito più niente. E ci ha detto che era una strada
cui erano interessati i fratelli muscia. A questa strada è stata individuata attraverso degli
accertamenti dei quali ci ha riferito il capitano giovanni sozzo, che ci ha riferito che nel periodo
2000 2001 dalle imprese riconducibili a Michele aiello erano state realizzate diverse strade
interpoderali in agro di caccamo, in particolare la strada cordaro-manchi, angiletto-manchi, puscico,
[…]
Sempre sotto il profilo di Michele aiello che abbiamo chiamato attività imprenditoriale, antonino
giuffrè ha reso dichiarazioni anche sull’altra attività esercitata da Michele aiello, quella della radio
terapia e dela diagnostica per immagini nella sanità privata e a regime convenzionato. Ci aveva
detto giuffrè che anche in tali attività si erano realizzati interessi di natura mafiosa, interessi di cosa
nostra, tant’è che aveva puntualizzato giuffrè, con l’acquisto della struttura ex zabara, l’ing aiello
chiuderà il cerchio del discorso zabara e la famiglia di bagheria si metterà nelle mani l’ex hotel
zabara. Con riferimento a questa frazione delle dichiarazioni di giuffrè sono stati raccolti alcuni
elementi di riscontro, in articolare alcune dichiarazioni rese sul punto da un altro collaboratore di
giustizia sentito, angelo siino, il quale ci ha detto che sin dagli anni 90 aveva avuto notizie circa
futuri investimenti in strutture sanitarie nella città di bagheria da qualificati componenti della locale,
di bagheria, famiglia mafiosa. “non so se alla fine degli anni 80 o 90-91 ebbi a sentire parlare, che
cercavano di fare un investimento sulla circonvallazione di bagheria, cercavano di acquisire un
vecchio istituto che facevano addirittura riferimento ai salesiani, che volevano adire a clinica. I0o in
questa occasione ho sentito parlare di investimenti nel campo della sanità, ne ho sentito parlare
Gino Scianna, nino Gargano, eucaliptus, parlavano di questa cosa”. Poi ha riferito siino che sempre
in quel periodo aveva sentito da franco baiamonte che “c’erano problemi per quanto riguarda una
struttura sanitaria però non meglio identificata e non mi dissero di che tipo si trattava”. Quindi nella
parte finale degli anni 80 o inizio anni 90 ci dice siino che aveva avuto notizie dall’interno della
famiglia mafiosa di bagheria da un lato Franco Baiamonte, dall’altro Eucaliptus, Gargano, Scianna,
su investimenti nel settore della sanità cui era interessata la famiglia mafiosa e ha fatto riferimento
ad un istituto sulla circonvallazione e all’ex zabara.

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Barbagallo ha reso delle dichiarazioni analoghe, dicendoci che aveva saputo anche lui di
investimenti nella sanità . All’udienza del 14 giugno 2005 abbiamo sentito il geometra tomasello,
uno dei tecnici che per conto di aiello ha seguito prima le diverse fasi di acquisizione delle strutture,
poi le fasi di trasformazione dell’ex zabara. Tomasello ci ha detto che per la ristrutturazione e
trasformazione dell’ex zabara che prima era un albergo esisteva un progetto presentato all’epoca dei
mondiali del 1990. Segno dunque che già da allora poteva essere certamente noto, all’interno del
contesto mafioso di bagheria l’esistenza, ovviamente ancora a livello progettuale, per una nuova
destinazione della struttura zabara, una destinazione nel campo della sanità. Un’indicazione che
coincide peraltro con l’epoca nella quale colloca siino il momento della conoscenza di quanto poi ci
ha riferito nel corso della sua deposizione. In secondo luogo poi, nel corso dell’istruttoria
dibattimentale, sono state ricostruite le specifiche vicende cui ha fatto seguito l’acquisizione da
parte delle società di Michele aiello non solo della struttura ex zabara, quella della famiglia
conticello. Sono stati sentiti sul punto, il geometra tomasello, lo bue Giuseppe, parente dei
conticello e angelo Fabio Conticello, uno dei soci proprietari della struttura. Dalle dichiarazioni che
queste persone hanno reso si desume un punto importante: per come riferitoci da tutti i soggetti
sentiti, per la cessione della struttura ex zabara, erano state avviate trattative in concreto, soltanto
con il gruppo imprenditoriale Aiello. Il primo contatto si era verificato già nel 1999, l’atto finale poi
sarà del 2001 se non ricordo male, e il primo contatto era avvenuto con il maresciallo Borzacchelli e
con tale Nino Aiello, i quali erano usciti di scena subito, ci ha detto conticello , dalle trattative ma
che comunque entrambi avevano agito, si erano presentati, ne avevano speso esplicitamente il
nome, nell’interesse di Michele aiello che doveva figurare come la parte acquirente la struttura. Una
trattativa che inizia con l’interessamento di Borzacchelli e di questo nino aiello, che prosegue con
l’inserimento e poi come punto di riferimento degli uomini di fiducia dell’imprenditore Michele
aiello, per un’operazione che viene conclusa nel 2001 per un valore di circa 10 miliardi, per cui
siino ci ha detto che c’era l’interesse della famiglia mafiosa di bagheria e per la quale aiello non ha
mai avuto una reale concorrenza. Cioè non c’è mai stata una reale concorrenza a Bagheria per una
struttura come la ex zabara, per un affare di 10 miliardi di lire.
Aiello oltre la struttura zabara ha acquisito anche alcuni terreni circostanti con le strutture
preesistenti e anche questi terreni e strutture sono stati acquistati da parte di aiello senza alcuna
concorrenza. All’udienza del 24 maggio 2005 in cui è stato sentito salvatore lazzarone, proprietario
di uno di questi terreni, lazzarone ci ha detto che la sua trattativa si era conclusa con il ragioniere
d’amico, per l’ammontare di 700 milioni di lire circa e che per il suo terreno non c’erano stati altri
aspiranti acquirenti seri, ci ha detto lazzarone “si era presentato uno, ma non aveva una lira”. Ci ha
detto lazzarone che anche altri terreni, quelli confinati al suo erano stati venduti alla società
Atgroup, cioè un’impresa di Aiello, e Lazzarone ci ha indicato il terreno di proprietà dei fratelli
Tosto di Lercara Friddi. Mentre ci ha detto sempre Lazzarone altri proprietari di terreni pure
prossimi avevano cercato di concludere qualche affare interessando Pietro Loiacono, ci ha detto
Lazzarone “che io sappia, sia Pipia che Cilea [che erano due proprietari di fondi confinanti] si erano
rivolti a pietro Loiacono, prima che venisse arrestato, perché intervenisse presso aiello per fargli
acquistare i terreni”. Allora abbiamo sentito uno di questi due, Eustachio Celia, titolare della ditta
Sepla , lo abbiamo sentito il 24 maggio 2005, e Celia ci ha confermato la circostanza, non solo ma
ci ha fornito un particolare interessante, perché ci ha detto che non era stato lui a cercare Pietro
loiacono per vendere la sua proprietà, ma era stato esattamente il contrario, era stato Pietro
Loiacono a prendere contatto con lui proponendogli di vendere il suo terreno ad aiello. “Lui
[loiacono] in estate del 2001 mi avvicinò, mi disse se io ero intenzionato ancora a vendere il
capannone che c’era la possibilità di acquistarlo. Io ci dissi di si e da li a poco lui mi disse c’è
l’ingegnere aiello che lo vorrebbe acquistare” e Celia ha concluso dicendo che l’arresto di Pietro
Loiacono ha impedito di coltivare ulteriori contatti. Ma ci ha detto Celia che in quello stesso
periodo lui aveva più volte visto, aveva avuto modo di osservare, pietro loiacono insieme al fratello
recarsi presso un terreno coltivato ad agrumi situato presso la sua proprietà, i fratelli loiacono si
occupano di agrumi, il terreno che i tosto avevano venduto ad Aiello. E Celia ha detto di aver visto

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pietro loiacono su quel terreno dopo che il terreno era stato venduto a Michele aiello, e li aveva visti
Celia accedere al terreno con alcuni operai, avevano fatto accesso da un certo cancello delle cui
chiavi, ci ha detto Celia era in possesso Pietro Loiacono, si tratta, anche queste, di circostanze che
dimostrano non soltanto l’attivismo di pietro loiacono in favore di Michele aiello quale tramite per
l’acquisizione di questi terreni ed è certo immaginabile che cosa possa significare nel 2001 essere
avvicinati da pietro loiacono per sapere se vuole vendere un terreno perché c’è Michele aiello che lo
vuole acquistare. Ma queste circostanze ci offrono un riscontro, anche questo significativo,
individualizzante, del particolare rapporto che intercorreva tra pietro loiacono e Michele aiello,
proprio quel tipo di rapporti si è a lungo soffermato giuffrè nel corso del suo esame. Ci ha detto
giuffrè che a un certo a punto aveva messo nelle mani di pietro loiacono Michele aiello, che pietro
loiacono provvedeva alle esigenze, era il punto di riferimento di Michele aiello e che lo aveva fatto
finchè era stato libero di muoversi. 2001 pietro loiacono coltiva l’agrumeto che Michele Aiello
aveva comprato dai fratelli tosto di lercara friddi e, qui ci sarebbe un altro processo da fare, tanto il
tribunale chi sono i fratelli tosto lo può leggere dalla sentenza del gup del tribunale di paelrmo che è
versata nel fascicolo del dibattimento, quindi non solo coltiva il fondo ma pietro loiacono avvicina
gli altri proprietari per, bisognerebbe usare le parole di Sebastiano Iuculano, per “dare consigli per
gli acquisti”. Noi nel corso del dibattimento abbiamo sentito come imputato di reato connesso il
quale all’udienza dell’8 novembre 2005, quando gli sono stati chiesti quali erano i suoi rapporti con
Michele aiello non ha avuto un attimo di esitazione e ha risposto in questi termini “mi permetto di
dire a questa corte, che dopo i miei fratelli per me viene nel mio cuore c’è Michele aiello, ci sono i
miei figli e i miei fratelli, perché io sono innamorato della persona dell’ingengere, di tutte le
persone come Michele aiello e come me, e con orgoglio lo dico, che da bambini abbiamo
cominciato a lavorare e ci siamo fatti, diciamo qualche cosa”. Che detto da pietro loiacono non è
niente male. Poi però detto questo, pietro loiacono ha negato qualsiasi cosa, di esserte intervenuto a
favore di Michele aiello, presso Celia ma addirittura negato di avere avanzato richieste di cortesie e
di favori di qualsiasi tipo, personalmente a Michele aiello, e pitro loiacono i questo processo è
riuscito a farsi smentire non solo da Celia e dall’altro testimone per quanto riguarda la vendita dei
terreni, ma è riuscito a farsi smentire anche dallo stesso Michele aiello che nel corso del suo esame
ci ha parlato delle richiesta che gli aveva rivolto pietro loiacono per far lavorare presso la sua
struttura sanitaria anche le autoambulanze dell’associazione la fratellanza dove lavorava il figlio di
Loiacono. E quindi abbiamo smentite plurime che evidenziano quanto alle specifiche circostanze
che gli erano state chiese, la piena inattendibilità di pietro loiacono e riducono ad una vera e
propria comparsata processuale le sue dichiarazioni di estraneità a cosa nostra sia per lui che per il
suo fraterno coimputato Michele Aiello.

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Palermo, 26 settembre 2007,
Seconda giornata requisitoria Processo Aiello - Cuffaro e altri (talpe alla Dda)

Pm, Michele Prestipino:


[…] nei confronti di Michele Aiello, che indica come imprenditore organico a Cosa nostra.
Abbiamo poi iniziato a illustrare il complesso degli elementi di riscontro che nel corso
dell’istruttoria dibattimentale sono stati raccolti con riferimento ai nuclei essenziali desumibili dalle
dichiarazioni di Giuffrè. Abbiamo organizzato l’esposizione dei riscontri con riferimento alle
funzioni e la ruolo attribuito a Michele Aiello in relazione alla posizione di imprenditore organico.
Quindi abbiamo passato in rassegna quegli elementi di riscontro che hanno riguardato la posizione
imprenditoriale di Aiello, la sua presenza imprenditoriale e nel settore delle strade interpoderali e
nel settore della sanità privata in regime convenzionato, in particolare nel settore della radio terapia
e della diagnostica per immagini.
E però l’istruttoria dibattimentale ci ha consentito di raccogliere elementi di riscontro sempre alla
chiamata in causa Giuffrè Antonino in particolare sotto il profilo che costituisce la
controprestazione del patto di protezione che l’imprenditore mafioso Aiello ha stretto con
l’organizzazione mafiosa. Abbiamo già detto che si tratta nel caso di specie che si tratta
dell’adempimento delle prestazioni più classiche che l’imprenditore che fa parte
dell’organizzazione tenuto ad adempiere. Si possono isolare tre distinte controprestazioni: nel ruolo
di finanziatore; nel ruolo di soggetto disponibile a rendere utilità e favori attraverso l’assunzione di
personale, quindi la messa a disposizione la propria impresa; e abbiamo detto, ce lo ha spiegato
Giuffré, che quando il vincolo associativo stringe un soggetto che è imprenditore, Cosa nostra “ne
approfitta”, perchè l’imprenditore è un soggetto diverso da qualsiasi altro soggetto organico
all’organizzazione, ha una sua capacità relazionale, e dunque può rendere quei favori che Giuffrè ha
chiamato “i favori speciali” e che nel caso Michele Aiello si sono concretizzati – terzo punto da
riscontrare – nella raccolta di informazioni riservate, non solo sulle indagine che lo riguardavano, e
ne abbiamo parlato, ma soprattutto sulle attività di investigazione che negli ultimi anni toccavano il
cuore di Cosa nostra, i capi mafiosi latitanti, in particolare Bernardo Provenzano. Quindi l’attività di
riscontro su questo lato delle dichiarazioni di Giuffré (esatto adempimento della controprestazione)
va organizzata secondo questo schema:
- ruolo di finanziatore
- le assunzioni
- il ruolo di soggetto che acquisisce le informazioni riservate e le reimmette nel circuito mafioso.

Muoviamo dal ruolo di finanziatore


Ci ha parlato di questo ruolo, nel quale si distinto Aiello, Giuffré sotto due profili.
In particolare ci ha riferito sulle “messe a posto” dei lavori di Aiello, indicandolo come soggetto
che ha aderito e si è adeguato al sistema della messa a posto. Ha fatto riferimento in particolare alla
messa a posto di diversi lavori per stradelle interpoderali, indicandoci non solo le modalità del
percorso attraverso cui veniva dapprima fornita la disponibilità a mettersi a posto e poi effettuato il
versamento della somma dovuta a tale titolo. Ci ha riferito sull’entità di queste messe a posto, ci ha
dato altri particolari. C’è un altro profilo, cui ha fatto riferimento Giuffré, che non riguarda el messe
a posto in relazioni a detersati lavori specifici o in relazione a determinate attività imprenditoriali,
ma che hanno concretizzatoli ruolo di finanziatore attraverso l’elargizione spontanea “una tantum”
di alcune somme consegnate per la famiglia mafiosa, in particolare quella di Bagheria, che è il
territorio su cui risiede e opera Michele Aiello. Giuffrè ci ha riferito puntualmente tempi, modalità
soggettive, oggettive, entità delle messe a posto che hanno riguardato in particolare i lavori di
realizzazione delle stradelle interpoderali. Giuffrè ci a parlato di queste cose per esperienza diretta
personale, ci ha raccontato fatti e circostanze di cui è stato diretto protagonista. Perché Giuffrè
ovviamente ci ha parlato del proprio attivismo, della sua attività posta in essere con particolare
riferimento proprio a queste messe a posto di lavori delle stradelle interpoderali, e ha fatto

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riferimento a lavori in particolare ricompresi nel suo mandamento, cioè Cacciamo, e ha fatto
riferimento a un ruolo svolto per messe a posto relative a lavori – sempre per sardelle interpoderali
– realizzati fuori del suo mandamento. Quindi un ruolo ulteriore, diverso, che ha riguardato
stradelel realizzate nella zona di San Mauro Castelverde e nella provincia di Messina. E soprattutto
nello spiegarci il complesso iter attraverso il quale si completava la messa a posto dell’imprenditore
Aiello, con particolarità assolutamente uniche, ci ha spiegato quale era il ruolo di Bernanrdo
Provenzano, il ruolo svolto in tale attività direttamente dal capo di cosa nostra. E ci ha spiegato che
delle attività di Aiello, dall’inizio alla fine, se ne occupava Provenzano. Giuffè ci ha indicato
dettagliatamente la trafila: Aiello-Bagheria-Loiacono, Loiacono-Provenzano, Provenzano me
quando ero io a dovermene occupare: o Cacciamo o territori di fuori sui quali intervenivo io. Ci ha
detto che la trafila veniva percorsa due volte: la prima volta quando bisognava dare alla zona la
notizia della disponibilità, quindi dell’arrivo sul posto, dell’apertura del cantiere, e la seconda volta
quando “transitavano i soldini”, come dice Giuffrè. Devo dire che se c’è una questione in questo
processo sui cui in punto di fatto non c’è da registrare nemmeno una virgola di contrasto tra quanto
detto da Giuffrè e la versione sugli stessi fatti ha reso nel corso del lungo esame e contro esame
Michele Aiello questa è proprio la questione delle messe a posto di cui ci stiamo occupando. Perché
anche aiello, sullo specifico punto ci ha detto tutte le cose o quasi tutte le cose dette da Giuffré.
Ripercorriamole brevemente. Aiello ci ha detto –esattamente come Giuffrè - che versava a Bagheria
la cifra di sette milioni di lire per ogni strada interpoderale realizzata. Ed è la stessa somma indicata
da Giuffrè. Ci ha detto Aiello che versava la somma nelle mani di Carlo Castronovo. Giuffrè ci ha
indicato Pietro Loiacono. Abbiamo scoperto durante l’istruzione dibattimentale che loiacono è
cugino di Catronovo. Aiello ci ha detto che non sapeva di questo collegamento. Ci ha detto Aiello
che prima di pagare, a inizio dei lavori, era tenuto a dare in via preventiva la comunicazione
dell’apertura del cantiere, cioè l’indicazione della zone in cui si sarebbe recato a regolare. E la
stessa cosa ce l’ha detta Giuffrè. Poi Aiello ci ha detto – circostanza importante - in relazione alla
realizzazione dei lavori delle stradelle interpoderali l’ultima somma in occasione del collaudo
dell’ultima strada realizzata, cioè nel 2002. Grazie ai documenti depositati dalla difesa tra esame e
contro esame Aiello è stato estremamente preciso, perché l’8 marzo 2006 ci ha testualmente detto:
“ecco, l’ultima strada è la 289esima ed è una strada realizzata su Mistretta e il cui collaudo è
avvenuto il 26 febbraio 2002. Quindi con riferimento alle realizzazioni delle stradelle interpoderali
– ce lo dice Michele Aiello - l’ultimo versamento di soldi per la messa a posto di questi lavori è
stata versata contestualmente al collaudo, quindi verosimilmente nel febbraio 2002. Ci ha detto poi
Aiello che nel corso degli anni aveva dovuto versare una somma una tantum particolarmente
onerosa di 700 milioni di lire, versata in diverse rate in contanti, sempre nelle mani di Carlo
Castronovo, somma che aveva titolo nell’acquisto – quindi una messa a posto, una tangente – in
relazione all’operazione di acquisto dell’ex struttura Zabbara.
Non solo, ma ci ha anche detto M. A. che oltre alle strabelle interpoderali, lui era stato sottoposto
alla messa a posto anche in relazione non già ai singoli lavori, ma alla sua attività imprenditoriale.
Quindi quella svolta presso il centro della diagnostica. E ci ha detto che dal 1997 fino al 2002 aveva
versato con cadenza annuale la somma di 50 milioni di lire, che era diventata di 25 mila euro nel
2002. Ci ha detto che anche queste somme erano state versate nelle mani di Carlo Castronovo. E ci
ha detto che l’ultima annualità versta per la messa a posto dell’attività imprenditoriale nel settore
della sanità l’aveva versata nel novembre 2002 –anche questa è una data importante –nelle mani di
Carlo Castronovo.
Ci ha detto Michele Aiello che per un verso dopo il febbraio 2002 – perché non aveva più fatto
strade interpoderali – per altro verso dopo il novembre 2002 (ricordiamo che nel dicembre 2002
Carlo Carlo Castronovo viene tratto in arresto e poi nei mesi successivi è deceduto per una grave
malattia), quindi dice Aiello dal novembre 2002 non si è presentato più nessuno ad esigere la
somma di denaro annuale relativa all’attività della diagnostica.
Ci ha poi detto infine, su questo versante, M. A. che nel corso del 2003 – poi vedremo con quali
cadenze e in quali esatti momenti temporali - si erano presentati da lui in rapida successione,

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personalmente o per interposta persona, Nicolò Eucaliptus e Leonardo Greco che aveva avanzato
nei suoi confronti alcune pretese, anche di carattere economico. Questo è il quadro sul punto delle
dichiarazioni di Michele Aiello, che come il tribunale avrà modo di apprezzare prima facie,
coincidono esattamente per molte questioni con quello che ci aveva detto Antonino Giuffrè.
Certo, Aiello ha avuto due accortezze. La prima accortezza è quella di indicarci come percettore
delle somme uno che è morto nel frattempo, dichiarazioni assolutamente inutili da questo punto di
vista, se non utili eventualmente, ove riscontrate, alla sua difesa.
Certo Aiello non ci ha spiegato tutta la trafila del meccanismo, cioè il nome di Bernardo
Provenzano lui non l’ha mai fatto da questo punto di vista. Non ci ha detto che i soldi transitavano
per quella strada.
La questione su cui invece registriamo un contrasto forte al di là di questi particolari, un contrasto
significativo tra le dichiarazioni di Giuffrè e la versione sugli stessi fatti resa da Aiello è sulla
qualificazione giuridica dei fatti. Perché dove Giuffrè imputa sostanzialmente il versamento delle
somme pagate da M. A. all’esatto adempimento degli obblighi di contribuzione cui l’imprenditore
organico è tenuto in favore dell’organizzazione mafiosa, obbligo a cui, ci ha detto Giuffrè, sono
tutti tenuti, compresi gli appartenti alla stessa organizzazione, Aiello, all’opposto, imputa il
pagamento delle stesse somme a una vera e propria attività estrosiva che lui ha subito, di volta in
volta, ad opera di Carlo Castronovo ed ignoti componenti dell’organizzazione mafiosa. E quindi
ritorniamo alla domanda che ci eravamo posti inizialmente: complice o vittima Michele Aiello?
La risposta al quesito e con essa la esatta qualificazione giuridica delle condotte che M A . ha
ammesso in punta di fatto e delle quali è stato accusato da Antonino Giuffrè, ovviamente, postula la
ricerca di parametri oggettivi di valutazione alla stregua dei quali operare un possibile
qualificazione giuridica di questi fatti. E qui non c’è possibilità di equivoco, non ci sono zone
neutre, zone grigie. Qua l’alternativa è secca, perché questa qualificazione o è in termini di adesione
al sistema della messa a posto nell’ambito del cosiddetto “patto di protezione”, che garantisce il
reciproco vantaggio a chi quel patto contrae (imprenditore e organizzazione mafiosa), ovvero questa
qualificazione non può che avvenire in termini assolutamente diversi, alternativi, e cioè di
imposizione subita per effetto della forza di intimidazione che l’organizzazione esercita nei
confronti anche di chi svolge attività economiche e quindi non può che essere qualificata come
estorsione.
Nella prima alternativa, se è vera, siamo di fronte al complice, per capirci, se è vera la seconda
siamo di fronte alla vittima.
Ho detto che il processo ci offre dei parametri valutativi assolutamente oggettivi, per altro derivanti
da fonte di prova diverse, e ancora una volta da fonti di prova eterogenee, elementi che danno corpo
a una serie di prove in senso tecnico, in senso stretto, che sono state ricostruite nel corso
dell’istruttoria dibattimentale. E tuttavia, prima di esaminare questi elementi che formano queste
prove che costituiscono i parametri oggettivi per capire ciò di cui stiamo parlando, occorre
ovviamente affrontare una questione in via del tutto preliminare. Ed una questione importante,
perché a seconda della risposta che si dà a tale questione preliminare potrebbe essere addirittura
inutile affrontare il tema che ho impostato. La questione è questa: è tenuto a pagare la messa a posto
anche l’imprenditore che stringe con l’organizzazione il patto di protezione? Perché è chiaro, se non
fosse così, se l’imprenditore organico fosse esentato proprio per il fatto di essere organico dal
pagamento della messa a posto, allora sarebbe inutile andare a vanti con il ragionamento. Allora (ce
lo dice Giuffrè, ce lo dice Aiello) Aiello paga, quindi non può considerarsi solo per questo
imprenditore organico.
Sul punto, su questi specifico punto preliminare, sull’ammissibilità come regola che l’imprenditore
organico paga anch’egli, quindi c’è una sostanziale adesione alla messa a posto come contro
prestazione dell’adesione al patto di protezione, Giuffrè ci ha dato una specifica e puntuale risposta.
Ci detto: guardate che, tutti, ma proprio tutti sono sottoposti a questo obbligo contributivo, diciamo
così. E Giuffrè ci ha addirittura proposto come esempio, ci ha detto “guardate che anche Bernardo
Provenzano, quando è venuto a fare un lavoro con la sua impresa, cioè la sua per interposta persona,

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a Castronovo di Sicilia - ricompresso nel mandamento di Giuffrè - mi ha fatto immediatamente
sapere che era a disposizione per quanto avrebbe dovuto versare. Fui poi io di mio che gli ho detto
“no, niente”. Ma, ci ha spiegato Giuffrè, questa non è la regola, è una deroga, una concessione,
l’atto di ingraziarsi da parte dei vari capi mafiosi: io non ti faccio pagare quando vieni a lavorare sul
mio mandamento, poi tu mi riservi lo stesso trattamento.
L’esistenza di questa regola che ci ha illustrato Giuffrè ha trovato più di un riscontro, anche nel
corso di questo processo, e devo dire che il sistema che sul punto ci ha descritto il collaboratore nei
suoi diversi aspetti, al di là di quello che abbiamo raccolto nel dibattimento come prova
dichiarativa, trova una formalizzazione e un riconoscimento che ha la sacralità, vorrei dire, se non
trattassimo questa materia, del passaggio in giudicato, in diversi arresti della giurisprudenza, che
appunto sono formalizzati in motivazioni di sentenze divenute definitive, che sul punto si sono
pronunciate affermando l’esistenza della regola che ci ha detto Giuffrè. Una delle tante sentenze le
abbiamo prodotte anche in questo processo. Faccio riferimento alla sentenza del Gup presso
tribunale di Palermo in data 12-12 2003 che ha come imputati il gruppo Lipari (capolista Alfano
Vito). Ebbene nella motivazione di questa sentenza su questo principio si leggono parole
chiarissime. Sul principio consolidato, affermato anche da altre decisioni, che tra le regole e le
prassi che l’organizzazione mafiosa ha fatto proprie, vi è anche quella che qualsiasi attività
produttiva di ricchezza su un territorio debba costituire una fonte di prelievo forzoso di risorse da
parte dell’organizzazione e in particolare da parte dell’articolazione territoriale sulla cui area di
influenza viene esercita l’attività, dove viene prodotta la ricchezza. Se su un territorio si produce
una certa ricchezza è evidente che qualcosa deve rimanere all’articolazione territoriale di Cosa
Nostra che quel territorio governa. In questa logica, scrive il Gup di Palermo in questa sentenza
divenuta definitiva, anche gli esponenti mafiosi interessati ad attività imprenditoriali devono
sottostare alla messa a posto secondo le regole associative. Ma in tali ipotesi, scrive il Gup, “la
corresponsione della somma dovuta a tale titolo non può dirsi il risultato di una coartazione
consumata con violenza o con minaccia, conseguendo invece dalla condotta di chi si attiva per
uniformarsi ad accordi e regole previamente condivise. Sono parole estremamente chiare che già da
sole ci confortano e confortano quello che ha detto anche in questo processo Antonino Giuffrè
sull’esistenza di questa regola, e cioè sul fatto che la circostanza di pagare la messa a posto di per sé
non è indice di non appartenenza, non è l’indice sintomatico dell’essere vittima: paga anche chi è
complice, paga anche chi è organico. E dunque occorre poi andare a ricercare dei parametri
oggettivi per capire se se somme versate, al di là delle intenzioni dei singoli protagonisti e delle e
parole degli intendimenti e delle riserve mentali, che cosa sono: se sono frutto di imposizione o
adeguamento alla regola. Però nel corso dell’istruttoria dibattimentale sul punto noi abbiamo anche
sentito l’esperienza vissuta di due protagonisti importanti della gestione degli appalti e del sistema
della messa a posto all’interno di Cosa nostra. Perché abbiamo sentito Giovanni Brusca e Angelo
Siino, che certo, di quel sistema in particolare sono stati veri e propri protagonisti. Brusca e Siino ci
hanno sostanzialmente confermato esattamente l’esistenza della regola negli esatti termini in cui ce
l’aveva spiegata e formalizzata il Gup di Palermo nella sentenza che ho citato. Giovsanni Brusca è
stato sentito nell’udienza del 7 giugno 2005:
Pm: senta lei ha fatto riferimento al sistema della messa a posto. Ci può spiegare che cosa è la
messa a posto nel linguaggio di Cosa nostra?
Br: la messa a posto è quando una impresa si prende un lavoro, deve realizzare un lavoro, dipende
di quale entità. Ebbene si deve andare a mettere a posto attraverso i canali a lui noti nel territorio
siciliano. Cioè uno di un paese deve andare in altro paese e si deve rivolgere al suo referente per
mettersi a posto, quindi pagare una sorta di tangente, il cosiddetto pizzo, per non subire
danneggiamenti.
Pm: questa tangente è parametrata in qualche modo ai lavori che vengono svolti
Br: sì, normalmente, di solito è il 3%, ma non veniva mai pagato il 3%... 2/ 2,5% comunque, lo
standard, i paletti erano stati fissati sul 3% della quantità del lavoro
Pm: lei ha vsvolto anche nel corso delle sue attività attività d’impresa? Lei è stato imprenditore?

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Br: sì, non direttamente, con prestanomi sì, ho avuto delle imprese.
Pm: e lui la messa a posto l’ha pagata quando ha fatto lavori fuori del suo mandamento?
Br: sì, le ho pagate, sia all’interno del mio paese stesso che fuori. Perché era un business, cioè non
era un attività prioritaria, per il normale vivere, quindi è diventato un business, io pagavo
regolarmente come tutti gli altri. Certo avevo qualche piccola cortesia, così, ma non pagavo
regolarmente senza problemi
Pm: e questo vale solo per lei o vale per tutti gli imprenditori che sono anche appartenenti a cosa
nostra?
Br: no, è una regola per tutti gli imprenditori: essendo che era un business, non era più un problema
famigliare, per un mantenimento famigliare: diventa un affare e quindi veniva pagato, era una
regola.
[…]

Superata questo problema preliminare (tutti sono tenuti a pagare) dobbiamo affrontare il merito
della questione, cioè cercare quei parametri oggettivi di valutazione per capire se quando paga
Michele Aiello paga perché vittima di una coartazione, perché vittima di intimidazione da parte
della mafia o se invece paga, perché –come dice il Gup di Palermo – si adegua a regole e accordi
preventivamente condivisi nell’ambito del patto di protezione che lo lega a cosa nostra. Uno dei
primi e più evidenti e forti elementi dal punto di vista probatorio che abbiamo colto in questo
processo sono quelli che si traggono dal contenuto di alcuni documenti, e in particolare da alcuni
pizzini che in questi anni sono stati acquisiti nel corso di alcune importanti attività investigative. I
pizzini cui faccio riferimento sono sostanzialmente 4 gruppi distinti. In primo luogo vengono in
considerazione, in ordine meramente temporale, i biglietti rinvenuti e sequestrati a Salvatore Riina
il 15 gennaio 1993 in occasione della sua cattura. Sono i biglietti che il 15 gennaio 1993 aveva in
tasca il capo di Cosa nostra che in quel momento si stava recando a una riunione. Quei biglietti,
come è consuetudine tra i capomafia – ce lo ha spiegato anche giuffrè – erano la sua agenda, il suo
promemoria per affrontare gli argomenti di quella mattina.
Poi abbiamo un secondo gruppo di biglietti importante, e sono quelli che sono stati acquisiti perché
consegnati spontaneamente al colonnello Riccio tra il 1995 e il 1996 da luigi Ilardo, uno dei capi
mafia della zona del nisseno, ucciso il 10 maggio 1996.
Abbiamo poi un terzo gruppo di biglietti – facciamo un salto negli anni – che sono quelli rinvenuti e
sequestrati in due distinte occasioni: il 16 aprile 2002 in occasione dell’arresto di Antonino Giuffrè,
e sono i biglietti trovati nel marsupio che la mattina del 16 aprile aveva con sé; e sono poi quelli più
cospicui rinvenuti il 4 dicembre 2002 a Vicari, nascosti, rinvenuti e sequestrati a seguito delle stesse
indicazioni date da Giuffrè nell’ambito del rapporto di collaborazione avviato.
C’è un ultimo documento, certamente non meno importante dei precedenti, costituito da alcuni
appunti manoscritti rinvenuti e sequestrati il 25 gennaio 2005 a Bagheria nell’abitazione di
Giuseppe Di Fiore, uomo d’onore della locale famiglia mafiosa, tratto in arresto a seguito degli
sviluppi dell’operazione Grande mandamento, e già condannato come si evince dal dispositivo di
sentenza che abbiamo prodotto insieme alla richiesta di rinvio a giudizio (ordinanza ammissiva di
abbreviato) il 16 novembre 2006 dal Gip del tribunale di Palermo per il reato di associazione
mafiosa e per una serie cospicua di fatti di estorsione commessi Giuseppe di Fiore in concorso con
altri mafiosi di Bagheria.
Ebbene, questi documenti, e parliamo di documenti che vengono dall’interno dell’organizzazione
mafiosa, e parliamo di documenti che non sono soltanto documenti interni dell’organizzazione, ma
sono documenti importanti, perché sono documenti che o provengono o sono indirizzati ai capi di
Cosa nostra, a Riina, a Provenzano o sono documenti importanti per il loro contenuto, come quelli
sequestrati a Di Fiore, perché per un’organizzazione come Cosa nostra non ci sia niente di più
importante della cassa. Ebbene questi documenti ci offrono elementi importanti per ricostruire le
modalità con le quali le attività imprenditoriali di Aiello sono state messe a posto in un arco
temporale di ben 10 anni, dal 1993 al 2002. E questi documenti, lo dico sin d’ora, ci offrono la

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prova provata della fondatezza della ricostruzione che sul punto ha effettuato Giuffrè. E di contro la
totale inattendibilità delle dichiarazione che sugli stessi fatti ha reso Aiello. E c’è un punto su tutti
che è importantissimo, perché questi documenti ci offrono la prova che da almeno 10 anni, cioè dal
1993 delle messe a posto e delle attività imprenditoriali di Aiello si sono direttamente occupati i
capi di Cosa nostra. Sono stati direttamente interpellati i capi di Cosa nostra, e Bernanrdo
Provenzano in particolare, che si è occupato personalmente e direttamente sia della comunicazione,
come vedremo, della disponibilità di Michele Aiello a sottostare, ad adeguarsi, alla regola della
messa a posto, sia del transito, della veicolazione delle somme di denaro dovute per le messe a
posto.
Partiamo dal primo di questi documenti. E’ un bigliettino che viene rinvenuto tra i circa 10 biglietti
che la mattina del 15 gennaio 1993 vengono rinvenuti e sequestrati nelle tasche di Totò Riina.
Questo bigliettino è il documento numero 10 degli atti ripetibili depositati, acquisiti al fascicolo del
dibattimento. Questo è un documento dattiloscritto, senza data, nel quale si legge: “Altofonte:
vicino cava Buttitta strada interpoderale. Ing. Aiello.”. Sulle circostanze del rinvenimento, del
sequestro di questo pizzino, dell’arresto di Riina, sull’esito degli accertamenti effettuati su questi
documenti, in particolare su questo biglietto noi abbiamo sentito nel corso del dibattimento, il 7
giugno 2005, il maggiore Sergio De Caprio, allora comandante della sezione del Ros che aveva
effettuato l’arresto di Riina, e abbiamo sentito il 5 aprile 2005 il maresciallo Santo Calcarei che ha
svolto sotto le dipendenze di De Caprio queste attività. Ebbene, ci hanno riferito dopo il
rinvenimento e il sequestro di questi biglietti, ricevettero una delega dalla Procura per eseguire
accertamenti sul contenuto di questi biglietti e a loro volta delegarono altre stazioni, altri organi
dell’Arma dei carabinieri per raccogliere le informazioni necessarie per poter rispondere alla delega
ricevuta dalla procura. E allora siccome questo biglietto recava la dizione Altofonte, ovviamente il
riscontro a questo pizzino è stato delegato alla Stazione dei Carabinieri di Altofonte. LA quale
nonostante ci fosse l’indicazione “strada interpoderale vicino Contrada Buttitta. Ing Aiello” ha
risposto al Ros, che poi ha girato la risposta alla Procura, dicendo questa persona andava
identificata in un certo Aiello nato e residente ad Altofonte. Uno che con le strade interpoderali,
come direbbe un noto ministro, “non ci azzeccava nulla”. Solo a distanza di molti anni, e proprio
nell’ambito di questo processo, per la prima volta dopo 11 anni, con una annotazione d’indagine del
13 gennaio 2004, è stato individuato in Michele Aiello l’imputato di questo processo, l’Aiello di cui
al biglietto sequestrato a Riina. E come si è pervenuti a questa identificazione - che certo, come
dire, non è che ci volesse una particolare scienza – ce lo ha spiegato il Michele Miulli il 6 dicembre
2005. Ci ha detto l’ufficiale dei Carabinieri “l’identificazione è stata resa possibile grazie alle
indicazioni contenute ne biglietto”. Dice l’ufficiale, “abbiamo individuato la stradella interpoderale
che esisteva ed era esattamente prossima alla cava Buttitta, abbiamo cercato chi aveva realizzato
questa stradella e abbiamo scoperto che dalla cava Buttitta, proprio da vicino alla cava, non nei
pressi, ma attaccato, si diparte si diparte una strada interpoderale che collega alcuni terreni della
località Valle Rena di Altofonte. Questa strada si chiama strada interpoderale Rena San Ciro. Ha
inizio, ci ha detto Miulli, proprio presso la cava Buttitta e ci ha detto Miulli che ovviamente sono
andati a cercare le carte di questa strada interpoderale in assessorato e hanno scoperto, dopo 11
anni, che il progetto era stato redatto il 2 gennaio 1980 dall’ing. Michele Aiello, era stato
rielaborato con aggiornamento dei prezzi in data 9 settembre 1992 dal geom. Gaetano Cusimano
della “Sicil project” – di cui abbiamo parlato – e, ci ha detto Miulli, abbiamo anche acquisito il
verbale di visita e accertamento dell’avvenuta esecuzione dei lavori che reca la data del 9 marzo
1993, nonché – ci ha detto Miulli –abbiamo acquisto un’altra serie di carte e di documenti dai quali
si evince in modo assolutamente chiaro che il progetto, l parte burocratica e la strada erano state
realizzate dalle imprese di Michele Aiello.
Il maggiore Miulli ci ha anche detto che oltre a questa strada nella stessa zona di Altofonte
risultavano realizzate, sempre attraverso questo studio delle carte, altre strade interpoderali, sempre
realizzate dalle imprese di Aiello. E grazie agli elenchi depositati anche, devo dire, dalla difesa è
possibile individuare queste strade in quattro strade tutte realizzate dalle imprese di Aiello nella

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zona di Altofonte, tutte collaudate tra il 23 maggio 1989 e il 7 luglio 1989. quindi quasi 4 anni
prima della strada Reno San Ciro. E quindi già queste circostanze – la localizzazione territoriale, il
period di riferimento, il fatto che le 4 strade erano state collaudate 4 anni prima – ci convincono
sufficientemente che la strada cui si faceva riferimento nel biglietto di Riina fosse proprio la strada
interpoderale Rena San Ciro. Noi abbiamo sentito Aiello all’udienza del 21 febbraio 2006, il quale
ci ha spiegato che effettivamente le sue imprese hanno realizzato alcune strade interpoderali nel
territorio del comune di Altofonte. […]

Ma mentre per la strada Reno San Ciro lui non aveva versato alcuna somma a titolo di tangente (
per una strada avrebbe dovuto versare i 7 milioni di lire) poiché nulla gli era stato chiesto, ci ha
detto che per le altre 4 strade aveva effettivamente versato in precedenza, con le note modalità la
somma di 7 milioni a strada: 7 per 4 28, circa 30 milioni. Anche Aiello ci conferma il dato
desumibile da una lettura attenta e ragionata del biglietto rinvenuto a Riina e dei successivi
accertamenti effettuati dai carabinieri e di cui l’esito ci è stato rassegnato i 13 gennaio 2004. mase
la strada in questione, quella del biglietto di Riina, per intenderci, è proprio la strada interpoderale
Rena San Ciro, non vi è dubbio che l’indicazione a questa strada era contenuta in un biglietto che è
stato rinvenuto il 15 gennaio 1993 e che quindi era stato predisposto certamente prima di questa
data. Ovviamente non sappiamo chi ha scritto il biglietto –gli accertamenti non ce ne hanno dato
conto, però di certo questo biglietto è stato scritto prima addirittura che i lavori di realizzazione ella
strada venissero nella sostanza iniziati nel loro grosso, e certamente prima che fossero stati ultimati
(il verbale di collaudo è del 9 marzo 1993, il biglietto è anteriore la 15 gennaio 1993). E forse non
basta dire che il biglietto è stato scritto in data anteriore al 15 gennaio 1993, perché questo è un dato
monco, incompleto. Perché poi forse bisognerebbe porsi il problema di quanto tempo è stato
necessario per fare arrivare questo biglietto a Riina da parte del suo mittente; e quanto tempo era
stato necessari al mittente per essere stato interpellato dall’interessato. E allora certamente andiamo
indietro nel tempo. E comunque è certo che questo biglietto è stato trovato nella tasca di Riina
quando ancora i lavori erano ben lontano dall’essere ultimati, probabilmente nella loro parte
essenziale dovevano ancora avere inizio. E allora questo biglietto, e mi sembre assolutamente
consequenziale, non contiene una richiesta di estorsione: non la contiene perché la richiesta di pizzo
per un lavoro di questi si fa alla fine. E ce lo ha detto Aiello: i 7 milioni lui li pagava alla fine, a
Bagheria nelle mani di Carlo Castronovo. E ancora: c’era bisogno, per sottoporre a pizzo un lavoro
di 400 milioni, per 7 milioni di tangenti, e c’era bisogno di dirlo a Salvatore Riina, il capo di Cosa
nostra? Non bastava l’intervento regolare, quello dei mafiosi della zona che vanno a cantiere,
chiedono del capo cantiere? Ma quanti processi abbiamo fatto su queste cose? Che chiedono al
capocantiere di parlare con chi comanda, parlano con quello, gli spiegano che c’è da mettersi a
posto e gli danno appuntamento per15 giorni dopo. Non forse questuala regola di tutte le estorsioni
in tutta la Sicilia?
No. C’è qualcuno che ha un filo di interlocuzione diretto con Riina e gli segnala il nome di Aiello in
relazione a un lavoro che deve fare ad Altofonte. Quindi quando ancora il lavoro deve essere
realizzato, e se questo avviene per un altro motivo, ed è il motivo che ci ha spiegato Giuffrè: questa
non è una richiesta di estorsione, questa è una segnalazione, è una vera e propria raccomandazione
fatta al capo di Cosa nostra non per dire “prendete l’imprenditore Aiello e sottoponetelo a Pizzo”
ma per dire “ guardate che l’imprenditore Aiello è disponibile, è uno dei nostri, non gli fate danno”.
E quindi è una raccomandazione fatta, avanzata, ricevuta dal capo di Cosa nostra perché fosse
garantito un trattamento particolare a un particolare imprenditore che si chiama Michele Aiello. La
conferma della lettura di questo biglietto non l’abbiamo nelle parole dei protagonisti della vicenda.
Sono lavori fatti ad Altofonte e noi abbiamo sentito chi comandava in quel periodo ad Altofonte o
era certamente un esponente di rilievo della mafia locale, Giocchino La Barbera e abbiamo sentito
Giovanni Brusca che era il capo mandamento nel cui territorio ricade Altofonte.
Giocchino la Barbera noi lo abbiamo sentito […]

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Sulla stessa vicenda abbiamo sentito Giovanni Brusca, il 7 giugno 2005. Brusca ci ha riferito che tra
il 1989 e il 1992 aveva ricevuto una serie di “raccomandazioni”, così le ha chiamate, direttamente
da Bernardo Provenzano per dei lavori che doveva realizzare l’ing. Aiello nella zona di Altofonte, e
ci ha detto che si trattava di 2 o 3 strade interpoderali, una situata nei pressi della Cava Buttitta.
Dice testualmente Brusca: “Mi è arrivato un pizzino di Provenzano dove mi diceva, in linea di
massima, di rispettarlo, di trattarlo come se fosse la sua stessa persona, e che con un certo riguardo,
tanto è vero che io mi ricordo che non gli abbiamo chiesto niente di particolare. Ci ha fatto arrivare
solo la messa a posto, e credo che poi sia stato libero di fare un po’ quello che voleva”. E ci ha detto
Brusca che a suo ricordo aveva ricevuto per la messa a posto la somma di circa 30 milioni di lire.
La raccomandazione di Provenzano consisteva, in buona sostanza, nel lasciarlo libero, nella
richiesta di non imporre ad Aiello, come di regola avveniva con tutti gli altri, né i fornitori, né l’uso
dei mezzi appartenenti alla famiglia del luogo o alle persone ad essa vicine. Allora a Brusca, nel
corso dell’esame e a seguito di queste dichiarazioni, è stato chiesto se era un fatto frequente, se era
una prassi solita che Provenzano raccomandasse imprese anche in quella zona.
Pm: Prov. Avrà parlato con lei di una serie di affari che riguardavano il suo territorio.
Percentualmente era frequente che raccomandasse qualcuno?
Br: No
Pm: fra queste persone che le ha raccomandato, questa raccomandazione di Aiello aveva delle
caratteristiche particolari? O era uguale ad altri raccomandati?
Br: signor Presidente, chiedo scusa, nel gergo nostro non c’era bisogno di fare un romanzo. C’erano
tre parole, 4 parole: “trattalo bene come se fosse una cosa mia”. E io già capivo tutto.
Pm: gli altri raccomandati da Provenzano erano così?
Br: no, non , no mai. Ma neanche con la sua impresa mi diceva una cosa del genere. Neanche
quando gli ho fatto fare l’impresa, l’associazione, con Geraci Salvatore e Giammanco Vincenzo per
la messa a posto se la vedeva lui.
Quindi una raccomandazione, come dire, unica.
Dalle dichiarazioni di La Barbera e di Brusca noi possiamo trarre la conseguenza che i biglietti che
aveva ricevuto Brusca da parte di Provenzano, quelli riferiti alle 4 strade interpoderali realizzate a
partire dal 1989, sono biglietti diversi da quello sequestrati a Riina. E quindi hanno tutti e due
(quelli indirizzati a Brusca e quello sequestrato a riina) per oggetto certamento lavori per strade
interpoderali realizzati da Aiello, ma sono strade diverse, perché le raccomandazioni di cui ci parla
Brusca sono quelle delle strade interpoderali collaudate nel 1989, quella di cui la biglietto di Riina è
la strada interpoderale Rena San Ciro. E quindi Brusca ci dice di aver ricevuto 30 milioni e sono
esattamente 7 per 4 uguale 28 di cui ci ha parlato Michele Aiello in riferimento alle 4 strade
realizzate nel 1989. Resta il fatto che per quella strada di contrada Rena San Ciro non solo Aiello è
stato trattato bene (“trattalo come se fosse una cosa mia” dice Provenzano) e non gli sonostate
imposte forniture etc., ma qui è stato trattato come se fosse Bernardo Provenzano, alla stessa
stregua, come lo ha trattato Antonino Giuffrè, capomandamento di Caccamo quando quello è
andato a realizzarsi il lavoro a Castronovo di Sicilia: cioè non gli hanno fatto versare manco la
messa a posto dei sette milioni per una strada.
E allora anche le dichiarazioni rese da La Barbera e Brusca confermano in modo assolutamente in
equivoco il dato desumibile dal contenuto del biglietto sequestrato a Riina il 15 gennaio 1993 e la
lettura che di esso inizialmente vi ho prospettato. E cioè che già alla fine del 1992-93 i lavori che
realizzavano le imprese di Aiello venivano segnalati, raccomandati, seguiti ai massimi livelli di
Cosa nostra direttamente e personalmente già allora da Bernardo Provenzano.

Andiamo avanti di tre anni e arriviamo al 1995. Secondo gruppo di biglietti. Quelli di Luigi Ilardo,
un componente di spicco delle famiglie mafiose che operano nel nisseno, e all’epoca - 94-95 –
Ilardo aveva un rapporto personale diretto – lui dice visivo, certamente epistolare – anche con
Bernardo Provenzano. Però contestualmente a questo contatto con il capo di cosa nostra (a metà
degli anni 90 Provenzano ha preso la guida dell’organizzazione) Ilardo aveva avviato un rapporto

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di natura confidenziale con il colonnello Michele Riccio, che in quel momento era in forza al Ros
dei Carabinieri. Nell’ambito di questo rapporto confidenziale aveva consegnato al colonnello Riccio
le copie delle lettere che periodicamente gli aveva trasmesso Provenzano, e che contenevano spesso
degli allegati. Gli aveva consegnato le coppie di altre lettere, ovviamente, che Ilardo riceveva da
altri esponenti mafiosi. Poi Ilardo aveva deciso – nella primavera del 96 – di formalizzare questo
rapporto, di trasformare quello che fino a quel momento era stato un rapporto di natura
confidenziale in un vero e proprio rapporto di collaborazione con l’autorità giudiziaria. Il 10 maggio
1996 Ilardo viene assassinato a Catania. Ovviamente quel rapporto di collaborazione non fu mai
avviato. Al storia di ilardo, lo sviluppo dei suoi rapporti confidenziali con Riccio, il contenuto delle
lettere e dei biglietti che gli aveva consegnato nell’ambito di questo rapporto sono stati ricostruiti
nell’ambito di questo processo dal diretto protagonista, il colonnello Riccio, che è stato sentito
all’udienza del 6 dicembre 2005. Ma queste stesse circostanze hanno formato oggetto di
accertamento giurisdizionale divenuto definitivo. Faccio riferimento alla sentenza del tribunale di
Palermo, II sezione, in data 2 marzo 2002, che il processo a carico di Simone Castello. Processo che
nasce unitario e poi si è diviso in due tronconi (processo a Castello e a Giovanni Napoli). Di
entrambi sono acquisiti agli atti del fascicolo del dibattimento le sentenze divenute definitive. Nelle
quali, a prescindere da quanto ci ha detto il colonnello Riccio durante l’istruttoria dibattimentale
sono ricostruite le vicende nelle quali è stato coinvolto Ilardo e nell’ambito delle quali è stata
effettuata questa consegna di biglietti.
Ebbene tra gli appunti dattiloscritti consegnati al colonnello Riccio, e sono i documenti dal numero
40 al 50 dell’elenco dei documenti del pubblico ministero acquisiti in sede di ammissione delle
prove, ce n’è uno che era stato consegnato da Simone Castello, addirittura nel settembre del 1994, e
a questa lettera –ce lo ha spiegato Riccio – era allegato un biglietto dattiloscritto. Dal seguente
tenore. “Ditta Aiello: deve fare lavoro strada interpoderale a Bubbudello, lago di Pergusa, Enna.
Ditta Aiello deve fare lavoro strada interpoderale al bivio Catena, Piazza Armerina”. Come si vedrà,
e come è di immediata evidenza un biglietto del tutto simile a quello che poco più di un anno e
mezzo prima era stato sequestrato a Riina. E anche questo biglietto – come quello di Riina -
all’epoca è stato oggetto di duplici accertamenti. E cioè chi fosse all’epoca dei fatti, quale persona
fisica, quale persona giuridica si celasse dietro la dicitura dattiloscritta Ditta Aiello, non fu scoperto.
Anzi si disse che trattandosi di un nominativo diffuso era quasi impossibile risalire alla esatta
identità di chi si trattasse. Poi nel 2002 furono delegati nuovi accertamenti che ancora una volta,
partendo dai riferimenti contenutistici, e cioè dalla indicazione delle strade interpoderali
ovviamente, hanno identificato ancora una volta esattamente in Michele Aiello l’imprenditore che si
celava dietro la dicitura dattiloscritta ditta Aiello.
[…]

Indicazioni assolutamente analoghe si traggono dal terzo gruppo di biglietti di cui stiamo parlando.
E’ il gruppo più recente, quello rinvenuto e sequestrato il 16 aprile 2002 il 4 dicembre 2002, in
occasione dopo l’arresto di Antonino Giuffrè e della sua decisione di collaborare con l’autorità
giudiziaria.
Nel corso dell’istruttoria dibattimentale noi abbiamo sentito in particolare, per primo il tenete
Salvatore Muratore, che all’epoca dei fatti era in forze presso la compagnia di Termini imprese, il
quale ci ha spiegato le circostanze che avevano portato all’arresto di Giuffrè e ci ha riferito quello
che la mattina del 16 aprile era stato trovato dentro il marsupio che Giuffrè aveva con sé.
All’udienza del 12 aprile 2005 noi abbiamo sentito il capitano Giovanni Sozzo, che ci ha, in modo
assolutamente dettagliato, puntuale e circoscritto ricostruito tutte le diverse vicende cui aveva fatto
seguito la notte sul 4 dic 2002 il rinvenimento e il sequestro dell’altra parte copiosa di
documentazione, tra cui ben 31 lettere dattiloscritte di Provenzano, che si trovano custodite,
occultate in un barattolo nascosto in una catasta di vecchie tegole in un magazzino adiacente
l’abitazione Di Vicari che Giuffrè aveva occupato negli ultimi 2 anni di latitanza. Giuffrè che ne
frattempo, divenuto collaboratore aveva descritto il posto in un interrogatorio alla Procura, aveva

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parlato di questo archivio di documenti, e a seguito di questo interrogatorio era stato delegata la
sezione anticrimine e il gruppo che operava con Giovanni Sozzo per il rinvenimento, il recupero e il
sequestro di questa documentazione, cosa che poi è avvenuta.
Il capitano Sozzo e il colonnello Damiano, all’udienza del 18 ottobre 2005 ci hanno pi riferito con
estrema puntualità tutti gli esiti degli accertamenti effettuati […]

[…]
Ebbene queste due vicende connesse a due biglietti, uno di Provenzano e l’altro della famiglia
mafiosa di San Mauro Castelverde ci confermano che anche negli anni più recenti, quindi tra il 200
e il 2001, per la messa a posto dei lavori di Aiello si era personalmente attivato il Provenzano, ed in
questo caso anche con la collaborazione di Giuffré come ulteriore tramite. A dimostrazione della
circostanza che delle questioni che riguardavano Aiello si interessava direttamente il capo di Cosa
nostra. E questi due biglietti, in particolare quello dattiloscritto direttamente a Bernardo Provenzano
ci dimostra qualche cosa che completa l’angolo prospettico della prova. Perché se i primi biglietti
(quello del 15 gennaio 93 e quelli riferibili a Ilardo) dimostrano l’intervento e l’interessamento di
Provenzano nella prima fase, quella della comunicazione della disponibilità, questo biglietto ci
dimostra l’interessamento e l’intervento di Provenzano nella seconda fase del completamento
dell’attività della messa a posto, cioè in quella della trasmissione del denaro. Quindi noi
riscontriamo attraverso questa documentazione, per intero, tutto il pezzo delle dichiarazioni che
sulla stessa questione ci ha reso Giuffrè, cioè intervento diretto di Provenzano sia nella fase iniziale
della comunicazione della disponibilità, sia nella fase finale che Giuffrè ha chiamato “mi faceva
arrivare i soldini”. E sono i 21 milioni che Provenzano fa arrivare a Giuffrè in allegato alla lettera
del 25 aprile 2001 e avente titola “La messa a posto dei lavori di alcune strade realizzati nel
mandamento di Cacciamo.
Ma così come i primi biglietti non avevano per contenuto una richiesta estorsiva, perché non c’era
che se io debbo fare una strada ad Altofonte poi io debba mandare un biglietto a Riina, analoghe
considerazioni si possono fare in riferimento alla fase finale, cioè quella del passaggio dei soldi. La
scelta di passare per Bernardo Provenzano non è mica una scelta obbligata nel sistema delle messe a
posto di cosa nostra. Perché quello che è obbligato è che l’imprenditore, organico, non organico,
estorto, vittima, complice faccia arrivare a chi di dovere la somma. E per farlo, ed è storia dei
processi che svolgiamo quotidianamente in queste aule, l’imprenditore ha due strade: o li dà al
punto di riferimento mafioso – per dirla con Giovanni Brusca - del suo Paese oppure li dà
direttamente al destinatario, cioè li consegna all’uomo che si presenta in cantiere. Abbiamo fatto
tanti processi e abbiamo verificato che vengono indifferentemente battute sia l’una che l’altra
strada. Ma dopo che Aiello consegna i 21 milioni a Carlo Castronovo, alias Pietro Loiacono o
chicchessia, perché gli uomini d’onore di Bagheria che hanno ricevuto questi soldi non li fanno
arrivare direttamente al capo del mandamento nel quale è ricompresso il territorio interessato dai
lavori? Noi sappiamo –ce lo ha detto Giuffrè – che lui aveva ottimi rapporti con Bagheria: aveva
ottimi rapporti con Nicola Eucaliptus, e ottimi rapporti con Pietro Loiacono. La via normale sarebbe
stata quella del contatto diretto tra gli uomini, i mafiosi di Bagheria ai quali Aiello aveva versato la
somma dovuta per i lavori a San Mauro Castelverde, e Bagheria contattava gli uomini d’onore
della famiglia di San Mauro Castelverde e gli consegnava i soldi.
No, qua c’è qualche cosa di più, una terza via, che è questa: il transito delle somme avviene per il
tramite di Provenzano, che non è una scelta obbligata. Che non solo non è obbligata, manon è
nemmeno una scelta normale. Quindi questa vicenda conferma che anche nella fase del pagamento
della somma vi era un interessamento personale e diretto di Provenzano, un intervento con
riferimento alla materiale consegna dei soldi. Un intervento diretto e personale che il capo di cosa
nostra non ha riservato a tutti gli imprenditori, ma ha riservato soltanto – si legge nelle sentenze che
abbiamo depositato – a una selezionatissima schiera di imprenditori, quelli a lui particolarmente
legati da vincoli di natura economica e da vincoli di natura fiduciaria. Voi troverete un altro caso
che non è analogo, che è differente, ma sotto il profilo in esame presenta qualche profilo di identità,

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nella sentenza Lipari. perché anche lì c’era il problema di mettere a posto un imprenditore vicino a
provenzano, lo fa Lipari, ma se ne interessa Provenzano. E allora sotto questo profilo si confermano
quei particolari rapporti tra Aiello e Provenzano sui quali ci ha riferito specificatamente Giuffrè,
indicandoci Aiello non solo come l’imprenditore ben inserito, organico, in ottime relazioni con i
mafiosi di Bagheria, ma indicandocelo come il fiore all’occhiello di Provenzano. Abbiamo
esattamente la prova documentale di quello che ci ha detto Giuffrè.
E però notizie del tutto identiche sui rapporti tra il capo di Cosa nostra e l’imprenditore bagherese,
sotto questo profilo, ce le hanno fornite Giovanni Brusca, in relazione alla messa a posto delle
strade di Altofonte. E Brusca, quando gli è stato chiesto “ ma con questo tipo di raccomandazioni ce
ne erano altri imprenditori?” Lui ha detto “No mai, nemmeno per le su imprese, nemmeno per i suoi
lavori.” Ma ci sono state riferite anche da Angelo Siino, e ci sono stati riferiti questi particolari
rapporti anche da Barbagallo.
Angelo Siino. Riprendiamo le sue dichiarazioni dove le abbiamo lasciate, cioè quando Serafino
Morici dice a Siino che se voleva trasformare la sua trazzera in una strada interpoderale nonpoteva
che rivolgersi all’ing. Aiello di Bagheria. A quel punto Siino aveva detto “ma chi è questo ing.
Aiello? Lo chiediamo ai bagarioti”. E po ci ha detto Siino all’udienza dell’8 giugno 2005 che aveva
avuto un altro tipo di occasione, perché si era incontrato con Lorenzo Vaccaio che era un altro tipo
di personaggio, di tutto rispetto nell’ambito della cosa nostra di Provenzano, della zona di
Caltanissetta, certamente uno dei feudi di Porvenzano insieme a Bagheria. Tant’è che quando Siino
parla di Lorenzo Vaccaro non a caso lo definisce un “messaggero di Provenzano”. E ci dice Siino
che lui chi era Aiello lo aveva chiesto a Vaccaro
[…] Vaccaro preso dalla preoccupazione del rispetto delle regole gli aveva chiesto, visto che lui era
di Caltanissetta e Sino di Palermo : “Non facciamo vedere che tu ti rivolgi direttamente a me che
sono di Caltanissetta. Quindi questa cosa chiedila a un palermitano. Tu la chiedi a Enzo
Giammanco di Bagheria il quale a sua volta interpella Provenzano” 20.00
E comunque ci ha detto Siino che alla fine Vaccaio, proprio in questa occasione, gli aveva spiegao
che Michele Aiello era un imprenditore molto vicino a Bernardo Provenzano. E che per le cose che
riguardavano Aiello bisognava rivolgersi direttamente allo “zio”, cioè a Provenzano.
Barbagallo nel corso della sua deposizione ha fatto riferimento a circostanze assolutamente
sovrapponibili queste, perché ha parlato di coperture di Provenzano a favore di Aiello: cos’ gli era
stato spiegato, ha detto Barbagallo, tra l’altro da Giuseppe Panzeca.
Insomma, tirando le fila di questo discorso non c’è dubbio che gli interventi dei vertici di Cosa
nostra, le interlocuzioni con essi per le messe a posto dei lavori di Aiello altro non sono che
segnalazioni, raccomandazioni indirizzate ai capi, dei vari periodi, di Cosa nostra, il cui unico scopo
è riservare un trattamento particolare, di favore – Brusca dice “trattalo come se fosse la mia
persona” – ad un imprenditore particolare, che è il fiore all’occhiello di Provenzano. Perché
altrimenti, se si fosse trattato della semplice e usuale esazione di pizzo non ci sarebbe stato alcun
bisogno di queste segnalazioni scritte; non ci sarebbe stato alcun bisogno di queste interlocuzioni ai
massimi livelli di Cosa Nostra.
E da questo punto di vista basta riflettere su un dato di esperienza che fa parte di un patrimonio
anche di questi muri delle nostre aule. Cioè basti pensare al rapporto numerico, semplicemente
matematico, che esiste tra imprese estorte e imprese raccomandate. Tra i due numeri vi è un
evidente rapporto di sproporzione: tanto è elevato il numero delle imprese che pagano, che sono
sottoposte al pizzo, tanto è basso il numero delle imprese raccomandate dai mafiosi, e ancora più
basso, certamente più raro è il caso delle imprese raccomandate dai vertici di Cosa nostra, e non dai
semplici mafiosi. Una circostanza che rende assolutamente evidente come la segnalazione di
imprese che abbiano lavori da eseguire, soprattutto se proveniente questa segnalazione da parte dei
capi di cosa nostra o indirizzate ai capi di cosa nostra, significa una cosa del tutto diversa dalla
semplice necessità di sottoporre a pizzo l’impresa. Comporta la sollecitazione di un vero e proprio
inteventi di favore.

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E in questo senso, ciò che più sorprende casomai, e che appare più significativo, è la circostanza
che l’intervento personale e diretto di Provenzano riguarda un periodo temporale che assomma un
decennio e che riguarda diverse zone della Sicilia. Giuffrè non si è occupato solo del mandamento
di Caccamo: si è occupato del mandamento di San Mauro Castelverde, la cui estensione è ben nota
(entra addirittura nella provincia di Messina) e si è occupato anche di messa a posto di strade nella
provincia di Messina. E sotto tale profilo non incide in alcun modo su questa conclusione la
circostanza che le imprese di Aiello abbiano subito nel tempo in alcune zone della Sicilia, quelli che
sono i classici avvertimenti: bidone di benzina, l’accendino o addirittura danneggiamenti in
occasione dell’apertura di alcuni cantieri. Perché sono fatti che se stiamo alle stesse dinamiche
interne dell’organizzazione mafiosa e a quelle che ci hanno segnalato e raccontato i collaboratori
che abbiamo sentito, sono fatti che appaiono certamente imputabili a momentanei black out
informativi tra le diverse articolazioni territoriali del sodalizio mafioso e i loro vertici. E di questo la
prova provata sta in quello che ci ha raccontato Giocchino La Barbera. Ci ha detto che ha un certo
punto si è trovato nell’incertezza: ci comportiamo come abbiamo fatto con l’imprenditore di
Belmonte Mezzagno, a quale abbiamo miliardi di danni? (Si era rivolto al suo capo mandamento).
Ma Giocchino La Barbera sul suo territorio di Altofonte non era stato informato. Non solo, ma
Brusca lo tiene allo scura anche dopo. In una delle sentenze che abbiamo depositato, sentenza
passata in giudicato, abbiamo ben altri esempi di black out informativi. Nella sentenza del Gup del
trib di Palermo in data 27 febbraio 2004, quella in cui è imputato Rinella Diego, fratello di Rinella
Salvatore e altri componenti della famiglia mafiosa di Trabia e quella di Termini Imprese, c’è un
altro esempio sintomatico di black out informativo, in cui lo stesso imprenditore diviene oggetto di
una duplice richiesta da parte di due componenti diversi della stessa famiglia mafiosa. E quindi sto
parlando non di cose che ci inventiamo, ma di fatti concreti, di cose accadute, che risultano provate
dalle sentenze che abbiamo depositato, dalla prassi quotidiana.
E dunque se l’inserimento delle imprese riferibili all’imprenditore Aiello e dell’imprenditore Aiello
nel gotha delle imprese segnalate, o per meglio dire, raccomandate dai vertici di cosa nostra appare
una circostanza certamente significativa nell’economia di questo processo, dire che ancora più
significativa, per alcuni versi davvero sorprendente, ma forse a fine processo lo è un po’ meno, la
circostanza che tale stato di impresa raccomandata e favorita, nel caso di Aiello si sia protratta con
immutata intensità e con immutato interessamento da parte del capo di cosa nostra per ben 10 anni.
Questo è il tempo che è trascorso dalla prova della prima segnalazione a firma B. Provenzano, che è
quella di cui ci ha parlato Giovanni Brusca (“Ho ricevuto un pizzino di Provenzano” che brusca
data anteriormente al 1992 ) e l’ultima segnalazione di cui abbiamo prova documentale è quella di
Provenzano, con una propria lettera che reca la data 25 aprile 2001.
Quindi Aiello già nelle dichiarazioni dei collaboratori, sulla scorta del contenuto della
documentazione cui si è fatto cenno, è un soggetto in grado di interloquire con i massimi vertici di
Cosa nostra, in particolare con Provenzano. E dal capo di cosa Nostra, per 10 anni, ha ricevuto
protezioni e raccomandazioni, che si sono rivelate preziose per il conseguimento dl livello
imprenditoriale che con il tempo Aiello ha finito per raggiungere. E che sono segnalazioni,
raccomandazioni altrettanto sintomatiche e sono il primo parametro oggettivo valutativo per
stabilire se le somme che Aiello ha pagato all’organizzazione mafiosa sono frutto di estorsione, di
coartazione della sua volontà, di intimidazione derivante dal vincolo associativo, o se invece, sono,
come diciamo noi, la conseguenza dello spontaneo e condiviso adeguamento al sistema della messa
a posto e quindi indice del finanziamento dell’organizzazione.
E sempre sotto il profilo in esame, c’è un’altra documentazione, il quarto gruppo di documenti cui
ho fatto cenno che occorre necessariamente prendere in considerazione.
E’ una documentazione importante, perché uno dei momenti più significativi che hanno segnato un
salto qualitativo nelle acquisizioni probatorie raccolte sulla famiglia mafiosa di Bagheria è stato
certamente determinato dal rinvenimento e dal sequestro di quello che poi abbiamo comunemente
chiamato il libro mastro delle estorsioni, che è stato rinvenuto e sequestrato nell’abitazione di

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Giuseppe di Fiore, il 25 gennaio 2005. Poi diremo perché dobbiamo necessariamente parlare di
questo documento.
Vediamo di cosa si tratta. La mattina del 25 gennaio 2005 i carabinieri del Ros e la squadra mobile
di Palermo,con una azione congiunta, avevano dato esecuzione a una cinquantina di provvedimenti
di fermo della Dda di Palermo che aveva riguardato la cerchia dei soggetti più vicini all’allora
latitante Bernardo Provenzano, e che costituivano il tessuto connettivo, la rete che garantiva in quel
momento la logistica e soprattutto le comunicazioni via pizzini che facevano capo a la capo di Cosa
nostra latitante. E’ l’operazione Grande mandamento cui ha fatto più volte riferimento il colonnello
Damiano. In occasione delle operazione di esecuzioni di questi fermi, veniva effettuata una
perquisizione a casa di Giuseppe Di Fiore, che indagato in quel momento a piede libero non era
destinatario del provvedimento di fermo. Nella sua abitazione personale di Bagheria, all’interno di
un doppiofondo contenuto nel cassetto del comodino della camera da letto venivano rinvenute
alcune cose interessanti: mazzette di denaro per totale di oltre 62.000 euro, suddivise in diverse
mazzette con sopra dei post-it, e sopra i post-it erano segnati la cifra, e quello che sin da allora,
dalla prima evidenza, appariva come la provenienza: cioè il nome di alcuni esercizi commerciali,
l’indicazione di alcune attività di impresa. Insieme a queste mazzette di banconote venivano
rinvenuti poi dei titoli (titoli, azioni, polizze fideiussorie bancarie) per un ammontare che sfiorava i
900.000 euro. E all’esito de giudizio abbreviato di primo grado, definito con la sentenza di cui
abbiamo depositato il dispositivo, del 16 novembre 2006, mazzette, titoli, polizze sono stati oggetto
di confisca, unitamente alla condanna di Di Fiore per associazione e estorsione.
Ma nel corso di quella stessa perquisizione sempre occultato nel doppi fondo del cassetto del
comodino veniva ritrovata una agenda manoscritta di colore nero, sulla quale venivano riportate
sotto la voce “più” e sotto la voce “meno” – corrispondenti a entrate e uscite di tipo economico –
venivano riportate diverse operazioni. All’interno dell’agenda nera, sulle cui pagine iniziali eran
riportate queste operazioni, all’interno della tasca posteriore dell’agenda venivano ritrovati due
fogli a quadretti, scritti con una grafia palesemente diversa da quella con la quale erano state
trascritte le annotazioni sulle pagine dell’agenda e su questi fogli erano specificatamente indicate,
sin dall’apparenza, con riferimento a un periodo anteriore a quello oggetto delle annotazioni sulle
pagine dell’agenda, venivano annotate anche qui ordinatamente incolonnate alcune voci sotto la
dizione entrate e uscite (non più scritte con più o meno). Insomma una documentazione che sin
dall’immediato appariva essere almeno parte della cassa della famiglia mafiosa di Bagheria per un
periodo che certamente andava dal dicembre 2002, perché così era scritto sui fogli, fino a gennaio
2005, cioè fino a pochi giorni prima del rinvenimento e del sequestro di questa documentazione.
Questa è stato oggetto di approfonditissima analisi da parte della sezione anticrimine del Ros, che
ne ha dato conto alla procura con una annotazione di indagine che reca la data del 15 aprile 2005.
Questa annotazione, cui faccio ovviamente integrale rinvio, è stata acquisita con il consenso delle
parti, per intero, all’udienza del 15 maggio 2007. in questa annotazione, ovviamente sono contenuti
tutti gli elementi, i criteri fattuali sulla base dei quali poi la stessa sezione anticrimine è pervenuta a
delle conclusioni.
Questa documentazione però è stata anche oggetto di una duplice attività di verifica, la prima sotto
il profilo grafico formale, la seconda sotto il profilo contenutistico. E sotto il primo profilo, grafico-
formale, precise risultanze nella direzione di individuare gli autori di questa contabilità di cassa
sono stati acquisite grazie all’espletamento di una consulenza, la cui relazione data 11 aprile 2005 è
stata acquisita anch’essa la fascicolo del dibattimento con il consenso delle parti, alla stessa udienza
del 15 maggio 2007. La consulenza ha inequivocabilmente dimostrato come la maggior parte delle
scritture riportate su biglietti, fogli separati e agenda siano attribuibili in successione temporale a
due sole persone: e cioè a Onofrio Monreale, quanto alle scritture (tranne una come vedremo)
riportate sui fogli a quadretti separati, originariamente conservati nella tasca dell’agenda, e da
Giuseppe Di Fiore quanto alle annotazione scritte sulle pagine dell’agenda nera. Questa conclusione
di carattere tecnico, derivante dalle consulenze grafiche, è stata dagli esiti degli accertamenti sul
contenuto delle appostazioni, perché la sezione anticrimine del Ros ha fatto un eccellente lavoro,

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individuando i nominativi riportati su questa contabilità, sentendosi le persone interessate, e dall’
annotazione sono riportate ovviamente gli esiti di queste sommarie informazioni dalle quali si
desume la esatta corrispondenza alle persone di Onofrio Monreale e Giuseppe Di Fiore di alcune
indicazione e di alcune voci riportate in particolare sotto la dizione entrate.
Ebbene partiamo dall’agenda. L’agenda nera contiene due pagine trascritte con alcune indicazioni
sotto le voci più e meno. Non le leggeremo tutte, ovviamente. Basti qui dire che nell’agenda nera
con la grafia di Di Fiore sono riportate a partire dalla data dell’agosto 2004 e fino a gennaio 2005,
sotto la voce più sono riportate alcune somme con l’indicazione delle imprese che avevano
effettuato i versamenti o dei lavori cui si riferivano i versamenti. I nomi sono assolutamente chiari.
Per esempio “5000 28-12-2004” Gagliano legname”. E i Ros hanno accertato che a Bagheria c’è un
imprenditore a nome Gagliano che esercita una attività imprenditoriale nel settore della
commercializzazione del legname. Ci sono altre diciture 42.00…….
Nella voce uscite, sulla agenda nera, sono incolonnate alcune indicazioni 42.50….43.30
Nei due fogli a quadretti abbiamo una situazione assolutamente analoga. La scrittura è diversa
perché sono stati scritti da Onofrio Monreale. […]
Alla fine di questo lato delle entrate, che sono due fogli, veniva riportato una specie di conteggio
assommato: 134mila più 27mila. E sotto quella che apparentemente era una somma, ma
evidentemente sbagliata perché c’era scritto 169 mila c’era una ulteriore indicazione con scritto
“ing 25 mila”.
Questi fogli, come nell’agenda nera, oltre alle entrate hanno anche la voce uscite. Anche qui si apre
con dicembre -natale 2002. le uscite sono a Natale 2002, pasqua 2003, natale 2003 pasqua 2004, di
Onofrio Monreale. Poi invece ci sono quelle Di Fiore, Natale 2004.
Dicembre 2002 si apre con al centro l’indicazione 24 mila con la lettera Z. Poi c’è 5mila con
l’indicazione T, poi c’è duemila regali per Villabate per Z. Poi c’è l’elenco di quelli “ordinari” e c’è
Nino 2005, Nardo 2005, […]
Sul lato due si ripete esattamente, quanto alle uscite, la stessa consecutio logica per pasqua 2003.
dicembre 2003, pasqua 2004 e sono incolonnate elenco… stessi nomi (48.55). alla fine del alto
veniva riportato il conteggio delle uscite: 135mila più 36 mila, 171 mila, questa volta la somma è
giusta. Un bilancio dunque quasi in pareggio 169mila le entrate, 171 mila le uscite.
Nell’annotazione dei carabinieri del Ros, e sarebbe un processo nel processo e io non voglio farlo in
questa sede, perché lo abbiamo già fatto altrove, dove erano imputati questi soggetti, la sezione
anticrimine ha dato conto degli accertamenti, in particolare di quelli che hanno consentito di
identificare, da un lato, alla voce entrate, tutti i lavori che erano stati fatti nel periodo indicato a
Bagheria, e soprattutto anche gli imprenditori non solo che avevano fatto quei lavori, ma anche i cui
nomi figuravano nell’elenco. E certo non era difficile identificare in “Provino R.” l’imprenditore
Rosario Provino e in “Provino c.” suo fratello Cristoforo Provino, tanto per citare alcuni nomi. La
sezione anticrimine ha sentito queste persone, la maggior parte di esse non ha fatto altro che
confermare che, una volta Onofrio Monreale, una volta Giuseppe Di Fiore gli avevano chiesto soldi,
chi per la famiglia, chi per i carcerati, chi per la messa a posto, insomma cose di ordinaria
amministrazione mafiosa e il Ros, dopo questo brillantissimo lavoro ci ha consegnato, ovviamente. ,
in questa annotazione che leggerete. E devo dirvi che la stessa cosa il Ros ha fatto con quelle che
nel libro sono le uscite. Sarà pure un caso, ma a quei nomi di battesimo si possono ricollegare
altrettanti cognomi, che accanto a quei nomi di battesimo, costituiscono l’organigramma della
famiglia mafiosa di Bagheria dal 2002 al 2005, e non solo costituiscono l’organigramma ma danno
conto in relazione alla somma percepita del livello di inserimento e del grado di importanza
all’interno dell’organizzazione e della famiglia: per cui 2500 euro li prende Nino, che è Nino
Gargano, li prende Nardo, che è Leonardo Greco, li prende Nicola s.,che è il suocero di Monreale
che scriveva, e poi Nicola G., Nicola greco. Poi prendeva 2500 anche Onofrio, ovviamente. E poi a
scendere, perché c’è Pietro, che è Pietro Loiacono, etc sono tutti indicati nell’annotazione del 15
aprile 2005.

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Dicevo che il Ros ha identificato i beneficiare degli stipendi di Natale e pasqua, attraverso un
sillogismo logico, risalendo dal nome al cognome. Quando si è trattato di identificare le persone che
hanno fatto i lavori incolonnati sotto la voce entrate, ovviamente il Ros non ha fatto ricorso a una
deduzione logica, pur condivisibile e apprezzabile, no, è andato a sentire i diretti interessati, per cui
l’identificazione, come leggerete nella nota del 5 aprile 2005 deriva dalla stessa voce, in molti casi
dei diretti interessati, o dall’individuazione del lavoro.
Ebbene, di tutte quelle voci incolonnate, il Ros ha identificato tutti, tutti i lavori e tutti soggetti
citati. Tutti tranne uno.
Foglio B3, che una delle facciate dei fogli a quadretti vergato da Onofrio Monreale. […]
Poi, con una grafia diversa, ing. 25mila. Quando sono arrivati qui il Ros, nell’annotazione scrive:
“Si tratta di una annotazione tratta a margine del foglio, probabilmente in un secondo momento, in
quanto la grafia risulta corrispondente a quelle di Di Fiore Giuseppe, e non a quella di Onofrio
Monreale, che pure aveva scritto il resto del foglio.” La dicitura è una semplice somma, per altro
errata, con in basso la dicitura ing. 25 mila, che lascerebbe pensare –scrive il ros - a un introito di 25
mila proveniente da qualcuno, probabilmente un ingegnere.” Questo, alla data del 15 aprile, o
maggio, 2005 era lostato dell’arte: tutti individuati tranne questo ing 25mila. Poi abbiamo avuto un
dato confermativo, e cioè dalla consulenza grafica quello che al Ros era apparso evidente è stato
conferma, cioè che questa parte finale del foglio è scritta da Di Fiore.
Se non che il 21 febbraio 2006, rendendo l’esame, Aiello ci ha detto che si riconosceva in questa
indicazione, e ci ha detto che si trattava della tangente annuale per l’attività esercitata presso la
diagnostica, la tangente che a suo dire aveva versato ogni anno prima nella misura di 50 milioni e
poi di 25mila euro, quella versta nelle mani di Carlo Castronovo. Ha detto testualmente Aiello: “Sì,
ma credo che risulti anche a voi, dal registro “cassa della mafia” che avete sequestrato a Bagheria.
Perché lì c’è proprio scritto, è venuto anche sul giornale: 25mila euro ingegnere”. E ha precisato
che aveva versato per l’ultima volta la tangente di 50 milioni- 25mila euro per l’anno 2002 nel
novembre 2002, nelle mani di Carlo Castronovo, poco prima che questo venisse arrestato (inizi
dicembre 2002). E ci ha detto Aiello “ io da allora non ho più versato niente, perché nessuno niente
mi ha chiesto”. Tant’è, che subito dopo questa affermazione di Aiello, all’udienza successiva,
l’ufficio del pm ha immediatamente depositato al tribunale il verbale di sequestro dei documenti,
tutti documenti sequestrati a Di Fiore, e si è riservato di articolare mezzi di prova in quella udienza.
Poi in fase di 507 abbiamo sollecitato la testimonianza del consulente, del maggiore Russo sul
contenuto dell’annotazione, atti che poi con il consenso delle parti sono stati acquisiti al fascicolo
del dibattimento e abbiamo rinunciato ai testimoni.
Ora se davvero l’indicazione in questione fa riferimento a Aiello e al versamento da parte sua della
somma di 25 mila euro, allora devo dire francamente che si può avanzare più di un serio dubbio che
nella specie questo versamento rappresenti una somma pagata a titolo di estorsione, esattamente
come tutte le altre che invece sono indicate nella contabilità del libro mastro. E questi seri dubbi
aumentano e valgono soprattutto se quella indicata da Aiello è esattamente, come dice lui, la stessa
somma pagata a novembre 2002 nelle mani di Castronovo. Perché? Partiamo dai dati accertati e poi
facciamo i ragionamenti.
Primo dato. Il libro mastro è stato scritto a due mani. Fino al primo agosto 2004 tutte le
appostazioni risultano manoscritte sui due separati fogli, sia per quanto riguarda le entrate, sia per
quanto riguarda le uscite, da Onofrio Monreale. Dopo il primo agosto 2004 la contabilità passa a
Giuseppe Di Fiore il quale di suo pugno scrive “più” e “meno” sulla pagina dell’agenda nera, e
comincia a inserire le voci incolonnate, sia quelle delle entrate che quelle delle uscite. Giuseppe di
Fiore ci mette la data, cominciano ad agosto 2004 […]
E poi prosegue e questo fatto riguarda anche le uscite. Le ultime entrate che segna Di Fiore sono
dicembre 2004, gennaio 2005.
Le appostazioni riferibili a Onofrio Monreale, in particolare concernenti la voce entrate, partono da
dicembre 2002, arrivano giugno 2004, occupano due distinte facciate che sono quelle cui io ho fatto

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cenno, e che sono ordinate per colonna, con l’indicazione in chiaro dell’identità di chi versa e
dell’entità della somma versata….
[…]
Ora la dicitura ing25 mila non è collocata tra le singole voci incolonnate, dove sono ordinatamente
riportate per ordine temporale le altre entrate imputabili al pagamento di messe a posto, e non lo
sono né nel primo né nel secondo foglio dove risultano trascritte altrettante colonne. La dicitura ing.
25mila è riportata invece fuori colonna, fuori da tutte le colonne delle entrate per pagamento di
messe a posto, ed è riportata dopo che è stata tirata la somma, abbiamo detto errata, di quanto
incassato. Non solo, ma a differenza di tutti gli altri casi di entrate in cui le somme sono state
versate – lo hanno detto i diretti interessati al Ros – per i carcerati, la messa a posto etc, a differenza
di questi casi in cui l’identità di chi ha versato è in chiaro, perché ci sono scritti i cognomi, in questo
caso l’identità viene celata dietro la sigla “ing”. Ad Aprile 2005 il Ros, solo con questa scritta, (non
c’è scritto Aiello), non è stato in grado di aggiungere un nominativo accanto a quelle tre lettere.
Non solo. Ma c’è da riflettere anche su un altro dato che è importante. Quella dicitura, ing. 25mila,
è stata scritta a mano non da Onofrio Monreale, che aveva curato la contabilità riportata su questi
fogli separati, ma stata trascritta da Giuseppe Di Fiore, che ha curato la contabilità solo dal primo
agosto 2004. E solo da questa data. E nei fogli separati non c’è nessun appunto, nessuna
manoscrittura riferibile alla persona di Di Fiore, ad accezione di questo ing. 25 mila. Ora se i 25
mila euro fossero imputabili tra le entrate ordinarie incassate per le messe a posto, considerato
anche che il pagamento era avvenuto – ce lo ha detto Aiello – a novembre 2002, la relativa
indicazione, anche nella forma ing 25 mila, avrebbe dovuto figurare tra le prime apposizioni
incolonnate nella prima metà del primo foglio. E non invece alla fine della sommatoria di quanto
incassato per titoli, messe a posto pizzo, fino a giugno 2004. perché l’ha scritta Di Fiore, c’è poco
da fare. Quella dicitura è stata messa certamente dopo il primo agosto 2004. E allora se – abbiamo
solo il labiale di Aiello - la dicitura in questione si riferisce proprio alla somma indicata da Michele
Aiello, allora ancora una volta assomiglia a qualcosa di diverso dal periodico versamento di una
tangente imposta, come tutte quelle di cui alle altre indicazioni riportate.
Ed è certamente ancora una volta significativo che in un documento ad uso interno – quella è la
contabilità di cassa, non va in mano ai picciotti. E’ un documento che resta nelle mani di chi ha una
posizione di vertice, di promozione, di organizzazione della famiglia mafiosa. il cassiere è un ruolo
di responsabilità in una articolazione territoriale di Cosa nostra. Ebbene, in un documento a uso
interno, che passa le mani tra le mani dei soggetti di vertice, e in cui non viene utilizzata nessuna
cautela sui nomi dei contribuenti, e neanche sui nomi dei beneficiari (c’è scritto Nardo, Onofrio,
Carmelo…) tant’è che i carabinieri, come dire non è che ci hanno messo molto a scrivere un
cognome. In questo documento, ancora una volta per Aiello, se è lui, c’è il ricorso alla sola sigla
della professione esercitata. Circostanza che fa pensare all’assoluta necessità di non esporlo neppure
da parte dei suoi sodali mafioso, alle iniziative delle forze di polizia, alle iniziative dello stato, di
chi poteva potenzialmente entrare in possesso di quella documentazione. Una circostanza, una
chiave di lettura che ci sarà confermata dalla vicenda di cui adesso andrò ad occuparmi.
E sotto questo profilo si ricorderà che Giuffrè aveva riferito di aver appreso da Niccolò Eucaliptus
di una vera e propria contribuzione volontaria in favore della famiglia mafiosa di Bagheria da parte
dell’Aiello, una dazione di100 milioni di lire in occasione forse del Natale 91, una dazione che
aveva sorpreso Eucaliptus, che aveva sorpreso Giuffrè, una dazione che ci ha detto Giuffrè
ripetutamente “una cosa sono le tangenti per i lavori, una cosa è questa dazione per come me l’ha
raccontata Eucaliptus”.
E proprio Eucaliptus figura al centro di una vicenda che ancora una volta vede protagonista Aiello,
diciamo noi nelle vesti di qualificato interlocutore dei vertici della famiglia di Bagheria con
funzione di finanziatore, dice Aiello come vittima delle pretese avanzate da Eucaliptus.
E’ una vicenda che ci è stata riferita da Aiello, all’udienza del 21 febbraio 2006. E che devo dire
che in punto di fatto ha trovato la conferma, a parte qualche piccola contraddizione, nei protagonisti
di questa vicenda. Che cosa dice Aiello il 21 febbraio 2006. Che dopo aver pagato l’ultima volta

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febbraio 2002 per le strade, a novembre 2002 a Carlo Castronovo sempre, per la diagnostica, a
partire da gennaio 2003, dopo l’arresto di Castronovo, aveva ricevuto 4 visite, e ci dice anche i
giorni, da parte di Eucaliptus, il quale in queste occasione gli aveva avanzato alcune richieste.
Dice Aielloche il 20 gennaio 2003 “il signor Eucaliptus viene presso la struttura e mi chiede
l’assunzione di una infermiera. Questa ragazza poi non si presenta, perché al posto suo si presenta il
nipote assieme alla fidanzata, fingendosi infermieri, ma poi alla fine non erano infernieri. In poche
parole l’assunzione deve avvenire il 10 febbraio, rimangono tre mesi, fanno il famoso tirocinio,
dopo di che si licenziano e se ne vanno”. Ha aggiunto Michele Aiello che Eucaliptus,
accompagnato dal figlio Salvatore, è tornato a trovarlo il giorno successivo, e cioè il 21 gennaio
2003. “In questa occasione Niccolò Eucaliptus, o suo figlio, si propone come impresa edile, come
mediatore di vendite immobiliari, come assicurazione, insomma volevano lavori”. Ci ha detto
Aiello che lì per lì aveva cercato di prendere tempo, in particolare dicendo che doveva verificare se
per tute le imprese e le strutture aveva tutte le coperture assicurative, e ci ha detto che quando padre
e figlio erano tornati insieme il 31 gennaio 2003, quindi terza visita, aveva loro detto che tutte le
strutture erano assicurate e che quindi non poteva stipulare polizze, ci ha detto che aveva chiuso
anche sulle altre richieste di lavoro. Sostanzialmente mostrandosi accondiscendente e disponibile
soltanto all’assunzione dei due ragazzi, che dovevano venire il 10 febbraio e che ci dice Aiello
hanno lavorato tre mesi. Poi “l’ultima visita – testualmente Aiello – che fa il signor Eucaliptus è
l’11 febbraio 2003. Questa volta Eucaliptus è da solo. Si presenta e chiede un prestito per il figlio,
che aveva un bisogno impellente di pagare qualche cosa. Voleva la somma di 20 milioni di lire,
prestito che gli viene concesso e che poi gli viene mandato tramite il signor Catrini qualche giorno
dopo. Questo prestito non è mai stato restituito”. A Aiello è stato chiesto come mai è stato concesso
questo prestito. Aiello ha risposto: “ Perché glielo dato? Perché mi sono convinto in quell’istante di
darglielo, perché uno si convince in quel istante di darli. Ho ritenuto opportuno. Qua stiamo
parlando di un ignoto personaggio che già era venuto alle cronache da parecchio tempo. Si sapeva
che era indiziato di appartenere a Cosa nostra (Pm:forse era anche già condannato in via definitiva).
Era una persona che era già stta condannata, che mi viene a chiedere un prestito di cui ritengo in
quell’istante, mi sono convinto di non dirgli di no. Ho creduto opportuno non dire di no”. Queste le
motivazioni, teniamole presenti.
Abbiamo sentito gli altri protagonisti di questa vicenda del prestito. Il 22 marzo 2005 abbiamo
sentito Francesco Paolo Catrini, il quale tra mille reticenze, alcune veramente inverosimili, ha
confermato che su incarico di Aiello lui era andato due volte, non si ricordava i periodi, a casa
Eucaliptus e aveva portato due buste. La prima era di quelle delle lastre, in un’altra occasione era
una busta più piccola che conteneva un malloppo di carte, quindi verosimilmente i soldi che Aiello
aveva mandato a Eucaliptus. Entrambe le buste era state consegnate nelle mani di Salvatore
Eucaliptus. Abbiamo chiamato in questa aula salvatore Eucaliptus, condannato per il reato di 416
bis in separato processo, sentito come imputato per reato connesso nell’udienza dell’8 novembre
2005, si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Non si è avvalso invece della medesima facoltà il padre Nicolò Eucaliptus, già condannato due
volte in via definitiva per il reato di partecipazione all’associazione mafiosa. E’ stato proprio di
recente nuovamente condannato insieme al figlio Salvatore, ma questa volta non più nella qualità di
semplice partecipe, ma per aver organizzato, diretto, promosso lui e Leonardo Greco, insieme al
figlio Salvatore Eucaliptus, le attività di Cosa nostra a Bagheria fino al momento del suo fermo,
avvenuto il 9 giugno 2004. Tra le condotte contestate Nicolò e Salvatore Eu. figura anche
l’acquisizione della somma in questione, che è stata valutata anche in quella sede dal Gup cheli ha
giudicati nel rito abbreviato come percezione di un finanziamento, e non come esazione di una
tangente o commissione di una estorsione perché è stata qualificata in termini di 416 bis e non come
estorsione, condividendo l’impostazione originaria dell’ufficio della procura che in questi termini
aveva effettuato la contestazione nei confronti di padre e figli e Eucaliptus.
Il 17 ottobre 2006 Nicolò Eucaliptus ci ha detto che effettivamente lui a Aiello aveva chiesto una
cortesia, e glielo ha chiesto per un prestito di 20 milioni di lire, e ci ha detto che Aiello a qualche

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giorno dalla richiesta aveva fatto pervenire a casa sua e ne aveva avuto la disponibilità il figlio
Salvatore la somma richiesta, e di tutta la questione si era occupato il figlio Salvatore. Lui si era
soltanto limitato a questa visita a Aiello in occasione della quale aveva chiesto al somma.
Ci ha detto N. eu. Che questa richiesta l’aveva avanzata all’ingegnere la prima volta che si erano
visti: quindi data questa richiesta al 20 gennaio 2003 e non all’11 febbraio 2003. Ci dice Eu
testualmente “ I 20 milioni li ha ricevuti mio figlio. In cambio di un lavoro che ha fatto poi. Una
cortesia all’ingegnere, di farci poi comprare una struttura che non so come, c’era uan struttura che si
vendeva e ha fatto, come diciamo nel gergo, “sensaleria”, ci ha fatto acquistare questo immobile”,
facendo riferimento ad una mediazione S. Eu avrebbe svolto in favore di Aiello per fargli acquistare
un terreno prossimo alla struttura Zabbara, il terreno di proprietà di Salvatore Lazzarone, che aveva
su questo terreno una falegnameria. Ci ha detto N. Eu.: “Era una cortesia che avevo chiesto
all’ingegnere. Poi essendo che mio figlio aveva fatto una sensaleria con Lazzarone, non so se poi
questi 20 milioni sono stati restituiti all’ing. per questo motivo o i 20 milioni non sono stati più
restituiti, perché mio figlio ci aveva fatto la sensaleria, e diciamo equivalevano a quella cifra, più o
meno, mille più mille meno. Questo non glielo so dire. Però i 20 milioni sono stati restituiti all’ing.
con la selsaleria”.
Poi N Eucaliptus ha escluso di avere chiesto ad Aiello di favorire il figlio Salvatore con la
stipulazione di alcuni contratti assicurativi e ha invece ammesso di aver chiesto all’ing. Aiello di
assumere le due persone di Acquedolci che era il apese in cui in quel momento lo stesso N Eu. Era
residente perché sottoposto ad alcuni obblighi derivanti da una misura di prevenzione personale in
corso. Ovviamente N Eu ha del tutto e categoricamente escluso di aver mai ricevuto da Aiello in
una sola volta in un qualsiasi periodo dell’anno i famosi 100 milioni di lire di cui ci ha detto
Giuffrè.
Cerchiamo di capire quello che è successo. N. Eu ha chiesto e ottenuto una somma di denaro che è
stata consegnata da Catrini nelle mani di S Eu, una somma di 20 milioni di lire, il cui esborso ha
pesato su Aiello. La richiesta e la consegna si è materializzata in una data tra il 20 gennaio 2003 e
pochi giorni dopo l’11 febbraio 2003, circa metà febbraio 2003. Cio ha detto aiello “ ho pagato
perché di fronte alla domanda di N Eu condannato per mafia ho ritenuto opportuno non dire di no”
insomma per Aiello questo pagamento di 20 milioni di lire era un prestito a perdere dietro il quale si
celava il pagamento di una vera e propria estorsione.
Dice N. Eu: “Ho chiesto e ottenuto un prestito, una cortesia per mio figlio Salvatore, che poi non è
stato restituito perché questi 20 milioni hanno rappresentato la controprestazione del prezzo di una
mediazione immobiliare che mio figlio S aveva fatto per Aiello, facendogli poi acquistare il terreno
e la struttura esistente sul terreno di Salvatore Lazzarone”. Sul punto N Eu ha mentito. Perché noi
abbiamo sentito il titolare della falegnameria e del terreno acquistato da Aiello: si chiama Salvatore
Lazzarone, l’abbiamo sentito il 24 maggio 2005. lazzaroni ci ha confermato tutta la vicenda e ci ha
detto che a un certo punto aveva venduto terreno e struttura che aveva su un terreno a Aiello. E
quando gli è stato chiesto con chi aveva trattato e se vi fosse stata mediazione da parte di qualcuno
per la conclusione dell’operazione, ci ha risposto di avere trattato soltanto con il rag. D’Amico, e
che nella vendita, nella operazione di compravendita non c’era stata alcuna mediazione, sensaleria,
tanto meno da parte degli Eucaliptus.
Ma se Nicolò Eu mente quando parla del prestito compensato con il prezzo di una asserita
mediazione immobiliare, mediazione che come vedremo con tutta probabilità è stata tentata, ma che
in realtà non ci è stata, la versione che della stessa vicenda ci ha offerto Aiello è la mera
riproposizione, ancora una volta, di quel ruolo di vittima che l’imprenditore bagherese ci ha sempre
proposto ogni qual volta sia stato chiamato a giustificare ogni suo rapporto personale, contatto con
mafiosi conclamati o da conclamare, comunque in relazione a ogni dazione di denaro in favore
dell’organizzazione. L’ho fatto dice Aiello, ma non potevo sottrarmi. Una tesi assolutamente
comprensibile, perché cosa nostra e i mafiosi certamente fanno paura, lo sanno tutti, ma il problema
è: fa paura pure ad Aiello? Cerchiamo di capire i termini della vicenda. Per capirli dobbiamo anche
qui riferirci ad alcuni parametri oggettivi di valutazione, non possiamo affidarci alle sole parole dei

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protagonisti, e attraverso questi parametri oggettivi verificare, come avevamo fatto per le messe a
posto delle strabelle, se esistono gli estremi per dire che vi è stata una coartazione, che Aiello ha
subito l’intimidazione del vincolo associativo, o se invece ha fatto qualcos’altro. E anche sotto
questo profilo, l’istruttoria dibattimentale ci offre degli elementi di prova assolutamente idonei allo
scopo. Non solo.
Ma per di più ci offre degli elementi di prova che ci consentono di leggere tutta la vicenda sotto un
duplice angolo prospettico: prima sotto quello di Eucaliptus poi quello di Aiello. E ci fornisce
ovviamente alla fine una sola chiave di lettura.
Partiamo dall’angolo prospettico di Eucaliptus e torniamo a gennaio 2003. Cia ha riferito il
colonnello Damiano che a gennaio 2003 gli Eucaliptus erano uno degli obiettivi fondamentali
dell’attività investigativa della sezione criminalità organizzata del Ros di Palermo in quel periodo e
che era finalizzata tra l’altro alla cattura di Provenzano. In effetti si trattava di una attivita che era
iniziata già da tempo, 2002, e che sarebbe proseguita fino al 9 giugno 2004, con il fermo di Nicolò e
Salvatore Eu e quello contestuale di Leonardo Greco. L’attività era poi continuata sul fronte
Eucaliptus fino al gennaio 2005, quando erano scattati i provvedimenti di fermo nei confronti di
altri componenti della famiglia Eucaliptus, rimasti liberi, e in particolare nei confronti di Onofrio
Monreale, il genero di Nicolò Eucaliptus.
All’udienza del 25 ottobre 2005 e a quella dl 15 novembre 2005 il colonnello Damiano e il
maresciallo Filippo Licciardi ci hanno puntualmente riferito sui servizi di osservazione che erano
stati effettuati nei confronti di Eucaliptus padre e del figlio quando il padre faceva ritorno da
Acquedolci a Bagheria e si era recato, in talune di queste occasioni, presso la diagnostica. Su
Queste osservazioni erano state redatte delle relazioni di servizio che sono state acquisite al
fascicolo del dibattimento all’udienza del 15 novembre 2005.
Non solo. Ma ogni qualvolta i due Eucaliptus si erano recati alla diagnostica, a partire esattamente
dal 20 gennaio 2003, esattamente per quattro volte, lo avevano fatto, in particolare, spesso, con una
delle autovetture in uso alla famiglia Eucaliptus, e in particolare con una macchinache in questo
processo ha un suo perché: la Opel Corsa che usava solitamente Salvatore Eucaliptus. Su questa
Opel Corsa, in quel momento, erano installate da ottobre 2002 delle microspie attraverso la quali
venivano intercettate le conversazioni che vi venivano effettuate. E quindi non solo le relazioni di
servizio, ma soprattutto le intercettazioni ambientali. Cioè abbiamo le parole dei diretti protagonisti
che vanno da Aiello a estorcere questa somma di denaro. Allora è possibile confrontare quello che i
protagonista di questa vicenda hanno detto in aula di fronte al tribunale e di fronte alle altra parti, e
invece quello che hanno detto contestualmente, nei giorni in cui le richieste venivano avanzate
all’interno della loro macchina.
20 gennaio 2003 è il primo incontro. Ce lo hanno detto sia Aiello che Nicolò Eucaliptus. Non solo,
Eu dice che questa è la data in cui lui chiede la somma di denaro. Dice Aiello “No, me l’ha chiesta
l’11 febbraio”. Poi vedremo quando è stata chiesta e vedremo, non oggi, perché Aiello ha la
necessità di postdatare la data della richiesta, quanto meno di un mesetto.
Nicolo Eu e su figlio Salvatore vengono seguiti, si muovono con la Opel Corsa e si recano nel corso
delal giornata due volte dentro i locali della diagnostica. La prima volta nella mattina, vi fanno
ingresso alle 11.11 e ne escono dopo 2 minuti, alle 11.13. Un tempo tale da poter escludere che
abbiano parlato con chicchessia. Nel pomeriggio tornano alla diagnostica, sta volta sì che hanno
parlato con qualcuno perché vi fanno ingresso alle 16.44 e escono alle 17.12. Ma la mattina del 20
gennaio 2003 all’interno della opel Corsa viene registrata una conversazione importante, che deve
essere collegata all’esito del primo servizio di osservazione, quello della mattina, perché ci consente
di capire chi è la persona di cui loro parlano, e che qualificano come l’ingegnere, esattamente enlla
persona di Aiello, per poi valutare in che termini ne parlano.
L’intercettazione inizia alle ore 10.29. E’ una lunga conversazione. A un certo punto –faccio
riferimento alla trascrizione del perito – in particolare si legge, a minuti 20 etc. Siamo alle 10.49
viene registrato questo dialogo:
Salvatore: dove andiamo?

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Nicolò: fermatti accà. Io avissi a parlare con l’ingegnere
S: scrivi qualcosa di particolare, che nun aio manco i bigliettini accà.
N: non magari poi ci vai tu da solo nell’ingegnere
S: glielo dici che poi lo vado a trovare
N: cum mia non c’è ..
S: io non ..
N: tutta la situazione..
S: oggi non ci sono andato
N: nuatri più picca ci iamo ne l’ingegnere, c’iao a ghiri per cose nostre. Punto e basta.

E’ una conversazione importante. Che questo ingegnere sia proprio Aiello è dimostrato dalla
consecutio logico temporale. Questo brano di conversazione inizia alle 10.49. Alle 10.55, non
appena finisce al conversazione padre e figlio Eucaliptus lasciano la macchina, entrano presso il bar
Don Gino, che si trova a fianco la diagnostica, e dopo pochi minuti entrano entrano a piedi dal bar
alla diagnostica facendovi ingresso alle 11.11 e uscendo alle 11.13. Quando N. dice “Fermati
accà…” io credo che lo sviluppo dei successivi movimenti non lasci dubbi su chi sia l’ingegnere.

21 gennaio 2003, giorno successivo.


Servizio di osservazione consente di osservare che alle 12.43 del mattino i due Eucaliptus fanno
accesso presso la sede della diagnostica e ne escono alle 13.10 (siamo nella solita mezz’oretta
rituale). Prima, alle 10.34 vengono registrate due battute di conversazione, dalle quali si capisce
che, al di là di quello che ci ha detto Aiello, e di quello che ci ha detto Salvatore Lazzarone,
quantomeno un tentativo di mediazione nell’affare della falegnameria ci deve essere stato, quanto
meno un tentativo.
[…]

N: passiamo in agenzia, poi amo a ghiri a Totò Lazzaroni


S: papà, io aggia a telefonare
….

Ma sempre il 21 gennaio, il pomeriggio nella macchina, alle 19.45 viene intercettata una nuova
conversazione. E questa guardate che è importante, non solo per il profilo che stiamo esaminando,
ma anche per il profilo esamineremo nelle successive udienze.
Questa volta parlano S. Eucaliptus e la sua compagna Stefania dell’Anna. Questa non è di
Bagheria, è una persona completamente estranea al nucleo famigliare Eucaliptus, e capire perché.
Ha un rapporto estremamente dialettico con il suo compagno Salvatore, soprattutto per quel che
riguarda i rapporti che legano il figlio con il padre: in questa occasione Salvatore parla con Stefania
di un fatto che ra accaduto la sera precedente, che aveva visto discutere N. Eu. con una persona che
viene indicata come Onofrio. Siamo a casa di N. Eu. , l’unico Onofrio che sta a casa di Eu la sera è
Onofrio Monreale, perché è il marito della figlia di Nicolò Eu., Ignazia Eu, sorella di Salvatore.
Ripercorrono la discussione della sera precedente.
Salvatore: mio padre aieri u cazziammo a Onofrio eh!
Stefania: va bbe, non è che era tanto incazzato con lui tuo padre..
S: ma mio padre gli ha detto le cose.. non è ca.. che ha mettri le mani in capo, non ho capito…
Ste: minchia, non lo so, che cazzo gli piglia… 20 milioni e non deve essere incazzato?
S: non li ha presi 20 milioni!. Ma perché tu sei sicura che li ha presi 20 milioni? Si pensava questo,
vabbè. Si pensava questo, come pensavamo tutti, ma non era così. Perché stamattina quello gli ha
dato la conferma che ancora i soldi non glieli ha dati, e infatti me li avissi a dari rumani. Però gliene
ha dette 4. Ora pigghia e ci mette mani in capo.

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In questa conversazione, 19.45 del 21 gennaio 2003, noi abbiamo la prova provata che la richiesta
dei 20 milioni è stata fatta il 20 gennaio 2003, e non l’11 febbraio 2003 come ci ha deto con una
precisione scientifica Aiello. Qua c’è la prova. Perché la compagna di S. Eu si lamenta di 20 milioni
di cui si sarebbe appropriato Onofrio, al che S. Eu gli risponde che lei non sa come stanno le cose,
perché “stamattina quello gli ha dato la conferma che quello i soldi non glieli ha dati. Dice “ Me li
dovrebbe dare domani,”.
E allora controlliamo. Qui c’è un “quello” senza nome, che dovrebbe dare 20 milioni. Li doveva
dare facendoli recapitare nelle mani sue, di quello che parla, S. Eu. “Quello la mattina – il 21
mattina – sta mattina gli ha dato la conferma.” La conferma che ancora non aveva mandato la
somma in questione. E sono tutte circostanze che si sovrappongono perfettamente con la vicenda
della dazione dei 20 milioni da parte di Aiello. C’è la coincidenza delle somme, c’è la coincidenza
delle due visite in successione, 20 e 21, con tutti gli orari e i tempi che calzano perfettamente con
gli sviluppi della vicenda. E quindi mettiamo un secondo punto fermo. Sempre angolo prospettico
Nicolò Eu.
Il primo punto fermo è che quando parlano dell’ingegnere parlano di Aiello. Il secondo punto fermo
è che la richiesta dei 20 milioni è stata fatta il 20 gennaio 2003.
I due Eu Sono effettivamente tornati da Aiello il 31 gennaio, al solito, una prima volta tra le ore
9.21 e le 9.25; poi ci sono tornati sempre nella mattina alle ore 11.45 (Nicolò). Alle 11.50 è entrato
Anche Salvatore che nel frattempo aveva posteggiato la macchina e ne sono usciti insieme alle
12.15. Quindi il 31 gennaio c’è sicuramente un altro momento di interlocuzione.
L’importanza ed il senso dei rapporti tra N. Eu e Aiello ci viene spiegato l’8 febbraio 2003 da
Salvatore Eu che lo spiega la compagna Stefania, ma purtroppo per lui e per Aiello, con la
microspia lo ha spiegato pure a noi. In questa occasione Salvatore Eu a Stefania non spiega solo
qual è l’importanza del rapporto con Aiello, ma le spiega che lui, per poter parlare con Aiello, per
poter aver rapporti, luio che Aiello l.o conosce da parima di suo padre, dice alla compagna, deve
chiedere permesso la padre, perché i rapporti con Aiello devono essere autorizzati da Nicolò Eu. La
compagna Stefania è inquieta. Certo una che è genovese certe cose non le può capire.
Il discorso comincia con il fatto che nella famiglia Eu si è cominciato a parlare di una possibilità, e
cioè che Salvatore vada a lavorare da Aiello. Salvatore Eu è restio a questa ipotesi, perché sa che
suo padre Nicolò non vuole, e vedremo perché non vuole. Ma gli altri componenti famigliari
insistono, e Stefania Dell’anna ovviamente cerca di fare gli interessi del suo compagno e non
capisce perché ci sono tute queste stranezze intorno la fatto che Salvatore possa andare a lavorare
da quello che è il benefattore, da questo punto di vista, di Bagheria. Teniamo presente che Onofrio è
il genero, Ignazia è la moglie di Onofrio Monreale, figlia di Nicolò Eu.
[…]

Viene delineato il fatto, Onofrio sarebbe dovuto andare a parlare da Aiello per perorare l’assunzione
di Salvatore. Ma Onofrio era stato bloccato dalla moglie Ignazia Eu, la quale gli aveva detto di
lasciare perdere perché prima bisognava aspettare l’arrivo del padre Nicolò. E a questo punto
Stefania si lamenta, non capisce queste cose. Salvatore le spiega la situazione.
Stefania: ecco qual è il motivo
S: sotto un certo punto di vista è giusto
Ste: no, non è giusto Salvo!
S: no è giusto stefà
Ste: ma scusa, se tu a tuo padre devi chiedere pure se posso andare a lavorare o se non posso andare
a lavorare
E qui Salvatore spiega in mezza pagina quell oche noi ci abbiamo messo un processo per capire:
S: ma tu ‘sti discorsi, stefà, non li sai. Come non li sa mia mamma, come non li sa mia sorella. Io
non ci potrò mai andare là a lavorare, e allora non lo volete capire voi? Io potrò andare a lavorare da
100.000 parti ma là nun ce possi iri a travagghiari. Minchia proprio le cose in testa! No no, a meno
che io.. pecchè cu ci va ci va ci vai ci dice no! L’unico che mi può dire di sì è mio padre, hai capito?

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E basta, e tu lo sai, perché là è una cosa a rischio per due cristiani ed è giusto che prima lui parla
con mio padre per questo tipo di discorsi qua. No ca io a mio padre gli devo dire posso andare a
lavorare da na.. Non gli devo dire. Perché no. Io lo conosco molto meglio di lui l’ingegnere, ma
molto meglio di lui. Io ogni giorno ci vado dall’ingegnere. Mi mancassi a mia di dirci “ingegnere,
mi pigghiassi a mia”…Io non glielo dico, perché prima mio padre mi deve dire determinate cose per
questi tipi di situazioni. Mischia picciotti, manco iddu ci può dire capito? Io lo conosco molto
meglio di lui e molto prima di lui, quindi ciò più confidenza io che lui, ma io non ci vado ed è
giusto. Ora ti faccio vedere che mio padre mi dice No. Io lo so , mio padre dice no, là no, da
un’altra parte sì, ma là no. Quello, se succede una cosa, a chiddu u consumano addu cristiano. Lo
consumano completamente”.
Non credo che sarei capace di spiegarlo meglio il concetto.

11 febbraio 2003. Padre e figlio si recano alla diagnostica alle 9.20 e ne escono alle 9.45. Prima
però, quella stessa mattina, Salvatore si era recato alla stazione ferroviaria di Bagheria, aveva preso
il padre che era arrivato da Acquedolci con due ragazzi, un ragazzo e una ragazza, erano tutti e tre
saliti in macchina con Salvatore, erano stati subito accompagnati alla diagnostica dove scendevano
soltanto il ragazzo e la ragazza e facevano ingresso ala diagnostica alle 8.04.
Quella mattina sulla macchina alle 7.59 ci dice il perito, parlano padre e figlio, e il figlio prende a
distanza di pochi giorni con il padre il discorso del suo lavoro, quello che aveva spiegato tre giorni
prima alla compagna e che era stato oggetto della iniziale interlocuzione dei 20 milioni famosi del
21 gennaio.
Salvatore: C’era Onofrio ca voleva parlare con l’ingegnere, pi mmia, e io c’ho detto di no.
Nicolò: No, no, l’ingegnere no.
S.: io ce l’avevo dittu
[…]

E quello stesso giorno alle 15.41 viene intercettata un’altra conversazione, questa volta sulle utenze
telefoniche. Perché questa volta è N. Eu che parla con una signora di Acquedolci, Marianna
Pellegrino, che è la mamma del ragazzo, che si chiama Maurizio Causerano, che con la fidanzata
quella mattina era stato accompagnato alla diagnostica.
N Eu, che con la signora diciamo ha un buon rapporto di amicizia, fa un resoconto del primo giorno
di lavoro dei due ragazzi. E facendo il resoconto ovviamente N. parla di come lui ha trattato con
l’ing, di come l’ing. lo ha accolto, dell’accoglienza che è stata fatta ai due ragazzi da parte
dell’”estorto”.
[…]

Dunque Eucaliptus padre e figlio si recano esattamente presso i locali delal diagnostica tutte e
quattro le volte che ciha detto Aiello: il 20-21 31 gennaio e il 11 febbraio. Effettivamente vengono
fate le richieste che ci ha detto Aiello – nelle conversazioni ce ne è traccia evidente – sia dei 20
milioni, sia del tentativo di indecisi nella “Sensaleria”, dell’assunzione non devo dire altro. Ma
rispetto alla ricostruzione di Aiello c’è un Ma. Perché la richiesta dei 20 milioni viene effettuata il
20 gennaio, e non l’11 febbraio. Però, mentre Eu padre e figlio vanno da Aiello, gli avanzano tutte
queste richieste, lo sottopongono a una intensa attività estortiva, l’’unica cosa che appare chiara è
che per padre e figlio è più importante Michele Aiello dei rischi che corrono loro stessi. Quello che
appare chiarissimo è l’assoluta necessità costantemente avvertita in tute le conversazioni, sia da
parte del padre che del figlio, di non mettere in alcun modo in pericolo Aiello, di non creare
situazioni di pericolo per lui, addirittura con la loro stessa frequentazione, di non esporlo con le
forze di polizia. Arrivano addirittura al punto da ritenere pericoloso una eventuale assunzione di
Salvatore, e N eu dice per tre volte lo stesso identico concetto sia pure con parole diverse: “Noi altri
meno ci andiamo dall’ing…2 “ Noi dall’ing. ci dobbiamo andare per le cose utili e basta…” “ ling
no, non dobbiamo andare a consumare l’ing noi altri..” “ No, così lo consumiamo l’ing, se noi non

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consumiamo i cristiani non siamo contenti”. Un rapporto ed un costante preoccupazione che padre e
figlio manifestano soltanto per Aiello e non per loro, che stanno facendo “l’estorsione” a dire di
Aiello. Una preoccupazione costante che non avrebbe alcun senso, giustificazione logica se Aiello
fosse davvero vittima di imposizione e di estorsione. Perché in questo caso la preoccupazione non
sarebbe quella di non consumare un cristiano e cioè l’ing, ma sarebbe quella di non consumarsi loro
stessi. Perché dall’eventuale scoperta di questi rapporti, dall’eventuale scoperta di questa particolare
interlocuzione chi avrebbe da temere sarebbero loro, gli autori dell’asserita estorsione, e non la
vittima, Aiello. Aiello si consuma se è vittima di estorsione?
La stessa vicenda ha un altro angolo prospettico. Ma vedremo che la chiave di lettura è unica.
Vediamo ora l’angolo prospettico di Aiello. Cerchiamo di capire il Michele Aiello che ha affermato
“Ho ritenuto opportuno non dire di no di fronte a una richiesta avanzata da uno condannato per
mafia”.
E’ accaduto che nello stesso periodo in cui N. Eu otteneva quantomeno soldi, 20 milioni, e
assunzioni dei due “angeli”, a Aiello si era rivolto, questa volta per interposta persona anche
Leonardo Greco. In quel periodo, siamo nella primavera del 2003, L Greco era sottoposta alla
misura sicurezza detentiva della casa si lavoro ed era internato presso la casa di lavoro di Sulmona,
e faceva rientro frequente a Bagheria grazie alle licenze c.d. trattamentali che servivano a garantire
il reinserimento dell’internato. E devo dire che in effetti la vicenda dimostra che greco si era sì
reinserito ,a con Cosa nostra. Ma questo è un dettaglio.
Anche greco voleva la sua parte dall’ing, aveva le sue pretese. Pretendeva che Aiello facesse
lavorare alcuni mezzi di proprietà di certi imprenditori bagheresi che si chiamano Pretesti, - e questi
Pretesti ci ha spiegato il dott. Pampillonio il 24 maggio 2005 erano dei personaggi addirittura
prestanome di Greco – e Greco pretendeva da Aiello anche di diventare in qualche modo socio
occulto nella gestione di alcuni servizi, in particolare Bar, presso la nuova struttura, in particolare la
ex Zabbara, in corso di realizzazione. Servizi che invece erano destinati a essere gestiti da tale
Palladino. Il contenuto di queste due richieste ci è stato riferito da Aiello sempre il 2 febbraio 2006.
E Aiello ci ha detto che di fronte a queste richieste si era sdegnato e aveva opposto un fermo
diniego, sia all’una che all’altra richiesta ,assumendo addirittura ogni iniziativa utile a chiudere ogni
possibile spazio a Leonardo Greco. Qui più delle mie, valgono le parole dei protagonisti.
Aiello: Per quanto riguarda Leonardo Greco avvengono due episodi. Uno in ordine alla pretesa da
parte di una impresa di Bagheria, un certo Pretesti, di lavorare con i propri camion. Siamo
nell’estate 2003, in piena fase di sbancamento nella parte retrostante l’ex albergo, perché stiamo
sbancando per allocare i bunker per la radio terapia. Si presenta un giorno il sig Pretesti con dei
camion, e pretende di lavorare, ovviamente il mio capocantiere non lo fa lavorare, mi viene a
riferire il tutto e io dico che il sig Pretesti non deve lavorare. Il sign Pretesti - ci dice Aiello quasi
che noi non lo sapessimo - era quello che posteggiava i camion, era venuto sul giornale, all’interno
della Icre, confiscata credo al sig Leonardo Greco per intenderci”. Faceva prima a dirci che ra un
mafioso.
Il 26 settembre 2005 abbiamo sentito il capocantiere, Antonino Barone, che puntualmente ci ha
confermato ogni cosa. E ci ha in particolare ribadito che quando era andatola Aiello a raccontargli
l’intervento di questo Pretesti con i camion Aiello non aveva usato mezzi termini e gli aveva detto “
che questi non dovevano lavorare, punto e basta. E che se questi fossero tornati, lui Barone, li
avrebbe dovuti allontanare dal quartiere, senza alcuna spiegazione”.
Aiello ci ha poi spiegato il contenuto della seconda pretesa. “ Successivamente – siamo a giugno e
luglio 2003 – per ben due volte mi è arrivata notizia dalla hall che c’era un certo sig Greco che
cercava di me, e per due volte io non l’avevo incontrato. Successivamente mi viene a travare il sig
Palladino Alessandro, l’addetto che doveva gestire assieme a me il bar della costruenda clinica. Mi
viene a dire che era stato avvicinato da un certo sig. Tusa, genero del sig. Greco, che pretendeva di
gestire il costruendo bar nella struttura sanitaria”. Queste sono le richieste per quanto riguarda
Greco. Allora ad Aiello abbima chiesto quale era stata la sua reazione di fronte a questa seconda
richiesta. Aiello ci ha detto che quando palladino gli aveva riferito la richiesta di cui si era fatto

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portavoce Tusa per conto di Greco, lui aveva assunto questo atteggiamento: “Come dico, ma qua ci
dissi, ma la gente viene a disturbare a noi che lavoriamo!? Ma fino a posto casda ci devono venire a
disturbare? Questa è stata la mia reazione. Dissi: noi dobbiamo certamente da questo istante in poi,
organizziamoci e vediamo. Visto che loro sono venuti a una certa maniera e tu hai detto che sei
impiegato perfetto: tu diciamo da.. per un esterno sarai impiegato, anche se manterrai, io manterrò
nei tuoi confronti gli stessi impegni che avevo preso precedentemente. Affretto comunque
l’assunzione in ogni caso del sig. Palladino che da lì a qualche giorno è stato assunto”.
Quindi porte sbarrate a Greco e Tusa per questo secondo profilo di richieste che gli era stato rivolto.
Abbiamo ascoltato Palladino che ha confermato ogni cosa. udienza del 24 maggio 2005. Ci ha
descritto quale era stata la reazione di Aiello dopo che gli aveva raccontato l’accaduto: “ l’ing
Aiello aveva detto: “Noi siamo qui per lavorare, per cui da questo secondo in poi non ti occupare
non soltanto del Bar, ma anche della realizzazione delle cucine e della lavanderia, e quindi mi disse,
attivati subito in questo senso, e da lì a breve tempo l’ing. dissi che avevo detto anche
dell’assunzione devo dire la verità e di lì a breve giro di tempo devo dire che l’ing. mi assunse
effettivamente”.
Aiello ci ha ripetutamente spiegato nel corso della sua deposizione che a uno come N. Eu,
condannato per mafia non si poteva dire di no, anzi, aveva ritenuto opportuno non dire di no. Allora
mi chiedo, perché invece a Leonardo Greco, nello stesso periodo, a distanza di pochi mesi si poteva
dire di no, e si poteva farlo in questo modo, manco ricevendolo, per due volte. Eppure Greco faceva
parte di Cosa nostra quanto N. Euc. Eppure Greco aveva ricevuto altrettante condanne e per
gravissimi reati esattamente come N Eu. Forse che Greco incuteva meno timore, aveva una capacità
di intimidazione minore di Eu? Eppure la storia di Greco non è che non la conosca nessuno a
Bagheria. E’ la storia della Icre, quella che Giuffrè ha definito uno dei tanti campi di sterminio di
Cosa nostra. Una storia che sta lì a dimostrare esattamente anche a chi di Bagheria non è chi sia e
qual è la storia criminale di Greco. Eppure Aiello ha caparbiamente resistito alle richieste di greco,
mentre ha soddisfatto quelle di Eu, che coerentemente, da parte sua, si è sempre preoccupato di non
consumare l’amico ingegnere. Forse anche per questo, come vedremo, appena Riolo informa Aiello
che su la macchina di Eu è installata una microspia Aiello si precipita da S. Eu per informarlo della
questione. Si può ragionevolmente pensare che di sua iniziativa, senza alcuna plausibile ragione,
l’estorto, la vittima, informi del pericolo che incombe il suo carnefice? Sì, si può ipotizzare, ma solo
se la vittima non è una vittima, ma invece è un complice, non è un estorto ma è un partecipe, alla
stessa stregua di quello che informa, e che in questo modo adempie ancora una volta a una delle
prestazioni del patto di protezione che lo lega con Cosa nostra. E guardate che lo fa con N. Eu, che
è il suo vecchio punto di riferimento all’interno dell’org. mafiosa. E’ quello, sul finire degli anni 80
e i primi anni 90, a cui si rivolge per avvicinarsi alla parte dello schieramento mafioso legato a
Provenzano. E’ quello cui consegna 100 milioni; è il suo vecchio risalente punto di riferimento che
torna libero, operativo sul territorio di Bagheria. Un punto di riferimento come tale riconosciuto
dall’organizzazione, soprattutto dai suoi vertici, soprattutto da Provenzano, la cui protezione e
copertura attribuisce a Michele Aiello anche la legittimazione a dire no a Leonardo Greco. Anche
qua allora forse aveva ragione Giuffrè quando ci ha detto che N. Eu era il punto di riferimento
basilare dell’ing, Aiello, e che gli era stato detto da parte di N. Eu che lo stesso Aiello si era
avvicinato alla famiglia mafiosa, per meglio dire alla parte di Nicolò Eu e di Provenzano.

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Palermo, 1 ottobre 2007,
Terza giornata requisitoria Processo Aiello - Cuffaro e altri (talpe alla Dda)

Pm, Michele Prestipino:


Dunque abbiamo ultimato il profilo che riguarda il ruolo di finanziatore dell'organizzazione mafiosa
Cosa nostra da parte di Michele Aiello e sempre con riferimento ovviamente al ruolo e alle funzioni
in cui si concretizza il far parte che viene addebitato al'imputato aiello e sempre con riferimento
diciamo al profilo riscontro alle dichiarazioni che nei suoi confronti, alla chiamata in causa che nei
suoi confronti ha effettuato il collaboratore antonino giuffrè brevissimamente trattiamo la parte
relativa alla disponibilità di altri due nuclei del contenuto delle controprestazioni di michele aiello e
cioè la disponibilità alle assunzioni di persone, soggetti segnalati da componenti l'organizzazione
mafiosa, la concreta disponibilità e poi un profilo che si atteggia anche in maniera autonoma
rispetto alle dichiarazioni di antonino giuffrè e cioè il profilo del ruolo di nformatore cioè di
collettore di informazioni riservate di notizie riservate sullo svolgimento delle indagini in
particolare del raggruppamento operativo speciale dei carabinieri, un profilo che vede l'attivo
coinvolgimento anche dell'altro coimputato di Giorgio Riolo la cui posizione sarà dunque affrontata
congiuntamente a quella di Michele Aiello in quest'ultima parte.
Veniamo dunque alla concreta disponibilità da parte di Michele Aiello ad assumere presso le sue
diverse imprese soggetti indicati da altri componenti dell'organizzazione mafi
osa che come ho detto costituisce un altro aspetto della controprestazione alla quale è tenuto
l'imprenditore quando è organico all'organizzazione mafiosa attraverso il patto di protezione.
Di questo aspetto ci hanno riferito il maggiore Sancricca e il maggiore Miulli in primo luogo. Il 24
febbraio 2005 il maggiore San Cricca ci ha indicato in particolare tra i dipendenti delle società di
Aiello quelli con particolari legami mafiosi e ha fatto riferimento in primo luogo all'assunzione
presso la Società Stradedil di Pietro Caduto ci ha detto sentimentalmente legato alla sorella di
Francesco Marino Mannoia figlio di Bartolomeo Scaduto ucciso nel maggio del 1990 nell'ambito di
una faida interna allo schieramento corleonese il famosissimo complotto Puccio dal cognome dei
fratelli che pure nell'ambito di questa faida furono uccisi uno appresso all'altro. Pietro Scaduto ha
quindi prestato ci ha detto Sancricca attività lavorativa in regime di semilibertà e questo è un
aspetto importante ed ulteriore che si aggiunge alla semplice disponibilità all'assunzione perché
quello di dare la disponibilità lavorativa, la disponibilità ad assumere il soggetto detenuto è come
dire un'utilità, un favore ulteriore che si presta all'organizzazione mafiosa perché proprio attraverso
questa disponibilità si consente l'uscita di un componente dell'organizzazione mafiosa dal circuito
carcerario. quindi non solo l'assunzione con tutto ciò che essa comporta, ma c'è un plusvalore, un
quid pluris rispetto alla semplice assunzione che è quella di consentire con la disponibilità
all'assunzione la fuoriuscita del componente dell'organizzazione mafiosa dal circuito carcerario ed è
quello che è esattamente accaduto per pietro scaduto il quale grazie alla disponibilità all'assunzione
fornita da m.a. ha potuto fruire della misura alternativa alla detenzione uscendo dal circuito
carcerario. pietro scaduto ha prestato attività lavorativa fino al giugno 1989 quando la misura
alternativa della semilibertà gli è stata revocataci ha detto Sancricca per violazione dei relativi
obblighi. la violazione è stata segnalata il 16 giugno 1989 esattamente un giorno prima che lo stesso
scaduto inviasse una lettera di dimissioni dal lavoro. c'è quindi una quasi perfetta contestualità tra la
letter di dimissioni dal lavoro e la violazione della semilibertà dalla quale comunque sarebbe
scaturita la revoca della misura alternativa, cosa che infatti ci ha detto Sancricca avvenuta. presso
società del gruppo aiello, la stessa Stradedil ,ha poi prestato attività di lavoro francesco Scordato.
anche Francesco Scordato ci ha detto Sancricca è un soggetto che gravitava nel contesto mafioso
bagherese, è suocero di giacinto di salvo, soggetto ben noto per vicende processuali Scordato ha
lavorato per la Stradedil anche lui in regime di semilibertà per alcuni mesi e poi è stato assunto da
altra società del gruppo aiello, la Sud conglomerati. La stessa questione, cioè quella delle
assunzioni, ha formato oggetto anche della deposizione del maggiore michele miulli all'udienza del
6 dicembre 2005. miulli ci ha riferito di accertamenti effettuati anche attraverso la consultazione

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delle banche dati riferibili all'inps, al'ente previdenziale. peraltro i tabulati dell'inps sono stati
acquisiti come documento, il documento 67 all'udienza dell'8 febraio 2005 in sede di ammissione
delle rove e ci ha detto michele miulli che da questi accertamenti in particolare è emerso che presso
società riferibili a m.a ha prestato attività di lavoro in primo luogo Paola Mesi, sorella di maria mesi
e di francesco mesi di cui si è detto, non è solanto una dipenente di michele aiello nel senso di
prestazione di lavoro ma è anche amministratore unico di una delle società appunto di michele
aiello, di cui è anche socia. alle dipendenze di michele aiello ci ha detto miulli ha prestato attività
lavorativa anche maria rosaria castello che è la sorella di Simone Castello. a sua volta simone
castello abbiamo depositato la sentenza definitiva che lo riguarda una sentenza di condanna per un
reato di cui all'articolo 416 bis è particolarmente significativa la circostanza perché simone castello
non è soltanto un soggetto condannato in via definitiva quale partecipe all'organizzazione mafiosa
cosa nostra, no, simone castello è uno dei soggetti maggiormente legati a bernardo provenzano da
sempre, nella motivazione della sentenza vi sono diversi passaggi che spiegano questo preciso
legame, quale rapporto esista tra simone castello e bernardo provenzano, basti pensare che nella
motivazione di questa sentenza è ricostruita una delle condotte che è stata addebitata e per le quali è
stato condannato simone castello e cioè la funzione di postino, di messaggero esercitata, svolta da
simone castello in favore di bernardo provenzano. simone castello è il famoso postino che imbucò a
reggio calabria la lettera contenente la nomina di bernardo provenzano del proprio difensore di
fiducia in un procedimento di prevenzione, la famosa lettera che per lungo tmpo è stato l'unico
documento contenente una firma autograa di bernardo provenzano. non solo, ma maria rosaria
castello nono è soltanto la sorella di simone castello, quindi legato a provenzano, ma è anche la
cognata di un altro soggetto sempre gravitante nel contesto mafioso di bagheria, è la cognata di
mario di pasquale. mario di pasquale è un soggetto originario di bagheria, all'epoca dei fatti di cui ci
occupiamo era latitante, lo era da lungo tempo perché si era sottratto prima a una misura cautelare
poi alla condanna alla pena di 12 anni di reclusione per associazione a delinquere finalizzata al
traffico di stupefacenti. peraltro mario di pasquale è deceduto di recente conservando lo stato di
latitanza. ancora, ci ha detto michele miulli, che alle dipendenza della Atigroup questa volta, ha
prestato attività lavorativa anche un altro soggetto, unsoggetto che ha le stese identiche
caratteristiche analoghe di Simone Castello. Questo soggetto è pietro badami, classe 1937. è nato a
villafrati e non a villabate come indicato per un mero errore materiale dal maggiore miulli nel corso
dell'udienza, altri non è che il fratello di Ciro Badami e Salvatore Badami, entrambi originari di
villafrati entrambi tratti in arresto nell'ambito dell'operazione grande mandamento dalla squadra
mobile di Palermo per il reato di associazione mafiosa per partecipazione a cosa nostra ed entrambi
come risulta dalla richiesta di rinvio a giudizio, dal dispositivo con il quale è stato definito il
relativo giudizio abbreviato, sono stati per tale reato condannati il 16 novembre 2006. dalla lettura
dei capi di imputazione che sono contenuti nella richiesta di rinvio a giudizio si coglie
perfettamente quale sia stato il ruolo dei fratelli ciro e salvatore badami a loro volta fratelli
dell'assunto. ebbene quessto ruolo è quello identico già esercitato da simone castello, fidati
messaggeri alle dipendenze di bernardo provenzano. i fratelli badami infatti hanno fatto parte dello
schieramento mafioso più vicino, più a diretto contatto con il capo corleonese quando era latitante,
erano in rapporti epistolari diretti con bp e hanno costituito altrettanti anelli fondamentali di quel
circuito mafioso attraverso il quale per anni provenzano latitante ha comunicato con tutto il resto
dell'organizzazione. ancora, ci ha detto miulli, che presso la stessa società, presso la Atigroup nel
1995 ha lavorato un altro soggetto che ha un cognome imposrtante, antonino spina. Antonino Spina
altri non è che il nipote di giovanni cusimano, classe 1949, che ha svolto funzioni direttive
nell'ambito della famiglia mafiosa di partanna mondello, quindi palermo, e che è stato condannato
ci ha detto miulli, in via definitiva per gravissimi delitti connessi e commessi nell'ambito del suo
rapporto di direzione e promozione dell'organizzazione mafiosa Cosa nostra. miulli infine ci ha
fatto il nominativo di Alessandro Caltagirone, che è stato dipendente fino al 2001 della Società
diagnostica per immagini, figlio di Francesco Paolo Caltagirone, a sua volta socio della Icre, della

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quale tutto abbiamo già detto, e della quale erano soci anche Antonino Gargano e Leonardo Greco
esponenti come abbiamo detto di assoluto rilievo nel panorama mafioso di Bagheria.
Ancora, delle assunzioni sollecitate e ottenute da Niccolò Eucaliptus nel febbraio del 2003 abbiamo
già detto, ancora dobbiamo sottolineare che la disponibilità di Michele Aiello verso Cosa nostra
anche in questo settore, cioè nel settore delle assunzioni, era una disponibilità, una circostanza ben
nota anche fuori dal circuito mafioso bagherese. faccio riferimento alla famiglia rinella in tal senso
abbiamo raccolto alcuni significativi elementi di prova che forniscono ka dimostrazione non solo
della come dire consapevolezza e conoscenza di tale disponibilità al di fuori del circuito mafioso
bagherese, ma che forniscono la dimostrazione di quali rapporti siano esistiti nel tempo tra michele
aiello e i fratelli rinella di trabbia, salvatore rinella condannato in via definitiva per associazione
mafiosa e per concorso in omicidio aggravato, Diego Rinella condannato in via definitiva e la
sentenza è acquisita per associazione mafiosa promozione organizzazione e direzione
all'associazione mafiosa e per concorso in estorsione aggravata, piero rinella condannato in primo
grado per partecipazione all'associazione mafiosa e per concorso in omicidio aggravato. ebbene, gli
elementi di prova che abbiamo raccolto nell'istruttoria dibattimentale di questo processo nono solo
dimostrano la consapevolezza la disponibilità ad assumere, non solo dimostrano l'esistenza di
particolari rapporti tra michele aiello e rinella, ma riscontrando punto per punto virgola per virgola
quello che su questo rapporto ci aveva detto antonino giuffrè, lo vedremo, dimostra anche che i
fratelli di trabbia, i capimafia di trabbia, tenevano in grande considerazione l'imprendotore
bagherese michele aiello e lo riconscevano come un proprio autorevole e riservato interlocutore.
faccio riferimento a due intercettazioni che sono state trascritte dai periti incaricati dal tribunale
anche in questo processo, sono due conversazioni in cui sono a colloquio presso il deposito dei
rinella tra la fine del 2001 e l'inizio del 2002 come vedremo, Diego Rinella, fratello di Salvatore
Rinella, con la figlia di Salvatore Rinella, Angela, una delle due figlie, Angela Rinella. All'epoca,
parliamo della fine del 2001 inizio 2002, salvatore rinella era ancora latitante diego rinella era
libero indagato sottoposto ad attività di intercettazione presso la sua sede lavorativa, cioè il deposito
di materiali edili situato alle porte di trabbia e angela rinella era una giovane in cerca di
occupazione e di una sistemazione. ebbene proprio questi argomenti, cioè la propria sistemazione
familiare, affettiva, ma soprattutto lavorativa è la questione che viene affrontata appunto da Angela
con lo zio, con Diego Rinella e affrontano la questione dell'attività lavorativa che la ragazza
avrebbe dovuto intraprendere nei seguenti termini, e cioè da un lato vi è Diego rinella che
sponsorizza ed è favolrevole all'assunzione della ragazza nella nuova struttura che michele aiello
aveva in corso di creazione, quindi fa riferimento sostanzialmente alla nuova clinica in cui è
facilmnte identificabile la struttura ex Zabbara per intenderci. dall'altro c'è invece il papà della
ragaza cioè il latitante Salvatore Rinella il qiale di fronte a questa possibilità lavorativa per sua
figlia ha delle remore particolari come vedremo dovute a tutta una serie di circostanze. ebbene, se
partiamo dalla conversazione registrata il 26 novembre 2001 si deduce che su questo argomento
dell'attività lavorativa della ragazza che vi è stata una interlocuzione epistolare con salvatore rinella
col papà della ragazza cui spettava la decisione definitiva in proposito. da questo punto di vista
abbiamo un primo riscontro a quanto ci dice antonino giuffrè, certamente un riscontro di contesto,
estraneo al fatto oggetto di imputazione, perché si capisce perfettamente come ha detto Giuffrè che
Diego Rinella era il tramite dei rapporti che lui manteneva epistolari visivi e di contatto etc con
salvatore rinella, quindi esisteva un canale comunicativo tra i due fratelli, parliamo di fine 2001
inizio 2002. Non solo ma da questa conversazione emerge anche che salvatore rinella e anche diego
rinella tenevano in grande considerazione la persona di m.a, perché si capisce anche l'intensità di
quali rapporti, anche da un punto di vista materiale banale perché dice diego rinella che il fratello
dice appunto ad Angella rinella, diego, lo zio, che salvatore rinella suo fratello gli aveva detto di
tenersi caro m.a. “te lo tieni caro perché è importante capisci?” e gli ha detto di portargli i famosi 50
litri d'olio. ma la conversazione certamente più significativa sia dl punto di vista del riscontro alle
dichiarazioni di giuffrè sia dal punto di vista di quale considerazione nutrissero i fratelli rinella,
salvatore e diego per m.a. si coglie dalla conversazione sucessiva, cioè quella del 17 gennaio 2002.

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siamo ancora all'interno del deposito di trabbia sono ancora in conversazione angela rinella con lo
zio diego rinella e nella circostanza è diego rinella che evidentemente nel frattempo ha avuto una
conversazione con suo fratello salvatore latitante, di frenare l'ipotesi dell'assunzione di angela
presso una delle imprese di aiello e diego rinella invece non sembra particolarmente d'accordo, non
sembra condividere le prospettazioni del fratello e lo dice a chiare lettere alla nipote e dicendolo
alla nipote ci racconta una serie di cose importanti sui rapporti che esistono e che esistevano in quel
momento tra loro e michele aiello che sono con le parole di diego rinella il riscontro assolutamente
preciso e calzante individualizzante su tutto ciò che ci aveva detto giuffrè. diego rinella, è lui che
parla, parla alla nipote “tu a' sentiri ammia io per te come prima cosa e dopu, a clinica, io ti dico ca
tu ci va a finisci a docu a prescindire da chiddu chi dici iddu – cioè il padre di Angela Salvatore
Rinella – pecché io – e questo è il punto parla diego rinella – cun michele aiello sebbene l'ho
conosciuto tramite lui però per i rapporti che sono rimasti, ca mi manna i saluti co zu Piero, quanno
ci vaiu pa tac non si paga mai io sono di chiddu ca sono sono stato mai invadente nei suoi confronti
ha statu sempre iddu a cercare ammia quindi per i rapporti che io c'aio con chiddu, qualsiasi cosa ci
ho chiesto mi ha accontentato sempre, sempre” in poche righe noi abbiamo, guardate, il riscontro
preciso a quello che ci aveva detto giuffrè e cioè che michele aiello e salvatore rinella si
conoscevano, e infatti diego rinella dice alla nipote che lui aveva conosciuto michele aiello tramite
suo fratello tramite salvatore rinella, abbiamo il riscontro diceva antonino giuffrè “mi risulta che sia
Piero rinella a fare da contatto tra diego rinella e michele aiello quando si va a fare certamente piero
rinella i sanitari presso la diagnostica” e qua c'è esattamente il riscontro quando dice “ca mi manna
i saluti co zu Piero”, ci ha detto antonino giuffrè, ve lo ricorderete, che provenzano quando era nata
la diagnostica, prima provenzano e poi pietro lo iacono gli avevano parlato della diagnostica perchè
era importante perché era importante dice giuffrè sotto più profili e uno di questi profili dice giuffrè
qual era, dice, “c'è la disponibilità, se una ha di bisogno ci va” e dice diego rinella “quanno ci vaiu
pa tac non si paga mai, qualsiasi cosa ci ho chiesto mi ha accontentato sempre” esattamente il
riscontro a quanto ci aveva detto antonino giuffrè sull'interesse degli uomini d'onore di cosa nostra
per la struttura sanitaria gestita da michele aiello con le parole di diego rinella. non solo, ma con il
tratto seguente questa conversazione abbiamo un ulteriore riscontro dei rappoti che esistevano
all'epoca tra i rinella e michele aiello. cosa dice diego rinella ad angela rinella sempre con
riferimento al problema che il padre tentennava, cioè non era roprio convinto di questa sua possibile
assunzione presso la diagnostica, è ancora diego rinella che parla, testualmente sta parlando di
michele aiello e dice “questo – cioè michele aiello - è amico pure di altri amici, è giusto no che
amico di sti amici proprio a cuddì nella sua e mi so na banna ca si strica troppo assai ed accussì è
amico per non è di chi sai ca a sanità chi i cosi ca verrebbe ad essere intaccato” ovviamente i due
interlocutori fanno anche riferimento al fatto che appunto salvatore rinella dalla latitanza aveva fatto
sapere che non era una buona cosa questa assunzione non lo era perché, mandava a dire salvatore
rinella che michele aiello aveva da fronteggiare prima le esigenze dei paesani cioè quindi dei suoi
paesani, quindi di quelli di bagheria, e poi caso mai poteva pensare ad altro ma comunque nonera
una cosa positiva quel'assunzione. sul punto noi abbiamo sentito michele aiello, il quale il 21
febbraio 2006 ci ha confermato che era stato avvicinato, interpellato da diego rinella personalmente
il quale gli aveva chiesto di impiegare una sua nipote presso la clinica, poi, dice michele aiello, non
se ne era fatto più niente, quindi diciamo che alle parole di diego rinella in concreto erano seguiti i
fatti. ma nella vicenda, al di là del fatto che fosse noto anche a trabbia, anche presso il circuito
mafioso di trabbia, di questa disponibilità di michele aiello all'assunzione, al di là di quelli che sono
gli specifici riscontri di cui abbiamo detto alle dichiarazioni di antonino giuffrè sui rapproti di
michele aiello con i mafiosi rinella, quello che conta e che più sorprende sono le parole di diego
rinella, le parole che diego rinella utilizza per descrivere i rapporti che michele aiello aveva con tutti
e tre i fratelli, con salvatore che gliel'aveva presentato, con piero rinella attraverso cui gli mandava i
saluti e con lui stesso, diego rinella, che gli poteva chiedere qualsiasi cosa e lui lo accontentava
sempre. ebbene queste parole che vi ho letto sono davvero sorprendenti sotto più di un profilo ma
uno di questi profili sono sorprendenti perché sono esattamente sovrapponibili sono la esatta

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fotocopia delle parole utilizzate in analoghe circostanze, in identiche circostanze da Nicola
Eucaliptus e da suo figlio Salvatore per descrivere i propri rapporti con Michele Aiello. anche in
quel caso il problema era l'assunzione di Salvatore Eucaliptus presso una struttura di ma, anche lì si
parlava di lavoro e anche lì venivano usate le stesse identiche parole da padre e figlio, qui
ovviamente le stesse parole vengono usate soltanto dallo zio diego rinella perché angela rinella non
ha esattamente quella posizione, è figlia di un capo mafioso ma non per questo è mafiosa pure lei, al
contrario del figlio di Nicola Eucaliptus che mafioso è diventato pure lui, cioè Salvatore. Eucaliptus
e Rinella, Diego Rinella, e in questo si fa portavoce Diego del pensiero anche di suo fratello
salvatore, e questo è assolutamente chiaro, ebbene, tutti e due Eucaliptus e Rinella quando parlano e
ragionano di ma sono esattamente tutti e due la stessa identica persona. l'approccio con
l'imprenditore bagherese è identico, è il medesimo ed è un approccio improntato a ragioni di
sicurezza per l'imprenditore bagherese, considerato esattamente da entrambi in modo eguale alla
stessa stregua un soggetto importantissimo con il quale vanno mantenute relazioni e la cui posizione
deve essere salvaguardata. le preoccupazioni che entrambi i capimafia, Rinella ed Eucaliptus
nutrono nei confronti di ma sono tali da spingerli alla fine seppur in forma diversa, ad evitare che i
rispettivi figli possono essere assunti da una delle imprese di michele aiello una situaizone che
entrambi ritengono compromettente per michele aiello il rapporto con il quale viene giudicato da
entrambi importantissimo ma da cautelare con il preciso scopo di non arrecare danno di non
arrecare pregiudizio alle ragioni e alle imprese di michele aiello. quindi abbiamo detto periodiche
elargizioni di somme di denaro, concreta disponibilità conosciuta anche al di fuori del contesto
mafioso bagherese ad assumere di volta in volta soggetti segnalati da altri componetni
dell'organizzazione mafiose, tutte prestazioni volte a favorire le esigenze di Cosa nostra. abbiamo
detto tutte prestazioni attraverso le quali michele aiello per così dire ha esattamente adempiuto
nell'ambito del rapporto obbligatorio che lo lega attraverso il patto di protezione all'organizzazione
mafiosa. e abbiamo anche detto che sono stati raccolti nel corso dell'istruttoria dibattimentale di
questo nostro processo elementi di prova sognificativi ulteriori che hanno evidenziato come questo
esatto adempimento di controprestazioni abbia comportato per michele aiello ulteriori favori di
carattere speciale che non soltanto confermano la natura del rapporto stretto con cosa nostra da
parte dello stesso michele aiello, ma soprattutto forniscono la dimostrazione della particolare
posizione assunta, dello specialissimo ruolo che quest'ultimo ha organicamente svolto nell'ambito e
in favore di cosa nostra in settori dei quali appare davvero difficile negare la valenza strategica per
la stessa sussistenza del sodalizio mafioso, per lo stesso mantenimento in vita dell'organizzazione
Cosa nostra. appare fin troppo ovvio il riferimento alle vicende relative alla continua e sistematica
acquisizione di informazioni e notizie riservate da parte di michele aiello, notizie e informazioni
coperte anche da segreto procedimentale, circa lo svolgimento di importantissime attività
investigative volte in particolare a raggiungere e a consentire la cattura dei capi di cosa nostra più
importanti all'epoca latitanti. e cioè bernardo provenzano e matteo messina denaro. proprio di
queste notizie e informazioni che hanno visto protagonista come dicevo insieme a michele aiello
anche giorgio riolo si sono avvalsi per lungo tempo come vedremo i vertici dell'organizzazione
mafiosa in particolare proprio bernardo provenzano per sviare ed eludere le attività finalizzate alla
loro cattura attività condotte in particolare dal Ros sia sezione anticrimine di palermo come
vedremo sia prima sezione romana, reparto di appartenenza di giorgio riolo. prima però di
esaminare nel merito le singole vicende delle quali sotto il profilo in esame si sono resi protagonisti
, coprotagonisti michele aiello e giorgio riolo devo spendere qualche considerazione sugli elementi
di prova che sotto tale specifico profilo poi passerò in rassegna. lo devo fare in via generale perché
molta parte della ricostruzione di queste vicende che concorrono a cotruire diciamo così il terzo
ruolo il terzo profilo della condotta di associazione mafiosa contestata a michele aiello e quella di
concorso esterno di cui è invece imputato giorgio riolo, ecco, molta parte di questa ricostruzione di
queste vicende è affidata alle dichiarazione che i due imputati che ne sono stati protgonisti giorgio
riolo e michele aiello hanno reso a diverso livello, a diverso titolo e in diversa forma in questo
processo. sì perché dopo l'arresto del 5 novembre del 2003 in particolare giorgio riolo, sia pure

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nell'ambito di un atteggiamento processuale non sempre lineare ha reso anzitutto al pubblico
ministero diversi interrogatori, durante appunto la fase delle indagini preliminari. nel corso di questi
interrogatori resi al pubblico ministero durante la fase delle indagini preliminari, giorgio riolo ha
confessato in articokare di avere rivelato a ma moltissime notizie concernenti le attività
investigative che il suo reparto di appartenzenza, cioè il Ros, stava conducendo all'epoca delle
rivelazioni tra Palermo, Bagheria e la provincia trapanese, in particolare per dare la caccia ai grandi
latitanti di mafia, e in particolare a bernardo provenzano e a matteo messina denaro. e va subito
detto, sempre con riferimento a questi interrogatori resi al pm durante la fase delle indagini
preliminari, che della rivelazione di molte di queste notizie, informazioni riservate sulle attività di
indagine, investigative, giorgio riolo si è autoaccusato prima ancora che nei suoi confronti si fosse
materializzata nella fase appunto delle indagini, su questo specifico punto: rivelazioni di notizie
sulle indagini del ros, un solido quadro probatorio, anzi di queste particolari rivelazioni quando le
ha confessate e siamo ancora nella fase delle indagini preliminari, devo dire che giorgio riolo non
era accusato, perché era stato arrestato per altri reati non era accusato e ,devo dire, non era neppure
gravemente indiziato. quindi diciamo che l'emersione della rivelazione di queste notizie di queste
informazioni particolari che riguardano le attività del ros sul contesto mafioso provenzano e matteo
messina denaro, è dovuta questa emersione alle dichiarazioni che nella fase delle indagini ha reso
giorgio riolo. Nel corso dell''istruttoria dibattimentale è stato chiesto e giorgio riolo ha prestato il
consenso, allo svolgimento dell'esame e giorgio riolo ha prestato un lungo esame nel corso
dell'istruttoria dibattimentale, lo ha fatto e lo sottolineo subito, dopo che aveva reso l'esame anche
michele aiello e quello di giorgio riolo lo ricordiamo, è stato un esame segnato da momenti di
grande difficoltà ei quali appaiono certamente sintomatiche le diverse occasioni in cui si è reso
necessario richiamare all'imputato che rendeva l'esame il contenuto di sue precedenti dichiarazioni
per ottenerne la conferma. talora devo dirlo dopo non pochi sforzi di memoria da parte di riolo. ed è
anche accaduto lo abbiamo già visto quando si è parlato della cosiddetta rete riservata, e dei motivi
che ne avevano determinato l'adozione, ebbene è anche accaduto in questa parte specifica
dell'esame che giorgio riolo, nello sviluppo delle sue dichiarazioni, ha in qualche occasione, proprio
su questi temi che stiamo affrontando, come dire, modificato le proprie dichiarazioni tra la fine di
un'udienza e l'inizio dell'altra udienza, come vedremo, giustificandosi con lo stato di stanchezza
conseguente alla lunghezza dell'esame alla complessità dell'esame ma anche dovuto, ci ha detto
giorgio riolo, alle sue particolari condizioni psicofisiche. e nell'approccio di tipo generale valutativo
all'esame reso da giorgio riolo c'è anche un'altra circostanza che appare significativa e che va subito
sottolineata e che cioè i maggiori sforzi di memoria hanno impegnato giorgio riolo nelle parti più
significative, nelle parti più rilevanti sotto il profilo della prova delle condotte oggetto di
contestazione delle vicende che ci occupano, e sono proprio quelle parti diciamo che da un punto di
vista della raccolta delle prove della inferenza delle dichiarazioni di giorgio riolo nel dibattimento
hanno segnato, segnano come vedremo, il maggiore e più diretto cominvolgimento di michele aiello
nella trasmissione delle notizie riservate ottenute da giorgio riolo a importanti personaggi di cosa
nostra, e cioè filippo guttadauro e nicolò eucaliptus. proprio in questi specifici casi, come si vedrà
non solo abbiamo avuto i maggiori sforzi di memoria da parte di giorgio riolo ma si è registrata da
parte sua un evidente tentativo di aggiustare il contenuto delle proprie dichiarazioni dibattimentali
rispetto a quelle rese durante la fase delle indagini preliminari sugli stessi identici punti. è
un'operazione quella tentata da giorgio riolo che è assolutamente ed esattamente identica,
perfettamente sovrapponibile in tutti i suoi punti all'operazione che devo dirlo subito con lucidità ed
abilità certamente maggiori ha tentato in questo processo anche michele aiello rispetto alle proprie
precendenti dichiarazioni. quindi c'è una assoluta sovrapponibilità, come vedremo nello specifico,
tra i due tentativi. c'è però e anche questo va sottoineato in via preliminare, un dato assolutamente
significativo, che non può sfuggire al tribunale e che serve di ausilio importante per comprendere e
valutare l'atteggiamento processuale complessivo osservato da giorgio riolo in questo processo, un
atteggiamento complessivo che ne differenzia senza alcun dubbio la posizione dalla condotta
processuale tenuta invece da michele aiello sotto questo specifico profilo. è infatti accaduto che

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all'udienza del 15 marzo 2006 la difesa di igorgio riolo ha prodotto i verbali degli esami che lo
stesso giorgio riolo aveva reso nell'ambito di altri dibattimenti e faccio riferimento al processo
contro domenico miceli e altri e faccio riferimento al processo contro antonino borzacchelli che è in
corso di svolgimento presso altre sezioni di questo tribunale. si tratta di verbali di prove di altri
dibattimenti che come tali, sia pure con tutti i limiti che conosciamo e stabiliti nelle ordinanze
diciamo così istruttorie pronunciate dal collegio, sono elementi di prova che sono certamente
opponibili alle altre parti, agli altri imputati in questo processo. e però va sottolineato anche che in
quella stessa udienza, 15 marzo 2006, la difesa di giorgio riolo ha chiesto di acquisire altresì anche
tutti i verbali degli interrogativi già resi al pm da giorgio riolo nel corso delle indagini preliminari di
questo stesso processo. l'ufficio del pm ha prestato il suo consenso e in tal modo verbali e
trascrizioni degli interrogatori resi al pm da giorgio riolo sono transitati nel fascicolo del
dibattimento con la conseguenza che le dichiarazioni che aveva reso al pm giorgio riolo si
aggiungono alla stessa stregua di quelle poi reiterate nel corso di esame e controesame al
dibattimento quale materiale di prova certamente utilizzabile nei suoi stessi confronti, cioè nei
confronti di giorgio riolo. perché dicevo è una circostanza significativa importante che deve servire
di ausilio a comprendere e meglio valutare non è certo come vedremo operazione delle più
semplici, l'atteggiamento complessivo di giorgio riolo in questo processo, perché la scelta di
produrre i verbali degli interrogatori resi al pubblico ministero comunque la si voglia vedere
evidenzia una scelta ed evidenzia una cosa certa e cioè che giorgio riolo a differenza di altri come
vedremo , non ha voluto, non ha inteso tenere nascoste o non ha comunque inteso rendere
inutilizzabili le proprie precedenti dichiarazioni quelle rese al pm come elemento di prova che il
tribunale dovrà valutare insieme a tutti gli altri elementi di prova per decidere il processo. questo è
assolutamente evidente perché altrimenti giorgio riolo attraverso i propri difensori non avrebbe
chiesto di acquisire i verbali dei suoi interrogatori al pm, avrebbe semplicemente tentato come
hanno fatto altri, lo vedremo, l'aggiustamento delle prorpie dichiarazioni nel dibattimento ottenendo
comunque che le dichiarazioni in precedenza rese non sarebbero state utilizzate come elemento di
prova, né nei suoi confronti né nei confronti di altri.
quando sono stati prodotti, acquisiti i verbali degli interrogatori resi al pm da giorgio riolo gli altri
imputati di questo processo non hanno prestato il consenso a questa acquisizione con la
conseguenza che come era già accaduto con gli interrogatori resi da Aldo Carcione al pm nei loro
confronti non può ritenersi utilizzabile in alcun modo il contenuto delle dichiarazioni che giorgio
riolo aveva reso al pm. e in particlare non ha prestato il consenso michele aiello che dalle
dichiarazioni rese al pm da giorgio riolo è certamente e sotto diversi profili e per più versi
l'imputato maggiormente toccato, coinvolto. Di Riolo al termine dell'esame e del controesame
all'udienza del 4 aprile 2006 abbiamo poi acquisito al fascicolo del dibattimento una dichiarazione
sottoscritta che è allegata al verbale di interrogatorio al pubblico ministero reso il 26 aprile 2004,
una dichiarazione sottoscritta che giorgio riolo aveva letto in apertura di quell'interrogatorio al pm e
quindi esiste in una duplice versione, nella versione documento sottoscritto e nella versione
trascrizione in apertura dell'interrogatorio al pm del 26 aprile 2004 quindi un plesso di dichiarazioni
che come tale come documento proveniente dall'imputato produce, al di là del consenso, certamente
effetti nei confronti di tutti i coimputati ai sensi dell'art. 237 del codice di procedura penale.
Ma le vicende di cui parleremo sotto il profilo specifico in esame, quello cioè dell'acquisizione di
notizie riservate sulle attività investigative del ros, sono state come ho anticipato, oggetto anche
delle dichiarazioni rese nel corso del dibattimento dall'altro protagonista di queste stesse vicende e
cioè da Michele Aiello, che per primo rispetto a Riolo ha reso esame e controesame nel corso di
diverse lunghe udienze. le dichiarazioni anche qui occorre dire due parole in via preliminare perché
le dichiarazioni che ha reso durante l'esame e controesame Michele Aiello si caratterizzano
anzitutto, e in parte lo abbiamo già visto, perché presentano spesso sostanziali intrinseche
contraddizioni, in particolare quanto al contenuto delle dichiarazioni rese nel corso dell'esame e di
quelle invece poi rese nei medesimi punti nel corso del controesame. e non è la prima volta che
accade, e cioè che michele aiello dica una cosa nel corso dell'esame e dica poi una cosa diversa, a

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volte diversa per sfumeture, a volte diversa nella sostanza, durante il controesame. è già accaduto, si
ricordeà, il diverso tenore delle dichiarazioni rese da Michele Aiello nei due distinti momenti cioè
esame e controesame, su due vicende concernenti gli accessi abusivi al sistema informatico della
procura e di questo ne abbiamo parlato, si è già detto. ma certamente nella parte specifica di cui ci
occupiamo, questo profilo delle contrddizioni intrinseche è un profilo che si è notevolmente
accentuato. vedremo poi che sopesso sulle singole distinte vicende ci sono delle discrasie tra quello
che michele aiello ha detto durante l'esame e quello che poi ha detto durante il controesame. ma le
dichiarazioni di ma su questa parte specifica dell'esame presentano un altro diverso e ben più grave
profilo di contraddizione, un profilo che si è manifestato solo ed esclusivamente quasi con
riferimento alle vicende fughe di notizie perché quando ma ha ricostruito proprio queste vicende è
accaduto, come non era accaduto su altre vicende, come non era accaduto su tutta la parte delle
stradelle interpoderali dei suoi rapporti, delle imprese etc etc, è invece accaduto solo su queste
vicende ed è accaduto in maniera sistematica e frequesntissima che a Michele Aiello siano state
contestate una gran quantità di divergenze con le precedenti dichiarazioni, quelle che cioè lui stesso
aveva reso durante la fase delle indagini preliminari, ed è questo un secondo profilo di
contraddizione delle dichiarazioni rese da michele aiello in questo processo. non è più il profilo
della divergenza tra esame e controesame, è il profilo della divergenza tra dibattimento e indagini
preliminari, sì, perché anche michele aiello come giorgio riolo dopo l'arresto, il 5 novembre 2003,
aveva effettuato come dire, una scelta, una particolare scelta, difficile, soprattutto per chi si vede
contestato e confermato poi in sede di riesame un provvedimento cautelare per il reato di
associazione mafiosa 416 bis. Michele Aiello aveva chiesto di essere interrogato ed era
effettivamente stato interrogato dal pm e aveva reso diversi, tanti, lunghi, fluviali interrogatori a
partire dal 6 dicembre del 2003. Interrogatori protrattisi nei mesi successivi. Michele Aiello
rendendo poi l'esame avanti il tribunale sugli stessi fatti che avevano costituito oggetto delle
dichiarazioni che aveva reso al pm durante quegli interrogatori cui ho fatto cenno, proprio sulle
specifiche vicende che saranno oggetto di esame, cioè acquisizione notizie riservate ros, ha
sistematicamente modificato il contenuto delle proprie dichiarazioni rispetto a quelle rese in
precedenza. e le numerose contestazioni he gli sono state mosse ogni volta sui punti più significativi
dal punto di vista dell'acquisizione della prova si sono sempre risolte come vedremo, si sono semrep
risolte con altrettanti “non confermo” e cioè quindi è rimasto formalizzato un contrasto, è rimasta
sacralizzata nei verbali dell'udienza una situazione di contrasto tra la versione che sugli stessi fatti
aveva reso michele aiello nella fase delle indagini e la versione che di quegli stessi fatti ci ha invece
poi proposto nel corso del dibattimento. Più in particolare, nel corso degli interrogatori che aveva
reso al pm, e ne faccio menzione perché c'è evidente traccia di questi interrogatori nelmeccanismo
attraverso cui sono state effettuate le contestazioni, Michele Aiello, cui di volta in volta durante gli
interrogatori delle indagini per capirci venivano contestate le dichiarazioni che aveva reso a sua
volta sempre durante le indagini giorgio riolo, ebbene michee aiello di fronte a quelle contestazioni
aveva parzialmente ammesso di avere ricevuto sia pure nell'ambito di un rapporto meramente
amicale, sia pure nell'ambito in una versione come si usa dire minimalista e però aveva ammesso di
avere ricevuto notizie da giorgio riolo sulle attività sulle iniziative investigative, sugli obiettivi
investigativi nei quali era impegnato il ros all'epoca e nel quale era dal punto di vista tecnico
impegnato anche giorgio riolo. quando poi le stesse vicende sono state affrotnate nel corso del
dibattimento e le stesse questioni sono state oggetto di domande formulate nel corso dellpesame e
del controesame Michele Aiello ha compiuto un'autentica virata di 180° scegliendo una linea
difensiva completamente diversa da quella perseguita durante gli interrogatori resi al pm. al
dibattimento durante l'esame e il controesame Michele Aiello ha infatti negato decisamente e lo ha
fatto in maniera assoluta, senza lasciare neanche lo spazio di un centimetro, quello che aveva
sostenuto durante la fase delle indagini, e ha cioè negato di avere ricevuto qualsiasi tipo di
confidenza, qualsiasi tipo di notizia, qualsiasi tipo di informazione sullo sovlgimento di attività
investigative, sugli obiettivi investigativi che il Ros perseguiva attraverso le proprie attività,
attraverso quelle in particolare finalizzate alla cattura di Bernardo Provenzano e di Matteo Messina

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Denaro. vedremo nello specifico, udienza del 14 marzo 2006, viene posta a Michele Aiello questa
domanda “Passiamo ad un argomento più specifico, al capo A del decreto che ha disposto il
giudizio le si contesta di avere raccolto da pubblici ufficiali delle informazioni destinate a rimanere
segrete e che poi lei successivamente avrebbe comunicato all'organizzazione criminale denominata
Cosa nostra. senta, lei ha mai saputo, appunto, di indagini svolte dai ros finalizzate alla cattura dei
latitanti Provenzano e Messina Denaro?”. Aiello Michele: “Mai nella maniera più assoluta”. ecco
dunque che quello che erano state ammissioni parziali nella fase delle indagini preliminari sono
diventate “mai nella maniera più assoluta” nel corso del dibattimento. Bene, questa circostanza,
cioè la negazione di avere ricevuto qualsiasi tipo di notizia sulle attività del Ros, negazione in
termini certi ed assoluti è esattamente la prima chiave di lettura per comprendere, per capire, per
valutare tutt le numerose occasioni in cui a Michele Aiello sono state contestate specifiche
precedenti dichiarazioni che non apparivano confacenti a questa nuova linea difensiva adottata nel
dibattimento. Per intenderci, questa circostanza, e cioè la negazione di tutto sotto il profilo in esame
è la chiave di lettura per capire il permanere del contrasto, della situazione di contrasto assoluta e
insanabile tra precedenti e nuove dichiarazioni sul problema acquisizione di informazioni. E
Michele Aiello per cercare di azzerare le precedenti parziali ammissioni e quindi negare di avere
ricevuto queste notizie riservate, è ricorso ad un sistematico particolare e specifico escamotage
processuale, un escamotage che è come vedremo il vero elemento che accomuna ognuna delle
numerosissime contestazioni che gli sono state mosse in questa specifica parte dell'esame. perché
Michele Aiello ha sistematicamente aggiustato e, lo devo dire, in modo tanto abile quanto scoperto,
le proprie dichiarazioni dibattimentali rispetto a quelle precedenti che gli sono state contestate.
come ha operato questo aggiustamento Michele Aiello? Ebbene, dove non poteva fare
diversamente per i motivi che certamente non sfuggiranno al tribunale e cioè dal fatto che c'erano
altri elementi di prova a corredo della vicenda, perché dove non ce n'erano Michele Aiello si è
trincerato dietro una negazione assoluta e categorica senza ricorrere ad alcun escamotage, ebbene
dove non poteva fare diversamente Michele Aiello ha sistematicamente modificato e aggiustato
l'oggetto delle notizie che di volta in volta gli erano state comunicate da giorgio riolo, in questo
modo cercando di attenuare l'intrinseca valenza probatoria della stessa rivelazione. A solo titolo
esemplificativo, se durante le indagini Michele Aiello aveva detto di avere saputo da giorgio riolo
che presso un certo obiettivo investigativo era stato effettuata una installazione tecnica e cioè aveva
saputo da giorgio riolo che presso un certo obiettivo erano state collocate microspie telecamere e
altri apparati tecnici, ebbene, nelle dichiarazioni che lo stesso Michele Aiello ha reso poi sullo
stesso punto nel dibattimento quella installazione tecnica si è improvvisamente trasformata in una
ben più generica, banale e innocua notizia, e cioè che il soggetto era sottoposto ad attenzione
investigativa, senza ulteriore specificazione. Un tentativo abile ma scoperto perché trasformare
l'oggetto della rivelazione dall'applicazione di un apparato tecnico, dalla collocazione di una
telecamera, di una microspia, a una più generica attenzione investigativa senza ulteriore
specificazione equivale in altri termini a privare di qualsiasi rilevanza, di qualsiasi significato la
stessa rivelazione. che rivelazione può mai essere di notizia coperta da segreto quella di dire che a
Bagheria nel 2003 Onofrio Monreale il genero di Nicola Eucaliptus era sotto l'attenzione
investigativa del Ros? è un vero e proprio paradosso, anzi, è un ossimoro, perché è la rivelazione di
un fatto notorio in tutta Bagheria. Questo è il tentativo abile ma scoperto posto in essere da Michele
Aiello: privare attraverso la modificazione dell'oggetto della notizia comunicata rilevanza al fatto,
rilevanza penale. e ancora, sempre sotto il profilo in esame, il lucido trasformismo dialettico di
Michele Aiello ha fatto sì che l'aver ricevuto la nnotizia che sull'autovettura in uso a Salvatore
Eucaliptus era stata istallata una microspia circostanza che Michele Aiello aveva ammesso durante
uno degli interrogatori in fase di indagine e ancora una volta oggetto di contestazioni come
vedremo, si è improvvisamente tramutata questa circostanza durante l'esame reso nel dibattimento
nell'ammissione di avere ricevuto la notizia che la microspia non era stata collocata, ma la
microspia era stata rinvenuta. Ve la immaginate voi la rivelazione di questa grande notizia riservata,
e cioè che era stata rinvenuta una microspia nella macchina di Salvatore Eucaliptus? Il risultato

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cercato, ma non ottenuto come vedremo, è ancora una volta quello di privare di qualsiasi contenuto,
di qualsiasi rilevanza, di qualsiasi significato la rivelazione della notizia. La stessa domanda di
Onofrio Monreale, che rivelazione è quella del ritrovamento di una microspia? è chiacchiera da bar,
punto e basta. e però Michele Aiello per raggiungere il proprio scopo perseguito sin dall'inizio del
suo esame e cioè quello di depotenziare dal punto di vista della prova gli elementi che lo riguardano
sotto lo specifico profilo in esame, ha fatto ricorso anche ad un altro escamotage, un escamotage
diverso da quello di modificare l'oggetto della notizia rivelata. anche quest'altro escamotage è stato
praticato da Michele Aiello con sistematicità durante l'esame ed il controesame e anche in questo
caso è stato praticato ogni qualvolta in forza degli altri elementi di prova a Michele Aiello era
logicamente impossibile negare in radice la rivelazione della notizia. ebbene questo secondo
escamotage praticato con altrettanta sistematicità del primo, è stato quello di post datare, cioè
quindi di spostare la data, il momento, in cui lo stesso Aiello aveva ricevuto da Giorgio Riolo ogni
singola notizia, di postdatare il momento della rivelazione rispetto alla data, al momento temporale
in cui lo stesso Michele Aiello aveva collocato la rivelazione della notizia durante gli interrogatori
resi nella fase delle indagini preliminari. ed è una scelta, poi la vedremo, collocata in ogni singola
rivelazione, ed è una scelta anche questa che ha per scopo, che è finalizzata ad un fine
assolutamente scoperto, cioè quello do rendere innocuo il contenuto di ogni singola rivelazione.
perché rendere innocuo il contenuto di ogni singola rivelazione? Rideterminando la tempistica
dell'acquisizione della notizia, Michele Aiello lo ha fatto in modo tale da escludere in radice
qualsiasi possibilità di collegamento causale tra la notizia ricevuta da Michele Aiello, perché
confidatagli da Giorgio Riolo, e l'eventuale sabotaggio o elusione dell'attività investigativa cui la
notizia rivelata si riferiva. lo spostamento della data, la postdatazione del momento conoscitivo
della notizia rivelata è stata utilizzata da Michele Aiello per spezzare, rompere il nesso di causalità
tra l'aver ricevuto l'informazione sull'attività del Ros e il sabotaggio, l'elusione di quell'attivita
investigativa. Certo la rideterminazione della tempistica delle rivelazioni di notizie con lo
spostamento in avanti, talora di mesi, a volte di anni, del momento in cui la notizia è stata
partecipata da Giorgio Riolo a Michele Aiello è del tutto irrilevante, e lo diciamo subito, per la
configurazione del reato di rivelazione di segreto, perché comunque tutte queste notizie, anche nella
ipotesi della postdatazione, sono rimaste notizie che hanno costituito oggetto di confidenza prima
che dal punto di vista processuale venissero sottratte al regime del segreto procedimentale. E però
spostare in avanti la data, il momento in cui Michele Aiello ha ricevuto la confidenza da Giorgio
Riolo di notizie, informazioni obiettivi investigativi, e per questo è stato utilizzato questo
escamotage, significa privare di gravità e spessore, privare della sua stessa rilevanza intrinseca la
notizia ai fini della valutazione dei più gravi reati che vengono contestati sia a Michele Aiello che a
Giorgi Riolo, che in questo processo rispondono rispettivamente della partecipazione organica e del
concorso esterno e cioè in altri termini dire che Giorgio Riolo ha comunicato a Michele Aiello la
notizia dell'esistenza di una microspia sulla macchina di Salvatore Eucaliptus e collocare il
momento in cui viene confidata questa notizia dopo il ritrovamento della microspia certo ha una
qualche influenza, incidenza sulla valutazione del fatto ai fini della configurazione del reato più
grave e guardate che Michele Aiello nel modificare le proprie dichiarazioni durante il dibattimento
abbia perseguito esattamente questo scopo e lo abbia fatto con gli escamotage in particolare con la
postdatazione degli eventi e vi ho detto cioè depotenziare il materiale probatorio nello specifico
riferimento del profilo in esame è circostanza che non è soltanto desumibile come ho fatto finora in
via logica dalla lettura degli atti, ma è circostanza che ci ha tranquillamente e vorrei dire
spudoratamente ammesso lo stesso Michele Aiello, udienza del 21 febbraio 2006, pm: “Può
spiegare al tribunale perché Riolo le dava tutte queste informazioni, queste notizie sulle attività del
suo reparto di appartenenza?”. Michele Aiello a questo punto risponde e ci svela paro paro il
proprio obiettivo processuale. Aiello, leggo testualmente: “Ma guardi, andiamo a vedere un
pochettino le notizie che mi ha dato lui e andiamo a mettere nel tempo per quanto riguarda tutto
quello che riguarda Borzacchelli e Eucaliptus e l'ho spiegato ampiamente già in quattro udienze
perché me l'ha detto e perché lui mi ha fatto quel discorso. Poi credo che di altre notizie per quanto

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riguarda il guasto Enel davanti al mio deposito ne abbiamo parlato e poi di altro non penso che ci
siano altre notizie che mi abbia potuto dare e che mi ha dato, non ce ne sono nella maniera più
assoluta. Confermo Eucaliptus che ne abbiamo parlato, confermo che abbiamo commentato l'arresto
del signor Rinella, ma di altro non c'è niente”. è lo steso Aiello che ci dice se andiamo a vedere un
pochettino le notizie che mi ha dato lui e le andiamo a mettere nel tempo allora non c'è niente, non
mi ha detto niente, questo è l'obiettivo che ha perseguito per tutto il processo Michele Aiello e
allora questa risposta ha costituito l'oggetto di una ennesima contestazione. pm: “Senta, lei invece il
19 maggio 2004 – in un interrogatorio del 19 maggio 2004, ho detto erano iniziati il 6 dicembre del
2003 – sul punto ha dato un'altra risposta, diversa, gliela leggo, le veniva chiesto, senta perché le
faceva questi racconti etc? E lei dice 'ma giardi, a mente serena - è il 19 2004- , a mente serena direi
che quando uno vuole dimostrare di essere una persona che ha fatto tanto di quelle cose non riesco a
capire a tutt'oggi perché faceva' Poi le veniva chiesto “ma perché le faceva tutte 'ste storie” 'Non lo
so chiedetelo a lui' 'E lei perché se le faceva raccontare?' 'Non è che io me le facevo raccontare o
gliele chiedevo, 'Lei deve pensare...', 'non lo so, non le saprei dire perché me li raccontava'”. Questo
è il tenore delle dichiarazioni in precedenza rese. Viene detto “E' una risposta oggettivamente
diversa da quella che lei ci ha fornito”. In quella fase e questo è un altro aspetto dell'esame e del
controesame di Michele Aiello, in quella fase il pm non ha potuto chiudere la propria domanda
dopo la contestazionecon la formula di rito “Ma lei conferma le precedenti dichiarazioni?” perché
Michele Aiello è subito prontamente intervenuto e qui sta anche la sua abilità, così come ha sempre
fatto, e lo vedrete leggendovi le trascrizioni di udienza con l'attenzione volta anche a questo profilo,
così come ha sempre fatto dopo ogni contestazione di sue precedenti e difformi dichiarazioni, ha
cercato immediatamente di sottrarsi al meccanismo procedurale di dire se confermava o non
confermava le precedenti dichiarazioni. e sì, perché proprio questo prevede la regola processuale e
non è che la prevede perché il processo è un gioco, no, la prevede perché è proprio attraverso quel
confermo e non confermo che si forma la prova nel dibattimento quando c'è divergenza con le
dichiarazioni rese durante le indagini ed era proprio questo che voleva evitare Michele Aiello
quando levava la parola al pm e cercava di non dire mai 'sto confermo e non confermo giocando
abilmente col senso il significato e l'interpretazione delle parole. voleva evitare di dire la magica
parola “non confermo”, perché ben sapeva che quella avrebbe costituito un altrettanto cuneo nella
sua specifica attendibilità sul punto oggetto dell'esame. e così anche dopo questa contestazione delle
precedenti dichiarazioni che sono sotto gli occhi di tutti, sono ben diverse dal dire “ma in fondo se
noi andiamo a collocare nel tempo lui non mi ha detto niente”, perché Michele Aiello durante le
indagini ci ha detto che qualche cosa invece Riolo gli aveva detto. il suo problema era il perché,
chiedetelo a lui ci dice, perché me le ha dette io non lo so, forse per farsi bello, forse per farsi
grande, era una spiegazione che ovviamente è saltata nel suo esame e così dopo la contestazione
quando dopo tutta una serie di interlocuzioni con interventi delle parti si è riusciti diciamo così a
chiudere il cerchio, Michele Aiello dopo la contestazione ha iniziato a darci una serie di
spiegazioni, tutte poco plausibili, fino a quando messo un po' alle strette a seguito della ripetuta
domanda se confermava o meno le precedenti dichiarazioni oggetto di contestazione non ha più
potuto sottrarsi alla risposta e ci ha detto che non confermava le sue precedenti dichiarazioni sul
punto, vale a dire che non confermava di non sapere per quale motivo Giorgio Riolo gli aveva
confidato così tante notizie sulle attività tecniche nelle quali era personalmente impegnato lui con il
suo reparto cioè il Ros. Vale la pena di leggerle, sono poche righe di questo esame per capire il
meccanismo. Allora, viene effettuata la contestazione, che è quella che ho letto prima, non viene,
nel momento in cui il pm finisce, non finisce anzi, finisce la lettura delle precedenti dichiarazioni
poi nella trascrizione si legge: pm - “non saprei dire perché me le raccontava, le ultime parole di
Aiello” - pm: “Che è una risposta oggettivamente diversa da quella che lei ci ha fornito...”, subito
interivene Aiello: “Guardi, nel modo di rispondere là io ritengo che sono stato impreciso nell'andare
però un fatto è certo ora e la risposta mia qual è: cosa mi ha detto Riolo? Riolo mi ha parlato
dell'indagine” pm “Guardi che veramente la domanda era un'altra”
[…]

68
“Lei queste cose che ha detto il 19 maggio 2004 le conferma o no?”
Aiello “Io non le confermo”.
E non vi è dubbio come dicevo che tra la risposta data durante le indagini preliminari “non so
perché riolo mi partecipava queste notizie, non so i motivi per i quali mi confidava queste cose,
chiedetelo a lui” è la risposta che ha dato alla stessa domanda nel corso dell'esame e cioè “andiamo
a vedere le notizie che mi ha dato lui e le andiamo a mettere in ordine nel tempo e allora non c'è
niente”, c'è una differenza assolutamente abissale, e permane sul punto una situazione di insanabile
contrasto e l'unica funzione che ha questa parte dell'esame di Aiello è quella di rivelare il preciso
scopo processulae perseguito durante tutto l'esame e cioè quello di depotenziare gli elementi di
prova raccolti a suo carico. Potrà allora lo stesso tribunale apprezzare da quessto punto di vista
l'atteggiamento processuale di Michele Aiello, verificando in primo luogo il numero e la qualità
delle contestazioni che sono state mosse a Michele Aiello in questa parte dell'esame. Ora quando a
Michele Aiello ogni volta che si è registrata questa divergenza tra precedenti e nuove dichiarazioni
dopo le contestazioni gli è stato chiesto conto dei motivi che lo avevano indotto a mutare versione
sui fatti riferiti, lo abbiamo fatto un po' tutti, Michele Aiello ci ha sempre fornito una sola risposta,
e cioè che solo nel dibattimento lui aveva avuto la possibilità di valutare meglio fatti ed eventi e
aveva come dire precisato meglio il suo ricordo. bene è una spiegazione, perché è una spiegazione,
che ovviamente ha un nome ed un cognome, si chiama comodus discessus processuale, perché sotto
questo profilo certo non possono sfuggire alcuni dati, che sono incontrovertibili. Il primo è che
come si desume dalle contestazioni effettuate in buona parte di questo esame Michele Aiello ha
reso nel corso delle indagini preliminari diversi interogatori, lo abbiamo visto, abbiamo iniziato il 6
dicembre 2003 e io vi ho appena finito di leggere una contestazione di un interrogatorio del 19
maggio, quindi sono passati più di cinque mesi dal 6 dicembre. Sono stati effettuati diversi
interrogatori, anche a distanza di tempo l'uno dall'altro, e Michele Aiello è stato interrogato anche
quando non era più in carcere e allora certo in quei sei mesi a Michele Aiello non era mancato il
tempo di riflettere, tant'è che il 19 maggio quando gli viene chiesto perché etc etc lui apre la
risposta dicendo “a mente serena”. la verità è un'atra, è che all'epoca non è che gli era mancata la
serenità o il tempo di riflettere, all'epoca a Michele Aiello era mancato un altro dato, che
costituisce un ulteriore dato su cui fondare la riflessione e non può infatti sfuggire che tra il
momento in cui Michele Aiello ha reso le dichiarazioni in fase di indagini preliminari e il momento
in cui le ha poi dovute reiterare per l'esame e il controesame, sono stati depositati gli atti di tutto il
processo, sono stati depositati con l'avviso di conclusione delle indagini preliminari e poi è stato
effettuato il rinvio a giudizio, e quindi esercitando una facoltà difensiva assolutamente legittima,
ovviamente, gli imputati hanno potuto conoscere tutti gli elementi raccolti nel corso delle indagini e
soprattutto direi Michele Aiello ha potuto studiare e lo ha fatto con grande attenzione, tutti gli
interrogatori che aveva reso Giorgio Riolo, ne ha potuto apprezzare con esattezza e con precisione
insieme alle altre risultanze di prova acquisite anche l'incidenza sulla sua posizione, ed è questa una
circostanza davvero di non poco conto perché in questo modo Michele Aiello ha avuto il tempo,
questa volta sì la serenità, di studiare il modo non di studiare il modo di precisare il proprio ricordo,
no, ma di studiare il modo di aggiustare il tiro delle proprie dichiarazione di adattarle alla fin troppo
manifesta esigenza di depotenziare gli elementi di prova che lo riguardavano, e infatti
coerentemente con questo disegno e coerentemente con i tempi cui abbiamo fatto cenno, Michele
Aiello ha iniziato a mutare il contenuto delle proprie dichiarazioni sin dalla prima occasione utile.
Cioè lo ha fatto quando è stato chiamato a deporre nel processo a carico del maresciallo
Borzacchelli, e in tale occasione ha cominciato ad aggiustare il tiro su alcune delle vicende
connesse alla rivelazione di notizie sulle attività investigative del Ros sul territorio di Bagheria in
direzione di Bernardo Provenzano. e allora vediamo le date. L'avviso di conclusione delle indagini
al processo 12790/02, quello nei confonti di Michele Aiello reca la data del 16 luglio 2004 ed è
stato notificato nei giorni mmediatamente successivi data dalla quale le parti hanno avuto accesso
agli atti. la richiesta di rinvio a giudizio è stata depositata in data 1° settembre 2004, Michele Aiello
è stato sentito nel dibattimento a carico di Borzacchelli il 6 dicembre 2004, il 9 dicembre 2004 il 2o

69
dicembre 2004, il 5 gennaio 2005 il 4 febbraio 2005, quindi in epoca certamente successiva e
largamente successiva a quella in cui era stata effettuata la discovery di tutti gli atti sul cui
contenuto Michele Aiello ha poi deposto aggiustando sin da quel momento il tiro delle proprie
dichiarazioni, e guardate, anche sotto questo profilo Michele Aiello lo ha detto spesso nel corso del
dibattimento rendendo esame e controesame, cioè ci ha detto, ha fatto esplicito riferimento a
precedenti verbali di interrogatorio dimostrando di averne ben memorizzato e studiato, com'era
peraltro un suo diritto, il contenuto. e dico si badi bene in tutto questo ovviamente Michele Aiello
ha esercitato una legittima facoltà, e però ciò non toglie che tutte queste circostanze, tutte queste
chiavi di lettura debbano trovare adeguata considerazione per spiegare e il tribunale è chiamato a
fare anche questo e a valutare oltre che spiegare, la permanenza delle situazioni di contrasto interne
tra le dichiarazioni rese dallo stesso Aiello durante l'esame e durante il controesame e tra le
dichiarazioni di contrasto tra le dichiarazioni di Aiello rese durante l'esame e quelle rese durante la
fase dele indagini e la situazione di contrasto tra le dichiarazioni rese da Michele Aiello nel
dibattimento e quelle rese da Giorgio Riolo nel dibattimento. Sono quindi ben tre profili di
divergenze che dovranno essere oggetto di valutazione. e queste circostanze che io vi ho
prospettato, questi fatti che vi ho segnalato costituiscono altrettante chiavi di lettura per effettuare
questa valutazione. Ora è ben noto che il nostro sistema processuale di valutazione delle prove
dichiarative non consente più da tempo la cosiddetta contestazione acquisitiva, cioè il contenuto di
precedenti dichiarazioni non confermate non può trasformarsi in elemento di prova positivo, ma
può soltanto essere utilizzato per escludere l'attendibilità eventualmente parziale perché esiste la
valutazione frammentata di chi quelle dichiarazioni ha reso. però questo, il fatto che non ci sia più
la contestazione acquisitiva, non significa che a fronte di situazione di situazioni di contrasto
interno a un medesimo soggetto ovvero di situazioni di contrasto tra le dichiarazioni di soggetti di
parti diverse del processo non si possa pervenire egualmente alla formazione ed al raggiungimento
della prova sui punti di fatto, sulle questioni che di quei contrasti hanno formato oggetto. Si pone in
questo caso un problema che i teorici chiamano ragionamento probatorio, un problema di
valutazione di tutte le risultanze raccolte, al fine di delineare secondo criteri e parametri di tipo
oggettivo la cosiddetta ipotesi preferibile, […].

[…] le vicende che ci stanno occupando, quelle connesse alla rivelazione di notizie riservate sulle
attività investigative condotte dal Ros sotto il coordinamento della Dda di Palermo. I protagonisti di
queste vicende ancora prima di entrare nel loro merito, sono senza alcun dubbio due, e sono
Michele Aiello e giorgio Riolo. Chi sia Michele Aiello lo abbiamo detto anche nelle precedenti
udienze. Giorgio Riolo all'epoca in cui si sono verificati i fatti di cui parliamo era un sottoufficiale
effettivo al raggruppamento operativo speciale dei Carabinieri in servizio da tempo presso la
sezione anticrimine di Palermo. Giorgio Riolo è stato un tecnico particolarmente qualificato che per
almeno dieci anni ha operato nel delicatissimo settore delle applicazioni delle tecnologie avanzate
alle attività investigative contro la criminalità organizzata in Sicilia, ed è un tecnoco che si è
occupato personalmente, direttamente di installazioni di microspie, di videocamere, di trasmissione
dei relativi segnali, insomma un vero e proprio esperto di quel particolare settore che ormai
funziona da supporto indispensabile essenziale e determinante per qualsiasi tipo di iniziativa
investigativa soprattutto contro la criminalità organizzata, soprattutto contro Cosa nostra e nella
ricerca dei latitanti. Nel nostro processo del ruolo, delle specifiche competenze delle concrete
attività nelle quali Giorgio Riolo è stato impegnato per dieci anni all'interno della sezione
anticrimine di Palermo, ci è stato riferito in primo luogo dai diversi ufficiali che hanno avuto alle
proprie dipendenze lavorative Giorgio Riolo. Di Giorgio Riolo ci ha detto il Comandante del Ros, il
generale Giampaolo Ganzi che abbiamo sentito all'udienza del 7 giugno 2005, ci ha riferito sui
compiti svolti da Riolo al'interno della sezione anticrimine, sul suo impiego nelle attività svolte
dalla sezione, anche in coordinamento con le attività condotte dalla prima sezione romana del Ros,
le due strutture che appunto da oltre dieci anni operano sul territorio siciliano entrambe impegnate
in evidente coordinamento in attività lavorative importantissime sia finalizzate alla ricostruzione

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delle dinamiche e dei profili associativi sia finalizzate alla ricerca dei più importanti latitanti. Sugli
stessi temi, è stato un coro, il 7 giugno 2005 abbiamo sentito il colonnello Sergio De Caprio, che in
passato per diverso tempo è stato il responsabile delle attività affidate alla prima sezione romana del
Ros, è stato impegnato, ed è noto, prima sulle attività su Salvatore Riina, e poi su quelle che hanno
riguardato Bernardo Provenzano. Riolo ci ha detto De Caprio, testualmente, “era il tecnico
riconosciuto da tutti come il più professionalmente valido, perché da sempre aveva curato questa
attività e anche proprio con un interesse proprio al di là del ruolo istituzionale, proprio aveva
passione per microspie, telecamere, era ritenuto sicuramente il più competente della sezione
anticrimine di Palermo, ma su queste dichiarazioni ancora più specifiche ci sono state rese proprio
da quegli ufficiali che lo hanno avuto proprio come diretto collaboratore e dipendente. ce lo hanno
detto Michele Sini, l'11 ottobre 2005, Michele Sini ha diretto la sezione anticrimine di Palermo
dall'agosto 97 all'agosto del 2000; ce lo ha detto il maggiore Scafuri, che pure è stato uno degli
ufficiali impegnati nell'ambito della sezione anticrimine, Scafuri all'udienza del 18 ottobre 2005 ha
definito esplicitamente Giorgio Riolo come il tecnico migliore di tutta la sezione anticrimine di
Palermo; e sia Sini che Scafuri, [...] 1:44:00 ci hanno riferito che nel periodo in cui hanno lavorato
alla sezione anticrimine, quindi nel periodo antecedente al 2001, 97-98-2001, era abituale e costante
il coinvolgimento anche a livello informativo di Giorgio Riolo e del gruppo tecnico di cui lui quale
componente anziano era responsabile di tutte le attività in corso e gli obiettivi investigativi
perseguiti, quindi già dal 1997-98 ci hanno spiegato Sini e Scafuri non c'era una divisione tra ruoli
di concetto, ruoli amministrativi e ruoli operativo-tecnici, no?, c'era un interscambio informativo
che riguardava quanto meno le attività investigative e gli obiettivi di quelle attività investigative. Ci
ha detto Sini testualmente “”Riolo veniva coinvolto nelle progettualità investigative, perché le
attività avevano sempre una connotazione tecnica e quindi necessariamente veniva coinvolto in
questi processi. Gli si chiedeva in partenza la fattibilità di determinate idee, come era possibile
realizzarle, che cosa era possibile realizzare in funzione dell'attività che si voleva svolgere”. E poi
ci ha detto Sini che Riolo era partecipe cioè veniva anche informato dei risultati ovviamente che
scaturivano dalle diverse attività in corso, in particolare era informato dei risultati che scaturivano
dalle attività di intercettazione e dai servizi di pedinamento, ci ha detto Sini. E dell'esperienza e del
patrimonio conoscitivo di giorgio Riolo si era avvalsa anche la prima sezione di Roma del Ros,
impegnata in quel periodo sul finire degli anni 90, parliamo del 97-98 2000-2001 nell'attività di
ricerca del Provenzano, un'attività che era stata imperniata e oggi si potrebbe dire felicemente, su un
personaggio, e cioè su Tommaso Cannella, che era uno dei consiglieri storici del boss corleonese e
che era uno dei tramiti attraverso i quali l'attività del Ros pensava di poter ricostruire i canali
comunicativi che portavano ai latitanti. Del periodo successivo al 2001 ci ha parlato il 18 ottobre
2005 il colonnello Antonio Damiano, che è subentrato a Sini nel comando della sezione
anticrimine, e anche lui ci ha spiegato come negli anni del suo comando, tra il 2001 e il 2004 si era
protratta la presenza investigativa del Ros dei Carabinieri sul territorio della provincia di Palermo e
invero anche di quella di Caltanissetta e ci ha riferito Damiano sui rapporti che anche in quel
periodo, anzi in quel periodo erano diventati ancor più stretti, tra le attività della sezione anticrimine
di Palermo e le attività della prima sezione romana del Ros e ci ha riferito anche sui rispettivi
obiettivi invstigativi perseguiti in quel periodo, obiettivi che si erano accentuati sulla persona di
Bernardo Provenzano prima cercato soltanto dalla prima sezione e poi divenuto obiettivo
investigativo anche della sezione anticrimine del Roso con Antonio Damiano. e anche in quel
periodo ha aggiunto Damiano Giorgio Riolo quale componente anziano aveva il ruolo di
responsabile tecnico, il gruppo tecnico era essenziale, era un motore imortante delle attivtà della
sezione anticrimine, intanto era paradossalmente l'unico nucleo all'interno della sezione anticrimine
che sia pure per linee di massima e linee generali conosceva le aattività di tutte e tre le sottosezioni,
i gruppi di lavoro, che convivevano all'interno della sezione anticrimine talora con obiettivi diversi.
Perché ci ha detto Damiano che il gruppo tecnico di cui era responsabile Giorgio Riolo era al
servizio tecnico di tutte e tre le squadre che erano rispettivamente comandate da tre ufficiali, cioè da
Giovanni Sozzo, da Stefano Russo e dal capitano Bucalo. Damiano ci ha ancora puntualmente

71
descritto le attività del gruppo tecnico in quegli anni, ha riferito sui tempi, le modalità di
preparazione degli interventi tecnici quindi studio, analisi, predisposizione sopralluoghi, riunioni,
tutto questo finalizzato alle attività investigative, che ci ha detto Damiano dal 2001 sono state
sempre in costante e continuo incremento e anche in tale periodo ci ha detto Damiano il
coinvolgimento di Riolo e del gruppo tecnico nella conoscenza, nella partecipazione alle
informazioni sule attività investigative e sui relativi obiettivi era stato intenso e costante. Dice
Damiano, la mia parte tecnica è a conoscenza di quello che faccio.

Dunque, Damiano ci ha poi elencato le funzioni in cui durante il periodo del suo comando è stato
impegnato Riolo, che a parte le attività di carattere tecnico, quelle più istituzionali, Riolo curava
anche i rapporti con le ditte esterne, il consiglio tecnico, la sezione anticrimine talora si avvaleva
per la parte tecnica delle proprie attività per esempio noleggiando i mezzi tecnici o altre tecnologie
software e quindi era Riolo spesso che curava i rapporti con queste ditte.
Riolo ci ha detto Damiano era anche addetto alle bonifiche istituzionali a quelle di strutture militari,
di enti interni all'amministrazione tra i quali ci ha detto Damiano non figuravano i locali, le
pertinenze, gli uffici della Regione Siciliana e ovviamente tantomeno figuravano uffici o abitazioni
personali del suo presidente o dei suoi amici. Riolo curava e teneva poi i contatti con gli uffici della
telecom, contatti necessari come abbiamo visto per dare concreta esecuzione alle attività di
intercettazione disposte dalla autorità giudiziaria. Sul punto circostanze del tutto analoghe ci sono
state riferite anche dal capitano Giovanni Sozzo che abbiamo sentito il 12 aprile del 2005, dal
maresciallo Calabrò il 22 marzo 2005 e anche Riolo nel corso del suo esame, quando è stato sentito,
interrogato, esaminato sulle sue attività, funzioni, ruoli, sui livelli di sua personale
cmpartecipazione alle attività e agli obiettivi investigativi ci ha fornito risposte assolutamente
compatibili con gli altri elementi di prova che sul punto sono stati acquisiti. In particolare Riolo si è
soffermato sui rapporti tra lui e il gruppo tecnico e gli ufficiali che si occupavano delle attività
investigative vere e proprie, a grandi linee, ci ha detto riolo, anche i tecnici erano informati delle
attività in corso e degli obiettivi che venivano perseguiti, per esempio se un'indagine aveva per
oggetto soltanto l'accertamento di dinamiche associative p se invece riguardava la ricerca di
latitanti, e se riguardava la ricerca di latitanti di quali latitanti si trattassero. tutto questo era
patrimonio a conoscenza ovviamente anche del gruppo tenico e di riolo che ne era responsabile e ci
ha anzi puntualizzato Giorgio Riolo che quando il comando della sezione anticrimine era stato
assunto da Antonio Damiano, l'impegno conoscitivo da parte dei tecnici sui diversi profili delle
attività investigative in corso si era addirittura accentuato, quindi con l'incremento delle attività
tecniche si era anche accentuato il profilo di partecipazione conoscitiva e informativa del gruppo
tecnico alle diverse attività in corso.
Nel corso dell'istruttoria dibattimentale abbiamo poi ricostruito non soltanto ruolo funzioni e
specifiche attività di Giorgio Riolo ma abbiamo ricostruito il quadro delle attività investigative nelle
quali era stato impegnato a partire dal 97-98 il Ros nelle sue diverse articolazioni operative sul
territorio siciliano, quiandi sia sezione anticrimine di Palermo sia prima sezione distaccata da
Roma. Sul punto abbiamo sentito diversi ufficiali, diversi militari e tutti ci hanno sottolineato
l'impegno profuso dalle due strutture operative dell'arma dei Carabinieri sul versante dell'azione di
contrasto nei confronti di Cosa nostra, e in particolare dell'impegno profuso nei confronti di quegli
specifici circuiti mafiosi che sotto sia il profilo personale che sotto il profilo territoriale erano
maggiormente legati ai capi latitanti e a Bernardo Provenzano in particolare.
E che proprio Bernardo Provenzano fosse già dal 1998-97 al centro delle attività investigative del
Ros, ce lo hanno ribadito davvero unanimemente tutti i militari sentiti, ufficiali e sottufficiali. Ce lo
ha detto il generale Ganzi, lo ha ribadito De Caprio, che ci ha parlato con riferimento al periodo in
cui lui era stato impegnato con la prima sezione a Palermo delle modalità che già negli anni
successivi alle stragi avevano assunto le attività che lui dirigeva, attività cheerano indirizzate su due
importantissimi obiettivi, ci ha detto de Caprio, e questo obiettivi che erano strumentali per
ricostruire i circuiti non solo associativi, ma sopratutto informativi, e i contatti con l'allora latitante

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Provenzano avevano due nomi che ricorreranno in questo processo. Questi due obiettivi si
chiamavano Francesco Pastoia, il Boss di Belmonte Mezzagno all'epoca ancora in vita, questo
obiettivi avevano il nome anche di Tommaso Cannella, questi obiettivi riguardavano anche i
rispettivi nuclei famigliari da tempo sospettati, e si direbbe oggi a piena ragione come ha dimostrato
lo sviluppo delle indagini successive, peraltro confortate dalle sentenze di condanna numerose che
abbiamo acquisito agli atti, sospettati di costituire altrettanti componenti essenziali, quindi Pastoia e
nucleo famigliare, Cannella e nucleo famigliare, di quel circuito mafioso che di Provenzano
gestivano già da allora, già dal dopo stragi, affari e latitanza. Ma direi che lo speciale impegno della
sezione anticrimine di Palermo nell'attività di ricerca di Bernardo Provenzano soprattutto a partire
dal 2001 come raccontato dal colonnello Antonio Damiano all'udienza del 18 ottobre 2005 e da
Giovanni Sozzo all'udienza del 12 aprile 2005. Devo dire con precisione, con completezza e con
informazioni assolutamente puntuali Damiano ci ha spiegato la filosofia, il progetto che avevano
guidato le attività di ricerca di Bernardo Provenzano, ci ha raccontato le diverse fasi che aveva
attraversato questa attività, i diversi moduli operativi che avevano segnato in concreto lo
svolgimento di queste attività. Ci ha raccontato della collaborazione della sezione anticrimine con la
prima sezione del Ros di Roma, ci ha raccontato dei rapporti operativi della sintonia d'azione
dell'obiettivo con la Polizia di Stato, ci ha raccontato del coordinamento effettuato dalla Dda di
Palermo. Ci hanno entrambi gli ufficiali riferito poi le diverse risultanze attraverso le quali si è
sviluppata questa attività, a partire dal novembre del 2001 fino al giugno del 2004, fino al gennaio
del 2005, quando in due distinti momenti, 9 giugno 2004, 25 gennaio 2005decine di capi e gregari
oggetto di quelle investigazioni furono sottoposti dapprima a fermo dal pubblico ministero e poi a
misure cautelari. Uno sviluppo che ha riguardato buona parte dei soggetti i cui nomi figurano nelle
pagine dei nostri verbali, Nicola Eucaliptus, Leonardo Greco, Pino Pinello e i due omonimi cugini
Giuseppe Virruso, Onofrio Monreale e altri soggetti che sono già stati giudicati e condannati in
separati giudizi a seguito di abbreviato per i reati di cui all'art. 416 bis, abbiamo in atti appunto il
dispositivo della sentenza del gup 16 novembre 2006, abbiamo sentito Nicola Eucaliptus che ci ha
detto essere stato condannato anche nell'ultimo processo a seguito del fermo e misure cautelari
applicategli per i fatti commessi fino al 9 giugno 2004. Sono quelle che ci hanno raccontato i due
ufficiali, attività investigative la cui importanza e la cui segretezza appare veramente del tutto
inutile sottolineare, che hanno avuto soprattutto negli ultimi cinque anni a partire dal 2000-2001
come fulcro territoriale il centro di Bagheria, da sempre e non a torto considerata, come ci diceva
Giuffré, una delle roccaforti di Bernardo Provenzano che ha avuto al centro come fulcro oltre che il
territorio la famiglia mafiosa di Bagheria che da anni è operativo su quel territorio e i cui particolari
legami fiduciari con lo stesso Provenzano sono altrettanto ben noti e sono stati oggetto peraltro di
accertamento giudiziario di sentenze passate in giudicato alcune delle quali acquisite nel corso del
dibattimento. Molti di questi rapporti sono ricostruiti puntualmente nella sentenza del Tribunale di
Palermo 2 marzo 2002 e nell'altra sentenza parallela pure acquisita contro Giovanni Napoli e che
sono le due sentenze che hanno chiuso quella che è da tutti è conosciuto come il processo Grande
Oriente che hanno visto le condanne oltre che di Simone Castello anche dello stesso Provenzano e
di altri importanti soggetti dell'area di Bagheria. Ebbene, in tutte queste attività investigative aveva
certamente preso parte, ed era stata parte essenziale dal punto di vista tecnico, Giorgio Riolo, ma
come vedremo Giorgio Riolo era stato impegnato contemporaneamente anche su altre attività, che
riguardano aree territoriali diverse, che riguardavano latitanti diversi e quindi c'era da un lato le
indagini di cui ci stiamo occupando, in cui Giorgio Riolo ha avuto un ruolo essenziale, le indagini
sull'asse Palermo-Bagheria-Casteldaccia fino a Vittoria e poi i latitanti Provenzano e Messina
Denaro, ma Giorgio Riolo al contempo si è occupato di San Lorenzo, di altre zone di Palermo, lo
vedremo, di Partinico, di altri latitanti Salvatore Rinella, Lo Fresco, Lo Piccolo ed è lo stesso
Giorgio Riolo che c'è l'ha detto all'udienza del 28 marzo 2006. ci ha fatto l'elenco di tutte queste
attività a cui aveva avuto parte e quando gli è stato chiesto “ma lei quante attività tecniche ha
curato?” lui ha immediatamente genuinamente risposto “ne ho fatte così tante che nemmeno etc
etc.”. Riolo ha detto appunto che aveva curato applicazioni, impiego di mezzi tecnici in

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investigazioni del suo reparto finalizzata alla cattura dei latitanti che ho citato e in tutte le zone
terriotriali di cui ho fatto menzione. E quando a Riolo è stato chiesto se aveva curato attività
collegate alla ricerca di Provenzano, Riolo quasi sorpreso ha risposto “Ma, dottore Prestipino, tutte
le indagini volevano, tutte, anche la più stupida” confermando quindi di essere, come era ovvio che
fosse perfettamente al corrente che l'impegno della sezione anticrimine era soprattutto rivolto verso
la cattura di Provenzano. Ebbene, come vedremo proprio e solo queste particolari attività, quelle
sull'area territoriale di Bagheria, quelle rivolte alla cattura di Bernardo Porvenzano e in parte
Matteo Messina Denaro, quelle che riguardavano l'impegno del Ros anche sul fronte Bagheria,
attività condotte dalla sezione anticrimine di Palermo e dalla prima sezione del Ros di Roma, queste
attività hanno costituito l'oggetto di sistematiche rivelazioni da parte di Giorgio Riolo che a
Michele Aiello lungo un apprezzabile lasso temporale dal 1999 fino addirittura all'ottobre 2003 ha
confidato talora in forma più sistematica, talora in forma, diciamo più frammentaria, ha confidato
modalità, tempi e obiettivi di tutte queste particolari specifiche iniziative investigative e, sottolineo,
non ha invece confidato, lo diciamo sin d'ora, il resto delle attività su cui era impegnato Giorgio
Riolo, non ha confidato le iniziative volte alla ricerca di altri latitanti, non ha confidato le attività
investigative in corso sugli altri territori, San Lorenzo, Partinico, Palermo, che pure erano attività
finalizzate alla ricostruzione di dinamiche associative di Cosa Nostra.
E proprio queste specifiche iniziatiche investigative, quelle cioè che riguardavano Bagheria,
Messina Denaro, Provenzano hanno fatto registrare fin dal 1999 un tasso di anomali certamente non
comune, anomalie consistite nella scoperta dopo le confidenze di Riolo e in epoca comunqeu assai
prossima, da parte dei diretti interessati, dei mafiosi interessati, degli apparati tecnici installati per la
registrazione delle loro conversazioni o nella loro neutralizazione. Anomalie che hanno
sostanzialmente vanificato gli esiti di queste attività investigative, di tutte queste specifiche
iniziative investigative compromettendo peraltro le conseguenti progressioni investigative. e sotto
questo profilo è necessario un ulteriore chiarimento preliminare.
Le rivelazioni di queste notizie concernenti queste specifiche attività investigative delle attività del
Ros e ovviamente solo del Ros perché di quelle Riolo era informato, rilevano sotto un duplice
profilo, connesso all'imputazione del reato di rivelazione di segreto e connesso per altro verso a
quello associativo. Sotto il profilo del reato di violazione del segreto, la condotta di rivelazione è in
tutti i casi in esame sempre rilevante, perché ha avuto per oggetto notizie che erano sempre coperte
da segreto. Sotto il profilo invece del reato associativo, al fine di cogliere la specifica ed esatta
rilevanza delle condotte di rivelazione occorre avere ben chiari gli effetti cui esse, rivelazioni, erano
dirette. Perché come vedremo Giorgio Riolo, come ho detto, rendeva partecipe Michele Aiello
esclusivamente delle attività concernenti Bagheria, esclusivamente delle attività concernenti la
ricerca di Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro, ricerche che avevano in particolare
come tramiti operativi l'area territoriale, o comunque qualcosa di connesso all'area territoriale
bagherese. E le rivelazioni hanno riguardato gli obiettivi investigativi più prossimi a questi due
capi, soprattutto in termini a Bagheria o comunque con essa in connessione. E' con riferimento a
questi obiettivi e non ad altri obiettivi che devono misurarsi gli effetti pregiudizievoli delle condotte
di rivelazione. Stiamo parlando ovviamente del profilo contestazione del reato associativo. effetti
che sotto questo profilo si sono verificati, sono stati massicci ed hanno avuto conseguenze
estremamente gravi per le attività del Ros. E sotto questo profilo occorre fare la massima attenzione
a non fare confusione tra questi effetti pregiudiziali ed altre conseguenze di atività investigative
condotte da altre forze di polizia o che hanno riguardato altri obiettivi investigativi. Perchè proprio
nell'area territoriale di Bagheria nel corso di questi anni sono stati effettuati diversi importanti
arresti e seguiti spesso da processi, spesso seguiti da sentenze di condanna che hanno di fatto
sottratto seppure temporaneamente a volte troppo poco temporaneamente alla locale famiglia
mafiosa molti tra i suoi capi e componeti effettivi. basti pensare che a partire dal 9 gugno 2004
vengono sottoposti a fermo e poi vengono applicate misure cautelari e poi vengono giudicati e sono
tuttora in carcere dal 9 giugno 2004 personaggi dello spessore mafioso di Nicolò Eucaliptus, di
Leonardo Greco di Salvatore Eucaliptus. Il 25 gennaio 2005 analoga sorte fermo, misure cautelari,

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processo, condanna, è toccata a Onofrio Monreale ai suoi uomini di fiducia a Bagheria. Carmelo
Bartolone Emanuele Lentini al suo accompagnatore Giuseppe Comparetto e xxxx. ma è toccata
questa sorte anch a Pino Pinello, ai due omonimi cugini Giuseppe Virruso di Casteldaccia a molti
altri. Insomma tra giugno 2004 e gennaio 2005 per effetto di operazioni congiunte Polizia
Carabinieri è stata azzerata una buona parte della catena di trasmissione delle comunicazioni di
Bernardo Provenzano e prorpio uno spezzone di quella catena che operava nell'area territoriale in
considerazione, quella di cui stiamo parlando, cioè Bagheria, e allora si potrebbe trarre una
conclusione, come dire, fin troppo immediata, fin troppo facile. Si potrebbe dire, ma se tutti questi
arresti sono giunti al termine di attività investigative che erano comunque state oggetto di
rivelazioni da parte di Giorgio Riolo a Michele Aiello, allora di che rivelazioni stiamo
parlando?Queste rivelazioni sono state innocue, non hanno prodotto effetti, non hanno avuto
rilevanza per le indagini e invece non è così, per questo ho detto occorre fare attenzione, occorre
misurare gli effetti pregiudizievoli sulle attività specifiche. Non è così, e due sono sotto questo
profilo i punti che vanno esaminati, perché intanto va detto che tutti questi arresti sono giunti al
termine di attività investigative alle quali hanno preso parte diverse forze di polizia, non solo il Ros
nelle sue due articolazioni, ma anche i Carabinieri dei reparti territoriali, e soprattutto il serviio
centrale operativo della polizia di stato di roma e la squadra mobile di palermo. molte acquisizioni
che sono state utilizzate per trarre in arresto proprio le persone cui si è fatto cenno, sono state
raccolte non dal Ros, ma da reparti e strutture delle forze di polizia diverse dal Ros. Lo vedremo
anche questo, ma qui basta fare un esempio, un nome, Francesco Pastoia, il boss di Belmonte il
fidato numero 5 di bernardo Provenzano. Di francesco Pastoia ci ha parlato Il colonnello De Caprio,
ci ha detto che Pastoia era la fissazione del Ros sin da dopo le stragi, era uno dei due punti cardine
dell'attività investigativa del Ros. Francesco Pastoia e Tommaso Cannella. Ebbene, sulla persona di
Francesco Pastoia da quegli anni il Ros ha sviluppato costantemente un'attività di indagine che ha
riguardato la sua persona e i suoi familiari. ce ne hanno parlato De Caprio, Damiano, Stefano Russo
e tutti ci hanno detto che mai nessun concreto elemento su francesco Pastoia è stato raccolto dal
Ros. Le ultime attività investigative, quando dico ultime sono quelle per capirci dal 2001-2002-
2003, erano state oggetto di notizie, di informazioni che giorgio Riolo aveva passato a Michele
aiello e se anche Francesco Pastoia il 25 gennaio 2oo5 figura nell'elenco dei soggetti che sono stati
sottoposto a fermo e poi applicata una misura cautelare lo si deve al fatto che le emergenze su
Francesco Pastoia, quelle utilizzate per sottoporlo a fermo non erano quelle raccolte dal ros. E in
questo processo questa cosa ce l'ha spiegata il comandante della sezione anticrimine ce l'ha detta
Anotnio Damiani. Francesco Pastoia è stato sottoposto a fermo sulla base di dichiarazioni di
Antonino Giuffrè, sulla base di pizzini mandati da Provenzano a Giuffrè e sulla base soprattutto,
anche se qui soprattutto rispetto agli altri elementi di prova non è il termine più esatto, anche allora,
sulla base di intercettazioni ambiantali e antonio damiano ce l'ha detto sono intercettazioni
ambientali con pezzi di conversazione di rara chiarezza, difficilmente nelle intercettazioni che
costituiscono la prova dei nostri processi di criminalità organizzata si leggono brani interi così chiri,
espliciti pesanti in cui si parla di omicidi in termini chiari ed espliciti. ebbene quelle conversazioni
che hanno vaslo il fermo di Francesco Pastoia sono conversazioni in cui parlava si anche Francesco
Pastoia ma erano conversazioni che sono state intercettate dalla Squadra mobile della polizia di
stato e che sono state intercettate in locali, in pertinenze che non avevano nulla a che vedere con
Francesco Pastoia. Se vogliamo descrivere questa situazione con una fotografia ancora una volta, la
fotografia è questa: Francesco Pastoia esce di casa sua salutando la telecamera che il Ros aveva
piazzato di fronte alla sua abitazione confidando sul fatto che a Belmonte Mezzagno certo non si
possono fare i pedinamenti e se si fanno uno come Francesco Pastoia si spedina nell'arco di pochi
minuti, dopodiché Francesco Pastoia andava a pochi chilometri da casa sua tra Misilmeri e
Montemezzagno riceveva i mafiosi di mezza palermo a cominciare da Nicola Mandalà, concordava
con Nicola Mandalà e tutti i mafiosi che riceveva le linee strategiche da seguire, portava le
disposizioni e gli ordini di provenzano che nel frattempo incontrava separatamente da solo e al
termine di questa lunga giornata di lavoro Francesco Pastoia tornava a casa sua risalutava dalla

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telecamera il ros e se ne andava a dormire. Insomma Francesco Pastoia è inciampato su attività di
altre forze di polizia e non dirette su di lui. Ma il ros, aveva anche attività su Onofrio Monreale, a
Bagheria. e anche quelle attività erano state oggetto da parte di Giorgio Riolo a Michele Aiello. e
però così come francesco Pastoia anche Onofrio Monreale figura nell'elenco degli imputati, lui
anche condannato, che il 25 gennaio 2005 erano stati sottoposti a fermo del pm e poi gli era stata
applicata la misura cautelare. ebbene per Onofrio Monreale che era nell'occhio investigativo della
sezione anticrimine, lo vedremo, almeno dal 2002, dal momento successivo alla sua scarcerazione,
ebbene, per Onofrio Monreale gli elementi più significativi posti a fondamento del suo
provvedimento di fermo sono stati raccolti a partire dall'inizio del 2004, dopo l'arresto di Giorgio
Riolo e anche per Onofrio Monreale hanno valso soprattutto l'incrocio copn le altre risultanze delle
investigazioni condotte dalla polizia di stato. per capirci, nella scheda del fermo di Onofrio
Monreale le conversazioni intercettate in cui parla Onofrio Monreale, non sono conversazioni
intercettate su di lui, e lo vedremo, ma sono intercettazioni captate all'interno di autovetture di altri
soggetti in relazione con Onofrio Monreale, sulle cui autovetture Onofrio Monreale saliva,
soggetti che sono stati individuati e nei confronti dei quali le attività sono iniziate dopo l'inizio del
2004, a partire da marzo 2004. Bartolone, Lentini. Il primo elemento importante di tipo
investigativo – poi certo c'erano già le dichiarazioni di Antonino Giuffré, c'erano tante cose – ma il
primo elemento investigativo che il Ros prende su Onofrio Monreale lo prende il 9 gennaio 2004 ed
è un elemento importante, costituito da questa ripresa filmata. Nicola Mandalà e Ignazio Fontana
che erano due soggetti seguiti dalla Squadra mobile di Palermo, vanno sul piazzale della Consutir,
strada statale 113 a Bagheria, si fermano, Onofrio Monreale esce, si mette a braccetto Nicola
Mandalà e passeggiando passeggiando all'interno del piazzale si scambiano un bigliettino. per
vedere quel filmato ci vogliono non solo occhi esperti, ma quel filmato va visto tre volte ed è uno
scambio effettuato all'interno di un piazzale recintato senza visibilità dall'esterno verso l'interno e
siamo a gennaio 2004. e quello scambio non avrebbe avuto alcun significato, il tribunale lo capisce
più del pubblico ministero, se non ci fossero stati gli elementi di prova portati, per capirci, dalla
polizia di stato su Nicola mandalà, se non ci fossero state le conversazioni di Nicola Mandalà. e
cioè quelle conversazioni che lasciavano chiaramente intendere che in quel preciso momento Nicola
Mandalà era uno dei tramiti tra bernando Provenzano e Francesco Pastoia. Perché altrimenti di suo
lo scambio di un bigliettino sia pure con modalità occulte consente di costruire mille suggestioni ma
non fa una prova utile alla condanna. e questo è Onofrio Monreale, che pure era tra gli obiettivi
investigativi e pure è stato arrestato. Nell'elenco, si potrebbero fare molti, ma solo un altro
brevemente, nell'elenco dei fermati del 25 gennaio 2005 figura Pino Pinello oltre a Pastoia e
Monreale. Pino Pinello era seguito dal 2001 e per tre quattro anni ha consegnato la posta, ha fatto il
messaggero di Bernardo Provenzano sotto gli occhi di chi lo controllava, portando biglietti da
Vittoria a Bagheria e riportando biglietti da Bagheria verso Vittoria. è stato fermato, ma l'elemento
di prova più significativo a carico di Pino Pinello, quello che poi ha illuminato ben 27, 30 32, ho
perso il conto del numero di viaggi che Pino Pinelli avrebbe effettuato tra Vittoria e Bagheria,
l'elemento di prova che dà significato a tutto viene raccolto il 30 luglio del 2004 e viene raccolto in
una intercettazione assolutamente particolare, disposta nell'estate del 2004 sulla casa al mare di
Pino Pinello a Pollina e qui Pino Pinello detta a Giuseppe Virruso un biglietto destinato a
Provenzano. Glielo detta a due metri dalla microspia. Quindi gli effetti pregiudizievoli delle
rivelazioni di notizie ce Giorgio Riolo ha partecipato a Michele Aiello vanno commisurati in
relazione agli obiettivi e in relazione alle attività e non possono ritenersi non esistenti o comunque
non rilevanti sol perché le persone gli obiettivi che ne sono stati oggetto di quelle rivelazioni sono
state poi nel frattempo arrestati. Le notizie riservate che sotto questo profilo Giorgio Riolo ha
confidato a Michele Aiello hanno certamente prodotto conseguenze gravissime, negative
sull'operato del Ros. hanno paralizzato alcune iniziative, ne hanno rallentato le acquisizioni. e tutti
questi casi di cui ho fatto cenno, ma ben altri se ne potrebbero agiungere, basta rileggersi le
deposizioni di Damiano, Russo, i risultati che sono stati raggiunti sono stati raggiunti grazie alla
presenza operativa di altre diverse forze di polizia, sono stati raggiunti grazie alle iniziative o alle

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attività che si sono protratte, iniziative intraprese dopo il 5 novembre 2003 e iniziative che si sono
protratte dopo il 5 novembre del 2003 da parte dello stesso Ros, ma con modalità nuove e distinte
da quelle fino ad allora osservate, e per ora basti dire questo e poi torneremo quando esamineremo
ogni singola notizia. Ancora, complessivamente l'esame delle singole rivelazioni fa emergere alcuni
dati di insieme, che si possono anticipare rispetto all'esame, alla valutazione delle singole
rivelazioni. Emerge una sistematica attività di intelligence della quale Giorgio Riolo si è reso
protagonista dal 1999 e che come dicevo ha riguardato soltanto specifiche e mirate attività
investigative del Ros, quelle dirette verso Provenzano e verso Matteo Messina Denaro. non ha
riguardato altre attività condotte dal Ros.

Emerge che degli obiettivi, dei tempi delle modalità tecniche di queste attività investigative che
sono state oggetto delle confidenze di Giorgio Riolo a Michele Aiello si sono certamente giovati i
capi latitanti di Cosa Nostra, Bernardo Provenzano in prima persona. emerge che queste rivelazioni
hanno compromesso molte attività investigative, ne hanno determinato il rallentamento e questo
rallentamento e queste compromissioni si sono sviluppate, manifestate in tempi ragionevolmente
compatibili con quelli nei quali le notizie di quelle indagini sono state confidate da Giorgio Riolo a
Michele Aiello. C'è un'ultima questione preliminare, e cioè quella dei rapporti tra Michele Aiello e
Giorgio Riolo.
Perché come vedremo queste condotte di rivelazione hanno occupato un lasso temporale dicevo che
va dal 99 al 2003. Lo stesso periodo nel quale Giorgio Riolo ha conosciuto Michele Aiello e trai
due si è sviluppato un rapporto assolutamente particolare, che certo adesso alla fine del processo
può apparire meno sorprendente di quanto ci era inizialmente apparso, è comunque un rapporto che
altrettanto certamente non è stato esplorato in tutti i suoi aspetti in tutti i suoi rivoli, ma resta un
rapporto particola, perché è il rapporto tra un impiegato delo stato, ma non un semplice impiegato,
un militare, un carabiniere, effettivo a uno dei reparti di eccellenza, impegnati su uno dei fronti che
da sempre ha costituito le priorità di intervento dell'arma dei carabinieri, ed è particolare questo
rapporto perché lega questo militare a un imprenditore come Michele Aiello con tutto quello che di
Michele Aiello abbiamo detto e questo rapporto è particolare perché si è protratto con le stesse
connotazioni con le quali era subito iniziato e vdremo quali, e si è protratto anzi con una ancor più
accentuata connotazione di infedeltà istituzionale anche quando Girogio Riolo agli inizi del 2003
aveva appreso dei rapporti che legavano Michele Aiello a Nicolò Eucaliptus, e si è protratto anche
dopo che a distanza di pochissimo tempo, e siamo sempre agli inizi del 2003, Giorgio Riolo aveva
saputo che Michele Aiello proprio per quei contatti con Eucaliptus stava per diventare uno dei
possibili obiettivi investigativi del suo reparto e si è protratto dopo che Giorgio Riolo aveva saputo
che Michele Aiello era iscritto per il 416 bis nel registro degli indagati di quella procura che
disponeva i decreti di intercettazione che Giorgio Riolo poi materialmente eseguiva sulla mafia di
Bagheria, di Casteldaccia, di mezza Palermo e dintorni. Ebbene di questo rapporto ci hanno riferito
gli stessi protagonisti di questo processo, Michele Aiello e Giorgio Riolo. Michele Aiello anche qui
ha operato una vera e propria operazione di trasformismo perché ha assolutamente minimizzato il
contenuto di questo rapporto e soprattutto ha cercato di farci intendere che se la conoscenza con
Riolo risaliva al 98-99 però questi rapporti si erano accentuati, avevano preso corpo solo nel 2003,
nei mesi finali, insomma era un rapporto tra due amici, tra due persone legate da un vincolo di
personale amicizia in base al quale forse qualche scorrettezza è stata commessa, ma è stata
commessa nell'ultimo periodo, per brevissimo tempo e certo nell'ambito di un rapporto di tipo
amicale. Ma a differenza di quello che ci ha detto Michele Aiello le carte di questo processo ci
dicono cose diverse su questi rapporti, e ci dicono che sin dall'inizio questo rapporto si è sostanziato
in un reciproco scambio di utilità, di quelle utilità che ognuna delle parti era in grado di assicurare e
Riolo ad Aiello che cosa poteva assicurare? Soltanto il flusso di informazioni sulle attività nelle
quali lo stesso Riolo era impegnato e quindi poteva assicurare da assicurato un flusso di notizie di
informazioni non soltanto sulle indagini che riguardavano Michele Aiello, ma ha assicurato un
flusso di notizie di informazioni sulle indagini specifiche di cui abbiamo detto, che non

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riguardavano direttamente Michele Aiello , ma riguardavano tutto il fronte mafioso del circuito
riferibile a Bernardo Provenzano e riguardavano i soggetti più vicini nell'area bagherese a Matteo
Messina Denaro ed erano notizie ed informazioni che solo Giorgio Riolo poteva dare, perché da
altri non le poteva attingere, non poteva certo attingere dai mille rivoli di cui Michele Aiello
disponeva. Qui non c'era Dottore Iannì che teneva, non c'era [incomprensibile], non c'era
[incomprensibile], non c'era nessuno di questi che poteva dare notizie. però erano informazion che
per Michele Aiello erano importanti e forse erano più importanti di qelle che lo riguardavano
personalmente, perché gli erano indispensabili per poter assicurare all'organizzazione mafiosa le
prestazioni di carattere speciale alle quali era tenuto in virtù del patto di protezione. Ed erano
informazioni che come vedremo erano tanto più importanti per i mafiosi soprattutto se ottenute in
tempi utili e rapidi, per sviare ed eludere le investigazioni che li riguardavano. e che questo sia stato
il rapporto, forndato sullo scambio di utilità, un rapporto approfonditosi sin dalle prime fasi, cioè
98-99, ce lo ha detto lo stesso Giorgio Riolo al'udienza del 21 marzo 2006, quando ci ha raccontato
come aveva conosciuto Michele Aiello e quale fosse la piega che il rapporto aveva preso sin da
subito. perché sin da subito quel rapporto si era sviluppato secondo quel rapporto di reciproco
scambio di utilità di cui si è detto, perché subito alla diagnostica era stata assunta la moglie di
Giorgio Riolo, poi anche un fratello e subito Giorgio Riolo era stato imegnato da Michele Aiello su
una pluralità di versanti. Certo il più importante era quello di ottenere informazioni sulle attività del
Ros, quelle specifiche informazioni che gli garantivano l'esecuzione del patto di protezione e però
sin da subito ci sono state anche altre prestazioni, perché sin da subito Michele Aiello aveva attivato
Giorgio Riolo per farlo intervenire presso altri comandi e stazioni dei carabinieri, per sollecitazioni,
per assunzione di informazioni, tra virgolette per raccomandazioni che riguardavano la sua attività
imprenditoriale, ce lo ha detto Riolo all'udienza del 28 marzo 2006, che su inputi di Michele Aiello
si è recato prima alla stazione dei Carabinieri di Ficarazzi e poi a quella di Caccamo, piccoli
interventi, poche cose rispetto poi alle informazioni, ma certo fatte subito, cose che danno la misura,
perché Giorgio Riolo manco nel 98-99 era un libero professionista a libro paga di Michele Aiello.
Giorgio Riolo portava la divisa anche quando andava alla stazione di Caccamo e a quella di
Ficarazzi. E fin da subito Giorgio Riolo è stato impegnato da Michele Aiello anche su un altro
versante, che riguardava proprio l'attività delle sue imprese. Non parlo dell'installazione del sistema
di videosorveglianza nella nuova struttura che Michele Aiello aveva in corso di realizzazione in
luogo dell'ex albergo Zabbara. Ci ha detto Riolo che era stato Michele Aiello a sollecitarlo in
qualche modo per dargli una mano. E qual è stata la mano che ha dato Giorgio Riolo? Allora, ce lo
ha detto lui stesso.Michele Aiello gli aveva chiesto di prendere i contatti con le ditte specializzate
nel settore, e lui lo aveva fatto, aveva preso i contatti con ben tre ditte specializzate in forniture e
installazione di apparecchiature tecniche e guardacaso tra queste ditte c'era anche la Nexia che è
stata poi la ditta scelta per effettuare le installazioni, e la ditta Nexia non è una ditta qualsiasi,
perché è la stessa ditta di cui si avvaleva il Ros, cioè il reparto di appartenenza di Riolo, che
utilizzava appunto personale e mezzi della ditta Nexia quando aveva necessità di ricorrere a ditte
esterne per noleggiare software, apparati, per qualche intervento, e Michele Aiello aveva fatto
vedere i preventivi delle tre ditte a Giorgio Riolo, su consiglio di Riolo manco a dirlo Michele
Aiello aveva scelto la ditta Nexia, e Riolo aveva seguito le attività i lavori di installazione
dell'impianto non facendo mancare i suoi preziosi consigli di tecnico e i suoi suggerimenti.
Guardate può sembrare una banalità, ma non lo è, di fatto all'inizio del 2000-2001 noi abbiamo
questa situazione, che la stessa ditta che lavora col Ros sulla prima linea, scusate il termine, è la
stessa ditta che lavora e fa un lavoro serio, di quelli che si pagano e bene, per Michele Aiello, che è
la punta avanzata dell'altro schieramento, come vedremo. e questa situazione di commistione, che è
una delle tante che si sono create grazie a Michele Aiello tra circuiti che altrimenti non sarebbero
mai venuti a contatto tra di loro e non è un problema etico, di chi frequenta chi, ma stiamo parlando
di cose concrete, perché tra i tanti biglietti che sono stati trovati ad antonino Giuffrè c'era il biglietto
da visita di un'altra ditta ancora Giuffrè ci ha raccontato, e lo vedremo, di qual era il livello
maniacale di Bernardo Porvenzano nello studio e nella ricerca di apparecchiature elettroniche volte

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a contrastare gli effetti delle altre apparecchiature elettroniche e il biglietto della ditta che è stato
trovato nella casa di antonino giuffrè e di cui ci ha riferito, anche quello è il biglietto di una ditta
che lavora con un'autorità giudiziaria. quindi la creazione di queste occasioni d'incontro sono l'altra
faccia di una stessa medaglia, di quella medaglia di cui ci ha parlato Antonino Giuffrè quando ci ha
detto che dagli imprenditori Cosa nostra cercava delle prestazioni che altri soggetti appartenenti ad
altre categorie sociali non potevano dare. Può un mafioso andare in una cancelleria di un tribunale?
può un mafioso conclamato parlare con qualcuno che opera da collaboratore, da ausiliario da
tecnico, da consulente della Polizia giudiziaria e della Procura della Repubblica? No, lo possono
fare solo quelli come Michele Aiello e lo hanno fatto. e non è un caso che è stata scelta la Nexia in
questo caso, che la ditta di cui si avvaleva il Ros è la stessa che poi va a installare l'impianto di
videosorveglianza dell'ex Zabbara. La prova di questi rapporti, infine, sta nel fatto che Michele
Aiello una volta conosciuto Giorgio Riolo lo aveva anche presentato nel suo entourage, ce lo ha
riferito Rosario Correnti che ci ha detto di avere conosciuto Giorgio Riolo perché era stato
presentato da Michele Aiello sin da subito, sin dal 98-99. Se questi erano i raporti a Giorgio Riolo è
stato chiesto quale fosse stato, a un certo punto, il punto di approdo di questi rapporti. In altri
termini a Giorgio Riolo è stato chiesto quanti e quali notizie sulle attività tecniche nelle quali lui
stesso era stato impegnato lui avesse rierito a Michele Aiello , quali particolari gli avesse rivelato.
C'era questo rapporto, qual era il punto di approdo? A Giorgio Riolo questa domanda è stata posta
ovviamente durante l'esame dibattimentale ma questa domanda a Giorgio Riolo era stata presentata
anche nella fase delle indagini e Riolo qualche cosa in quella fase l'aveva già detta. Sono i verbali di
interrogatorio che sono, lo ripeto, utilizabili nei confronti di Riolo ma non nei confronti di Michele
Aiello . Interrogatorio per esempio del 26 aprile 2004 Giorgio Riolo su questa domanda, parlando di
Michele Aiello e delle notizie che gli aveva rivelato ci ha testualmente risposto “Sì, ma quasi quasi
lo coinvolgevo come se fosse uno di noi” ecco, e aveva aggiunto che con frequenza costante gli
riferiva ogni aspetto anche quelli più minuti e di routine delle attività cui lui stesso partecipava o er
applicato, e ci ha detto testualmente Riolo “quando io arrivavo lì, cioè nel suo ufficio, mi faceva
semplicemente la solita domanda: che state facendo di buono?”, in questa maniera e poi lui gli
confidava le notizie. e sempre nel corso di quell'interrogatorio che ha reso il 26 aprile 2004 Giorgio
Riolo aveva riferito di avere rivelato a Michele Aiello l'esistenza di tutte le principali attività
investigative del Ros sia per la cattura di Provenzano che di Messina Denaro, testualmente: “Circa
le indagini del Ros di cui ho parlato con Aiello ribadisco di avergli riferito nei termini di cui ho già
detto delle indagini nei confronti di Eucaliptus, del problema che avevamo procurato a Borzacchelli
e Cuffaro sulle microspie di Guttadauro le indagini che avevo di Pastioia di Belmonte Mezzagno”.
Ed era quell'interrogatorio appunto del 26 aprile, l'interrogatorio che si era aperto con la lettura da
parte di Giorgio Riolo di una sua breve memoria che è quello che poi abbiamo acquisito al fascicolo
del dibattimento e che ha valore di documento proveniente dall'imputato ex art. 237 codice di
procedura penale e dunque questro scritto vale anche nei confronti di Michele Aiello. e leggendo
quanto aveva scritto Giorgio Riolo aveva fatto un'assunzione cosciente e responsabile delle sue
responsabilità, proprio con riferimento della rivelazione di notizie fatte a Michele Aiello delle
attività investigative svolte dal suo reparto. è lungo il documento, soltanto cinque righe: “sento la
necessità morale di ammettere in maniera completa le mie responsabilità anche per fatti che come
molti di quelli che ho già riferito non mi sono mai stati contestati. le mie resistenze nel confessare
tutto non dipendono dal tentativo di nascondere le mie responsabilità, ma solamente dalla vergogna
che provo per il mio inqualificabile comportamento” parole pesanti. poi però sullo stesso punto
Giorgio Riolo è stato sentito nel corso del dibattimento. e all'udienza del 28 marzo del 2006, quando
gli è stata posta la stessa domanda, le parole con le quali Giorgio Riolo ha risposto non erano più le
stesse. era cambiato qualcosa e quel qualcosa è cambiato in maniera esattamente corrispondente alla
chiave di lettura con la quale vi hi detto dovrete valutare le contraddizioni interne ed esterne
plurime delle dichiarazioni di Michele Aiello, cioè erano cambiate queste parole nel senso come
dire di depotenziare tutto il livello del quadro probatorio e quell'assuzione di responsabilità che
Giorgio Riolo aveva fatto il 26 aprile del 2004 si è miracolosamente trasformata in qualcosa di

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diverso. Udienza del 28 marzo 2006, viene fatta la stessa domanda e Riolo ammette di aver fatto a
Michele Aiello confidenze su attività investigative in corso da parte del suo reparto, su applicazioni
di carattere tecnico che il suo reparto aveva in corso, ma ha subito, guardate quello che vi dicevo
all'inizio, ha subito messo il paletto, si è subito sentito in dovere di precisare, ma lo ha fatto una sola
volta, poi tutto il resto – leggo testualmente - “l'ho fatto una sola volta, poi tutto il resto erano
sempre in tempi successivi”. Poi lo vedremo notizia per notizia quali sono i tempi. Però intanto
questa è la dichiarazione che Giorgio Riolo ha reso al dibattimento conclusivamente per spiegarci
quello che aveva detto a Michele Aiello. In tempi successivi. Anche lui, la famosa postdatazione,
sulla quale aveva lavorato per tante udienze il suo coimputato Michele Aiello. Poi alla successiva
udienza 4 aprile 2006 Giorgio Riolo ci ha precisato le circostanze durante le quali aveva fatto
queste confidenze a Michele Aiello e ci ha detto testualmente “eravamo sempre soli il più delle
volte ero io che parlavo” quindi abbiamo come punto di riferimento il verbale del 26 aprile 2004,
questo è il 4 aprile 2006 “il più delle volte ero io che parlavo anche per pavneggiarmi, non so, ero io
che iniziavo, anche per pavoneggiarmi un po' anche se qualche volta è normale, cioè l'ingegnere mi
chiedeva 'che fate di buono?'” qui rasentiamo...magari lui lo intendeva diversamente, cioè magari
Aiello gli chiedeva che fai di bello con tua moglie, la famigli, i figli, ma invece, dice Riolo io
facevo l'attività di polizia e quella gli raccontavo.

Poi nel corso del controesame all'udienza dell'11 aprile 2006 stessa domanda, questa volta
formulata da una delle parti private, Riolo ha cercato ancora di più di spostare la linea di
demarcazione del rilevante e del non rilevante ha cercato di aggiustare il tiro e ha fornito una
risposta sul filo della confusione, dei non ricordo. Allora viene chiesto “Vorrei capire se l'ingegnere
Aiello le ha mai chiesto che attività di indagine avevate in corso” e qui guardate c'è la riprova
provata documentale di quello che io vi ho detto all'inizio in apertura di questa discussione. Cioè
Riolo non risponde alla domanda, ma fa riferimento ai verbali dei suoi precedenti interrogatori
perché li deve subito spiegare, non aspetta nemmeno la contestazione. Riolo: “In un momento di
rabbia che avevo nei confronti di tutti di tutto quello che era successo, forse lo avrò anche detto in
qualche... ma in realtà di fatto non mi ricordo che l'ingegnere mi abbia detto una cosa, mi ha chiesto
mai una cosa diretta così”. Quindi era una domanda generica “che fate di bello?”. Riolo: “sì,
possiamo collocarla generica”. Certo, il vero problema era depotenziare la rivelazione e si fa in tanti
modi, dicendo che erano notizie generiche, dicendo che erano state fatte dopo... Dopodichè
qualcuno gli ha chiesto conto del fatto che il 26 aprile 2004 aveva dato una risposta diversa alla
stessa domanda. e allora Giorgio Riolo ha accentuato, e la colpa ovviamente è di chi interroga, in
questi casi era il procuratore aggiunto Dott. Pignatone e dice Riolo “Sì il dott. Pignatone mi ha
specificato, mi ha fatto pure l'esempio e io gli ho detto di sì e io ce l'avevo col mondo intero in quel
momento”, poi a seguito delle contestazioni, non solo di carattere logico ma anche di contenuto
rispetto a quelle delle precedenti dichiarazioni sul fatto che durante più passaggi del suo esame, non
solo degli interrogatori al pm, ma proprio dell'esame, perché qui eravamo in controesame, era stato
lui stesso Riolo a specificare per udienze intere le numerose notizie fornite a Michele Aiello, tanto
che anche durante l'esame Giorgio Riolo si era dichiarato pentito davanti al mondo intero per quello
che aveva fatto. A quel punto a queste contestazioni diciamo di carattere sia logico, sia specifico sul
contenuto di quello che aveva detto durante l'esame Giorgio Riolo ha risposto con quest eparole:
“”Ero pentito del mio comportamento che effettivamente che un maresciallo non può andare a
raccontare le cose che fa a chi? al primo che incontra, no, non l'avrei mai dovuto dire, ma non
l'avrei mai dovuto dire proprio, neanche quelle che io ho raccontato che erano successe prima non
le avrei neanche dovute dire”. Questo era il discorso e alla successiva domanda, quindi logica,
“quindi lei le ha rivelate delle notizie su indagini in corso a Michele Aiello”. Riolo “MA, se in
corso, che io mi ricordo nello specifico in corso era solo quello sul supermercato”, poi vedremo, ma
sempre così, non nello specifico, era un discorso generico. IO confermo che anche ero io che
spontaneamente gli andavo a raccontare anche e soprattutto per accreditarmi ai suoi occhi le attività

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di indagine, ecco non era specifico cosa fate di buono nell'indagine, cosa fate, chi avete arrestato
oggi, questo era era un po' generico.
E allora a Giorgio Riolo è stato chiesto il motivo, perché aveva assunto questa spontanea iniziativa
nei confronti di Michele Aiello. E la domanda è stata formulata in questi termini: “Quindi mi scusi
lei ha rivelato lo ha detto lei una serie di notiie su attività che non doveva rivelare, lasciamo stare se
le ha dette prima, dopo, in contemporanea all'ingegner Aiello; è pentito di questo davanti ai suoi
colleghi, all'arma, ai giudici etc; ma per ottenere che cosa, un minimo di aiuto epr una casa di 50 mq
e un prestito per una Craisler?”. E Giorgio Riolo immediatamente ha risposto no, che lui non aveva
avuto alcun ritorno economico da queste rivelazioni ma che sperava di averli in futiro e ha fatto
esplicito riferimento al fatto che dopo suo fratello e dopo sua moglie, Michele Aiello potesse
assumere anche due suoi cognati. Quindi come vedremo Giorgio Riolo inizia a rivelare notizie sulle
indagini investigative del Ros a partire dal 1999 lo fa fino a ottobre 2003 nella speranza, senza
avere un ritorno economico concreto, che in futuro Michele Aiello assuma due suoi cognati.
E poi sempre l'11 aprile 2006 e anche questo un tema importante, preliminare così lo sgombriamo
subito, è stato chiesto a Giorgio Riolo quali notizie fatte, inventate, aveva propinato a Michele
Aiello anche su questo versante e allora Riolo ci ha detto che le notizie false che aveva fornito a
Michele Aiello erano soltanto tre, la prima che nei confronti di Michele Aiello erano state avviate
attività di indagine anche da parte del suo reparto, cioè il Ros. Due, era falso quello che gli aveva
detto quando gli aveva rivelato che era stato effettuato un servizio di osservazione sulla villa di
Michele Aiello di Capo Zafferana, dove Michele Aiello trascorreva le vacanze, servizio di
osservazione fatto dalla montagna di fronte. tre, aveva confidato falsamente a Michele Aiello che
aveva riferito notizie dal collega Cesarini del comando provinciale di Palermo sulle indagini in
corso su Michele Aiello e sulla durata delle intercettazioni telefoniche. Ci ha detto Riolo che erano
solo queste le notizie false date ad Aiello e che tutto il resto è vero. Sappiamo anche che alcune di
queste notizie sono false veramente, altre come quella sulla durata delle proroghe delle
intercettazioni telefoniche non sono affatto false, è falsa la fonte forse, il fatto che gliel'abbia detto
Cesarini forse, ma non la notizia. E allora se raccogliamo le idee in via preliminare su questa parte,
su questo approdo tra Michele Aiello e Giorgio Riolo, possiamo dire che ci sono anche qui alcuni
dati certi. è certo che Giorgio Riolo ha confidato diversi particolari di molte attività investigative
che dal 99 al 2003 aveva in corso il Ros, poi vedremo in relazione ad ogni singolo episodio il
quando è avvenuta la rivelazione e sappiamo che al di là della tempistica quelle confidate da Giogio
Riolo sulle attività del Roso sono tutte preliminarmente notizie assolutamente vere, perfettamente
corrispondenti alla realtà di quanto il ros ha effettuato nell'arco di questi quattro anni nei confronti
degli obiettivi di cui si è detto.
Riolo ci ha detto che aveva sempre agito anche su questo versante, così come era stato per il
versante di altre rivelazioni, per puro spirito di protagonismo, ancora una volta per usare le sue
parole per pavoneggiarsi, non aveva avuto ritorni economici ma aveva la speranza di averli in un
prossimo futuro. Ecco, l'esame delle singole vicende ci darà una risposta anche a questa domanda e
cioè se questa motivazione è vera o non è vera perché l'istruttoria dibattimentale da questo punto di
vista ci ha consegnato una serie di elementi oggettivi che provengono da fonti eterogenee che
appaiono utili a formulare una risposta a riguardo, sciogliendo appunto con i fatti e non con le
suggestioni le contraddizioni del complesso delle dichiarazioni rese da Michele Aiello e da Giorgio
Riolo, che consentono in tal modo di ricostruire l'ipotesi preferibile su cui fondare anche con
riferimento a questo pezzo di contestazione il giudizio di responsabilità.
Sulla base di questi elementi di premessa possiamo esaminare quali sono le singole notizie che sulle
diverse attività investigative che Giorgio Riolo ha confidato a Michele Aiello e in quali termini e
con quali tempi esse hanno costituito l'oggetto della illecita rivelazione. Diciamo subito che le
notizie riferite a Michele Aiello da Giorgio Riolo possono essere suddivise in due distinti gruppi
che hanno riguardato le attività investigative aventi ad oggetto i due diversi circuiti, facenti capo ai
due diversi latitanti, Matteo Messina Denaro e soprattutto Bernardo Provenzano alla cui cattura il
Roso era da tempo impegnato con tutte le sue articolazioni operative in Sicilia impegnate.

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Partiamo dalle notizie che sono essenzialmente due, che hanno riguardato le attività investigative
condotte sul circuito mafioso legato anche da un punto di vista, come vedremo parentale a Matteo
Messina Denaro e sono in particolare due rivelazioni che costituiscono oggetto di altrettante
effrazioni delle condotte in contestazione sia a Michele Aiello che a Giorgio Riolo, sia sotto il
profilo del segreto che sotto il profilo del reato associativo. Faccio riferimento in primo luogo alla
notizia della collocazione da parte di Giorgio Riolo di microspie presso l'abitazione estiva di Filippo
Guttadauro sita nel comune di Castelvetrano, e, più in generale, la rivelazione della notizia che
c'erano indagini su Filippo Guttadauro. Il 26 aprile 2004 ce ne parla Giorgio Riolo durante
l'interrogazione al pm di cui ho fatto cenno. Giorgio Riolo ammette di avere riferito a Michele
Aiello che presso l'abitazione di Filippo Guttadauro erano state collocate alcune microspie. Nel
corso di questo interrogatorio Riolo dice testualmente: “Gli andammo a mettere anche le microspie
a questa persona a Castelvetrano in provincia di Trapani e glielo dissi ad Aiello”. Aveva detto
sempre in quell'interrogatorio Giorgio Riolo di avere riferito tali notizie a Michele Aiello per
rassicurarlo, Perché, perché quando era stata assunta da Michele Aiello sua moglie e quindi siamo
sul finire del 98 inizi del 99 Aiello dopo un po' gli aveva confidato a sua volta a Giorgio Riolo che
aveva ricevuto la visita di un suo vecchio compagno di scuola, di Filippo Guttadauro il quale ci dice
Riolo aveva avanzato nei confronti di Michele Aiello delle richieste di natura economica in una
delle tante occasioni nelle quali Filippo Guttadauro si era recato presso la diagnostica per sottoporsi
ad alcuni accertamenti. Quindi Riolo nella parte dell'interrogatorio al pm che può essere utilizzato
nei suoi soli confronti, lo ridico adesso e non lo ripeterò, ci ha detto di avere dato la notizia a
Michele Aiello, ci ha detto l'oggetto della notizia, cioè l'installazione della microspia, ci ha
determinato il momento in cui aveva dato la notizia, collocandola in un momento successivo
all'assunzione della moglie nel periodo in cui Filippo Guttadauro andava a farsi degli accertamenti.

Abbiamo sentito sullo stesso punto Michele Aiello, udienza del 21 febbraio 2006, in realtà
teniamolo sempre presente, Aiello viene sentito sempre prima. All'udienza del 21 febbraio 2006 sul
punto in questione viene chiesto ad Aiello: “Le ha mai riferito Riolo di attività investigative sulla
persona di Filippo Guttadauro, indagini in corso a Castelvetrano o a Bagheria?”. E Aiello ci ha
risposto:”MAi e poi mai che era noto che Guttadauro Filippo era un personaggio mafioso su questo
non c'è dubbio, ma su quanto riguarda abitazioni che lui mi diceva questo di qua è un tipo
attenzionato perché è un noto mafioso questo sì ritengo me ne abbia parlato, ma di microspie in
casa Guttadauro Filippo nella maniera più assoluta”. Aiello ci ha detto che a Riolo aveva raccontato
che dopo tanti anni aveva incontrato Filippo Guttadauro che aveva conosciuto da ragazzino perché
questo Guttadauro si era recato alla diagnostica per alcuni accertamenti e ha detto Aiello che a
Giorgio Riolo aveva anche riferito che Guttadauro quando aveva visto la diagnostica si era
complimentato con lui e gli aveva detto io ho un magazzino a Castelvetrano, chissà se si può fare
una cosa come questa anche lì. e ci ha detto Aiello che con molta probabilità di questo colloquio lui
aveva parlato con Giorgio Riolo. Qui abbiamo la dedutio del contenuto della notizia perché la
rivelazione di Riolo sarebbe stata che “questo qua è un tipo attenzionato perché è un noto mafioso”.
Le attività investigative che il Ros ha condotto su Filippo Guttadauro ci sono state riferite in primo
luogo all'udienza dell'11 aprile 2005 da Michele Sini, il quale ci ha subito detto che da questa
attività investigativa non erano stati tratti utii elementi, poi vedremo perché. Filippo Guttadauro ci
ha detto Sini, abitava nella casa di Castelvetrano soltanto nel periodo estivo, la abitava con la
moglie Rosalia Messina Denaro, che è la sorella del latitant Matteo Messina Denaro e ci ha detto
Sini che in quei periodi estivi in cui avevavno funzionato le microspie, quando qualcuno lo andava
a trovare, di estraneo al nucleo familiare, lui per parlare usciva sistematicamente dall'abitazione e se
ne andava in campagna. e abbiamo sentito anche scafuri, che era il capitano addetto a questa
indagine, infatti ci ha detto qualcosa di più specifico. Scafuri ci ha detto all'udienza del 18 ottobre
2005 che le installazioni tecniche erano state curate anche da Giorgio Riolo ed erano state
effettivamente due, una ai primi di agosto 1999, l'altra a Ferragosto 2000, nel frattempo però ci ha
detto Scafuri questa attività non dette esiti positivi e ci spiega perché, leggo testualmente: “Non

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risultò assolutamente nulla dalla intercettazione ambientale a casa di Messina Denaro Rosalia, la
casa era comunque anche frequentata però fu negativa l'intercettazione perché quando c'era
qualcosa di particolare, si percepiva che comunque uscivano fuori, quindi quando stavano parlando
di cose normalissime si sentiva, poi all'improvviso sparivano e andavano a parlare fuori, perché lei
deve immaginare la campagna quindi questo porticato insomma si capiva che per alcune
conversazioni probabilmente uscivano fuori a parlare all'aperto”. Allora, noi abbiamo che Giorgio
Riolo ha fornito a Michele Aiello le notizie su Guttadauro, ha confidato l'esistenza delle indagini,
gli ha confidato la collocazione di microspie nella casa di Castelvetrano e lo ha fatto Riolo
certamente quando l'attività aveva avuto inizio da poco o doveva ancora iniziare perché quando
Riolo ci dice le modalità ci dice “io questo lo sto investigando, gli abbiamo messo le microspie” e
glielo dice, è importante, come una risposta, un tentativo di rassicurarlo, al fatto che Michele Aiello
a sua volta gli avesse confidato delle richieste economiche che gli aveva fatto Guttadauro. Riolo
parla ad Aiello di qualche cosa che è ancora in atto, e non è qualche cosa che è ancora in atto perché
è connesso al profilo terminologico lessicale, “io lo sto investigando, gli abbiamo messo le
microspie”. No, gli parla di qualche cosa che è ancora in atto perché altrimenti non avrebbe avuto
alcun senso dargli queste notizie ad attività chiusa quando dopo il 14 agosto 2000 anche Giorgio
Riolo sapeva che da quelle indagini non era stato ricavato alcun risultato. Che con quelle
intercettazioni certo Guttadauro, infatti così è, non sarebbe stato arrestato. Se la rivelazione serviva
a rasicurare Michele Aiello a fronte delle pretese e dei disturbi, allora la confidenza non gli stata
fatta dopo l'agosto del 2000 ma gli è stata fatta all'inizio dell'attività e diciamo la interpretazione
logico-sostanziale connessa in altri termini alle finalità di questa rivelazione nella stessa testa di
Riolo che l'ha fatta doveva avere, rassicurarlo, si collega strettamente alle parole utilizzate da Riolo,
“io questo qua lo sto investigando, gli abbiamo messo le microspie”. Non solo, ma Riolo ci dice che
questo colloquio si ricollega al momento in cui la moglie aveva cominciato a lavroare presso la
clinica, dunque il dato dell'inizio dell'attività investigativa o della fase diciamo immediatamente
successiva all'inizio dell'attività investigativa, è un dato certamente più che probabile, anche perché
l'attività investigativa sulla casa di Castelvetrano era questa sì iniziata nell'estate del 99, ce lo dice
Scafuri e riguardava l'abitazione di Castelvetrano, ma in realtà Giorgio Riolo ci dice una cosa
importantissima per collocare da un punto di vista temporale la rivelazione, ci dice che prima
ancora di collocare le microspie nella casa di Castelvetrano Filippo Gutadauro era già oggetto di
investigazioni da parte del Ros perché nei suoi confronti erano stati seguiti dei servizi di
osservazione, di pedinamento con la finalità di studiarne le abitudini al fine di installare delle
microspie nell'abitazione non quella estiva di Castelvetrano, ma nell'abitazine diciamo così, quella
abituale, di Bagheria Aspra, quella che Guttadauro occupava con la sua famiglia, quindi che
Guttadauro fosse nel mirino del Ros, che i militari del Ros ne stessero studiando le abitudini è
circostanza che si realizza già prima dell'estate del 1999 ed è circostanza di cui Giorgio Riolo è a
conoscenza già prima dell'estate del 99 e già prima dell'agosto del 99 Giorgio Riolo sapeva che
sarebbero state installate delle microspie anche nell'abitaizone estiva di Castelvetrano, perché è vero
che l'atto di installazione è avvenuto ai primi di agosto, ma è altrettanto vero che quell'atto di
installazione cui materialmente ha preso parte Giorgio Riolo ha avuto una fase di studio e
preparazione che certamente è stata ancteriore ai primi di agosto del 1999. E certamente, un
ulteriore dato che è compatibile con la datazione che Giorgio Riolo ci fa in modo fermo
nell'interrogatorio al pm, dandoci poi nel dibattimento un solo dato certo che è quello del
collegamento temporale della richiesta, con le parole confermate “Io lo sto investigando, gli
abbiamo messo le microspie”. Nel 2000 e nel 2001 non glielo poteva dire “io lo sto investigando gli
abbiamo messo le microspie” per un altro semplice motivo, e cioè perché quell'attività ad agosto
2000 già finisce. Quando Antonio Damiano da il cambio al comando della sezione a Michele Sini,
ci dice lo stesso Damiano, rispetto a questa attività l'unica preoccupazione, l'unica cosa che noi
dovevamo fare era quella di recuperare il materiale tecnico installato facendo un nuovo accesso
presso l'abitazione estiva di Castelvetrano al solo fine di recuperare il materiale che era stato lì
collocato ai primi di agosto del 1999. Quindi nche sotto questo profilo, noi sappiamo che dal

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settembre 2000 non c'è nessuna attività in corso. Noi sappiamo che dal 14 agosto 2000 Giorgio
Riolo non può dire a Michele Aiello “io questo qui lo sto investigando”, non lo può rassicurare,
perché già non c'è più l'attività investigativa, perché già si sa che quelle intercettazioni non hanno
prodotto alcun risultato utile e quindi caso mai se Girogio Riolo avesse dovuto rassicurare Michele
Aiello gli avrebbe dovuto dire qualcos'altro che riguardava aspra, ma non Castelvetrano.
In secondo luogo, ed è il secondo gruppo di notizie, Giorgio Riolo ha avuto una parte attiva
nell'acquisizione di un'altra notizia, che nel momento in cui è stata acquisita era una attività, una
notizia coperta dal segreto ed è un'informazione attinente alle attività investigative che aveva in
corso, certamente nel 99 ma poi vedremo quando, la Polizia di Stato e lo Sco su componenti della
famiglia Mesi, attività finalizzate alla cattura del latitante Matteo Messina Denaro e nel caso
specifico l'acquisizione della notizia ha per oggetto la installazione di un sistema di videoripresa a
mezzo di telecamera installato davanti all'abitazione dei mesi ad Aspra in via MILWOKEE n° 49.
Di questa vicenda ci hanno a lungo parlato sia Riolo che Aiello. Riolo ce ne ha riferito anzitutto
durante la fase delle indagini, interrogatorio del 15 maggio 2004. Riolo dice che su richiesta di
Michele Aiello aveva effettuato in compagnia dello stesso Michele Aiello e del maresciallo
Borzacchelli una vera e propria attività di bonifica sotto l'abitazione di Paola Mesi ad Aspra, una
attività di bonifica ci ha detto sempre in occasione di quella bonifica Riolo, durante la quale
facendo uso di una specifica apparecchiatura tecnica era stata scoperta e rilevata la presenza di una
telecamera perfettamente funzionante che inquadrava da una certa distanza l'ingresso dell'abitazione
di Paola Mesi ad Aspra. Poi queste circostanze che si connotano anche qui per pochi elementi:
richiesta da parte di Michele Aiello, effettuazione di un'attività di bonifica sotto l'abitazione di
Paola Mesi dove Riolo si reca insieme a Borzacchelli nella macchina di Aiello, effettuazione
dell'attività a mezzo di apparecchiatura, scoperta di una telecamera installata che guarda l'ingresso
dell'abitazione di Paola Mesi e che è perfettamente funzionante. Queste circostanze sono oggetto
dell'esame dibattimentale, e Giorgio Riolo ce ne parla il 4 aprile del 2006 e ci dice che a giugno del
1999 con Borzacchelli era andato presso la diagnostica e che quando erano arrivati sul posto
avevano incontrato Michele Aiello e che a questo punto non più Aiello ma Borzacchelli aveva
detto “Andiamoci a fare una passeggiata”. Questo “andiamoci a fare una passeggiata” ci ha detto
riolo era colegato al tentativo che aveva in atto Borzacchelli di convincere Siello a licenziare due
dipendenti, i fratelli Mesi, Paola Mesi ed un altro, ha detto Riolo. Li voleva allontanare dalla sua
struttura per non rovinare l'immagine della sua diagnostica aggiungendo, Borzacchelli, che si
trattava di persone “sotto controllo dei Carabinieri e nei confronti dele quali il maresciallo De
Caprio aveva già fatto una perquisizione”. Ci ha detto Riolo che Borzacchelli in quella occasione
aveva detto che erano persone “guardate a vista da una telecamera posta di fronte all'abitazione”.
Ha proseguito Riolo dicendo che al fine di fare toccare con mano la dimostrazione di quanto fosse
vero quanto lui, Borzacchelli, gli aveva detto, Borzacchelli aveva appunto detto andiamoci a fare
una passeggiata in macchina. E ha proseguito Riolo dicendoci che tutti e tre sie rano posti nella
macchina di Michele Aiello ed erano andati fino ad Aspra. E ha detto Riolo che mentre andavano
ad Aspra Borzacchelli aveva detto ad Aiello che lui Riolo aveva un sistema per poter localizzare
queste telecamere e ha sempre aggiunto Riolo, all'udienza del 4 aprile 2006, “no, io non avevo lo
strumento in realtà - lo strumento è l'analizzatore di spettro – io avevo un televisorino che seguivo
quando andavo ad accompagnare i miei figli al campo e aspettavo, guardavo la televisione, i
televisorini portatili, quelli che si attaccano con l'accendisigari” e Riolo, guardate, subito. quando ci
spiega questa cosa anche lui gioca d'anticipo e mette le mani avanti rispetto alla possibile
contestazione di quello che lui aveva dichiarato in precedenza senza che gli fosse ancora stata
effettuata la contestazione e subito lo dice giocando d'anticipo, “anche se poi io durante
l'interrogatorio ho detto cosa diversa”, pm “ma aspetti...” Riolo “la verità è questa che sto dicendo”.
E Riolo ci ha raccontato quella che secondo lui era la verità, di quello che era accaduto poi sotto la
casa della Mesi una volta arrivati ad Aspra e ci ha detto: “Siamo andati ad Aspra, siamo entrati nella
strada e in realtà di fatto c'era una scatola lì distaccata dal muro perché c'era ricordo come
particolare, come se avessero rifatto la facciata, quindi questa scatola non era attaccata bene al palo,

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ma era messa in modo obliquo era stata distaccata però si capiva che era una telecamera, perché
c'era l'ntenna posta dietro quindi a distanza si notava che era una telecamera quella lì”. E ha
concluso Riolo dicendo che dopo questo passaggio, dopo aver visto questa scatola, gli aveva detto a
Michele Aiello e antonio Borzacchelli che quella appunto era la telecamera che guardava la casa
dei Mesi e questa è la versione dei fatti che Riolo ci ha offerto nella prima parte dell'esame. Allora a
questo punto a Riolo sono state contestate le dichiarazioni che lui stesso aveva reso durante
l'interrogatorio al pubblico ministero sempre sulla stessa vicenda, dichiarazioni che divergevano su
alcune questioni basilari della ricostruzione offerta, in particolare su tre punti determinanti, la cui
modifica avrebbe privato di qualsiasi rilevanza la condotta di rivelazione di cui Giorgio Riolo si era
reso protagonista. La prima questione era chi aveva preso l'iniziativa, cioè chi aveva sollecitato il
giro inmacchina e quindo la bonifica, perché nel corso dell'esame Riolo fa il nome di Borzacchelli,
perché nel corso dell'interrogatorio precedente aveva fatto il nome di Michele Aiello . Pm, “Guardi
andiamo con ordine partiamo dall'inizio, intanto lei dice che fu Borzacchelli a dire andiamo a
vedere. Guardi lei il 15 maggio le leggo tutto il pezzo – pm pp.26 e sgg. e inizia la contestazione-.
Torniamo un attimo indietro ai discorsi su Paola Mesi quando Borzacchelli dice ad Aiello che lui
rischia di rovinare la società perché Paola Mesi è sottoposta a indagini. Queste indagini sono
segrete evidentemente” Riolo: “Se queste sono segrete lui (Borzacchelli) mi disse che era stata
posta una telecamera davanti all'abitazione della Paola Mesi e cose varie” Pm “Lui Borzacchelli?”
Riolo: “Lui Borzacchelli e cose varie. Io ci passai ed in effetti là verificai che c'era”. Pm “Che c'era
una telecamera quindi non era una frottola” Riolo “Non non era una frottola, questo glielo dissi pure
ad Aiello che si era preoccupato nel senso non è che poi mi danno fastidio pure a me con tutte
queste discussioni” Pm “Perché lei gli disse che la telecamera guardava Paola Mesi e non guardava
lui?”. Riolo “No, che c'era questa telecamera in questa via”. Pm “Ma lei perché ci passò? Cioè, di
testa sua o fu mandato?” Riolo: “No, mi fu chiesto da Aiello e in compagnia di Borzacchelli ci
passammo insieme”. Pm “Quindi lei, Borzacchelli, Riolo tutti e tre”. Quindi finisce la lettura quindi
da come ha dichiarato, andiamoci per punti, non c'è dubbio che eravate tutti e tre insieme, non c'è
dubbio che il discorso di Borzacchelli che dice questi sono pericolosi, sono sotto indagine, sono un
obiettivo, però qui è Aiello che glielo chiede di effettuare di andare... Lo dice lei, fu Aiello a dirlo.
E allora Riolo ha risposto e ci ha detto: Dottore Prestipino penso che non cambia una virgola, viene
cioè nel senso che è possibile che me l'abbia anche potuto chiedere l'ingegnere Aiello e cioè è
possibile che me l'abbia potuto chiedere, cioè è possibile, non è che cambia qualcosa secondo me”.
Allora viene richiamato Riolo “Maresciallo lei dovrebbe evitare di dire quello che lei pensa a
proposito dell'esistenza di divergenze e di contestazioni perché questo poi lo valuteranno le parti e
soprattutto lo valuterà il tribunale”. Però qui ci sono due punti di vista diversi perché secondo la
versione che lei ha fornito poco fa sarebbe stato Borzacchelli che di fronte alle titubanze alle
incertezze di Aiello che diceva “Ma non ci credo che possono essere pericolosi” avrebbe detto
andiamo che ti faccio vedere che c'è la telecamera” e questa è una versione, un'altra cosa è invece
dire che fu Aiello a dire a lei e Borzacchelli “andiamo che voglio andare a vedere questa
situazione”. Lei se lo ricorda dunque?” Riolo “Io me lo ricordo questo fatto, ma mi ricordo che è
stato Borzacchelli ma è normale che nella discussione magari abbia messo la curiosità anche
all'Aiello, andiamo, allora a 'sto punto andiamo a vedere, poi è possibile, è possibile che me l'abbia
ed ha poi Riolo detto, si è attestato su questa formula “è possibile, è possibile” quando il pubblico
ministero gli ha riletto il tratto saliente dove lui aveva detto “mi fu chiesto da Aiello di andare” e lui
risponde “è possibile, è possibile”. Quindi su questa prima questione il dato certo che era stato
offerto da Riolo, fase delle indagini, cioè su chi avesse dato l'input per andare sotto la casa di Paola
Mesi, è diventata una possibilità, cioè era possibile che fosse stato Michele Aiello a dire “andiamo
sotto casa di Paola Mesi”.
Seconda questione collegata alla prima. Pm “Perché vede poi lei – è una successiva contestazione –
lo ha ribadito anche il 15 maggio del 2004 – siamo a p. 72 sgg. dell'interrogatorio – Questa notizia
chi l'ha data, chi ha detto andiamo a vedere se c'è questa, Aiello? E lei dice Aiello e poi spiega
anche il motivo e io infatti le avevo chiesto se lei aveva ricordo di qualche particolare che aveva

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riferito Aiello in questa circostanza e lei ha detto di no. Si ricorda se Aiello le disse qualche
circostanza particolare che era accaduta o che induceva la signorina Mesi ad avere particolari
sospetti? Allora a questo punto Riolo, qui non c'è contestazione, in realtà ho sbagliato io, Riolo
risponde “sì ecco forse, non vorrei sbagliare, forse adducendo che ogni volta che c'erano visite c'era
subito qualche organo di polizia che andava a fare la perquisizione, cioè ogni qualvolta i Mesi
ricevevano persone a casa c'era subito un controllo di polizia. Pm “E quindi lei questo da chi lo
sente dire?” Riolo “Dall'ingegnere Aiello” Ecco, questa cosa che a lei dice l'ingegnere aiello,
all'ingegnere Aiello da chi era stata riferita? Glielo dice l'ingegnere?” Riolo “Dal maresciallo Di
Carlo”. Allora viene effettuata la contestazione. Pm “Allora guardi è sempre lo stesso punto 15
maggio 2004 p.72 e viene letto il verbale. Pm”Questa notizia chi l'ha data? Aiello?” Riolo “Aiello,
perché aveva il sospetto che lì davanti ogni volta che diceva qualche cosa, cioè quello che gli
riferiva la Mesi ad Aiello era che ogni volta che qualcuno andava da lei, subito gli andavano.
Quindi sicuramente cera una telecamera”. Pm “Ho capito, ecco io volevo sapere una cosa, lei di
questa cosa con la Mesi ha parlato?” Riolo “No no mai” Pm: “Quindi che la mesi dicesse questo a
lei, questo a lei chi lo dice?” Riolo “Aiello” Pm “Aiello, va bene. Per chiarire: la Mesi ad Aiello
spiega i suoi sospetti perché ogni volta che lei riceveva una visita in casa poi queste persone
ricevevano perquisizioni, accertamenti?” Riolo “No, un controllo ricevevano” Pm “Sì controlli di
polizia”. Riolo “Controlli di Polizia”. E viene chiesto a Giorgio Riolo se confermava queste
dichiarazioni. E Giorgio Riolo ha detto sì, confermo queste dichiarazioni. Ora questa seconda
questione, facciamo una parentesi, ci fermiamo alle dichiarazioni di Giorgio Riolo, è estremamente
importante perché ci dà un elemento in più oggettivo per capire quel “è possibile” con cui aveva
risposto Aiello (lapsus?nda.) quando gli è stato chiesto da chi era stata determinata l'iniziativa di
recarsi sotto la casa di Paola Mesi; è importante perché qui noi abbiamo il vero motivo per cui
questi signori tutti e tre vanno sotto casa di Paola Mesi a giugno del 99, e il vero motivo è la
lamentela di cui la Mesi aveva reso partecipe Michele Aiello e non Riolo e non crtamente
Borzacchelli del fatto che ogni volta che qualcuno la andava a trovare quando poi usciva ddopo un
po' riceveva un controllo di polizia e uno e du e tre volte giustamente la circostanza aveva destato
dei sospetti e allora aveva dedotto Paola Mesi, qui c'è una telecamera e ne aveva parlato con
Michele Aiello, questa è una circostanza determinante perché a questo punto quando si trovano tutti
e tre non c'è dubbio che sia stato Michele Aiello a dire “effettuiamo questa verifica” perché non c'è
dubbio che Michele Aiello avesse ricevuto in questo senso le lamentele da aprte di Paola Mesi e
questo ce lo ha confermato Giorgio Riolo. Terza questione. Le altreconfidenze della mesi a Michele
Aiello e partiamo anche qui da una contestazione. Pm, siamo all'interrogatorio 7 giugno 2004 p. 54
e sgg e lei proprio su questo punto maresciallo ha detto: Riolo “Ci siamo messi in macchina e siamo
andati a fare un giro io la identificai perché era messa la telecamera era molto vistosa, anche perché,
e questo è il punto della contestazione, Michele Aiello tra l'altro, cioè la Mesi avrebbe riferito a
Michele Aiello che tempo addietro avevano visto persone che montavano questa cassettina, gente
che non erano elettricisti, era evidente, e quindi il vicinato avrebbe detto che c'era questa cosa che
avevano messo”. Viene chiesto a Riolo se era vero e se confermava e Riolo ha confermato anche
questa circostanza, che è un'ulteriore circostanza che si aggiunge importante quale motivazione
determinante che dà l'input aMichele Aiello di chiedere lui di effettuare questa attività diciamo di
bonifica sotto la casa di Paola Mesi. Quarta questione, quello che era effettivamente accaduto sotto
la casa di Paola Mesi. E a Riolo viene contestato ancora il contenuto dell'interrogatorio 7 giugno
2004. Pm: “MA lei aveva l'apparecchio suo per vedere se c'era o meno la telecamera in
macchina?Lo scanner” Riolo “Avevo”. Pm “Avete visto se la telecamera era in funzione?” Riolo
“Sì” Pm “E quindi questo lo avete fatto vedere ad Aiello?” Riolo “Sì” Pm “Quindi è esattamente
quello che tentavo di dire. Quindi lei l'ha rilevata con lo scanner la telecamera?” Riolo “La
telecamera sì”. A questo punto Riolo nel dibattimento ci spiega “Con uno scanner non si può
rilevare, non avevo l'analizzatore di spettro ad Aiello gli ho detto sì, l'ho vista, la vedo, ma non era
possibile tecnicamente”. E su questo specifico punto è rimasta la situazione di contrasto tra quello

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che aveva detto Riolo nel corso dell'interrogatorio al pm e quello che poi ha reiterato durante il
dibattimento.
Su questo punto si può soltanto aggiungere un'osservazione di carattere logico, e cioè: ha detto
Girogio Riolo, perché questo sì che l'ha detto e lo ha confermato, che dopo il passaggio sotto la casa
di Paola Mesi lui aveva coconfermato a Michele Aiello e ad Antonio Borzacchelli che quella che
era occultata all'interno della scatola era una telecamera e che era come dire puntata, indirizzata
sull'abitazione di Paola Mesi. La circostanza di confermare un dato così specifico qualche cosa di
più della semplice osservazione la richiede, non ci scordiamo che siamo ad Aspra, siamo a Bagheria
è certo, Girogio Riolo ha la competenza indiscutibile di capire a giugno 99 che una determinata
cassetta, soprattutto se dietro la cassetta c'è un antennino, contiene un apparato di videoriprese. Ma
certo che quell'apparato fosse puntato e servisse a vedere, ad osservare chi frequentava la casa di
Paola Mesi, questo certo non lo si può desumere semplicemente dal fatto che c'è una cassetta in
posizione obliquea attaccata a un muro, a un palo, anche perché questa cassetta che c'era era
collocata a una certa distanza dall'abitazione di Paola Mesi, quindi probabilmente riolo quel
qualcosa in più che ha detto, di cui ci ha riferito durante gli interrogatori al pm al di là di quale fosse
lo strumento necessario per verificare quale fosse tecni la funzionalità della telecamera allora
effettivamente l'ha fatto, altrimenti non poteva confermare a Michele Aiello e Borzacchelli chec'era
una telecamera che funzionava e che era puntata sulla Mesi. Questa circostanza, guardate, ha
formato oggetto dell'esame anche di Michele Aiello. Torniamo indietro di due mesi e siamo
all'udienza del 21 febbraio 2006. Ovviamente Michele Aiello ha negato di aver sollecitato Giorgio
Riolo ad effettuare la bonifica presso la casa di Aspra di Paola Mesi. Dice Michele Aiello siamo nel
giugno 99 Borzacchelli insieme a Riolo lo avevano invitato a fare una passeggiata in macchina con
loro perché in quel periodo tentavano di allontanare la dipendente Mesi dalla struttura e “per
convincermi di questo una delle cause che portava avanti il Borzacchelli era quello che la famiglia
Mesi era attenzionata, ma questo era già un fatto noto, io dico, perché già in quel momento il
fratello, cioè Francesco Mesi si era dimesso, era assente, era partito – in realtà lo avevano arrestato -
credo, non mi ricordo bene” E Michele Aiello ci ha detto che in realtà Francesco Mesi si era
dimesso il 26 aprile 1999 mentre in quel momento solo Paola Mesi era alle sue dirette dipendenze.
Però se Francesco Mesi si era dimesso il 26 aprile 99 non si capisce come mai Borzacchelli a
giugno insistesse tanto perché fossero allontanati i due fratelli, dunque non solo Paola. Ma questo è
un dettaglio. Allora Michele Aiello descrive quello che è successo. Siamo in macchina, Riolo dice
che se lui vuole ha la possibilità tramite uno scanner, un televisorino, non ricordo bene quale parola
abbia utilizzato, se vuole di andare a verificare la presenza o meno di una telecamera nei pressi
dell'abitazione di Paola Mesi. Nella circostanza, ha precisato Aiello, Riolo aveva con sé una specie
di scatolina di scarpe, una cosa del genere di quelle dimensioni, e lui mi ha detto che aveva la
possibilità se voleva tramite un televisorino contenuto all'interno di questa scatola, di verificare la
presenza delle telecamere, che se lui voleva poteva farlo. Ma ha detto Aiello che poi non lo aveva
fatto. E a questo punto nei confronti di Michele Aiello è stata effettuata l'ennesima contestazione.
Pm: “Allora le contesto, lei su questo punto è stato sentito il 18 maggio 2004 p.96 e sgg. e lei dice,
le leggo soltanto i pezzi delle sue dichiarazioni: - queste sono le parole di Michele Aiello durante le
indagini “Le ripeto direttamente ne ha parlato Borzacchelli proprio per quanto riguarda il discorso
della signorina Mesi, eravamo una sera con signor Riolo, ero io assieme al signor Riolo e
Borzacchelli e praticamente il signor Borzacchelli viene fuori con questo discorso che la signorina
Mesi lavorava presso il mio studio, il fratello lavorava presso la mia azienda, era pericoloso per me.
Borzacchelli riferisce che era la famiglia Mesi sottoposta a indagine per il discorso praticamente dei
rapporti con il Guttadauro, perché una sorella della signorina Mesi, l'altra sorella, Maria, lavorava
presso la Sudpesca, e quindi era praticamente sottoposta ad indagine per quanto riguarda la ricerca e
la cattura del latitante Messina Denaro”. Pm “Questo lo dice Borzacchelli?”. Aiello “Il
Borzacchelli. E praticamente avere queste persone che lavorano all'interno dell'azienda può
costituire pregiudizio per le mie aziende. Infatti disse, vedi stai attento perché questi qua vengono
controllati, sono controllati, anzi, non vengono, ma sono controllati. Poi viene fatta la domanda

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“che cosa è successo?” E lei dice – quindi di nuovo precedenti dichiarazioni di Michele Aiello - no,
niente, non è successo niente, qualcuno andò a smontare oppure io sono andato, oppure io l'ho detto
in macchina, infatti me l'hanno detto in macchina questo discorso. Michele Aiello “Mi hanno
praticamente portato in macchina e il signor Riolo mi ricordo che aveva l'attrezzatura in macchina,
praticamente dice 'vedi se io voglio posso in qualsiasi istante passando da un posto vedere
effettivamente, mettermi in collegamento con la telecamera'.” Pm: “E l'hanno fatto?” Aiello “E
l'hanno fatto” Pm: “Davanti a lei?” Aiello “Davanti a me” Pm “E dov'era 'sta telecamera?” Aiello
“Ad Aspra. Praticamente presso l'abitazione della signorina Mesi”. Finisce la lettura del verbale,
pubblico ministero dice “Questa è la contestazione. Lei le conferma o no queste dichiarazioni?”. E
qui scatta il solito balletto di parole, di frasi Michele Aiello come al solito Michele Aiello tenta di
sottrarsi al meccanismo processuale di dire se conferma e non conferma e poi non ha confermato le
precedenti dichiarazioni che con quelle rese al dibattimento divergono su un punto particolarmente
importante, determinante, e cioè che in effetti la bonifica c'era stata, che Riolo aveva con sé
un'apparecchiatura tecnica con la quale poteva collegarsi con la telecamera e cioè rubare il segnale
trasmesso dalla telecamera e vederlo sul suo televisorino, che in effetti questa attività era stata fatta,
che lui l'aveva vista Aiello, e che quindi avevano scoperto una telecamera funzionante, come dice
Aiello, nei pressi dell'abitazione di Paola Mesi. Insomma, c'è un Aiello che cerca di sottrarsi, dice
alcune cose dopodiché alla fine viene riassunto e ricontestato a Michele Aiello [...4.15.15 battute di
ricontestazione, nda.]. Dopodichè il pm chiede ad Aiello se lui conferma o meno questo tratto delle
dichiarazioni che gli vengono contestate.
E aiello dice “Io ci vado al contrario così, così come sono scritte là non le confermo”. Poi, e anche
qui vale la pena di osservare, che la mancata conferma di questo tratto di dichiarazioni da parte di
Michele Aiello riguarda l'unico punto determinante che ha costituito oggetto di modificazione della
dichiarazione resa anche da Giorgio Riolo al dibattimento, perché anche Giorgio Riolo nella fase
delle indagini aveva detto che a bonifica l'aveva effettuata e poi al dibattimento ha detto che no, che
aveva semplicemente confermato l'esistenza della telecamera perché era dentro una scatola visibile
messa per obliquo. Quindi anche qui non può che registrarsi, perché poi dovranno valutarsi queste
dichiarazioni, un parallelismo perfetto tra la modifica operata da Giorgio Riolo e la modifica
operata da Michele Aiello.
Michele Aiello poi all'udienza del 28 febbraio 2006 ci ha precisato che prima di questa passeggiata
in macchina, aveva ricevuto un'altra visita sempre da parte di Antonio Borzacchelli che questa volta
era accompagnato dall'altro compare, il maresciallo Calogero Di Carlo, che ha detto Aiello, si era
presentato da Michele Aiello, Di Carlo, come quello che aveva effettuato una perquisizione a casa
della Mesi ad Aspra pochi giorni prima e Michele Aiello ci ha detto che effettivamente Paola Mesi
qualche giorno prima era arrivata più tardi in ufficio e gli aveva riferito che nel corso della notte
presso la sua casa si erano recati i Carabinieri e avevano effettuato una perquisizione. Dalle
dichiarazioni che abbiamo appena riassunto si desume, non c'è dubbio, che anche a voler
prescindere da chi abbia assunto l'iniziativa e cioè se Borzacchelli o Michele Aiello, vi ho spiegato
le ragioni di ordine logico che depongono per interpretare quel “è possibile” di Riolo come appunto
input proveniente da Aiello, comunque sia anche a voler prescindere dalla questione che tutto
sommato poi alla fine è indifferente, accade che secondo quanto ci riferiscono Riolo e Aiello siamo
a giugno 99. Borzacchelli e Riolo rivelano a Michele Aiello l'esistenza di un'attività d'indagine che
riguarda la ricerca di Matteo Messina Denaro, un'attività che aveva per oggetto la famiglia Mesi,
che vedeva investigati in particolare Maria Mesi, allora dipendente della Sudpesca e altri
componenti della famiglia, cioè Paola Mesi e Francesco Mesi e a seguito di questa rivelazione viene
effettuata da tutti e tre - Riolo, Aiello, Borzacchelli - un'attività di ricerca e di bonifica attraverso la
quale viene scoperto che era stata collocata una telecamera presso l'abitazione di Aspra sita in via
Milwokee 49 dove all'epoca dei fatti di cui parliamo avevano la propria residenza sia Paola Mesi sia
la sorella Maria Mesi. Quindi rivelazione delle attività d'indagine, della direzione dell'attività
di'indagine, dei destinatari dell'attività d'indagine, della collocazione di una telecamera, e scoperta
della telecamera funzionante. E allora per capire la rilevanza di questa condotta noi dobbiamo

88
riflettere su alcuni dati. Primo dato. Effettivamente in quel periodo Matteo Messina Denaro
utilizzava proprio quell'appartamento di Aspra per nascondersi e sottrarsi all'arresto. è una
circostanza che ci ha riferito in primo luogo Antonino Giuffrè il 9 marzo 2005 quando ci ha detto
che dalla metà degli anni Novanta Matteo Messina Denaro aveva trascorso la propria latitanza ad
Aspra, muovendosi nella zona di Bagheria, e ci ha detto Giuffré che tale circostanza gli era stata
riferita guarda guarda da Bernardo Provenzano. Ma questa circostanza, che Matteo Messina Denaro
facesse capo ad Aspra proprio a quell'abitazione sita in via Milwokee 49 oltre che Antonino Giuffrè
ce lo dice una sentenza passata in giudicato ed è la sentenza del tribunale di Palermo in data 29
marzo 2001, con la quale è stata condannata per il reato di favoreggiamento aggravato prima ex art.
7 ma poi la corte di cassazione ha eliso l'art 7 perché ha detto che si trattava di un favoreggiamento,
come dire, solo personale e non finalizzato alle attività di Cosa Nostra, ebbene questa sentenza
passata in giudicato che abbiamo acquisito in atti dà esattamente conto proprio di questi rapporti,
proprio del fatto che Matteo Messina Denaro usufruisse di questa abitazione sita in via Milwokee
49. Intanto dalla semplice lettura dei fatti del capo di imputazione, perché Maria Mesi è stata
condannata in via definitiva, al di là della qualificazione e delle aggravanti perché la condotta è
proprio questa, “per aver messo a disposizione del latitante Matteo Messina Denaro la sua casa di
abitazione”, quindi basta leggersi il capo di imputazione e si capisce immediatamente qual è la
condotta. Nella motivazione della sentenza, p. 43, si fa esplicito riferimento ai servizi di
osservazione che venivano effettuati dalla Polizia di Stato nell'ambito delle attività di ricerca del
latitante Matteo Messina Denaro attraverso – leggo testualmente – servizi fissi di ripresa
videofilmati piazzati dalla data del 20 febbraio 97 davanti al portone d'ingresso di via Milwokee 49
ossia la casa della Mesi”. Questa è la motivazione della sentenza. Quindi sappiamo che la Polizia di
Stato davanti a quella abitazione aveva collocato dal 20 febbraio 1997 una telecamera, che quella
telecamera era finalizzata a scoprire e a catturare Matteo Messina Denaro e sapiamo che quella casa
era stata non so se l'abitazione, il punto di appoggio, l'ufficio, qualche cosa era stato, però messa a
disposizione del latitante Matteo Messina Denaro. Non solo. Ma dalla motivazione di questa
sentenza, si evince a p. 42 della motivazione, che Maria Mesi è stata tratta in arresto con l'accusa di
favoreggiamento aggravato, in data 14 giugno 2000, quindi circa un anno dopo dal giugno del 1999,
ma ci dice quella motivazione che in quella data era stata effettuata presso quella stessa abitazione
una perquisizione in occasione della quale è stato trovato e sequestrato materiale documentale,
pizzini che vengono analizzati lungamente nel corso della sentenza, perché sono state fatte anche
perizie grafiche, e sono pizzini risalibili al latitante Matteo Messina Denaro, ed è documentazione
attestante l'esistenza di rapporti del Matteo Messina Denaro con componenti della famiglia Mesi ed
in particolare con Maria Mesi. Materiale documentale la cui importanza si coglie appunto leggendo
la motivazione della sentenza. Il che dimostra che un anno prima, a giugno del 1999, quando Riolo
e Borzacchelli dapprima rivelano a Michele Aiello la notizia che era Maria Mesi e Paola Mesi erano
investigati, loro dicono, dalle forze di polizia, era la Polizia di Stato, lo Sco, e che davanti
quell'abitazione era stata installata una telecamera ancora una volta rivelano l'esistenza di una
notizia vera, di un'attività, di un'attività esistente in quel momento sull'abitazione di via Milwokee
49, un'attività su un'abitazione che era ancora certamente un obiettivo a giugno 99 utile e sensibile
per la cattura del latitante Matteo Messina Denaro che poi infatti non ha fatto più ritorno presso
quell'abitazione.

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Palermo, 2 ottobre 2007,
Quarta giornata requisitoria Processo Aiello - Cuffaro e altri (talpe alla Dda)

Pm, Prestipino
Abbiamo esaminato quello che ieri avevo chiamato il primo gruppo di notizie; le condotte di
rivelazione nelle quali sono coinvolti in particolare gli imputati Michele Aiello e Giorgio Riolo
sulle attività investigative che sull'area palermitana negli anni tra '97-'98 e 2003 ha condotto il
raggruppamento speciale dei Carabinieri sia nelle sue diverse articolazioni territoriali e cioè la
Prima sezione romana e la sezione anticrimine di Palermo. Abbiamo dapprima esaminato un primo
gruppo di notizie, quelle che ho chiamato "primo gruppo di notizie", che riguardavano la
rivelazione di "attività in corso" e "attività tecniche in corso di esecuzione" su soggetti, in
particolare Filippo Guttadauro, in particolare sui componenti della famiglia Mesi, che non a torto,
come poi le indagini successive hanno dimostrato, erano in diretto collegamento, facevano parte di
quel circuito mafioso maggiormente legato al latitante Matteo Messina Denaro. Ma molte - e
certamente più numerose e forse anche più significative rivelazioni - hanno riguardato l'altro e più
importate fronte investigativo, nel quale l'arma dei Carabinieri e in particolare le strutture del
raggruppamento del reparto operativo speciale hanno negli anni, a partire dalla seconda metà degli
anni '90, impegnato le maggiori risorse e lo hanno fatto fino al 2005, fino al 2006, e cioè il fronte
volto sul latitante Bernardo Provenzano e sul circuito mafioso maggiormente legato,
fiduciariamente legato a lui, e devo dire subito che con riferimento a tale fronte investigativo, a tale
contesto - lo dico subito - non si è salvato nulla, nel senso che Giorgio Riolo ci ha riferito, sia
durante gli interrogatori resi al pubblico ministero sia durante l'esame e il controesame reso al
dibattimento, di avere rivelato a Michele Aiello tutte le principali attività che il Ros aveva in corso,
in particolare sull'area territoriale di Bagheria, prima fra tutte quelle rivolte nei confronti dei diversi
componenti del nucleo familiare Eucaliptus, come vedremo non a torto ritenuto su Bagheria uno
degli snodi fondamentali del sistema Provenzano. E Riolo, da questo punto di vista, non ha neppure
risparmiato le altre iniziative che aveva in corso il Ros sull'area territoriale di Bagheria, sempre sul
fronte Provenzano: altre iniziative che erano, come dire, collaterali rispetto all'obiettivo principale
costituito dalla famiglia Eucaliptus. In sintesi le attività investigative condotte dal Ros sull'area
territoriale di Bagheria non hanno riservato alcun segreto per Michele Aiello e per i vertici della
locale famiglia e, attraverso essi, per B. Provenzano. Di questa attività ci ha tracciato all'udienza del
18 ottobre 2005 le linee direttive principali, fondamentali, e poi è sceso anche sul particolare, il
colonnello Antonio Damiano. Damiano ci ha spiegato gli specifici input, le ragioni, gli obiettivi
delle iniziative investigative che, lui stesso, sin dai primi momenti che lui stesso sin dai primi
momenti in cui aveva assunto il comando della sezione anticrimine aveva avviato, quindi sin dal
2001, in particolare nei confronti, come dicevo, dei diversi componenti della famiglia Eucaliptus.
Una famiglia, come vedremo, e come le successive indagini e sviluppi di queste attività
investigative e di altre attività investigative hanno dimostrato, che ha costituito davvero lo snodo
determinante su Bagheria di quel complesso sistema attraverso il quale Bernardo Provenzano è
riuscito a mantenere attivi, per lungo tempo, numerosi canali di comunicazione, attraverso i quali ha
continuato a dirigere l'organizzazione mafiosa Cosa nostra. E ovviamente, per lungo tempo, quella
stessa famiglia Eucaliptus ha rappresentato una delle strutture basilari anche, diciamo così, della
parte logistica della latitanza del capo di Cosa nostra. Damiano ci ha indicato innanzitutto i singoli
obiettivi della manovra investigativa condotta sulla famiglia Eucaliptus e ci ha indicato i singoli
obiettivi in particolare nella persona di Nicolò Eucaliptus, nelle persone dei figli, Salvatore e
Francesco Eucaliptus, nelle persone dei due generi, Liborio Pipia e Onofrio Monreale, e in
particolare Onofrio Monreale, che nell'ultima fase delle indagini, cioè a partire dall'arresto di Nicolò
e del figlio Salvatore Eucaliptus, cioè dal 9 giugno 2004, è divenuto il perno centrale intorno al
quale è ruotata tutta l'attività investigativa della sezione Anticrimine. Damiano, dopo averci
elencato gli obiettivi, gli specifici obbiettivi di questa attività, ci ha poi puntualmente e
specificatamente elencato anche le diverse e numerose iniziative tecniche nelle quali si è

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concretizzata questa attività investigativa avente ad oggetto i componenti della famiglia Eucaliptus.
Di queste attività ci ha indicato tempi e modalità di attivazione. Ebbene, Giorgio Riolo ha in primo
luogo e soprattutto rivelato a Michele Aiello di queste attività tutte le attività investigative anche
specificatamente quelle tecniche che il Ros aveva avviato in primo luogo nei confronti di Nicolò
Eucaliptus e di Salvatore Eucaliptus. Giorgio Riolo aveva messo per tempo a conoscenza Michele
Aiello, in particolare, che nei confronti di Nicolò Eucaliptus vi erano delle attività investigative in
corso e aveva messo a conoscenza Michele Aiello in particolare che nell'ambito di queste attività
investigative erano state collocate delle microspie nell'abitazione che Nicolò Eucaliptus occupava
presso il Comune di Acquedolci, dove si trovava residente dopo l'effetto di scarcerazione per effetto
di obblighi di misure limitative della libertà, misure di prevenzione personale. E, soprattutto,
Giorgio Riolo aveva avvisato Michele Aiello che altre microspie erano state collocate in una delle
macchine in uso a Nicolo Eucaliptus e al figlio Salvatore. Lo ha detto Giorgio Riolo in un
interrogatorio reso al pubblico ministero il 1° aprile 2004 e poi nel corso del dibattimento Riolo ha
reso su questa specifica parte un lungo esame e altrettanto lungo controesame all'udienza del 28
marzo 2006. All'udienza del 28 marzo 2006, su questo fronte investigativo, Riolo ha innanzitutto
elencato gli interventi tecnici che erano stati da lui personalmente curati ed effettuati e ci ha anche
riferito degli interventi tecnici dei quali lui era stato comunque messo a conoscenza per tempo, e
interventi tutti, sia quelli effettuati personalmente sia quelli di cui lui era stato messo a conoscenza
contestualmente all'avvio delle iniziative, interventi tutti che avevano come obiettivo appunti la
famiglia Eucaliptus, in particolare Nicolò Eucaliptus e Salvatore Eucaliptus. In un lasso temporale
che va dalla fine del 2001, inizio del 2002, fino al 2003, Giorgio Riolo ci ha detto che aveva carato
personalmente o che era comunque venuta a conoscenza delle seguenti iniziative che ci ha elencato.
Uno, installazione di telecamere presso un negozio di abbigliamento gestito nel centro di Bagheria
da una delle sorelle di Nicolò Eucaliptus: Paola Eucaliptus. Ci ha detto di avere ancora curato,
seguito, saputo dell'installazione di microspie presso tre autovetture in uso agli Eucaliptus, in
particolare a Salvatore Eucaliptus: una fiat punto, una Y 10 e una opel corsa. Ha fatto riferimento
all'installazione di telecamere e microspie presso l'abitazione che Nicolò Eucaliptus occupava ad
Acquedolci. Ha fatto ancora riferimento all'installazione di telecamere nei pressi dell'abitazione
degli Eucalipus a Bagheria, in contrada Consona, dove abitava tutto il nucleo familiare Eucaliptus,
ivi compresi Onofrio Monreale e la moglie Ignazia Eucalipus, figlia di Nicolò. Riolo ha precisato
che alla maggior parte di queste attività investigative tecniche aveva preso parte personalmente,
curando l'installazione tecnica, ma ci ha anche detto che per alcune installazioni lui non aveva
potuto prendere parte, perché in un periodo temporale apprezzabile tra il 18 ottobre 2002, e questa è
una data importante, e il 17 gennaio 2003 lui era stato continuativamente assente dal'ufficio per
ragioni di salute; quindi malattia e convalescenza. Però ci ha detto Riolo che anche delle
installazioni, e vedremo quali, effettuate in questo lasso temporale - 18 ottobre 2002 e 17 gennaio
2003 - lui era stato comunque messo a conoscenza di volta in volta dagli altri sui colleghi del
gruppo tecnico, che lo avevano avvisato, con i quali parlava continuamente, delle installazioni che
anche in sua assenza venivano fatte appunto da questi altri colleghi. Queste erano le iniziative di cui
aveva parlato, a cui aveva partecipato, e poi Giorgio Riolo ci ha detto poi riferito delle anomalie che
si erano registrate con riferimento a queste attività. E ci ha detto che la microspia nella casa di
Acquedolci era stata scoperta da N Eucalipus in occasione di un trasloco. Nicolò Eucalipus
nell'ambito di Acquedolci, nell'estate del 2002 ad agosto, aveva trasferito la propria la propria
residenza da un'abitazione a un'altra abitazione. Nell'effetuare in trasloco Nicolò Eucalipus aveva -
ci ha detto Riolo - scoperto una delle microspie installate nell'abitazione e in particolare quella che
si trovava occultata all'interno della gamba di un tavolo di plastica. Poi ci ha detto Riolo che delle
microspie installate nelle tre vetture, la fiat punto, la Y 10 e la opel corsa, due installazioni avevano
subito presentato dei problemi tecnici e quindi non avevano dato corso, sostanzialemte, ad alcun
risultato utile. E si trattata, ci ha detto Riolo, delle microspie installate all'interno della fiat uno e
della y 10; mentre ha aggiunto Riolo, la microspia all'interno della Opel corsa testualmente
"funzionava molto bene" e così ci ha detto Giorgio Riolo era stato - poi vedremo come - fino all'11

91
marzo 2003, quando, ha aggiunto Riolo, quella microspia, quella installata sulla opel corsa, che
funzionava molto bene, era stata scoperta e disattivata. Ci ha detto Riolo: "Mi chiamò il capitano
Russo, e mi fece ascoltare gli ultimi perché era normale che quando mi chiamavano e c'erano
problemi si devono riascoltare esattamente gli ultimi istanti di vita della microspia", ovviamente. E
ci ha detto che questo ascolto lo aveva fatto subito, quindi in prossimità dell'11marzo, insieme ad
altri colleghi, insieme al capitano Russo, avevano riascoltato l'intercettazione ed in particolare
avevano sentito i rumori che avevano preceduto, diciamo così, il rinvenimento della microspia. Ci
ha detto Riolo che quando ascoltavano tutti insieme, la sensazione era stata quella di qualcuno che
all'interno dell'autovettura, quindi della cercasse qualche cosa. Ci ha detto Riolo che qualcuno dei
presenti, non ha saputo indicarci chi, aveva ipotizzato che ci fosse qualcuno che cercasse della
sostanza stupefacente occultata nella macchina. Circostanza desumibile, secondo Riolo, dal fatto
che durante l'ascolto si era percepito che qualcuno di queste persone che usavano la macchina
faceva appunto uso di sostanze stupefacenti. Però, dice, poi avevano ascoltato delle parole registrate
negli ultimi istanti di vita della microspia che avevano fugato al riguardo ogni dubbio, perché
attraverso queste parole in cui si faceva riferimento a un filo, che era stato ritrovato un filo. Poi,
dice Riolo, avevamo sentito il rumore tipico di quando viene toccato il microfono della microspia
cioè l'apparato ricevente, poi era stato ritrovato il microfono della microspia, ed avevano capito, ci
ha detto Riolo, quello che era successo. E cioè ci ha detto Riolo, uno dei figli di Eucaliptus aveva
rinvenuto prima il filo, quindi il microfono, infine la microspia, che aveva cessato di funzionare dal
giorno del rinvenimento. Queste sono le anomale di cui ci ha parlato Giorgio Riolo. Giorgio Riolo
ci ha poi detto quali risultati erano stati ottenuti per quanto a sua conoscenza da queste attività, in
particolare proprio da queste su gli Eucaliptus, Nicolò e Salvatore. E ci ha detto che nell'abitazione
occupata da Nicolò Eucaliptus ad Acquedolci non era stato ottenuto dall'intercettazione alcun
risultato utile perché ci ha detto Giorgio Riolo, Nicolò Eucaliptus non parlava dentro casa, parlava
sempre fuori poi, dice, la microspia era stata trovata, quindi dall'abitazione non c'erano stati risultati
utili. Ci ha detto Riolo che le microspie nella Fiat punto e nella Y 10 non avevano dato alcun esito
perché c'erano stati proprio problemi tecnici di ascolto, mentre invece, ci ha detto Riolo, che la
microspia all'interno della opel corsa aveva consentito di registrare, di intercettare, conversazioni
che lui stesso ha definito importanti. Anzi, ci ha detto Riolo, che in una precisa circostanza,
casualmente, trovandosi appunto nella sala ascolto, lui aveva avuto modo di sentire, di ascoltare una
di queste conversazioni intercettate sulla opel corsa. Una conversazione ci ha detto Riolo che era
stata appena registrata e nel corso della quale - testualmente ci ha detto Riolo - Nicolò Eucaliptus
aveva detto che testualmente: "Dall'ingegnere non lo dovevano andare a rovinare" e cose varie, "Sì
sì perché mi sono trovato occasionalmente perché stavo montando altri dispositivi in quella sala,
ecco è stato occasionale". E quindi ha sentito che Eucaliptus dice "non dobbiamo andare
dall'ingegnere se no lo roviniamo?" è questo? Riolo, "Sì, una frase del genere". Ci ha detto Riolo
poi, dice, che tipo di conversazioni su questa macchina? E lui ha detto guardi: "Conversazioni di
ogni tipo", cioè di ogni tipo utili diciamo da un p d v investigativo. A questo punto dopo averci
elencato gli interventi, le anomalie, i risultati a Giorgio Riolo è stato quindi chiesto chiesto che cosa
aveva rivelato di tutte iniziative, di tutte queste attività tecniche in particolare che riguardavano
Nicolò Eucaliptus e le macchine in uso alla famiglia e in particolare al figlio Salvatore, che cosa
avesse rivelato di tutto ciò a Michele Aiello. E siamo sempre all'udienza del 28 marzo 2006 e
Giorgio Riolo ci ha risposto in questo modo: "Sì siamo nel giugno del 2003, non mi ricordo che
circostanza, forse un problema che avevo io ai denti, avevo trovato il professore Carcione. Il
professore Carcione mi espone un fatto. Mi espone un fatto di questo personaggio di Eucaliptus,
Nicolò, che si era recato lì nei mesi precedenti, ha trovato lì nello studio della diagnostica, ha
avuto delle forti pretese, delle forti pretese di avere delle documentazioni falsificate. Siamo andati a
trovare l'ingegnere Aiello nel suo ufficio, io e il professore Carcione. Lì l'ingegnere Aiello andò
insomma, si è messo a parlare che insomma non ce la faceva più. Non sapeva più che cosa fare con
questo personaggio che continuava ad andare lì e avere delle pretese e lì mi disse che in realtà, di
fatto, pagava qualche cosa a Nicolò Eucaliptus" e poi a proseguito Riolo testualmente: «e poi è

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successo il fatto che "e dico, ma io in che cosa posso essere utile?" Cioè era una domanda che mi
ero posto fra me e me e fu quello il momento che l'ingegnere Ailello forse non si ricorda che lui
chiese pure "ti faccio parlare con un mio ufficiale". L'ingegnere era preoccupatissimo su questo
fatto, aveva paura e mi rispose che temeva insomma queste persone perché forse non aveva capito
con chi aveva, con chi avevamo, di chi stavamo parlando, e mi disse "anche se io faccio una cosa
del genere, poi chi viene, il tuo ufficiale dietro ai miei figli a Bagheria? Fu quella la cosa che mi
fece, intanto, non lo so, mi fece ancora allontanare di più il discorso di mafia di tutte 'ste cose su
questa, su quest'ingegnere. Quindi sapendo chi frequentava e tutte queste cose, proprio era lontana
era una persona che per me andava protetta, da queste cose e io non sapevo come fare a
convincerlo per presentare denuncia». E prosegue Riolo: "E lì gli confidai alla fine, quando ho
visto che aveva paura di fare questa denuncia e mi aprì e dice" vabbè sai, cerca di non fati più
trovare magari in ufficio, quando viene, ti viene a cercare cioè" e gli confidai, alla fine, "mi sono-
dissi- non ti preoccupare, io anche la mia sezione, noi stiamo facendo delle indagini, c'erano delle
microspie di cui penso che i colleghi penso i colleghi abbiano raccolto abbastanza materiale per
buttarlo in galera quindi devi avere soltanto pazienza e te è questione di tempo che lo mandiamo in
galera così te lo togli da davanti - dice Riolo- Questo è stato più che l'apertura nei confronti
dell'ing.Aiello».
Poi a Riolo è stato chiesto in concreto, in poche parole, cosa avesse rivelato, e Giorgio Riolo ci ha
detto che a Michele Aiello aveva detto che lui e la sua sezione avevano piazzato microspie
nell'abitazione di Acquedolci di Nicolò Eucaliptus e nella macchina, senza però specificare in quale
macchina, testualmente: "avevamo piazzato delle microspie in macchina e ad Acquedolci".
Quindi, sul primo punto, una sostanziale conferma che la rivelazione riguardante le attività su
Nicolò Eucaliptus e Salvaore Eucaliptus c'era stata e che aveva avuto come oggetto, esattamente
così come già Giorgio Riolo aveva detto durante gli interrogatori al pm, che aveva avuto ad oggetto
l'installazione di microspie nella casa di Acquedolci e in una delle macchine. Ci dice Riolo: "Io non
gli ho detto quale".
E stato chiesto poi a Riolo di specificare il tempo, il momento in cui lui aveva confidato queste
notizie specifiche a Michele Aiello e quanto ai tempi della rivelazione Giogio Riolo, nel corso del
suo esame, ha inizialmente - ve l'ho già letto il passo - fatto riferimento al mese di giugno 2003,
collocando dal punto di vista temporale in questo modo il famoso incontro che aveva avuto prima
con Aldo Carcione e poi con Michele Aiello e dicendo che era stato durante questo incontro che lui
aveva fatto, prima all'uno poi altro, queste confidenze sostanzialmente. E dice Giorgio Riolo che
questa data, giugno 2003, ce lo dice al dibattimento questo, lui la poteva fissare come dire con una
certa sicurezza perché poco tempo dopo da questa riunione lui aveva avuto in uso uno dei telefoni
della rete riservata e quindi diciamo faceva riferimento a questa circostanza di fatto, quindi diciamo
allo scarso lasso temporale trascorso rispetto al momento della consegna da parte di Michele Aiello
di uno dei telefoni della rete riservata per dire questo discorso, questa rivelazione l'ho fatta a
giugno.
Allora a questo punto inevitabilmente è stato contestato a Giorgio Riolo il tenore sullo specifico
punto della datazione della rivelazione delle precedenti e ovviamente divergenti dichiarazioni che
lui aveva reso durante gli interrogatori al pm ed in particolare sotto questo specifico punto, e la
collocazione temporale è stato contestato a Giorgio Riolo il contenuto di un interrogatorio che era
stato reso da Giorgio Riolo a seguito di sua specifica richiesta il 20 agosto 2004 dopo la notifica
dell'avviso di conclusioni delle indagini preliminari a seguito del quale Riolo aveva chiesto,
esercitando un suo specifico diritto di essere interrogato, ed era stato appunto interrogato proprio il
20 agosto 2004. Noi sappiamo, ve l'ho detto ieri che l'avviso di conclusioni delle indagini era stato
notificato nei giorni tra il 16, 17, 18 luglio 2004, il 20 agosto c'è quest'interrogatorio su richiesta
dell'imputato. E viene esattamente contestato sullo specifico punto quest'interrogatorio.

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Pm: "Allora guardi lei è stato interrogato sul punto il 20 agosto 2004, siamo a pagina 28 della
trascrizione e seguenti, è l'ultimo interrogatorio, quello durante l'avviso di conclusione, quello
chiesto da lei". E qui viene data lettura del verbale.
Allora pm, la trascrizione dell'interrogatorio:

Pm: "Ma lei quando io le stavo dicendo quando gliela detta lei ad Ailello, un minuto prima che
venisse trovata?". Non leggo tutto l'interrogatorio, si sta parlando di quando lei ha dato queste
notizie sulle microspie all'ing. Michele Aiello.

Domanda pm. "Quando gliel'ha detto lei ad Aiello, un minuto prima che venisse trovata?

Riolo: "No, no, no. Nel contesto, nel contesto, quando ci siamo incontrati con Aiello e Carcione

Pm: Questo lo sa lei quando vi siete incontrati. Io non c'ero.

Riolo: cioè aspettate possiamo fare un discorso

Pm:Ma quanto tempo è passato?

Riolo:Rispetto a quando è stata trovata?

Pm: Esatto, quanto tempo prima?

Riolo: Rispetto a quando è stata trovata saranno stati due mesi buoni, due mesi buoni.

Dopo di che viene chiesto a Riolo, in particolare il punto è quanto tempo prima, due mesi buoni, e
viene chiesto a Riolo «lei questa dichiarazione che io ho le letto la conferma o no?».
E Riolo, ricevuta la contestazione, ci ha risposto: "Confermo di averla detta, io, però non confermo
le da…non lo confermo perché le date sono queste sicure, perché subito do…, successivam…, ma
pochi giorni dopo, succede che mi consegnano il cellulare, quindi è giugno".

Pm: Lei dice giugno, ma lei mi conferma almeno che è legato all'incontro con Carcione e con
Aiello?

Riolo:Sì, esatto.

Pm: E lei mi conferma che con riferimento al discorso che lei gli ha detto, non appena lei sa che
Aiello si lamenta delle pretese economiche?

Riolo:Sì

2:53:46
Pm: Ma in quest'occasione, durante questo colloquio, Aiello le dice anche che Eucaliptus era andato
a trovarlo nella diagnostica, le ha parlato di visite di Eucaliptus?

Riolo:Sì, sì, sì

Pm:Glielo disse?

Riolo: Sì!

94
Pm: In che termini glielo disse?

Riolo: Ma, intanto era un po' così, stanco di queste continue visite di questo personaggio che ogni
qual volta aveva delle pretese e non ce la faceva più. Insomma a sostenere questo continuo…

Pm: Sia più chiaro, che cosa le dice Aiello di queste pretese?

Riolo: Ma adesso a cercare le parole esatte io non… non gli posso, su per giù mi disse, che era
stanco, che non ce la faceva più. Ormai ogni qual volta che lui andava sempre qualche cosa. Era un
po'… gli imponeva di assumere personale e nelle pretese di soldi, di prestiti di soldi, di prestiti di
soldi, queste erano continue, non c'era una volta che per esempio, queste sono parole mie adesso,
che andava lì per salutarlo "ingegnere, buongiorno, come sta? Arrivederci e grazie."

Pm: E quindi nel racconto che le fa Aiello glieli aveva dati i soldi e i posti di lavoro?

Riolo: Io questo non glielo ho chiesto, non me lo ha detto. Mi ha detto però che aveva delle pretese.
Quindi evidentemente che aveva dato. Mi disse che aveva già pagato abbastanza.

E allora a Giorgio Riolo è stato chiesto di specificare il dato temporale di queste visite, alle quali lui
collegava il momento in cui aveva anche rivelato le notizie sull'installazione delle microspie a
Michele Aiello.

Pm: Ma gli parlò anche di visite di Eucaliptus in termini di attualità? Cioè che stava venendo
ancora, che veniva frequentemente?

Riolo:Sì, sì sì! Che veniva, continuava ancora a venire. Per questo gli consigliai di non farsi vedere.
Tant'è vero che in quel periodo mi sembra la gente baypassava attraverso due controlli, uno sopra
l'ingresso e l'altro sotto. Da premettere che io che conoscevo l'ing Aiello non mi lasciavano mai
solo, venivo sempre accompagnato fino all'ufficio dal personale incaricato.

Pm: Quindi, l'occasione in cui lei dice ad Aiello della collocazione delle microspie, che lei dice
giugno 2003, questo colloquio in cui Aiello le dice tutte queste cose

Riolo: Sì

E allora a questo punto viene chiesto a Riolo


Pm: E lei gli dice delle microspie come un fatto rivolto al passato o come un fatto rivolto al
presente?

E Riolo risponde "era un fatto passato", che non sarebbe passato molto tempo, lo avremmo buttato
in galera e gli avremmo tolto questo … 'sta persona da in mezzo ai piedi.

E allora, su questa specifica risposta ulteriore a G Riolo è stata effettuata una nuova contestazione.

Pm: E allora guardi, lei il 20 agosto del 2004 e siamo a pagina 29 della trascrizione su questo
argomento ha dato un'altra risposta che è assolutamente compatibile con quella che lei aveva dato
sul periodo in cui aveva detto dell'esistenza delle microspie di Eucaliptus.

E allora guardi siamo a pag 29.

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Pm: E allora io le stavo dicendo parlando della microspia collocata nella Opel corsa targata
ba262Ba intesta a Dell'Anna Stefania e in uso a Eucaliptus Salvatore, figlio di Eucaliptus Nicolò,
risulta agli atti dei carabinieri che questa microspia ha iniziato per lo meno il 6 novembre 2002.
Probabilmente era stata collocata uno due giorni prima, non lo sappiamo, ed è stata trovata l'11
marzo 2003.

Riolo: Perché non glielo detto io prima?

Pm: No, io ho solo fatto una…

Riolo:No, io dico, perché io non glielo ho detto, non glielo ho detto? Perché questa benedetta
microspia venne fuori dal discorso, quando lui assieme al prof Carcione mi dissero che era
taglieggiato. Non ce la faceva più e cose varie. Dico per tranquillizzarlo, del resto, fidandomi di una
persona che io pensavo che non fosse niente di tutto quello che oggi noi diciamo che sia. Mi fidavo
e gli ho detto, quindi gli ho detto, non ti preoccupare c'è perfino la microspia anche se vedi se tu sei
coscientemente a posto, possono parlare, c'hanno … c'è pure una microspia in macchina. Falli
parlare tranquillamente, prima o poi questo va a finire in galera e te lo togli davanti alle scatole.
Ma solo per questo glielo dico.

Quindi questo era l'oggetto delle contestazioni delle precedenti dichiarazioni che a tutta evidenza
hanno una precisa e chiara divergenza. Cioè, mentre al dibattimento Riolo ci ha detto di avere detto
a Aiello abbiamo raccolto materiale tale che prima o poi lo buttiamo in galera, nella fase
dell'indagine aveva detto, non ti preoccupare c'è la microspia in macchina falli parlare
tranquillamente, prima o poi questo va a finire in galera. Che sia dal p d v concettuale sia dal p d v
dei tempi è un concetto assolutamente diverso. Perché uno ovviamente esprime un qualche cosa che
è accaduto e qui siamo di fronte a una speranza a una previsione falli parlare, falli parlare che prima
o poi in galera vanno a finire.

Fatta la contestazione Riolo ci ha risposto in questo modo:

Riolo: Confermo quello che ho detto, ma era riferito, dott. Prestipino, era riferito al periodo
precedente, cioè io non è che gli ho detto, cioè vai… Potevo diglielo prima insomma di questa
benedetta microspia. È una cosa che mi sono espresso male io, nel linguaggio italiano.
Allora si insiste
Pm: Ma guardi che lei, quando noi gli abbiamo fatto la domanda e siamo a pag 28 le viene chiesto
quando gliela detto. Lei colloca il riferimento all'ing. Aiello della notizia e lei dice di averglielo
detto due mesi buoni prima del momento in cui la microspia era stata rinvenuta, tant'è vero che poi
dice che è stata trovata l'11 marzo. Lei dice un paio di mesi prima, in realtà è rientrato il 17 gennaio,
quindi un po’ meno di 2 mesi dev’essere stato comunque intorno a febbraio e poi lei dice,
comunque certamente dopo che è rientrato in servizio,

Riolo: Sì dopo che sono rientrato in servizio dopo il 17 gennaio.

E viene contestato anche il secondo tratto delle dichiarazioni di Riolo. Ripetuta la contestazione il
Pm: “Allora qui la domanda era sul contenuto della interlocuzione dell’incontro Aiello, Carcione e
Riolo e ho letto la dichiarazione che ha reso il maresciallo Riolo in cui parla al presente. In cui dice,
possono parlare c'è una microspia in macchina falli parlare tranquillamente prima o poi questo va a
finire in galera e te lo togli dalle scatole che è un concetto, non è un problema terminologico
diverso.

Il presidente: Va bene la contestazione del pm

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Il pm intanto su questo passaggio: cioè questa frase che lei ha riferito in quel verbale come detta da
lei ad Aiello alla presenza di carcione a quell’incontro. Lei la conforma o no?

Riolo: No, no, io non posso confermarla, io devo dire la verità e nient'altro che la verità e quindi che
l'abbia in questo senso no, perché penso cioè che l’abbia detta questa, c’è una registrazione e l’ho
detta. Attenzione io sto dicendo che confermo quello che sono lì, ma il senso era tutt'altro.

Presidente: Quindi lei sta confermando di averla detta?

Riolo: Di averla detta. Io ho detto che c’erano delle microspie, quindi potevano parlare
tranquillamente, io non ho mai detto l’esistenza di questa microspie prima di quella data all’ing
Aiello. Quindi il fatto che io le ho detto ci sono, può darsi che lo collocavo a un fatto di
protagonismo, non lo so

Predisente: lei che cosa?

Riolo: perché io tra l’altro con l’incontro tra Carcione Aiello e me solo una volta è avvenuta e dopo
quell’incontro ricevetti il telefono per questo io faccio di collocazione.

Presidente: perfetto non ha fatto riferimento ad altri a queste due che già erano trovate nel giugno
2003 e questo è un dato, un altro dati è che in qull'interrogatorio lei ha detto lasciali parlare in
questo momento. Cioè al presente quindi facendo riferimento a un’attività in corso.
Lei ribadisce di non avere detto questa frase e di averla solo riferita al passato?

Riolo: sì, l’ho riferita al passato.

Era il 28 marzo del 2006, l’udienza del 28 marzo. L’udienza del 28 marzo è stata rinviata al 4 aprile
2006. E il 4 aprile 2006 in apertura di udienza, prima ancora che ricominciasse l’esame di Giorgio
Riolo, Riolo ha chiesto di poter fornire come dire un chiarimento sul punto specifico che era stato
oggetto, diciamo così di discussioni, di contestazioni e risposte nell'udienza precedente. E quindi
siamo all’udienza del 4 aprile.

Riolo: Sig. Presidente, prima di iniziare vorrei fare una precisazione a complemento di quanto è
stato l’ultimo argomento, nell’ultima udienza riguardo le microspie. Ecco, io ho precisamente
ricordo di questa situazione, appunto vorrei precisare che è stato tutto un confusionario. Anzi sin
dall’inizio dei miei primi interrogatori in carcere. Io non mento (metto) dunque non ho... può darsi,
può darsi che io l’abbia potuto anche dire a gennaio, a febbraio, a marzo, a giugno o a luglio. Io
confermo di averlo detto, questo ne sono fermamente convinto e che sono un po' confuso
esattamente nella data perché ci sono interrogatori. Io andando a rileggere gli interrogatori poi
addirittura del 19 febbraioa pag 66 dichiaro che questa confidenza era stat fatta ad Aiello dopo che
il Greco venne in licenza a Bagheria. Quindi è per questo che i miei cassettini di memoria
continuano a collocarlo lì. Però non poso mettere attenzione, è possibile che gliela abbia anche
potuto dire anche prima. Questo è.

Di fronte a questa dichiarazione il pm, subito, ha chiesto a Riolo di specificare.

Pm: Lei ci ha detto: “eravamo io, l’ing Aiello e il prof Carcione e se è uscito questo discorso e ho
detto questa cosa”.
Pm: ecco ancoriamo a questo dato di fatto, quando lei ha ricordo di questo discorso a tre sulla
presenza di Eucaliptus, era un discorso che facevate al presente o al passato?

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E Riolo ha risposto: questo era il mio dubbio, ma facile che era il presente. Può darsi che era il
presente, anzi sì, era al presente.

Poi in controesame, sullo stesso punto, 11 aprile 2006, Riolo ha dichiarato, gli viene chiesto da una
delle parti private: senta in quell’incontro con Carcione e Aiello in cui si affrontò il tema
Eucaliptus, l’ing Aiello riferì che Eucaliptus gli chiedeva dei soldi.
Riolo: sì, sì.
E allora cerchiamo di mettere 2 punti fermi sulle dichiarazioni di Giorgio RIolo perché la vicenda è
particolarmente complessa. Riolo sulla stessa questione ha reso XX xsia nella fase delle indagini
preliminari sia nel corso del dibattimento.
Noi abbiamo ogni volta 3 punti da esaminare, se c’è stata rivelazione, qual è stato l’oggetto di
rivelazione, quando si è verificata. Sotto le prime due questioni Riolo ci ha detto coerentemente sia
nelle fase delle indagini, sia nel corso dell’esame dibattimentale di avere certamente detto a Michele
Aiello che la sua sezione aveva collocato microspie sia nell’abitazione di N E. ad Acquedolci sia in
una delle auto che loro in quel periodo usavano senza però specificare il tipo che loro usavano.
Questo Riolo ce lo ha detto coerentemente durante l’interrogatorio del pm e ce lo ha ribadito duante
l’esame e il controesame. Quindi durante le sue dichiarazioni questo è un dato certo riferito nei
diversi momenti processuali.
L’anno della rivelazione e l’oggetto della rivelazione. Sui tempi della rivelazione Riolo ci ha fornito
dei dati non convergenti. E allora cerchiamo di mettere un po’ di ordine. Durante l’interrogatorio
del pm. Riolo ci ha detto che aveva rivelato la notizia in questione a Aiello circa due mesi prima
che la microspia collocata sulla autovettura opel corsa fosse rinvenuta, quindi circa due mesi prima
della data del rinvenimento, che è 11 marzo 2003. Poi al dibattimento Riolo ci ha detto che aveva
parlato di questa microspia ad Aiello, prima ci ha detto a giugno, poi vedremo, comunque dopo il
suo ritrovamento. Abbiamo quindi il secondo escamotage, la post datazione dell’evento, perché
abbiamo uno spostamento della data della rivelazione, che serve chiaramente a depotenziare la
prova sul punto, certo non ha privare la condotta di tutta la sua rilevanza penale. Ed è uno
spostamento di data che è come dire: esattamente, ricalca quello che come vedremo aveva già fatto
e ci aveva già proposto Aiello nel corso del suo esame. Comunque, dopo le contestazioni e a seguito
di queste, Riolo è pervenuto a due dati sul punto. Ci ha detto che a) che sul punto non poteva
ricordare il preciso momento in cui glielo aveva detto, b) ha sottolineato che era possibile che ad
Aiello lo avesse detto prima del ritrovamento della microspia c) ci ha detto che comunque – e
questo è un dato certo – lo aveva detto a Michele Aiello metre Aiello era sottoposto a una serie di
richieste da parte di N .Eucaliptus e cioè mentre nello stesso periodo in cui Eucaliptus si recava da
Aiello per avanzare queste richieste. Quindi diciamo in un momento contestuale alle continue visite
di Eucaliptus a Michele Aiello. Quindi sullo specifico punto è rimasta sostanzialmente una
divergenza, che non esiste invece sugli altri due punti. Sullo specifico punto della datazione, la
divergenza che dobbiamo poi valutare con gli altri elementi di prova raccolti sul punto è la seguente
e cioè che una certezza espressa da Riolo negli interrogatori rivolti dal pm “a Michele Aiello l’ho
detto dopo essere tornato dalla convalescenza, due mesi circa prima del ritrovamento della
microspia”,è diventata questa certezza nel corso del dibattimento soltanto una possibilità e cioè “è
possibile che io glielo abbia detto prima del ritrovamento”. Una possibilità a cui però, Riolo dopo
tutta la serie di contestazione ci ha accompagnato con una dato certo e cioè che quando glielo aveva
detto a M.Aiello, Aiello era sottoposto alle pretese di N. Eucaliptus, che proprio in quello stesso
periodo, uso le parole di Riolo “si recava da lui, in continuo, in continuazione”. Ed è una divergenza
che deve essere valutata anche in relazione, sulla scorta degli altri elementi di prova che sul punto
sono stati raccolti e ci dicono,come vedremo, delle cose chiare. Ma vediamo sullo stesso punto
quello che ci ha detto Michele Aiello che anche lui è protagonista principale della vicenda. A
Michele Aiello, all’udienza del 21 febbraio 2006, quindi 2 mesi prima dell’esame di Riolo, sono
state sostanzialmente poste 3 domande.

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1) Se Riolo gli avesse confidato che lui, il suo reparto (il Ros), avevano in corso attività
investigative sugli Eucaliptus ed in particolare che nell’ambito di tale attività erano
installate microspie nell’abitazione di Acquedolci di N Eucaliptus e all’interno
dell’autovettura in uso a Salvatore Eucaliptus.
2) Quando, Riolo, gli avesse confidato queste notizie?
3) Se e quando lui, Aiello, a sua volta avesse messo al corrente S Eucaliptus o chi per lui di
quanto gli era stato confidato da Riolo.

Partiamo dalla prima domanda.

Pm: Riolo le ha mai parlato di attività di indagine su N Eucaliptus?


Aiello; sì, mi ha detto quando si andava nel…, siamo dopo che Borzacchelli aveva riferito quelle
famose telefonate per cui c’era l’ipotesi se poteva essere qualche cosa derivante da indagini su
Borzacchelli e quindi di riflesso su di me o da un discorso riguardante l’eventuale pedinamento del
signor Eucaliptus che era venuto presso la nostra struttura nel maggio a effettuare quel famoso
esame e mi ha detto vabbè non ti preoccupare perché stiamo… è gente furba, ma stiamo per
arrestarli. Sono attenzionati e mi ha riferito anche il particolare proprio per dire la scaltrezza, due
cose mi ha detto: una, che avevano ritrovato la microspia in macchina; la seconda, mi ha detto lui
che avevano detto che avevano scoperto le microspie in Acquedolci e sulla vettura. Questo, l’uno e
l’altro.
Pm: No, io le ho fatto veramente un’altra domanda. Se Riolo le aveva parlato di installazione non di
ritrovamento.
Aiello (quasi seccato): No! Glielo dico per la terza volta, no. Mi ha parlato di ritrovamento di
microspie, non mi ha mai parlato di collocazione.
Qui siamo di fronte al “primo escamotage dialettico” utilizzato da Aiello: c’è l’aggiustamento delle
dichiarazioni attraverso la modifica dell’oggetto della rivelazione. Perché come vedremo la
collocazione, l’installazione della microspia, è diventata improvvisamente, a distanza di due anni, il
ritrovamento delle microspie. Dico questo perché su questo specifico punto e a questo punto
dell’esame a Aiello è stato contestato il tenore delle dichiarazioni che lui stesso aveva in precedenza
reso, proprio su questa specifica questione.
Pm: allora guardi lei, il 19 maggio del 2004, sul punto ha dichiarato -e viene letto il verbale di
interrogatorio -. Pm: cosa le disse di preciso Riolo?
Aiello: il sig. Riolo mi disse che era seguito il sig Eucaliptus praticamente, per cui dico, a parte
l’elemento che era, questo suo continuo venire presso i locali della diagnostica avrebbe comportato
certamente dei problemi. Questo era l’argomento in linea del tutto generale, per cui si parlava della
pericolosità del soggetto all’interno e quindi il fatto che venendo alla diagnostica potesse creare dei
problemi, mi diceva che lui veniva seguito e pedinato tutte le volte che veniva a Bagheria veniva
seguito e che certamente l’avrebbero intercettato all’interno, anzi un giorno mi ha precisato che in
occasione di una visita perché questo signore veniva parecchie volte ad eseguire parecchi esami,
cioè era stato seguito e la moglie si era accorta della presenza di soggetti non ben identificati però
persone che all’interno della struttura andavano girovagando. Alla richiesta esplicita di sapere di
cosa avevano bisogno però praticamente non hanno risposto e allora lui desumeva da tutto questo
che certamente erano persone che seguivano il sig Eucaliptus.
Pm: poi sempre il 19 maggio…
Aiello interviene e prende la parola (sempre da lettura verbale).
Aiello: no, fino ad ora io confermo perché praticamente è quello che ho detto io
Pm: sì, ma aspetti
Aiello: fino ad ora confermo, così ci mettiamo un punto (Prestipino: sì certo , troppo comodo
mettere un punto qui)
Pm: poi sempre il 19 maggio, sempre sull’argomento lei ha detto (e viene data lettura di quanto
aveva detto il 19 maggio sull’argomento) “lui mi parlava che il sig Eucaliptus e tutti i suoi

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componenti familiari compreso il suo genero, questo di qua, venivano seguiti, ed erano oggetto di
indagine, però in particolare, tutti i vari particolari, ma che erano attenzionati e seguiti. Su questo sì.
Mi ha parlato della microspia che lui aveva piazzato nella casa del sig Eucaliptus in quel di
Messina, in prov di Messina, dove abitava e che aveva piazzato una microspia nella macchina del
figliolo.
Quindi una risposta assolutamente chiara che Aiello aveva data il 19 maggio del 2004 e non il 6
dicembre 2003 al primo interrogatorio in carcere. A distanza di mesi 6 dal primo interrogatorio il 19
maggio, quando ci aveva detto chiaramente che Riolo gli aveva detto non solo che tutti i
componenti della famiglia compresi i generi erano tutti sotto indagine, non solo che N Eucaliptus
veniva seguito e pedinato ogni volta che veniva da Acquedolci a Bagheria, non solo che anche il
genero era sotto le indagini; ma Aiello aveva detto di aver saputo da Riolo che avevano piazzato
una microspia nella casa di Acquedolci e che avevano piazzato una microspia nella macchina del
figliolo!
Preso atto della contestazione Aiello ha detto: E allora, senta, a chiarimento di questo (Prestipino: è
qui c’è il capolavoro). Perché c’è un gioco di parole in tutto, perché a volte il modo di esprimersi a
volte, no perché mi voglio dare una giustificazione, ma perché volgio dare una risposta univoca:
confermo appieno quello che ho dichiarato lì, con la precisazione che chi materialmente ha
installato la microspia, la microspia, se sia stato lui, o qualcun’altro, non me lo ha mai precisato.
Che è ovvio che se sono state installate delle altre microspie precedentemente piazzate da loro,
questo come Ros non me ne ha parlato.

Siamo all’altra contestazione ( - e Prestipino sottolinea come Aiello si sottrae alla risposta diretta- ),
cioè se confermasse o meno quello che lui aveva detto durante la fase delle indagini, perché questo
serve per valutare l’attendibilità delle sue dichiarazioni. Quindi da capo…

Pm: ma guardi che la domanda che io le avevo fatto e sulla quale io le ho fatto la contestazione è se
Riolo le aveva detto –al di là del fatto di chi materialmente aveva vi aveva provveduto -, cioè se il
suo reparto di appartenenza aveva installato microspie nell’abitazione di N Eucaliptus ad
Acquedolci e nella macchina in uso a S Eucaliptus, al figliolo.
Aiello: non rispondo
Allora precisiamo ancora meglio.
Pm: sì o no?
Aiello: parliamo.
Pm: no precisiamo ancora meglio
Aiello: mi fa rispondere per favore?
Pm: prima risponda alle mie domande, poi io le faccio le altre domande
Aiello: ho detto, guardi, le ho spiegato meglio non si può rispondere perché qua c’è stato tutto un
interno processo su queste 3 parole! Per cui merita secondo me che venga chiarita in maniera
approfondita e che mi sia data finalmente la possibilità di potere parlare. Io allora chiedo, sig
Presidente, la possibilità di dare delle spiegazioni su fatti estremamente delicati.
Presidente: ma non mi pare che le si sia mai tolta questa possibilità…
Aiello: anche su quest’ulteriore domanda perché mi pare che non mi si voglia dare la possibilità di
rispondere
Pres: no, guardi il pm le ha fatto una domanda alla quale lei può rispondere con un sì o con un no.
Poi …
Aiello: non si può rispondere con un sì o con un no
Pres: allora risponda come è in grado di rispondere
Aiello: e allora, nel luglio, nel subito…
Pm (interrompe a sua volta): le chiedo scusa, lei lo conferma quello che ho letto, o no?
Aiello: io confermo in parte quello che ha letto poco fa
Pm: no in parte,

100
Aiello: e poi ho detto
Pm: no, io le ho letto una pag e mezzo di sue dichiarazioni
Aiello: io ho detto confermo
Pm: lei conferma o no?!
Aiello: le mie dichiarazioni, ad eccezione del fatto che lui, non mi ha mai detto gli ho collocati io
personalmente. Ovviamente si parlava
Pm: continua a non rispondere!
Aiello: Ovviamente si parlava di microspie che erano state ritrovate nel mese di giugno luglio 2003,
perché questo è importante
Pm: un discorso è il ritrovamento, che è un evento, altro evento è la circostanza dell’installazione.
Parliamo dell’installazione
Aiello: perfetto
Pm: la domanda non è se Riolo ha detto chi materialmente, cioè se il maresciallo Francesco,
Giuseppe, XY, se Riolo ha detto che il suo reparto inteso lui. Era questo il senso, avevano installato
nell’ambito delle indagini su Eucaliptus una microspia ad Acquedolci, a casa di Eucaliptus N e una
microspia nell’autovettura al figlio Salvatore, intanto se erano state installate queste due microspie:
questa è la domanda, è chiara?
Aiello: posso?
Pm: Sì può rispondere
Aiello: quando ovviamente il maresciallo Riolo die lavoriamo è il suo gruppo che lavora, quindi è
scontato che lavora il Ros e su questo non ci piove. Quando mi dice abbiamo ritrovato una
microspia, se ci lavora il Ros è ovvio che l’ha piazzato. Che l’hanno piazzato loro, ora
materialmente chi quando va, il giorno, l’anno, l’ora, il minuto di quando l’hanno piazzato io non lo
so, non lo mai saputo, me l’avete chiesto un mare di volte e vi ho risposto sempre nella stessa
maniera.
(falso, dice Prestipino)
Pm: allora di fronte a questa risposta io reitero la contestazione.
Interviene il presidente: la domanda del pm è chiara, la contestazione pure, se lei vuole rispondere
per favore
Aiello: io ho risposto, sig Presidente
Pres: va be’, se non ha nulla da aggiungere rimane la contestazione
Aiello: no, non può rimanere la contestazione. Ho detto che confermo che lui mi ha parlato per
quanto riguarda il ritrovamento. Mi ha detto che stava lavorando il suo gruppo, però io non so l’ora,
il giorno, la data e chi ha installato queste microspie.
Allora il Pm ha riletto tutta la contestazione sull’installazione della microspia nella dichiarazione
resa il 19 maggio 2004 a pag 87 della trascrizione. Allora a quel punto Aiello
Aiello: che lui me ne abbia parlato lo confermo per l’ennesima volta. È un modo improprio di dire
le cose, ma materialmente la certezza che mi abbia detto li ho collocati io, io questo non lo so se li
abbia collocati lui personalmente.
Pres:ne prendiamo atto, permane la contestazione

Ho letto tutte queste parti dell’esame perché questo è il modo in cui di fronte a qualsiasi
contestazione che è stata mossa a precedenti dichiarazioni a sempre risposto Aiello con giochi
dialettici per impedire al tribunale se lui confermava o meno le sue precedenti dichiarazioni e
arrivare così a una valutazione compiuta del suo esame. E cmq permane la contestazione, che
significa una sola cosa: che tra le dichiarazioni rese il 19 maggio 2004 e le dichiarazioni che Aiello
ha fornito durante l’esame vi è un’assoluta, permanente, insanabile, divergenza, interna di sostanza.
E questa è la prima questione se è che cosa è stato rivelato. E su questo, ripeto, c’è un’isanabile
contrasto tra precedenti e successive dichiarazioni, che è rimasto tale e quale.
Seconda questione, quando Riolo ha fatto questa prima confidenza a Aiello.

101
Pm: Quando Riolo le ha riferito di avere installato queste microspie? Aiello ci ha risposto così:
Siamo nell’estate del 2009, siamo praticamente nel periodo che abbiamo viene Borzacchelli a
trovarmi in diagnostica, quindi io lo colloco proprio dopo la campagna elettorale delle provinciali
del 2003.
E qui siamo sulla stessa, in cui Michele Aiello ha utilizzato tutti e due gli escamotage. Su una
questione a spostato l’oggetto, ha modificato l’oggetto della rivelazione, non la collocazione ma il
ritrovamento; e qui invece sposta anche la data e c’è la post datazione, rispetto a quello che lui
aveva detto al pm nella fase delle indagini preliminari. E lo dico perché lui sullo specifico punto del
quando aveva reso delle dichiarazioni tutt’affatto diverse.
Pm: allora anche qui procedo a contestazione e lo stesso verbale Pres e le stesse pagine
Aiello: Questo siamo veramente nell’estate del 2003, nel 2003 certamente, mi parlava in relazione
delle visite che era un elemento pericoloso, dove figurati che, io sono andato, praticamente anche
noi, io sono andato a collocare le microspie sia a casa sua che nella macchina del figliolo. Siamo
prima dell’estate però! Saremo nel periodo marzo aprile
Pm: dell’anno scorso, del 2003?
Aiello: dell’anno scorso, non mi ricordo però preciso, magari il mese, ma prima dell’estate.
Marzo aprile 2003, queste le dichiarazioni che aveva reso sul punto specifico Michele Aiello. Fatta
la contestazione Aiello ha risposto e non ha detto, confermo, non confermo. Ha ricominciato tutto il
giochino di cui io vi ho data ampia lettura per quanto riguarda la prima questione e che non farò per
la seconda e neanche per tutte le altre. Non ha detto confermo non confermo,
Aiello: allora in ordine alla data marzo non c’entra completamente niente
È ricominciato il solito giochino con interventi, controinterventi. Poi alla fine ha dovuto dire “non
confermo”, quindi non ha confermato le dichiarazioni che lui aveva reso durante la fase delle
indagini. E dunque anche su questo specifico punto del quando registriamo anche proprio dal p d v
della prova ai sensi del 500 e del 503 una situazione di assoluto e insanabile contrasto tra le
dichiarazioni che Aiello ha reso durante le indagini e poi quelle che ci ha reiterato nel dibattimento.
Una situazione di assoluto contrasto che non si è in alcun modo ricomposta perché è rimasta tale.
Terza domanda sulla terza questione: se delle confidenze ricevute da Riolo, Aielo avesse parlato a S
Eucaliptus o a chi per lui.
Pm lei ha mai riferito, a mai rivelato a S Eucaliptus che in una delle autovetture a lui in uso era stata
collocata una microspia?
Aiello (indiganto) :questo nelle tante favole; nel mio processo, no!
È qusto l’unico punto su cui Aiello è stato su tutta la questione perfettamente coerente. Perché
aveva detto di no durante la fase delle indagini, poi ci ha dato questa risposta nella fase del
dibattimento. L’indignazione non conta, ciò che conta è che lui ci ha detto coerentemente, sia
prima che dopo, no, non ho mai rivelato a Eucaliptus S che Riolo mi aveva detto che sulla sua
autovettura c’era una microspia.
Anche qui se tracciamo un primo bilancio delle dichiarazioni, sotto la disciplina della prova della
valutazione che deve essere effettuata su Aiello dobbiamo dire che c’è solo un punto fermo e
coerente su tutte le dichiarazioni che a reso su questa specifica questione. Cioè il terzo, che Aiello
non aveva mai rivelato a S Eucaliptus nella sua autovettura era stata collocata una microspia. Ed è
solo questo il punto che si può utilmente valutare insieme alle altre risultanze di prova, perché è
l’unico pezzo di tutte le dichiarazioni rese sulla questione che Aiello ha riferito e confermato allo
stesso modo, perché su tutti gli altri punti della vicenda, le dichiarazioni di Aiello presentano gravi
punti di inattendibilità di grave e insanabile contrasto, che quindi rendono quello che ha detto Aiello
già di suo inattendibile. Abbiamo cercato elementi di valutazione anche dagli altri protagonisti della
vicenda. S Eucaliptus che è il beneficiario immediato, diretto, della notizia, all’udienza dell’8
novembre 2005, imputato di reato connesso, condannato con suo padre per il reato di 416 bis, si è
avvalso della facoltà di non rispondere. Nicolò Eucaliptus, invece, sentito nella stessa qualità, ha
risposto, ma sullo specifico punto non ha fornito alcun utile elemento di valutazione.

102
Abbiamo poi sentito i militari, gli ufficiali, quelli che avevano curato tutta questa attività d’indagine
e in particolare il quadro sulle attività investigative condotte sul nucleo famigliare Eucaliptus ci è
stato fornito nel dettaglio da Antonio Damiano, che ci ha riferito tutti i particolari connessi
all’attività investigativa, iniziata attraverso i servizi di osservazione e pedinamento, intercettazioni
telefoniche, intercettazioni di conversazioni tra presenti su vari sogetti. Ci ha detto Damiano, che N
Eucaliptus era stato scarcerato a luglio del 2001, il 20 ottobre 2001, quindi a distanza di poco
tempo, erano iniziate le attività tecniche che lo riguardavano attraverso l’intercettazione di
un’utenza cellulare. Ci ha detto Damiano che nel giugno del 2002 si era riusciti ad installare delle
microspie nell’abitazione dove N Eucaliptus abitava ad Acquedolci. Quindi ci ha detto Damiano
erano state estese attività tecniche d’intercettazione ad altre utenze, in particolare, quelle attestate
presso l’abitazione in contrada Consona a Bagheria, erano state estese attività tecniche su altre
utenze cellulari. Tutte queste attività, ci ha detto Damiano, a cui aveva preso parte Riolo, che
comunque era a conoscenza di tutte le attività e del quadro delle iniziative. E ci ha detto D che il 23
agosto 2002, N Eucaliptus aveva rinvenuto la microspia installata presso l’abitazione di
Acquedolci.
Aiello e ci ha detto che quelle attività non avevano dato risultati positivi. Ci ha D. che poi
nell’autunno del 2002 erano state collocate delle microspie sulle tre autovetture delle quali in quel
periodo faceva in particolare uso S Eucaliptus (Y 10, fiat punto, opel corsa). D ci ha detto in
particolare che sulla Opel corsa –autovettura di cui S Eucaliptus faceva maggiore uso – le microspie
erano state installate il 6 novembre 2002. Ci ha detto Damiano che l’installazione era stata curata
dai militari del gruppo tecnico, ma che Riolo ne era stato immediatamente informato via telefono
dai suoi colleghi: circostanza che ci ha già detto e confermato lo stesso Riolo. Le microspie sulle
macchine di S Eucaliptus vengono installate non solo perché era proprio S Eucaliptus quello che
quando il padre Nicolò faceva ritorno da Acquedolci a Bagheria lo andava a prendere
(preferibilmente con la Opel corsa alla stazione di Bagheria, lo portava in giro, insomma gli faceva
da accompagnatore. Perché N E non poteva guidare la macchina, essendo posto a misure di
prevenzione) e poi lo riaccompagnava alla stazione. No, c’era anche un altro motivo, per cui
Salvatore Eucaliptus era entrato diciamo sotto l’attenzione investigativa del Ros perché sulle utenze
telefoniche di padre e figlio, a settembre in particolare, erano state registrate alcune conversazioni
nel corso delle quali Nicolò Eucaliptus incaricava il figlio Salvatore verso la fine di settembre e i
primi di ottobre di andare a ritirare degli indumenti presso una tintoria di Casteldaccia. Il Ros
ovviamente aveva seguito S E , il quale tutto aveva fatto, meno che recarsi in una tintoria perché in
realtà S E era andato a Casteldaccia, ma non presso una tintoria, ma presso un bar e non un bar
qualsiasi, ma il bar di Giuseppe Virruso, classe 38, quello che portava i biglietti di Provenzano da
Vittoria a Casteldaccia. E quando era tornato, inutilmente perché il bar era chiuso, Salvatore
Eucaliptus aveva telefonato al padre e gli aveva detto che non aveva trovato nessuno, che era chiuso
per ferie (il bar era effettivamente chiuso per ferie) e il padre lo invita a tornare. Tra una telefonata e
l’altra, S E. fa ritorno a Casteldaccia, prende contatti con G.Virruso nei primi di ottobre 2002. La
circostanza al di là del semplice contatto aveva nell’ambito delle risultanze investigative del Ros
aveva un significato perché proprio in quello spazio temporale era stato effettuato un viaggio da
parte di Giuseppe Virruso e Pino Pinello fino a Vittoria dove erano andati a prendere dei biglietti
(confermato) e li avevano portati fino a Casteldaccia. Quindi c’erano non solo la coincidenza dal p
d v soggettivo del contatto tra Salvatore Eucaliptus e G. Virruso, ma anche la coincidenza da un p d
v dei tempi del fatto che questo contato era avvenuto proprio in coincidenza con il ritorno di Pinello
Virruso da Vittoria. Anche questa era una della ragioni per cui il Ros investiga nei confronti di
Salvatore Eucaliptus.
Antonio Damiano ci ha detto collochiamo le microspie sulla opel corsa il 6 novembre del 2002 e
prendiamo registriamo delle conversazioni importanti. Di ognuna di queste conversazioni Damiano
ci ha dato gli interlocutori e, ovviamente, senza entrare nel dettaglio il tema generale e ci a detto io
do solo date.

103
E questa è matematica: allora 6 novembre 2002 avviene l’installazione, ci dice Damiano che le
prime conversazioni rilevanti e utili per proseguire le attività investigative erano state registrate il
26 novembre 2002, il 3 dicembre 2002, l’11 dicembre 2002: queste sono le tre conversazioni
importanti che vengono captate sulla opel corsa dopo l’installazione delle microspie. Poi ci ha detto
che altre conversazioni importanti erano state captate il 20 gennaio 2003, 21 gennaio 2003, 31
gennaio 2003, 8 febbraio 2003 e 11 febbraio 2003, cinque conversazioni nelle quali in particolare
dal 20 gennaio 2003 viene per la prima volta captato, fatto, per la prima volta in quella macchina,
tra Nicolò Eucaliptus e Salvatore Eucaliptus il nome di Aiello. Anzi il 20 gennaio viene indicato
come l’ing. E poi si fa proprio riferimento all’ing. Aiello. Ci ha detto Damiano che dopo l’11
febbraio 2003, non ci sono più conversazioni e che l’altra conversazione intercettata è l’11 marzo
2003, che non è una conversazione perché l’ha trascritta il nostro perito. Sono 4 battute in cui si
dice: “ma questo che cos’è? È il filo”. E sono le fasi del rinvenimento della microspia su cui oltre
che Daminao, ci hanno riferito Stefano Russo il 27 marzo 2007 e il maresciallo Leone 13 marzo
2007 raccontandoci quello che era accaduto che è ne più ne meno di quello che ci ha esattamente
detto Riolo. Dice Damiano testualmente: sentiamo materialmente all’interno che si muovono
vicino alla microspia e poi vi sono delle frasi che fanno capire che l’hanno individuata, c’è
un’attività di ricerca. Da questo momento in poi la microspia smette di funzionare 11 marzo 2003. il
col Damiano a dimostrazione di questa lettura ci ha anche detto “voglio aggiungere anche un altro
dato: marzo 2003 era un nuovo telefono in uso a Salvatore Eucaliptus. L’8 aprile 2003 chiediamo
anche un nuovo telefono di N Eucaliptus. Questi due fatti accadono uno un po’ prima cioè l’11
marzo c’è il ritrovamento della microspia”. Quindi S E. cambia il proprio telefonino il 10 marzo e
invece Nicolò lo cambia l’8 aprile. E dice Damiano “questi fatti accadono uno un po’ prima e uno
un po’dopo l’11 marzo”. Voglio dire che anche questi 2 telefoni cambiati da parte degli investigati
significava una precauzione in più rispetto all’attività che svolgevamo.
Quindi noi abbiamo un dato importante: l’attività di intercettazione, sulla opel corsa ha inizio il 6
novembre 2002 e ha termine l’11 marzo 2003. in questo periodo vengono captate conversazioni
importanti a novembre, a dicembre, a gennaio nelle date che vi ho detto, fino all’11 febbraio 2003.
poi c’è un buco di un mese e l’11 marzo c’è il ritrovamento. Questo dato fornito da Damiano, uff.
dei carabinieri che ha seguito quest’attività voi lo trovate confermato sfogliando il fascicoletto delle
trascrizioni del perito dove , dopo l’11 febbraio 2003, sull’opel corsa non c’è più alcuna
trascrizione. Fino all’11 marzo.
Se noi teniamo a mente questo dato e quello che ci ha detto Riolo, già possiamo intuire quello che
nel frattempo era accaduto. E però le dichiarazioni di Riolo, soprattutto relativa al quando, hanno
bisogno di una conferma, perché Aiello ci ha detto esplicitamente di non avere mai parlato con
Salvatore Eucaliptus né di avergli mai rivelato l’esistenza di microspie nella sua macchina. Allora
noi per capire quello che in questo momento noi possiamo solo intuire, tracciare sulla scorta di
quello che ci dice Riolo, dobbiamo cercare gli elementi di riscontro. E da questo punto di vista noi
abbiamo due chiavi di lettura costitute da altrettanti oggettivi elementi di prova, veri e propri
elementi di prova autonomi! Che si aggiungono:
Primo punto, che cosa ha detto Riolo ad Aiello, davvero? Riolo coerentemente ci ha detto, sia nelle
indagini sia all’esame ci ha detto: “io a Aiello ho detto che avevamo piazzato le microspie, in
particolare quelle sull’autovettura”. Mcihele Aiello aveva detto la stessa cosa durante la fase delle
indagini. Ma poi ha cambiato la propria versione dei fatti al dibattimento e quindi il collocamento
era diventato il ritrovamento.
Che cosa è vero? Che cosa è vero, in questo processo, ce lo ha detto S Eucaliptus perché S E
chiamato in quest’aula si è avvalso della facoltà di non rispondere, ma quello che aveva da dire sul
punto S E ce lo ha comunque detto molto tempo prima che questo processo avesse inizio. Ce lo ha
detto in epoca non sospetta, il 18 giugno 2004 quando, dopo essere stato sottoposto a fermo e
misure cautelari dal 9 giugno, il 18 giugno effettua il suo primo colloquio in carcere con i suoi
familiari. E prima ancora di entrare nel merito va detto che queste parole, questo tratto di
conversazione di S. E. è certamente quello più genuino. Perché provengono intanto dalla parte

104
coinvolta nella vicenda quale beneficiario diretto della rivelazione, ma soprattutto sono le più
genuine perché vengono dette in epoca non sospetta: il 18 giugno 2004. quando gli atti del
procedimento contro Aiello non erano ancora stati depositati e le dichiarazioni che sul punto
avevano reso sia Riolo che Aiello non erano state utilizzate nei confronti di S. E. che quindi era
completamente all’oscuro delle circostanze che sulla questione avevano riferito ad aprile, a maggio
Riolo ed Aiello. E quindi si tratta di parole a cui occorre assegnare una particolare evidenza dal
punto di vista probatorio, di particolare importanza per valutare le altre parole. Queste sono parole
che vanno usate come criterio di valutazione, come elemento di prova, che vi dicevo è una prova
autonoma, ma è un elemento che serva a valutare chi ha detto la verità tra Riolo e Aiello.
Allora vediamo quali sono le parole di S.E.
Siamo al 18 giugno 2004, nella sala colloqui della casa circondariale dell’Ucciardone e il primo
colloquio che fa S.E. da detenuto, non era mai entrato in carcere S.E. E si trova a colloquio con
Stefania Dell’Anna che è la sua compagna, bambino piccolissimo, con il fratello Francesco
Eucaliptus e con la madre di S.E., cioè con la signora Rosalia Castronovo. Ebbene è una
conversazione lunga e a un certo punto Francesco E. commenta e dice al fratello Salvatore che da
diversi giorni compariva sul giornale il nome di Salvatore che i giornali parlavano della sua
vicenda.
Francesco: “Michia nu giurnali spisso ha nisciuto, sei famoso!”
Salvo: Seee
Madre: Ma tutti, dice, ma chi è, dici, finivi i travagliare e cinqui venticinque e alle cinque e mezza
eri a casa.
Francesco: “ti fanno l’articoletto assolo, ti fanno l’articoletto assolo”.
Salvo: Ancora?
Francesco: sì
Stefania: c’è ancora
Francesco: perché col fatto dice “intercettazioni con Aiello”.
Salvo: Aiello, io?
Francesco: nel giornale c’è scritto che tu gli hai detto gli hai confermato che …
Interviene la madre e zittisce i figli
Francesco: ma chi è, che c’è
Salvo: che cosa?
Stefania: ah sì, che avevi confermato!
Salvo: d’a microspia?
Francesco annuisce
Stefania: che la microspia, te l’aveva detto Aiello.
Francesco: tu, dice che glielo hai detto tu
Salvo: quella della mia macchina gli ho detto, quella della mia macchina gli ho detto! Ma iddu mu
dissi, io ci l’avia a cunfirmare picchi iddi u sanno già a priori.
Stefania (soggetto estraneo a logica criminale): hai visto che avevo ragione? Avevo detto a Ignazia
che l’avvocato ce l’aveva detto quando era uscito che lui aveva detto di sì
Francesco: i liggiu nei giornali tutti sti cosi
Salvo: iddu mu disse, sì picchè iddi u sanno perché quindi è inutile ca…
Madre: speriamo u Signuri d’aiutarini

Sono parole davvero chiare che da un lato ci confermano un dato importante e dall’altro ne
smentiscono un altro. Che cosa confermano? Intanto confermano esattamente quello che aveva
detto durante il dibattimento Riolo, che lui a Aiello aveva parlato della collocazione e non del
ritrovamento delle microspie.
E così Riolo lo aveva detto a Aiello, che celo ha negato, ma cos’ Michele Aiello lo aveva detto a
Salvatore Eucaliptus, che ce lo dice nella intercettazione in carcere. Allora è evidente nel contrasto
delle dichiarazioni tra Riolo e Aeiello ci ha ragione e quale dichiarazione, quale pezzo di

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dichiarazione il contenuto di questa intercettazione riscontra: non c’è alcun dubbio, riscontra Riolo.
Ma questa intercettazione smentisce anche Aiello, quando Aiello ci ha detto, mentendo, di non aver
mai fatto parola a S.E. di quelle microspie, sdegnato ce lo aveva detto. Altro che favole!
Ma che Aiello delle microspie sulla autovettura di S.E. lo abbia detto al diretto interessato non ce lo
dice solo S.E., perché lui ce lo dice come frutto del colloquio avuto con Aiello, ma in questo
processo la stessa cosa ce la dice Stefania Dell’Anna. Perché ce lo conferma, per averlo saputo non
dal marito, non dai giornali, ma dall’avvocato presente a colloquio di S.E. il quale parlando con il
familiare diretto cioè Stefania le aveva dichiarato qualche cosa sullo stato di S.E, sull’andamento
dell’interrogatorio-
Salvo: quella della mia macchina gli ho detto, quella della mia macchina gli ho detto! Ma iddu mu
dissi, io ci l’avia a cunfirmare picchi iddi u sanno già a priori.
Stefania: hai visto che avevo ragione? Avevo detto a Ignazia (la moglie di Onofrio Monreale con
cui tutti vivono nello stesso complesso) che l’avvocato ce l’aveva detto quando era uscito che lui
aveva detto di sì.
In un’unica intercettazione sono ben due le fonti diverse che smentiscono Aiello. Una si chiama
Salvatore E. che racconta un fatto accaduto sotto la sua percezione e poi c’è la seconda fonte,
Stefania, che riferisce quello che a sua volta la sera dell’interrogatorio di Salvatore E. aveva saputo
dal difensore di S.E. e cioè che lui aveva confermato che Aiello gli aveva detto che c’erano le
microspie nella sua macchina.
Ce l’altra domanda forse più complicata perché Riolo nella fase delle indagini dà una certezza, due
mesi prima del ritrovamento, poi nella fase del dibattimento dice è possibile che glielo abbia detto
prima però ci dice glielo detto quando Aiello era sottoposto alle pretese… etc etc
Quando è avvenuta questa rivelazione?
Ce lo continua a dire S.E. il 18 giugno 2004, nel colloquio perché in carcere ci dice che era stato
informato da Aiello “iddu mu dissi” ed è evidente che certo Aiello che cosa gli va a dire a S.E. che
nella sua macchina erano state ritrovate delle microspie l’11 marzo e glielo va a dire a giugno?la
logica vuole che Aiello glielo abbia detto e non aveva motivo certo per dirglielo in un altro
momento prima del rinvenimento. Sul quando ce lo dice lo stesso Aiello, quando nel corso del suo
esame, con puntigliosità e meticolosità da ragioniere ci fa l’elenco delle volte che aveva visto
Nicolò E, in diagnostica e ci ha dato 4 date. Poi ci dice io l’ultima volta l’ho visto l’11 febbraio
2003, poi non l’ho più visto. Ci dice so che è venuto, ma non l’ho più visto. Le date che già dato
non sono un’invenzione sono riscontrate. È vero che dopo Nicolò E. è andato alla diagnostica, però
non ha più visto Aiello, perché ce lo dice Aiello. Le continue visite sono esattamente tra il 20
gennaio e l’11 febbraio perché poi N. E ci va in diagnostica ma ci va a maggio del 2003. le continue
visite sono solo tra il 20 gennaio e l’11 febbraio e sono 4: 20, 21, 31 e 11! Ma Riolo ci ha dato
anche un altro dato “glielo detto quando quello era assillato, anche per rassicuralo perché quello
non ce la faceva più era assillato dalle pretese”. Quando sono state avanzate le pretese di Nicolò E.
in continuazione a Michele Aiello? Ce le ha dette Riolo quali erano queste richieste: “era assillato
dalle richieste di assunzioni e dalle pretese economiche”!
È vero, è vero ed ha ragione Riolo ad ancorare questo dato del momento in cui gliele ha dette alle
continue visite e alle continue pretese. Ma quando doveva rassicurarlo Riolo? A giugno a luglio?
A distanza di cinque mesi dalle pretese o nel momento in cui le pretese venivano avanzate. Allora
vediamo quando le pretese venivano avanzate.
Michele Aiello ci ha detto durante il suo esame che la richiesta delle assunzione era stata avanzata
in occasione del primo colloquio. Il 20 gennaio 2003, doveva essere un’infermiera, ma poi si sono
presentati un ragazzo e la fidanzata, comunque l’assunzione data 10 febbraio 2003 e i due ragazzi si
sono presentati il giorno 11 febbraio e noi lo sappiamo perché ce l’ha detto Aiello e perché N.E. ha
avuto il buon cuore di farci il commento di tutto il giorno lavorativo dei ragazzi, con la mamma del
ragazzo, la signora Marianna, al telefono con tre telefonate pomeridiane l’11 febbraio. Quindi
quand’è che c’è la pretesa delle assunzioni? La richiesta è avvenuta il 20 gennaio, l’assunzione è
avvenuta il 10 febbraio con decorrenza 11. I soldi, dice Aiello: “già ho pagato assai”.

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Quando è il prestito? Aiello ci ha detto che i soldi gli erano stati chiesti l’ 11 febbraio 2003, l’ultima
volta che aveva visto Nicolo Eucaliptus e che li aveva mandati al destinatario qualche giorno dopo
tramite Catrini?? che era andato con la busta in contrada Consona e aveva consegnato
materialmente a mano la busta a S.E.
Ma è vero che li aveva dati l’11 febbraio o nei giorni immediatamente successivi? Guardate, Nicolò
Eucaliptus ci ha detto una sola cosa: io gli ho chiesto una cortesia di assumere due persone e un
prestito per mio figlio e glieli ho chiesti la prima volta che sono andato da Aiello: il 20 gennaio
2003. 20 gennaio o 11 febbraio? La risposta ce la danno Salvatore Eucaliptus e Stefania Dell’Anna
nella opel corsa la sera del 21 gennaio alle 19:45. In quella famosa conversazione, in cui vi è
chiarissimo il riferimento al fatto che all’ing Aiello era stata chiesta una somma di 20 milioni di
lire. Qui Michele Aiello ha scientemente spostato una data. Quindi la richiesta avviene il 20
gennaio, e nei giorni successivi vengono mandati i soldi, e comunque resta fermo un dato: che le
continue visite di N .E. a Aiello sono tra il 20 gennaio 2003 e l’11 febbraio 2003. Che le richieste di
assunzione e di prestito avvengono tra il 20 gennaio 2003 e l’11febbraio 2003. Noi sappiamo già
perché ce lo dice S.E. il 18 giugno 2004 nella conversazione con i suoi familiari che ha ricevuto la
notizia prima del ritrovamento. Quindi prima dell’11 marzo del 2003 e allora noi abbiamo un altro
dato che ci chiarisce il quando perché adesso vaghiamo tra un 20 gennaio e una data generica prima
dell’ 11 marzo. Stando a quello che ci ha detto Riolo siamo tra il 20 gennaio e l’11 febbraio, ma
questo dato ci viene confermato da un risultato di sostanza perché dall’11 febbraio cioè dal giorno
successivo, non si registrano più conversazioni dentro la opel corsa! C’è il silenzio assoluto,
tombale, fino all’11 marzo quando la microspia viene trovata e cessa di funzionare e questo range
temporale 20 gennaio 11 febbraio coincide perfettamente con la data che ci aveva dato in termini di
certezza Riolo durante la fase delle indagini. Circa due mesi prima del ritrovamento!
Ancora una volta abbiamo degli elementi di prova oggettivi che riscontrano e ci aiutano a capire e
ha valutare le dichiarazioni fornite da Riolo e Aiello.
Proviamo a ricapitolare: Riolo ci ha detto di aver rivelato a Aiello che sulla opel corsa era stata
installata una microspia per le intercettazioni. Sappiamo che tra la fine del 2002 e gli inizi del 2003,
nelle date che ho detto, dentro quell’autovettura vengono acquisiti importanti elementi di prova, in
particolare a gennaio 2003 circa l’organico inserimento di N.e S. Eucaliptus nella famiglia mafiosa
di Bagheria, ma anche circa le relazioni tra gli E. e M.Aiello.
Dall’ 11 febbraio non si registrano più registrazioni utili.
Il servizio di intercettazione di interrompe dal gennaio 2003 perché la microspia installata
nell’autovettura viene neutralizzata.
L’11 marzo le fasi del rinvenimento vengono addirittura registrate dalla voce e dai rumori, ce ne
hanno riferito i militari. E noi su questo punto abbiamo anche sentito Alessandro Eucaliptus, l’altro
figlio di N. il 5 giugno 2007, il quale è venuto, si è seduto, dopo numerose ricerche e quando gli è
stato chiesto se sapesse qualche cosa di questa vicenda lui cadendo dalle nuvole sostanzialmente ci
ha detto “io non so niente, non ero io nella macchina. Non ho alcun ricordo della vicenda della
quale mi si chiede”. Poi a domanda sul fatto se comunque qualcuno gli avesse parlato di questo
fatto, lui ci ha risposto con queste parole “con i miei parenti, mio fratello, mio padre, ho
sinceramente pochi rapporti e non mi sono mai interessato di quello che”. E poi ha lasciato cadere
la frase. Queste dichiarazioni di A. E. sono irrilevanti ai fine della questione di cui ci interessiamo
perché se la persona che era in macchina è Alessandro E. allora è evidente perché c’è
l’intercettazione che lui ha mentito e questo è un primo problema. Se nella macchina c’era qualcun
altro al posto di A.E. i termini della questione non cambiano minimamente perché l’unica certezza
è che dal contenuto dell’intercettazione e da quello che ci hanno spiegato Damiano, Russo, Leone,
Riolo è che in quella macchina c’era una microspia e che l’11 marzo quella microspia era stata
trovata e neutralizzata e da quel giorno l’attività è chiusa.
Se la sequenza è quella che vi ho rappresentato, vale la pena di sottolineare un paio di circostanze.
In primo luogo che la microspia sulla opel corsa, a differenza di tutte le altre installate era l’unica
che funzionava e lo faceva bene, era l’unica attraverso la quale erano stati raccolti significativi

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elementi di prova. Sia dal punto di v della quantità, ma soprattutto dal p dv della qualità della prova
perché proprio a gennaio 2003 in quelle conversazioni si parla, compare il nome di Michele Aiello;
N E. e suo figlio fanno riferimento a relazioni, a rapporti con Aiello e i due ne parlano in modo
certamente diverso che di una vittima di mafia, non solo, ma c’è un altro dato che vale la pena
sottolineare e che questa circostanza Riolo l’apprende in tempo reale. Ce lo ha detto lui stesso: "mi
trovavo casualmente in sala ascolto” ed ho avuto modo di ascolare una conversazione nella quale N
E. e suo figlio S parlavano dell’ing Aiello, dicendo che “non lo dovevano rovinare”. E questa frase
figura soltanto in una delle tre intercettazioni che vanno dal 20 gennaio all’11 febraio perché la
frase “l’ ing non lo dobbiamo rovinare” o il concetto viene espresso soltanto il 20 gennaio 2003 e
l’11 febbraio 2003. Allora mettiamo insieme tutti questi dati e diciamo che dopo la collocazione
della microspia in un tempo che va certamente, successivo al 17 gennaio 2003 e va comunque dalla
prima intercett. in cui figura il nome di Aiello 20 gennaio 2003 all011 febb.2003 Riolo confida a
Aiello l’esistenza di queste attività. E Aiello si precipita a dirlo a S. Eucaliptus e infatti dal febbraio
03 non ci sono più conversazioni utili.
Allora siamo in presenza di una sequenza logico-temporale che fornisce la dimostrazione di come
un’informazione così riservata per il tramite di Riolo per il tramite di Aiello sia transitata alla
famiglia Eucaliptus Salvatore e a suo padre Nicolò. È materialmente palpabile il vantaggio che da
tale illecita rivelazione è derivato non solo il favore dei diretti interessati e cioè di Michele Aiello,
di Salvatore Eucaliptus etc, ma soprattutto dell’organizzazione mafiosa Cosa nostra che dalla
continuazione di quelle conversazioni su quella macchina aveva tutto da perdere e nulla da
guadagnare.

In questo contesto di rivelazioni, di notizie che riguardavano le attività investigative abbiamo detto
su Nicolò Eucaliptus, su Salvatore Eucaliptus, sui generi, su tutti i componenti di questa famiglia,
Giorgio Riolo ha confidato a M. Aiello anche l’esistenza di contatti di natura confidenziale tra
personale appartenente al Sisde e S. E. Contatti che erano finalizzati all’acquisizione di notizie utile
per la cattura dell’allora latitante B. Provenzano. Ce lo ha detto il 26 aprile 2004 durante un
interrogatorio al pm Giorgio Riolo, il quale già all’epoca aveva ammesso di avere detto a Aiello che
c’era uno della famiglia Eucaliptus che faceva il collaborante dei servizi. Poi la questione è stata
oggetto della dichiarazione che Riolo ha reso al dibattimento e siamo all’udienza del 4 aprile 2006.
Ci ha detto testualmente Giorgio Riolo: “in un momento di crisi che aveva l’ingegnere, che era
molto preoccupato, sempre per questo fatto, io gli dissi di stare tranquillo perché c’era anche
addirittura all’interno di questa famiglia, che erano un po’ strani, c’era il figlio che faceva il
collaboratore del Sisde e quindi figuriamoci di che cosa aveva da preoccuparsi. Potevano dire
solamente che richiedevano il pizzo all’ing quindi di stare tranquillo perché non aveva nulla di cui
preoccuparsi”.
Ha detto Riolo che a sua volta questa notizia che aveva appunto confidato ad Aiello l’aveva appresa
dal suo comandante, il quale a un certo punto lo aveva sollecitato ad essere celere nelle attività che
gli venivano affidate perché ora “ci sono pure i servizi che lavorano, dobbiamo fare presto”. Riolo
ci ha detto che aveva appreso questa notizia – l’esistenza di un rapporto di collaborazione
confidenziale tra S. Eucaliptus e il Sisde - lo aveva appreso a rientro di un periodo durante il quale
si era allontanato dall’ufficio, e cioè dopo il 17 gennaio 2003 e ci ha detto di averlo rivelato a Aiello
dopo avergli confidato della microspia installata sull’autovettura di S. Eucaliptus. Quindi lui
l’apprende al ritorno della convalescenza e la partecipa a Aiello subito dopo -dice- che gli avevo
detto della microspia sulla Opel corsa.
Abbiamo sostanzialmente su questa notizia una serie di dichiarazioni sua sull’anno della
confidenza, sia sull’oggetto della confidenza, sia su quando è stata effettuata la confidenza che ci
consegna una dato sostanzialmente coerente tra quello che ci ha confidato Riolo durante le indagini
e quello che ha dichiarato al dibattimento. Aiello ha reso dichiarazioni su questo punto il 21
febbraio 2006 e ha confermato che Riolo gli aveva detto che il figlio di Eucaliptus apparteneva al

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sisde e che praticamente era stato era un collaboratore del sisde e ci ha detto Aiello: “guardate che
questa cosa me l’ha detta a giugno nell’estate del 2003”.
Anche questa notizia è vera, che quando è stata rivelata era coperta da segreto nonostante tutti i
tentativi di Michele Aiello di spostare le date delle rivelazioni per privare di rilevanze le gravissime
condotte di cui è responsabile. Di questa circostanza ci ha riferito Damiano, all’udienza del 18
ottobre 2005, in particolare qualche cosa ci ha detto anche Govanni Sozzo il 12 aprile 2005.
Damiano in particolare ci ha spiegato che dall’ascolto delle utenze telefoniche Eucaliptus di S.
erano emersi contatti tra lo stesso S Eucaliptus e appartenenti ai servizi di formazione, al Sisde. In
altri termini era stata intercettata sul telefono di S. Eucaliptus una chiamata tra il telefono di S.
Eucaliptus e un numero di utenza fissa romana intestato in uso appunti ai Servizi, in particolare
all’ente Sisde, durante il quale veniva effettuata una conversazione con un funzionario del Sisde
nell’ambito di un rapporto certamente istituzionale. Ci ha detto Damiano che l’esistenza di questi
rapporti, che dal tenore della conversazione si capiva essere finalizzati alla ricerca di notizie utili
alla cattura di B.Provenzano era stata poi confermata oltre che dalla telefonata intercettata
sull’utenza in uso a S. Eucaliptus, era stata anche confermata da una successiva conversazione che
era stata oggetto di attenzione nella macchina di S. Eucaliptus. Era una conversazione tra S.
Eucaliptus e suo padre Nicolò, durate la quale il figlio aveva riferito al padre l’esistenza di questi
contatti. Ci ha detto Damiano che la telefonata era stata registrata al novembre 2002 e che
l’ambientale era del 26 gennaio 2003. Ci dice Riolo che questa notizia lui l’apprende al ritorno dalla
convalescenza che è un dato assolutamente compatibile con 11/2002 e 26 gennaio 2003 che ci ha
riferito Damiano, come momenti in cui la notizia viene appresa e poi confermata anche dalla
sezione, e ci dice di averla rivelata immediatamente dopo aver detto a Aiello della microspia, quindi
in un periodo immediatamente successivo ad un lasso temporale che abbiamo già spiegato perché
va dal 20/01/03 all’11/02/03. La notizia è rimasta coperta dal segreto certamente fino al 9/06/04, e
cioè al momento in cui è stato arrestato Salvatore Eucaliptus. Ed è il primo momento in cui nel
provvedimento di fermo che lo riguarda si fa menzione di questa telefonata del novembre 2002 e
dell’ambientale successiva. Quindi fino al 9/06, quindi quando la rivelazione è stata effettuata,
quindi poco tempo dopo che Riolo aveva detto della microspia nell’autovettura avviene anche
questa confidenza e questa confidenza ha per oggetto in quel momento una notizia coperta da
segreto. Riolo ha rivelato a Aiello anche sempre nel quadro delle rivelazioni concernenti le attività
investigative sul nucleo familiare Eucaliptus anche l’esistenza di attività investigative e la
collocazione di apparecchiature tecniche in particolare microspie, telecamere che riguardavano
persone legate da vincoli di parentela acquista con N Eucaliptus ed in particolare i due generi di N.
Eucaliptus Liborio Pipia e Onofrio Monreale, che nel periodo in cui venivano effettuate queste
attività esercitavano, l’uno, Pipia, più ufficialmente, l’altro come si direbbe in regime di 12
quinquies, attività imprenditoriali che avevano sede in quel periodo vicino alla stazione ferroviaria
di Bagheria e quindi in prossimità di piazza Agulia, nel centro di Bagheria. Ce ne ha parlato Riolo
sin dall’interrogatorio del 15/05/04 quando testualmente ci ha detto “di piazza Agulia, questa
telecamera glielo detta pure ad Aiello. Cioè era un secchio, che andai addirittura a confezionarlo io
a Milano. Di questo secchio io non ne parlai completamente ad Aiello nella maniera più assoluta,
non c’era il motivo. Là non ne parlai, però parlai di questo servizio, di questo supermercato. Cioè
ho dato tracce sicuramente, ma non della telecamere, dell’obiettivo di questo supermercato sì”. Poi
Riolo ha affrontato lo stesso argomento sostanzialmente confermando questa rivelazione
nell’interrogatorio del pm del 26/04/04 e poi ha ripreso l’argomento durante l’esame all’udienza
del 4/04/06. Ora, quando si parla del supermercato si fa riferimento ad una sede dove Liborio Pipia
esercitava la propria attività ed è la sede di una soc. cooperativa che si chiamava Cefalà, dove
c’erano credo commercializzazione di prodotti agricoli, agrumi etc.
L’esame dibattimentale di Riolo. In sintesi ci ha detto: “che in un periodo certamente anteriore alla
sua assenza dall’ufficio, epoca anteriore all’autunno del 2002, aveva curato l’installazione di una
telecamera attraverso cui doveva essere osservato l’accesso alla sede di uno dei generi di N.
Eucaliptus e cioè di Liborio Pipia che esercitava un’attività con un ufficio in pzza Agulia a

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Bagheria. Ci ha detto riolo che nella stessa piazza era installata anche un'altra telecamera , diversa
da questa, che era funzionale ad osservare i movimenti dell’altro genero, Onofrio Monreale, che era
il gestore di fatto della Consud tir, una soc.cooperativa che operava nel settore del trasporto merci e
che aveva all’epoca la propria sede in piazza Agulia a un 100 di metri di distanza dalla sedi di
Liborio Pipia. Ci ha detto Riolo che per installare la telecamera sull’obiettivo Pipia, avevano dovuto
fare ricorso a uno stratagemma , cioè avevano collocato la telecamera sopra il tetto di un rudere sito
in prossimità della sede della società Cefalà sul cui tetto era stato abbandonato un secchio, in cui
intendevano celare la telecamera. Ci ha detto Riolo che durante il tempo occorso per effettuare
l’installazione, della telecamera all’interno del secchio, in secchio era stato sostituito con un altro
che era stato bagnato, bruciato, adattato in modo tale da risultare del tutto identico a quello che si
trovava sul tetto e che era stato rimosso per consentire la collocazione della telecamera. Ci ha detto
Riolo che quando il secchio con all’interno la telecamera era pronto era stato portato sul tetto per
collegarlo ai cavi di alimentazione ma che alcuni problemi tecnici, in particolare relativi al
brandeggio della telecamera avevano impedito il coretto funzionamento della telecamera, quindi
avevano dovuto tornare sul tetto, provvedere a una nuova sostituzione del secchio originario con il
muletto e quando quello originale era nuovamente pronto, si erano recati per effettuare la
sostituzione e far funzionare finalmente la telecamera si erano accorti che il secchio-muletto era
stato portato via. Quindi essendo il muletto collegato in prossimità dei cavi elettrici avevano
rinunciato all’attività perché il furto del secchio equivaleva alla scoperta del tentativo di effettuare
un osservazione attraverso la telecamera. Riolo ci ha detto che di tutta questa complessa vicenda
tecnica si era occupato lui personalmente attraverso i suoi colleghi, Leone e sotto la direzione
dell’ufficiale che era il capitano Sozzo e ci ha detto che quando avevano cominciato a discutere di
questa installazione, in qualche modo lui aveva espresso qualche perplessità sulla riuscita di questa
manovra tecnica perché a suo giudizio era rischiosa perché questa collocazione comportava un
allacciamento ai cavi obbligata e cioè in una posizione, secondo Riolo, che questi cavi potevano
essere scoperti. Ed era rischiosa ci ha detto R perché costringeva a recarsi a lavorare sul tetto in una
zona piuttosto frequentata e ci ha detto Riolo che nei suoi ricordi una notte in cui si erano recati sul
tetto per lavorare aveva notato che c’era una pizzeria piena di ragazzi perché era il giorno di S
Valentino e forse ci avevano visti. Quindi rispetto alla rispetto alla dinamica Riolo introduce degli
elementi di cui per altro non aveva fatto cenno all'interrogatorio al pm ai quali avrebbe potuto
ricollegarsi alla scoperta del secchio. Ci ha detto Riolo che di tutta questa attività aveva parlato e
aveva riferito a M. Aiello. Anzi ci ha detto Riolo, che questa cosa del supermercato. e ce lo ha detto
prima ancora che gli venissero effettuate le contestazioni, era l'unica attività di cui gli aveva parlato
in corso d'opera. Quindi qui non abbiamo parole da spendere si contestazioni sul problema del
quando, perché questo è sicuro. Riolo confida queste circostanze a Aiello, mentre queste attività
erano in corso. Dice testualmente Riolo:"Gli avevo detto che stavamo lavorando nella direzione del
supermercato e gli avevo fatto esplicitamente il nome di Pipia, come della persona su cui lui e la sua
sezione stavano in quel momento investigando". Gli aveva detto anche che stavano installando una
telecamera per effettuare servizi di osservazione su Liborio Pipia e ci ha detto che lo aveva fatto
appunto mentre questa complessa vicenda del secchio era in pieno svolgimento. Poi in sede di
riesame, l'11/04/06, Riolo ha detto qualche cosa di più sfumato, sul filo del non ricordo, e cioè ha
confermato che aveva detto a Aiello dell'attività che gli aveva detto dell'indirizzo, che era un'attività
che riguardava il supermercato e Liborio Pipia, ma ha detto forse delle attività tecniche della
telecamera, del secchio etc etc. non gli avevo parlato.
Poco importa, rimane fissato nelle dichiarazioni di Riolo l'anno della rivelazione, sia l'oggetto delle
dichiarazioni, sia l'indirizzo, sia il nominativo, sia la localizzazione dell'attività, rimane fissato fin
dall'inizio in modo preciso anche il quando, quando le attività erano in corso, quando c'era questo
balletto intorno al secchio. È stato sentito Aiello 21/02/2006 e ad Aiello viene chiesto: "Riolo le ha
mai riferito di attività investigative di carattere tecnico con l'installazione di telecamere per
sorvegliare l'attività gestita dal genero di N. Eucaliptus?" e Aiello ha risposto: "Mi ha detto che
attenzionavano un supermercato del genero del sig. Eucaliptus " e poi Aiello ha aggiunto che Riolo

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gli aveva fatto il nome e ci ha detto che gli aveva fatto il nome di Onofrio Monreale e che nella
circostanza Riolo non gli aveva parlato delle modalità con le quali questo genero veniva
attenzionato, gli ha detto invece delle attenzioni investigative. Abbiamo già un primo dato
significativo, ovvero che Aiello viene messo al corrente certamente in tempi contestuali allo
svolgimento non dell'attività, ma a quando vengono poste quelle preliminari, quelle tecniche,
preliminari all'attività, perché attività ancora non ce ne è. In realtà Aiello non viene messo al
corrente di un'attività, ma del fatto che innanzitutto il titolare di quello che lui chiama il
supermercato, che è la società Cefalà di Liborio Pipia è oggetto di attività investigative. Viene
messo al corrente che nei suoi confronti c'è un avvio di attività tecniche, in particolare c'è la fase
della preparazione di queste iniziative. Ma Aiello in quella fase ci dice gli viene fatto anche il nome
di Onofrio Monreale tant'è che Aiello ci dice di ricollegare il supermercato al nominativo di
Onofrio Monreale. Dobbiamo collocare la rivelazione di questa notizia ammessa da Riolo e
ammessa anche se con qualche lieve sfumatura, evidentemente, da Aiello. E dobbiamo collocare le
date.
Allora l'inizio dello svolgimento di queste attività ci sono state riferite da Damiano il 18/06/05 e per
quanto riguarda la vicenda della famosa telecamera nel secchio da Giovanni Sozzo il 12/05/2005.
Intanto Daminano ci ha spiegato qual era l'input che aveva dato avvio a queste due attività e sono
parole importanti perché ci fanno capire qual era la rilevanza che la sezione anticrimine assegnava a
queste attività. Damiano ci dice : "Come avevo detto prima - ci aveva spiegato l'importanza della
famiglia Eucaliptus - iniziammo a saggiare la fam. Eucaliptus da un p d v investigativo in un
momento in cui Nicolò Eucaliptus e Onofrio Monreale sono detenuti. Cominciammo a guardare i
profili investigativi all'altro genero libero, Liborio Pipia, in funzione proprio di quella rivalutazione,
che avevamo fatto, giusta o sbagliata che poi fosse (Prestipino: era giusta…) della fam. Eucaliptus.
Questa iniziale attività non diede per la verità un esito particolarmente vivace per le idee che
volevamo perseguire però, mentre eravamo in fase di costruzione, nel novembre del 2001, da
Caltanissetta arriva questo spunto da Casteldaccia, viene individuato Andrea Panno di Casteldaccia
per cui andiamo nell'immediato di provare di vedere se vi è ralazione tra gli uomini di Casteldaccia
e gli uomini di Bagheria". E Damiano ci ha spiegato che cos' era questo input da Caltanissetta e
Andrea Panno. Siamo a novembre 2001, cioè la sezione anticrimine di Cl in coordinamento con
quella di Palermo aveva iniziato a ragionare sul fatto che c'erano dei periodici movimenti tra
Casteldaccia e Vittoria presso l'azienda agricola di tale Cavaliere Martorana di persone, appunto di
Casteldaccia. Inizialmente di persone che si chiamano Andrea Panno e Giuseppe Virruso e ci dice
Damiano che sulla base dell'osservazione di questi movimenti la sezione anticrimine fa un'ipotesi
investigativa che è quella che questi movimenti sono funzionali a transitare i biglietti di
Provenzano. Allora se i biglietti di Provenzano, come ipotesi, che poi vedremo a distanza di anni
non era affatto un'ipotesi, arrivavano a Casteldaccia, si trattava di vedere, dice Damiano, se da
Casteldaccia prendevano almeno la via di Bagheria e quindi vedere se c'è relazione tra gli uomini di
Casteldaccia e gli uomini di Bagheria. Damiano ci ha appunto ricostruito quelli che erano almeno i
termini iniziali della ricostruzione di questo circuito attraverso cui transitavano da Vittoria fino a
Casteldaccia le comunicazioni di Provenzano attraverso appunto le persone di Cavaliere Martorana,
Andrea Panno, Giuseppe Virruso di Casteldaccia e ci dice Daminano che, successivamente a un
altro viaggio, di quelli che collegavano l'azienda di Vittoria a Casteldaccia, "all'esito di questo
secondo viaggio il 18/02/2002 (Prestipino: questa è una data importante) vediamo entrare a
Bagheria 18/02/2002 nei pressi della stazione ferroviaria in buona sostanza Giovanni Panno, che è
un ing che è figlio di Biddu Panno, accompagnato da Bartolo Virruso che è il figlio di G. Virruso".
Per cui dice Antonio Damiano, la presenza accade tre giorni dopo che Panno Andrea aveva fatto il
viaggio a Vittoria. Questa presenza in Bagheria di Giovanni Panno, accompagnato da Bartolo
Virruso, poteva farci ipotizzare che una strada possibile per il proseguio dei biglietti di Provenzano
fosse Bagheria e fosse proprio la fam. Eucaliptus. Ragion per cui dal 18/02/2002 andiamo ad
aumentare di più l'attenzione su Onofrio Monreale, perché è Monreale che si incontra con Giovanni
Panno. Onofrio Monreale era detenuto, era stato nell frattempo scarcerato, se non ricordo male, il

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31 ottobre del 2001. Nel frattempo, siamo al 18/02/02, ci ha detto Damiano guardavamo anche
Pipia Liborio, vuol dire attraverso osservazioni fatte con i militari, l'altro genero, nella società di cui
ho detto prima Cefalà, che nel frattempo si era spostata da Casteldaccia a Bagheria, proprio in
prossimità della Consud Tir, dove tutte le mattine andava a curare i suoi interessi Onofrio Monreale.
Ci ha detto D.L'attività su Liborio Pipia e sulla Cefalà, era stata avviata nel febbraio del 2002,
avevamo cominciato prima per quelle di Pipia e poi ho come ho detto nel breve tempo ci siamo
spostati dritti dritti su Monreale. L'accelerazione e quindi la messa in opera di tutte queste attività è
proprio successiva all'incontro di cui ho fatto riferimento tra Panno Giovanni, Onofrio Monreale
che accade il 18/02/02, proprio perché quell'incontro poteva segnare nelle logiche di ragionamento
che poteva segnare un inizio della ricerca dei biglietti di Provenzano proprio nella zona dove
operavano Onofrio Monreale e Pipia e quindi da quella data, dal 18/02/02, parte una serie di attività
tendente a mettere una telecamera che ci consentisse l'osservazione sull'ingresso sull'attività su
Pipia Liborio e tutte quelle attività che ci consentissero di verificare come accadeva all'interno della
Consud Tir di Monreale. Sostanzialmente la nostra configurazione, ha detto Damiano, prevedeva
una telecamera che potesse guardare l'ingresso della società di Pipia e un'altra che prendeva di filato
la Consud Tir.
E poi ci ha raccontato quello che era accaduto, "l'idea era quella di sistemare questo ausilio tecnico
su di un tetto di una casa diroccata lì nei dintorni, e celare la telecamera all'interno di un secchio,
avevamo messo in opera le prime operazioni che per noi erano la stesura di un filo, la sistemazione
di un secchio con la stesura di un filo per fare abituare l'ambiente alla presenza del secchio. Solo
che dopo una settimana o 10 giorni che avevamo sistemato 'sto secchio all'atto di verificare se tutto
fosse regolare, il secchio non c'era più e abbiamo dovuto rinunciare a portare avanti quell'idea di
lavoro. Particolari più precisi su questa installazione ce li ha dati il cap. Sozzo che di
quest'installazione, insieme a Leone, Riolo e altri tecnici, si era materialmente, direttamente e
personalmente preoccupato. E ci dice Sozzo, che durante l'osservazione effettuata prima del
febbraio 2002 era stato notato che i 2 cognati che frequentavano le 2 sedi site a poca distanza l'una
all'altra, ovviamente durante la giornata avevano una serie di ripetuti contatti. Poi era accaduto il 18
febbraio che era stato osservato questo contatto tra le persone provenienti da Casteldaccia e cioè
Panno Giovanni e Bartolo Virruso, e Monreale. E ci ha detto Sozzo che questa circostanza aveva
appunto fatto maturare l'idea che effettivamente ci fosse questo collegamento sul percorso, sulla via
dei biglietti da e per Provenzano in direzione Eucaliptus-Bagheria e che quindi vi era stata
un'accelerazione dell'attività tecnica con l'idea di piazzare queste telecamere per vedere, per
osservare, i contatti e la cadenza dei contatti. In quella fase non si capiva bene sui due generi quale
fosse quello giusto e quindi la decisione era di installare 2 telecamere distinte per guardare sia
l'accesso alla Cefalà sia l'accesso alla Consud Tir. Sozzo dice che a seguito di questa decisone,
maturata dopo il 18/02/02, lui con il gruppo tecnico, avevano studiato il modo di effettuare
quest'osservazione attraverso l'installazione di due distinte telecamere. Una che doveva guardare la
Cefalà, una la Consud Tir. E ci ha detto Sozzo, dopo una serie di discorsi e discussioni, di comune
accordo avevano trovato un'idea. Quindi in epoca certamente successiva al 18/02/02, avevano
iniziato a mettere in pratica l'idea che avevano maturato. E ci ha detto Sozzo, testualemente, "ho
segnato le date: il 26/02/02 abbiamo eseguito la prima operazione diretta sul posto, siamo saliti con
delle scale sul tetto di questa casa diroccata e abbiamo condotto, fino al punto in cui avremmo poi
successivamente installato la telecamera, abbiamo condotto il cavo che serviva per fornire
l'alimentazione necessaria che serviva per far funzionare questa telecamera. Il 6 marzo del 2002
andiamo a eseguire l'installazione, la fisica installazione della telecamera, ci rechiamo nuovamente
su ed è il secondo intervento diretto su questa casa diroccata. Se non che è accaduto che ben presto
dopo pochi giorni che io ricordo, dopo uno o due giorni, la telecamera contenente il secchio subì un
malfunzionamento". Quindi siamo già in epoca già successiva al 6 marzo. "Si bloccò. Dammo
luogo a un nuovo intervento tecnico diretto sul posto, cui pure partecipò personalmente Riolo. E
questa volta lo scopo dell'attività era quella di prelevare nuovamente e rimuovere il secchio dentro
cui avevamo occultato la telecamera e sostituirlo con un simulacro. Andiamo lì, togliamo il secchio

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guasto, ne rimettiamo un altro che abbia l'aspetto analogo lo verniciamo nella stessa maniera,
potiamo via il secchio contente la telecamera, per provvedere alle necessarie riparazioni tecniche. E
questo avviene l'11 marzo. Il 12 marzo, durante un'altra attività che il personale aveva in corso a
Bagheria, passando da lì guardano e si accorgono che il secchio, che noi avevamo collocato in quel
punto come simulacro era sparito, era stato rimosso. Nei giorni seguenti, installammo l'altra
telecamera. Quella sull'altro obiettivo. Quella sulla Consud tir". A Sozzo è stato chiesto anche, se
nelle diverse occasioni in cui avevano preparato l'operazione, l'installazione tecnica, insomma
quando c'erano state le discussioni con il gruppo tecnico, Riolo aveva mai espresso delle riserve
sulle modalità e sui tempi dell'operazione. E Sozzo ha risposto: "no, no no, assolutamente. Anche
perché dico lì, quando svolgiamo questo tipo di attività sostanzialmente i problemi da valutare sono
di due tipi. Quello che noi chiamiamo di natura tattica, relativa all'organizzazione del servizio alla
scelta delle modalità di movimento alla scelta degli orari in cui svolgere il servizio al fine di non
essere individuati e quello relativo all'occultamento dell'apparecchiatura tecnica. Lui al limite per il
suo ruolo, avrebbe potuto interloquire sulle modalità di occultamento delle apparecchiature tecniche
e in quella circostanza ricordo con precisione che espresse il suo parere. Tra l'altro l'idea del secchio
fu mia in particolare. Fui io a proporre ai tecnici questa soluzione e mi ricordo che loro espressero
l'apprezzamento positivo per questa soluzione individuata".
Sul punto abbiamo anche sentito il maresciallo Leone, che era l'altro tecnico, all'udienza del 13
marzo 2007 e Leone raccontandoci di questa attività. Ci ha detto esplicitamente che furono studiate
all'inizio alcune soluzioni alternative, tra cui quella del secchio, ma che alla fine l'unica soluzione
praticabile e che fu decisa era quella che per comodità diciamo del "secchio". Leone però ci ha detto
anche un'altra cosa. Perché là c'erano altri due punti in cui Riolo aveva introdotto di fatto degli
elementi che di fatto potevano far pensare a una soluzione alternativa, rispetto al ricollegamento
causale con la fuga di notizie il ritrovamento del secchio. Ci ha detto che erano sul tetto quando la
notte erano sul tetto si S. Valentino, la zona era piena di ragazzi e c'era la pizzeria. Ed è uno e
quindi dicevamo che forse eravamo stati visti e poi ci ha detto che erano saliti lì tante volte, quindi
era possibile, era una zona frequentata etc.
Ora, la storia di S. Valentino non esiste perché sia A. Damiano sia G. Sozzo ci hanno detto che gli
interventi sono stati effettuati in un'epoca certamente successiva al 18/02 e ci hanno anzi spiegato
perché, perché proprio il 18/02 si realizza quella circostanza del collegamento Casteldaccia-
Bagheria che dà l'input per iniziare le attività tecniche sui 2 generi di Eucaliptus. Sozzo ci ha dato le
date dei diversi interventi: 26 febbraio, 6 marzo, 11 marzo. L'altro elemento che viene introdotto da
Giorgio Riolo viene smentito oltre che da Damiano e Sozzo anche da Leone e Leone ci ha detto che
effettivamente si erano recati diverse volte sul tetto ma che certamente non erano stati mai stati visti
da alcuno perché ogni volta che erano saliti su quel tetto c'erano sempre come in tutte le occasioni
di applicazioni di interventi di questo genere. C'era sempre in servizio di copertura a garantire la
riuscita dell'intervento. Ora chi fosse O. Monreale, perché in quel momento, dovesse essere oggetto
di attività investigative di un investimento dal punto di vista investigativo ce lo hanno spiegato sia il
capitano Sozzo sia il colonnello Damiano e ci hanno riferito di elementi che si aggiungono in quel
momento alla circostanza verificatosi il 18 febbraio e che già sostanzialmente facevano pensare a
Monreale come a una persona vicina a B. Provenzano. Il colonnello Damiano o il cap Sozzo, adesso
non riesco a ricordare chi dei due, ci ha per esempio riferito che di Monreale aveva parlato in
termini particolari, cioè indicandolo come un soggetto fiduciariamente legato a Bernardo
Provenzano, aveva parlato già Giovanni Brusca e all'inizio del 2002 quelle indicazioni di Giovanni
Brusca erano ben conosciute dalla sezione anticrimine. Ma di Onofrio Monreale ci ha detto,
circostanza assolutamente importanti e significative nel corso del nostro dibattimento l'8/05/2005
Antonino Giuffrè, confermandoci esattamente e puntualmente quelle indicazioni che a suo tempo
aveva dato Giovanni Brusca ci ha raccontato di essere stato presente alla combinazione di Onofrio
Monreale, una combinazione in forma riservata, che per lungo tempo era stata conosciuta soltanto
da chi era presente a quella "cerimonia" e cioè Bernardo Provenzano, Pietro Aglieri e Carlo Greco,
oltre che lui, cioè Giuffrè. "Monreale", dice Giuffrè: "la storia è un pochettino lunghetta", e ce la

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racconta, io evito di rileggere il verbale, dice poi "Monreale sarà combinato, c' eravamo io, Pietro
Aglieri, Provenzano, Carlo Greco, sarà combinato e tenuto segreto ai più della famiglia di Bagheria.
Da allora diciamo che Onofrio Monreale ha avuto un ruolo sempre più importante all'interno della
mafia di Bagheria e del Provenzano stesso" e poi infatti ci dice che Onofrio Monreale era un
personaggio legatissimo a Provenzano, che era stato utilizzato dal gruppo di Provenzano e che
nell'ultimo periodo era stato uno dei soggetti che avevano il contatto, che erano il tramite di
Provenzano sull'area di Bagheria. Ricorderete che proprio all'inizio del suo esame proprio quando
gli era stata rivolta la domanda su chi fossero i tramiti i primi nomi che Antonino Giuffrè aveva
fatto per quanto riguarda Bagheria erano stati Onofrio Monreale e Pietro Loiacono. E dunque, in
quella primavera del 2002, anche l'attività su Monreale era stata avviata con l'attivazione di
telecamere che dovevano servire e in particolare osservare le frequentazioni in particolare con
riguardo ai contatti, alla frequenza e alle date con le persone di Casteldaccio, cioè con quelli che
andavano a prendere i biglietti a Vittoria. Ma se l'attività su Liborio Pipia non aveva neppure potuto
avere inizio perché contestualmente al momento in cui Riolo rivela a Aiello la notizia che Pipia era
sotto l'investigazione del Ros e che erano in corso le applicazioni di carattere tecnico dove sparisce
il secchio, diciamo che non aveva avuto sorte migliore neppure l'attività su Onofrio Monreale
perché nei confronti di Monreale - partiamo con la telecamera nella primavera del 2002- fino alla
fine del 2003 e già ieri ho detto qualche cosa al riguardo, fino alla fine del 2003 non erano stati
raccolti elementi di prova significativi. Era stato solo raccolto qualche rarefatto elemento
frammentario forse il più significativo di tutti era una conversazione ambientale intercettata
all'interno dell'abitazione di Acquedolci di N. Eucaliptus il 29/07/2002. Questo è un elemento di
prova, in questa conversazione sostanzialmente Monreale, faceva il rendiconto di talune attività:
iniziative che lui seguiva a Bagheria e le riferisce al suocero, ma oltre a questo elemento, altri
elementi non ne sono stati raccolti. E Damiano ci ha riferito poi specificatamente come era
proseguita l'attività investigativa nei confronti di O. Monreale, a partire da quella che io chiamerei
la "seconda fase" delle attività di indagine su Monreale. La seconda fase che ha inizio con due
eventi.
Il primo evento è l'arresto di Riolo e Aiello, il 5 novembre 2003. Il secondo evento, anche esso
determinante è lo spostamento della sede della Consud Tir da piazza Agulia in un posto diverso, in
un nuovo spazio, collocato sulla s. statale 113, in prossimità di Bagheria, spostata la sede, anche
l'attività tecnica, era stata spostata. E sull'inizio del 2004 ci ha detto Damiano, erano state installate
delle telecamere che puntavano intanto sull'abitazione di Onofrio Monreale in contrada Consona per
poterne seguire ogni spostamento a partire da quando usciva di casa. E poi attraverso un'altra
telecamera veniva osservata l'ingresso al ristorante che gestiva a Bagheria lo zio di O.Monreale,
cioè il fratello della mamma di Ignazia Eucaliptus, Santo Castronovo, perché in questo ristorante
spesso e volentieri Monreale si recava e incontrava determinate persone e un'altra telecamera era
stata installata in direzione dei nuovi locali della Consud tir e a seguire, quindi siamo con una serie
di installazioni che partono diciamo dal 2004 quando attraverso l'osservazione dei movimenti di
Monreale, vengono individuate le persone con le quali lui aveva i maggiori e frequenti contatti e in
particolare vengono individuate due persone attraverso queste nuove telecamere. Queste due
persone sono Carmelo Bartolone ed Emanuele Lentini, nelle cui autovetture veniva spesso visto
salire O. Monreale, circostanza che induce la sezione anticrimine a chiedere ed ottenere dei decreti
di intercettazione delle conversazioni che avvenivano proprio su queste vetture, ma siamo già nella
primavera avanzata del 2004. Damiano, torniamo indietro e partiamo dalla Consud tir, ci ha
descritto la nuova sede della Consud Tir sulla strada statale 113. Ci ha detto: "il posto è
sostanzialmente un largo spazio all'aperto per parcheggio di cammion e c'è un piccolo manufatto
che serve ad uffici. Tutta l'area era recintata, c'era un cancello chiuso e ha puntualizzato Damiano
ad esplicita domanda che dall'esterno la recinzione non consentiva di vedere quello che accadeva
all'interno del piazzale perché era una recinzione alta. Di tipo chiuso e ci ha detto Damiano che,
appunto, dall'inizio del 2004, era stata installata da una lunga distanza una telecamera
tecnologicamente molto avanzata che consentiva di effettuare delle videoriprese da una posizione

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elevata. Cioè da una posizione che consentiva di superare l'ostacolo costituito dal fatto che
dall'esterno verso l'interno sullo stesso piano non si vedesse quello che accadeva all'interno del
piazzale. E Damiano ci ha riferito dei risultati intanto che questa attività di osservazione e ci ha
detto dopo l'inizio del 2004, attraverso questa telecamera erano stati osservati incontri periodici tra
Monreale e gli uomini di Casteldaccia, proprio quelli, diciamo che andavano a Vittoria
periodicamente e questi movimenti avvenivano esattamente, contestualmente in successione
temporale significativa, rispetto a quei movimenti su Vittoria, ci ha detto Damiano che su quel
piazzale avevano fatto la loro comparsa Nicola Mandalà e Ignazio Fontana, appartenenti alla
famiglia mafiosa di Villabbate che in quel periodo erano uno dei luoghi di transito dei biglietti di B.
Provenzano, soggetti seguiti dalla polizia di stato, quindi diciamo in quel momento, quando il Ros
filma, videoriprende, la presenza di Nicola Mandalà e I. Fontana sul piazzale della Consud Tir, sa
che quell'incontro è significativo perché ha delle informazioni su chi sono Nicola Mandalà e
I.Fontana dalla polizia di Stato che in quel momento seguiva i due mafiosi di Villabbate. E su quel
piazzale viene registrata significativamente, anche la presenza di uno dei figli del boss di Belmonte
Mezzagno, Francesco Pastoia, quindi su quel piazzale si realizza tutto il quadro del circuito di
relazioni che in quel periodo faceva capo a B. Provenzano perché ci sono le persone che vengono
da Casteldaccia, ci sono gli uomini d'onore di Villabate e c'è il collegamento con Francesco Pastoia.
Ci ha raccontato Damiano che mentre per Casteldaccia erano notizie frutto delle loro acquisizioni e
delle loro ipotesi investigative, il resto lo aveva fatto quel rapporto di cui ho già fatto cenno, di
collaborazione, di comunicazione, di scambio di notizie che in quel momento la sezione anticrimine
anche attraverso l'ufficio della procura manteneva con la polizia di stato. Ci ha detto Damiano che
Monreale incontrava queste persone nel piazzale con delle particolari modalità e cioè le avvicinava,
parlava passeggiando nel cortile e ovviamente non parlava mai con nessuno all'interno dell'ufficio
dove era stata installata una microspia per captare quelle conversazioni. E questo, ci ha detto
Damiano, accadeva sia d'inverno che d'estate. Noi abbiamo una serie di dati certi che l'esistenza di
attività investigative su questi due soggetti viene comunicata da Riolo ad Aiello, mentre sono in
corso le fasi del tentativo di installazione della telecamera sulla società Cefalà e quindi siamo
esattamente in una data che va dal 18/02/02 e più verosimilmente dal 26/02/02, che è la prima data
di accesso dei carabinieri sul tetto del rudere fino all'11 marzo 2002, che è l'ultima data di accesso
dei carabinieri sul rudere, il 12 il secchio sparisce e come dire l'attività non ha nemmeno inizio.
Quindi questa è la data, c'è lo ha detto Riolo, anzi ce lo ha pure sottolineato, "quella del
supermercato è l'unica cosa che gli ho detto in corso", quindi noi abbiamo questa data. Ebbene dopo
questa rivelazione, una delle attività, quella su Piapia nemmeno parte, per evidenti motivi
precauzionali, perché nel frattempo era sparito il famoso secchio, mentre l'altra, quella su Monreale
non dà nessun tipo di risultato, non consente l'acquisizione di alcun elemento di prova, fino a
gennaio 2004 e cioè fino a un momento che è esattamente successivo al giorno dell'arresto di Riolo
e Aiello. E se gli elementi raccolti nei confronti di Monreale che poi ne hanno consentito il fermo il
25 gennaio 2005, sono stati raccolti soltanto dopo e proprio dopo l'arresto di Riolo e di Aiello. C'è
una circostanza che ci ha riferito il colonnello Damiano che però è importante, e sembrerebbe
suonare disarmonica rispetto a questo dato e cioè che, ci ha detto Daminao, la Consud tir si era
spostata effettivamente da piazza Agulia alla statale 113 a 12/2003, ma che di questo spostamento
loro avevano avuto sentore, perché Monreale ne aveva parlato, già prima e quindi si erano posti il
problema come sezione anticrimine di proseguire l'attività di osservazione anche nel nuovo posto. E
ci ha detto A. Damiano, che tutto questo avveniva quando Riolo era ancora libero, e ci ha detto che
erano state fatte delle riunioni per studiare la nuova configurazione dell'attività; riunioni a cui era
presente Riolo, quindi Riolo poco prima di essere tratto in arresto aveva certamente saputo che
l'attività di osservazione nei cfr di Monreale non era finita con lo spostamento della sede da p.zza
Agulia al piazzale delle statale 113, ma sarebbe proseguita nella nuova localizzazione. Allora la
domanda sostanzialmente è, se Riolo sapeva che l'attività proseguiva nella nuova localizzazione,
proseguendo nelle sue infedeltà istituzionali ne avrebbe certamente parlato a Aiello, il quale
avrebbe avvisato Monreale. Può darsi che questo sia accaduto, anzi io dico è probabile sia accaduto,

115
ma non è importante, non abbiamo un elemento di prova in questo senso, però noi abbiamo un altro
elemento di prova che ci fa capire quello che è realmente accaduto e questo elemento è costituto
dalle modalità cui facevo già cenno con le quali gli elementi di prova a carico di Monreale sono
stati accolti anche dopo il gennaio 2004. E qui occorrono due dati, il primo è costituito dalle
modalità con le quali Monreale effettuava la sua attività dentro il piazzale della Consud Tir, della
nuova Consud tir nei nuovi locali. Damiano ce lo ha detto sin da subito, ma quelle microspie non
hanno dato nessun esito, e non per mal funzionamento, ma perché Monreale quando arrivava il
figlio di Pastoia, quando arrivavano Fontana e Mandalà, quando arrivavano gli uomini di
Casteldaccia se li prendeva sottobraccio e ci parlava dentro al cortile. Non solo, ma ci ha detto che
anche dentro al cortile sia i colloqui che i movimenti si realizzavano con modalità di cautele, con
particolare circospezione. Allora, la telecamera dal gennaio 2004 ha funzionato, salvo alcuni periodi
in cui ci sono stati problemi tecnici, ma ha funzionato ed ha ripreso numerosi incontri tra Onofrio
Monreale e le persone che vi ho citato. Di quelle riprese solo una volta si è visto materialmente uno
scambio di biglietti, cioè una consegna di biglietti, da Mandalà e Monreale, eppure noi sappiamo
con la ricostruzione degli eventi poi successiva che lì avveniva lo scambio dei biglietti e però dalla
telecamera una sola volta e proprio in uno dei primi giorni della attivazione della telecamera nel
gennaio del 2004 quando Mandalà si reca sul piazzale con Fontana e Onofrio Monreale se lo prende
sotto braccio e gli consegna un biglietto con una circospezione come se lo stesse facendo sotto gli
occhi della polizia. Una circospezione, vista la configurazione del posto, giustificata soltanto da una
circostanza. E cioè dal fatto che siamo a gennaio 2004, Onofrio Monreale sapeva era informato di
essere intercettato e infatti non parlava in nessuno dei luoghi di sua pertinenza dove c'erano
microspie, non parlava in particolare dove c'era l'ufficio della Consud tir sulla statale 113 che lui
frequentava per molti giorni e su quel piazzale incontrava le persone con le quali curava e trattava
gli interessi di cosa nostra. Non solo, ma sapeva ed era informato che che era osservato
costantemente probabilmente anche all’interno del cortile della Consud Tir per questo, nonostante
tutto il recinto, si appartava anche dentro al piazzale e il bigliettino veniva consegnato diciamo con
precauzioni tali che era come se lo facessero in corso Butera sotto “altre” telecamere. Queste scelte,
queste modalità del comportamento (cioè non parlare, effettuare lo scambio dei biglietti anche con
circospezione etc) dimostrano appunto che Onofrio Monreale sapeva tutto, ma probabilmente non
sapeva i particolari e cioè particolari che neppure a suo tempo poteva conoscere Giorgio Riolo e
quindi M. Aiello perché sono particolari che si conoscono soltanto dopo che la installazione tecnica
è stata effettuata e l’attività è partita.
Quali sono questi particolari? Uno solo. Dove è stata installata la telecamera e quale angolo
prospettico guarda verso quel piazzale, se la telecamera e le videoriprese coprono tutto il piazzale o
ne coprono solo una parte. Solo questo è quello che come dato conoscitivo mancava a Monreale ed
è questa mancanza di questo dato conoscitivo, mancanza che si unisce invece alla conoscenza degli
altri dati informativi, che giustificano questo comportamento, che giustificano questo modo di
curare gli interessi e le attività di Cosa nostra. Basta un dato per capire quello di cui sto parlando e
cioè il dato quel è? È quello che, l’ho già detto, nel provvedimento di fermo che riguarda Monreale,
le uniche conversazione in cui parla Monreale e si pronuncia con parole e termini, parla di condotte,
di attività e di cose che lo riguardano sono quelle registrate sulle macchine di Carmelo Bartolone, il
cui nominativo, il cui ruolo emerge nella primavera del 2004 quando Riolo è neutralizzato, quando
Aiello è neutralizzato, quando la controinformazione su quello che faceva il Ros a Bagheria, non
c’era finalmente più!
Ma ci sono altri due dati da aggiungere, uno è un dato di carattere logico. Si potrebbe dire, si
potrebbe pensare: “Riolo, tra febbraio e marzo del 2002, dice a Michele Aiello, che questi generi di
Nicolò Eucaliptus sono sotto attività investigative, che Monreale è al centro dell’attenzione
investigativa che ci sono le telecamente etc”. A questo Monreale perché fa tute queste cose, si
sarebbe potuto fermare, avrebbe potuto cedere il suo ruolo a qualcun’altro? Qui entrnao
considerazioni fatti circostanze che secondo me esulano da un processo penale, però qualche cosa la
lettura delle carte del processo ce la dicono. Le dichiarazioni di Giuffrè dicono molto su quali

116
fossero i rapporti fra Monreale e Provenzano e probabilmente possiamo dire che uno come
Monreale che già di suo probabilmente non si tira indietro, certo non lo avrebbe fatto mai di fronte a
Provenzano che lo considerava, sin dal 1994, nonostante tutta la differenza generazionale tra il capo
e questa nuova leva, lo considerava già una delle figure emergenti. Una vera speranza dal p d v
mafioso su Bagheria.
E c'è un altro dato su cui riflettere e cioè che, ed è un dato importante, è che ce lo dicono ancora una
volta i cognati di Monreale e cioè S. Eucaliptus e Stefania Dell'Anna, quando nelle 2 conversazione
dell'8 febbraio 2003 e dell'11 febbraio 2003 parlano e fanno riferimento alla possibilità che lui,
Salvatore Eucaliptus, vada a lavorare dall'ing Aiello. E si apre questa sorta di vertenza
paraconiugale e cioè nel senso che una persona completamente estranea all'ambiente mafioso non
capisce perché uno che ha una possibilità, un aggancio lavorativo, poi non debba andare a lavorare
solo perché N. Eucaliptus, padre e suocero dei due, dica di no. Ebbene ricorderete che in quelle
conversazioni i fa riferimento a una particolare circostanza. Cioè la conversazione inizia dicendo
che Onofrio voleva andare a parlare dall'ing. di questa questione, ma che sua mamma, la signora
Castronovo, lo aveva fermato perché bisogna aspettare che ritornasse N. Eucaliptsu per dare l'ok. E
questa conversazione ha un suo significato importante, perché nessuno ce lo ha detto in questo
processo. Non ce lo ha detto Riolo perché probabilmente forse manco lui lo sa, e si è guardato bene
dal dircelo Michele Aiello che esisteva un canale di comunicazione diretto tra Monreale e Aiello.
Perché altro senso quella conversazione, tra Stefania Dell'Anna e S. Eucaliptus, non c'è. Non ha
altro senso e che non sia una boutade, una cattiva ricostruzione, un malinteso tra marito o moglie, o
compagno e compagna che siano, è confermato da un altro dato e cioè che pari pari quella stessa
circostanza diviene oggetto interlocuzione l'11/02 tra S. Eucaliptus e suo padre Nicolò. Perché
quando arriva N da Acquedolci, S. lo informa su quello che era accaduto e dice che Onofrio voleva
andare dal'ing. E ricorderete, Nicolo E diceva: "no, l'ing. no ". Non mostrava sorpresa al fatto che
Onofrio Monreale, suo genero, potesse andare a parlare all'ingegnere, diceva: "no, l'ing no!", in
quella logica di salvaguardia della posizione e delle ragioni dell'ingegnere di fronte alla famiglia
Eucaliptus.

Riprendo da dove avevo interrotto questa mattina e cioè dalla rivelazione delle notizie investigative
che aveva dato corso il Ros e in particola qui la sezione anticrimine di Palermo, su quella parte della
famiglia mafiosa di Bagheria che era da sempre più strettamente legata a Provenzano e abbiamo
parlato delle attività specifiche anche attività di carattere tecnico che riguardavano i componenti
della famiglia Eucaliptus e di S. Eucaliptus, abbiamo detto dei 2 generi di Eucaliptus N, cioè Pipia e
Monreale.
Ma avevo iniziato questa mattina dicendo che nulla si era salvato delle attività di investigazioni che
il Ros aveva in particolare a Bagheria ed infatti Riolo, oltre a tutte quelle che riguardavano la
famiglia Eucaliptus ci ha anche detto di avere rivelato a Aiello la collocazione da parte sua e di altro
personale tecnico del Ros di altre installazioni in diverse zone del territorio di Bagheria nei cfr di
soggetti diversi da quelli sino ad ora indicati e quindi soggetti diversi dai componenti della fam.
Eucaliptus. Soggetti comunque tutti sospettati, indiziati, su cui la sezione anticrimine aveva
ipotizzato essere in contatto o tramiti o in funzione di ausilio della latitanza di Provenzano. Perché
uno dei primi obiettivi investigativi, primi anche dal p d v temporale come vedremo, di cui Riolo ha
reso partecipe M. Aiello confidandogli anche il tipo di attività tecniche che erano in corso nei suoi
confronti è l'obiettivo che all'interno della sezione anticrimine aveva in quel periodo assunto il
nominativo, la sigla di zio Tom. Riolo ha ammesso di avere rivelato tali notizie prima nel corso
dell'interrogatorio reso al pm il 15/05/2004 e poi ci ha coerentemente ribadito la rivelazione di
queste notizie anche durante l'esame dibattimentale il 4/04/2006. Quindi 15/05/2004 e il 4 /04/2006.
Ci ha detto Riolo che il suo gruppo tecnico aveva installato una telecamera ed una microspia esterna
in contrada Consona di Bagheria e che queste apparecchiature avevano per obiettivo una persona
che nell'ambito della sezione anticrimine era stata denominata lo zio Tom. E questa telecamera
serviva per controllare in particolare gli accessi, eventuali accessi, eventuali presenza di soggetti

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presso una villa appartenente a questa persona indicata come zio Tom e che si trovava in contrada
Consona. Ci ha detto Riolo che la telecamera era stata montata su un palo elettrico di fronte alla
villa. Ci ha detto Riolo che di questa installazione, effettuata prima dell'estate 2002, aveva parlato
ad Aiello. Ci dice Riolo "ho appreso per quale motivo me lo abbia chiesto, che c'erano stati dei
problemi di corrente. Qualche operaio aveva riferito all'ing Aiello che c'erano quelli dell'Enel che
stavano lavorando nella palificazione sovrastante il cantiere di via Consona di proprietà dell'ing e
mi parlava appunto di questa situazione che gli avevano causato, che avevano visto insomma queste
persone lì. E io l'ho rassicurato che ero io. E che avevo montato una telecamera lì per un oggetto.
No, non so non ricordo se era un oggetto in direzione di una persona che aveva là una villa là sopra.
Ci ha specificato che era stato l'ing Aiello a prendere il discorso per primo, parlandogli appunto di
questo suo asserito problema tecnico in un cantiere che in quel momento aveva aperto nella zona
della contrada Consona. E Riolo ci ha detto "di questa situazione che aveva montato io un oggetto
là sopra, in direzione di quella, di una villa che stava lì di fronte, eh, ma non penso che avrebbe
procurato quello tutto il problema". Cioè il problema tecnico al cantiere dell'ing Aiello. Ha
specificato Riolo, che aveva detto ad Aiello che si trattava di un personaggio là sopra, di fronte al
palo e ha aggiunto anche Aiello, nel corso dell'esame, "Penso che lui abbia capito di chi si trattava".
Poi, sempre nel corso dell'esame del 4 aprile 2006, Riolo, anche a seguito di contestazione di
precedenti dichiarazioni, ci ha confermato le seguenti affermazioni.
Riolo: Sì perché me lo chiese. Dice che avevano visto armeggiare personale. Avevano montato
questa scatola.
Pm: Lei gli disse ad Aiello non solo che non riguardavano lui? (Prestipino: lui Aiello) Ma chi
riguardava, cioè la villa dello zio Tom?
Riolo:Sì. Lui infatti, l'ho detto, che lui glielo spiegai e mi fece "penso che abbia capito, lui ha
capito".

Letta questa dichiarazione che Riolo aveva resa durante le indagini, nel corso dell'esame 4/05/06,
Riolo ha detto "sì sì, lo confermo".
Gli stessi argomenti sono stati oggetto del controesame e su un solo punto della questione nel
controesame, Riolo all'udienza dell'undici aprile 2006 ha fornito una risposta divergente perché
quando gli era stato chiesto se avesse detto a Michele Aiello, oltre che era stata installata la
telecamera sul palo, che era stata installata lì, che serviva a guardare la famosa villa, quando gli era
stato chiesto se avesse detto ad Aiello che il padrone della villa, che l'obiettivo investigativo era
soprannominato lo zio Tom, lui ha detto no no. Allora è stato contestato ad Aiello "Guardi che lei
alla scorsa udienza ha detto esattamente il contrario" e Riolo ha detto: "no, io nn ho mai detto una
cosa del genere"; "Sì ha detto esattamente il contrario all'udienza del 4/05", e Riolo "vabbè, allora
ho sbagliato io l'altra volta". Esclusivamente sul punto se avesse tra le diverse rivelazioni fatto
riferimento specifico, anche alla parola zio Tom come obiettivo investigativo.
È stato sul punto anche esaminato Aiello, all'udienza del 21 febbraio 2006. Il quale ha qui davvero
superato se stesso perché non solo ha negato decisamente che Riolo gli aveva fatto il nome dello zio
Tom, ma quando gli è stato chiesto: "Riolo le ha mai riferito che in contrada Consona era stato
installato un impianto per riprese di immagini visive"; Aiello ha avuto nn so come chiamarla "No,
glielo detto io a lui!". E ha specificato che a giugno 2002 era stato Riolo dirgli che determinati
operai che erano stati visti dagli operai di Aiello al lavoro su un palo elettrico in prossimità di un
cantiere in contrada Consona erano in realtà Carabineri. Anzi uno di quelli era proprio lui, e che
avevano installato una telecamera per controllare la via d'accesso alla casa degli Eucaliptus, che
appunto si trova in contrada Consona, così ci ha detto Aiello, dicendo che si trattava di 06/2002;
quindi se incrociamo le dichiarazioni di Riolo e Aiello. Qui siamo di fronte alla divergenza su chi
ha preso l'iniziativa e cioè se sia stato Riolo a dirlo a spontaneamente a Aiello, oppure come dice
Riolo, fu Michele Aiello a chiedere spiegazioni a Riolo adducendo come motivo della richiesta
delle spiegazioni e di notizie l'asserito guasto tecnico a cui non aveva creduto nemmeno Riolo, e ce
l'ha detto, a questo cantiere che Aiello in contrada Consona e però entrambi ci dicono

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A) che la rivelazione della notizia c'è stata, perché c'è stata la rivelazione di una notizia e
concordano su qual è stato l'oggetto della notizia, cioè installazione di una telecamera su un palo. Ci
dice Riolo io ho detto ad Aiello che questa telecamera sul palo elettrico era funzionale a guardare
una villa di una determinata persona che abitava lì sopra. Ci dice Aiello che Riolo in
quell'occasione gli disse che quella telecamera invece serviva per guardare N. Eucaliptus, casa
Eucaliptus e ci parla di giugno 2002.
Le attività investigative che sono state oggetto di confidenza anche in questo caso da parte di Riolo
sono attività vere, reali e che sono state in concreto effettuate dalla sezione anticrimine del Ros e ce
ne ha riferito Damiano all'udienza del 18 ottobre 2005. Ci ha detto Damiano che la sezione
anticrimine di Palermo aveva svolto un'attività investigativa su un obiettivo convenzionalmente
indicato come lo zio Tom. Ci ha datto damiano che dietro a questa sigla si celava il nome di
Domenico Di Salvo di Bagheria e Damiano ci ha spiegato l'origine di questa attività concretizzatasi
nella collocazione di una telecamera posta su un palo elettrico. Ci ha detto Damiano, noi lo
investigammo perché vi erano delle indicazioni di un collaboratore, Pulci Calogero, che lo
inquadrava come una persona vicina a B. Provenzano. Nell'attività di verifica e di accertamento che
svolgemmo, poiché ci accorgemmo che Di Salvo era anche in società insieme a Giovanni Napoli e a
Loreto Inzinna questo dato che assurge da una comune presenza in una società ce lo aveva fatto
temere come un potenziale soggetto in contatto con il latitante. E ci ha detto Damiano che
quest'attività era stata avviata tra la fine del 2000 e l'inizio del 2001 altro che giugno 2002. Quindi
fine del 2000 e inizio del 2001 con attività di osservazione e pedinamento nei cfr di Di Salvo, con
ascolti di utenze e ci ha detto Damiano l'attenzione fu in particolare concentrata su una casa in
campagna in uso a questo Di Salvo in territorio di Bagheria che doveva essere controllata appunto
con la sistemazione di una telecamera che era stata collocata da Riolo e dagli altri tecnici su un palo
della luce e anche attraverso una microspia esterna, in prossimità della villa. L'esito di tale attività ci
ha detto Damiano è stato negativo "non sortimmo nessun effetto, ne in direzione del latitante né in
direzione di profili associativi, che comunque nel minimo miriamo ad ottenere".
Riolo ha quindi confidato a Aiello l'esistenza di un'attività investigativa con l'istallazione di una
telecamera davanti ad una villa di un personaggio che abitava in contrada Consona. La circostanza è
stata ammessa anche da Aiello e il fatto che Riolo abbia detto o meno a Aiello la parola zio Tom,
francamente poco importa, non rileva proprio perché Riolo ad Aiello aveva esattamente riferito la
collocazione della telecamera, l'esatta ubicazione del palo egli aveva anche riferito la circostanza
che quella telecamera, installata su quel palo, prossima al cantiere di Aiello in contrada Consona
serviva ad osservare la villa di un personaggio lì sopra. Sono tutte circostanze assolutamente
puntualizzanti sul luogo e quindi anche sulla persona nei confronti della quale era attivata
l'apparecchiatura tecnica e quindi le attività di indagine. E Riolo ha rivelato la specifica notizia
proprio quando le attività tecniche o dovevano ancora iniziare o erano appena iniziate. E su questo
non c'è dubbio, quindi siamo tra la fine del 2000 e l'inizio del 2001 e ce lo ha detto Damiano.
Perché dico, su questo non c'è assolutamente dubbio, perché ce lo dice lo stesso Aiello che mente
mentre fa riferimento a giugno 2002. Perché Aiello ricollegala la rivelazione di questa notizia alla
circostanza che i suoi operai addetti al cantiere di contrada Consona avevano visto sul palo della
luce al lavoro delle persone e glielo avevano riferito. Quindi ciò che comunque determina e fa da
origine al colloquio Riolo-Aiello su questa telecamera sta nella presenza di alcuni operai sul palo
della luce. Quindi se è questa la scaturigine è plausibile che l'asserito guasto sia stata la scusante, la
giustificazione che ha utilizzato Michele Aiello per attivare, per iniziare il discorso. Ma comunque
poco importa, ciò che importa è che la scaturigine del colloquio sta nella presenza di alcuni operai
sul palo della luce e allora se è questa la scaturigine. Questo fatto, questo evento segna l'inizio
dell'installazione non segna la fine dell'attività e quindi la rivelazione è avvenuta contestualmente al
momento in cui Aiello aveva avuto riferito che c'erano gli operai sul palo, i finti operai, cioè Riolo e
i suoi collegi di lavoro, su quel palo erano probabilmente saliti tra la fine del 2000 e l'inizio del
2001. Ce lo ha detto Damiano, e allora che senso aveva parlare di quel palo, parlare di quella
presenza degli operai, per verificare se c'era un nesso causale tra quella presenza, tra quegli operai

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al lavoro e l'asserito guasto al cantiere, addirittura un anno e mezzo dopo. Cioè Aiello tiene fermo il
cantiere un anno e mezzo se ha avuto il guasto, in attesa che qualcuno gli spieghi se c'era un nesso
causale tra quel guasto e la presenza dei finti operai sul palo della luce di fronte alla villa dello zio
Tom? Però quell'attività, proprio perché aveva avuto inizio tra la fine del 2000 e l'inizio del 2001,
guardate non poteva trattare né Nicolò Eucaliptus né tanto meno O. Monreale: perché erano
detenuti. Nicolò Eucaliptus era detenuto e sarebbe stato scarcerato a luglio 2001 e le telecamere in
contrada Consona per controllare i movimenti di Nicolò Eucaliptus e dei suoi familiari sono state
installate, ma ce lo ha detto Damiano quando: dopo gennaio del 2004, non alla fine del 2000 inizi
del 2001. E Damiano ci ha detto che tutta la manovra investigativa era iniziata con i due generi:
Liborio Pipia e Onofrio Monreale, quando il 18 febbraio 2002 si era verificato l'incontro tra
Giovanni Panno e Onofrio Monreale. Monreale è stato scarcerato invece il 31 ottobre 2001, quindi
addirittura 10 mesi dopo. E quindi è chiaro qual è l’oggetto della rivelazione, ancora una volta:
l’installazione di apparecchiature tecniche e di telecamere che dovevano servire ad verificare la
fondatezza di un’indicazione investigativa che aveva dato Calogero Pulci, che aveva segnalato
questo Di Salvo come possibile favoreggiatore di Provenzano e quindi si era attivata una telecamera
per guardare una villa che non usava di solito Di Salvo e che per come si usa in queste occasioni
poteva anche essere usata per appuntamenti del latitante, per fargli trascorrere determinati periodi…
Ebbene, anche questa attività, un tempo reale, sin da quando gli operai erano sul palo è stata
confidata da Riolo a Michele Aiello.
Ancora su Bagheria, Riolo ci ha poi detto di avere rivelato a Aiello l’esistenza di un'altra attività
investigativa ancora, ma anche delle modalità tecniche con quale questa attività era in corso ed era
un’attività che riguardava un altro importante obiettivo investigativo, perché questo obiettivo era
l’esercizio di macelleria gestito a Bagheria in corso Butera dai fratelli Tornatore.
I fratelli Tornatore, nel periodo di cui ci occupiamo, non erano soltanto dei macellai in odore di
mafia: erano qualche cosa di più perché uno dei fratelli era stato arrestato quando, il 6 giugno 1996,
era stato tratto in arresto Pietro Aglieri a Bagheria. E uno dei favoreggiatori tratti in arresto insieme
a Aglieri, perché erano quelli che praticamente avevano portato la polizia nel covo di Aglieri, si
chiamava appunto Tornatore ed era appunto uno dei fratelli Tornatore. Riolo, devo anche dire che
questa rivelazione ha costituito l’occasione affinché Afillo attraverso una sola rivelazione
apprendesse due diverse notizie su due diverse attività investigative proprio per la particolarità della
rivelazione. Ce ne ha parlato Riolo il 15 maggio 2004 interrogatorio pm, udienza del 4 aprile 2006
nel dibattimento. E Riolo ha sempre fatto riferimento ha un’attività tecnica effettuata sempre
nell’ambito della ricerca di Provenzano (ricordiamoci che Aglieri era figlioccio di Provenzano e
Tornatore era guardato con quest’ottica investigativa); Riolo ci dice che su quest’obiettivo sulla
macelleria erano state puntate delle telecamere e che a un certo punto queste telecamere avevano
avuto un problema tecnico a seguito dell’accavallamento dell’iniziativa del Ros dell’azione
anticrimine che governava quell’indagine attraverso le telecamere su macelleria Tornatore e le
attività d’indagine di un’altra struttura dei carabinieri, al territoriale, che in quel momento seguiva
un’altra indagine che riguardava un uomo politico di Bagheria che si chiama D’Amico, un
esponente dell’Udc di Bagheria, sotto la cui sede si svolgevano delle riunioni e sul muro dove c’era
il portone della sede la territoriale aveva collocato delle microspie e ci ha spiegato Riolo che il
segnale delle microspie interferiva con il segnale delle telecamere e dunque c’erano dei problemi
tecnici, le telecamere ci ha detto Riolo erano installate in una piazza di Bagheria, Pzza San
Sepolcro, dove c’era la segreteria di D’Amico e le telecamere da lontano erano orientate
sull’accesso alla macelleria e quindi la collocazione era lontana, ma prossima alla microspie. Di
tutta questa situazione, Riolo ci ha detto di aver parlato con Aiello, al quale aveva detto, ci ha detto
Riolo, ad installazione avvenuta, nel maggio 2003 che aveva collocato una telecamera indicando a
Aiello il luogo dove era localizzata (P.zza San Sepolcro, sotto la segreteria di D’Amico) e gli aveva
anche detto che questa telecamera subiva l’interferenza di altre apparecchiature tecniche, appunto le
microspie piazzate in quella segreteria per captare le discussione oltre che di D’Amico anche di
altre persone che frequentavano quei locali e che avevano l’abitudine di parlare lì fuori. Ci hanno

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detto Riolo e poi è stato sentito anche Aiello sul punto all’udienza del 14/03/06, il quale ha negato
che Riolo gli aveva detto che in P.zza San S. c’era una telecamera però ha ammesso Aiello che
Riolo gli aveva riferito che esistevano delle microspie per intercettare delle conversazioni
nell’ambito delle indagini su D’Amico. Ci ha detto testualmente Aiello (e anche qui siamo in sede
di contestazione al dibattimento): “Se ho detto telecamera ovviamente è stato un errore linguistico,
l’ho referto in maniera impropria perchè in precedenti interrogatorio, non mi ricordo, ma voi li
sapete, io ho sempre parlato che mi diceva Riolo “stai tranquillo, chè prima o poi ascolterai quello
che dicono”. Io mi riferivo a microspie di cui aveva parlato, collocate all’interno di questa
segreteria; di questo macellaio non lo conosco. Non so chi sia questo Tornatore. Quando lui mi
parla di queste microspie mi fa capire che l’attività è in corso di intercettazione nei confronti di
questo soggetto, candidato nelle liste dell’Udc”.
L’unica conclusione logica che si può trarre da questa circostanza è che nella stessa circostanza
Riolo di notizie riservate a Aiello ne ha dette due, e non poteva parlare da solo Riolo delle
microspie piazzate nella segreteria di D’Amico, perché manco era la sua struttura investigativa ad
averle collocate. Ci hanno spiegato Riolo e Aiello qual è stata la circostanza: e cioè al solito un
intervento di Borzacchelli e del Maresciallo Di Carlo e cucendo i pezzi delle notizie di cui avevano
parlato separatamente da un lato Borzacchelli e Di Carlo e dall’altro Riolo è chiaro che avevano
parlato dell’interferenza. E allora se interferenza c’è stata (e c’era) era tra due distinti apparati
tecnici e Aiello ha avuto la notizia che su quella piazza erano installati 2 apparati tecnici, due
notizie che al momento della rivelazione erano entrambe coperte dal segreto. E con Bagheria
abbiamo terminato. E però c’è un’altra attività estremamente importante, estremamente
significativa che riguardava il circuito mafioso di Provenzano, che era fuori da Bagheria e anche
questa è stata oggetto di rivelazione. Riolo ha rivelato ad Aiello anche le attività investigative svolte
dalla sezione anticrimine del Ros di Belmonte Mezzagno nei confronti di Francesco Pastoia. Ce ne
ha parlato Riolo nel corso dell’interrogatorio del pm durante l’interrogatorio del 26/04/04 poi nel
corso dell’interrogatorio del dibattimento il 4/04/2006 ha reiterato l’ammissione precisando che nel
corso del 2003 aveva attivato a Belmonte Mezzagno con due suoi colleghi a supporto tecnico nelle
investigazioni su Francesco Pastoia ben tre telecamere delle quali una orientata verso l’ingresso
principale dell’abitazione di Pastoia collocata a circa 100 metri di distanza, un’altra collocata in
modo tale da osservare una strada diciamo posta nel retro dell’abitazione di Pastoia, strada sulla
quale vi era un secondo accesso “posteriore”. Ci ha detto Riolo che per trasferire il segnale aveva
montato alcuni ripetitori lavorando su tralicci e ci cadetto che queste attività su Pastoia erano
evidentemente finalizzate alla cattura di Provengano. E ci ha detto che di questa attività aveva
parlato con Aiello:

Pm: che cosa ha detto all’ing. Aiello?


Riolo: C’è stata un’occasione che non mi facevo vedere più spesso. Non ci vedevamo, no, e mi
chiese “ma che cosa, come mai, che sta succedendo che non ti fai più vedere?” che ero impegnato a
Belmonte Mezzagno in un’attività che mi stava facendo impazzire e non avevo tempo per passare a
salutarlo.
Pm: ho capito, ma oltre al fatto che lei era impegnato in quest’altra attività che la faceva impazzire,
lei fece il nome di Pastoia all’ing?
Riolo: Sì, feci il nome di Pastoia.
E ci ha detto Riolo che quando lui aveva fatto il nome di Pastoia a Aiello, lui gli aveva chiesto
testualmente se si trattava di “quello dei camion, se aveva dei camion”. Poi durante il controesame
Riolo ha ribadito coerentemente le circostanze, l’udienza dell’11/05/2006 ha precisato che aveva
riferito queste attività ad Aiello, ha detto che aveva fatto esplicitamente il nome di Pastoia, ha
aggiunto che stavano proprio lavorando in direzione di questa persona e ci ha collocato la
rivelazione di questa notizia in un momento successivo a quello in cui lui aveva avuto in consegna
un telefono della rete riservata. Quindi per come noi la sappiamo, la collocata temporalmente in un
periodo successivo a giugno 2003. Anche durante il contro esame gli fu chiesto: ma gli fece il nome

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di Francesco Pastoia? E anche in questa sede Riolo ha risposto sì. Alla domanda sul perché fosse
stato indotto a fare il nome di Pastoia a Aiello, Riolo ha testualmente risposto. La domanda viene da
una parte privata: “Senta ma perché lui riferì quest’attività di Pastoia? Lei non poteva dire sto
volgendo delle indagini, perché invece gli dice sto svolgendo delle indagini su Pastoia? E Riolo dà
una risposta sorprendente: “Non lo so, mi venivano così e glielo raccontavo, d’altronde io non
avevo nessun dubbio sull’ing, né su di lui né sugli altri”. È sorprendente dal punto di vista della
tempistica perché nel periodo in cui ha fatto questa rivelazione Riolo questa volta ce l’ha detta
giusta: “sono sicuro avevo il telefono della rete riservata”. È vero, infatti, fra le intercettazioni sul
telefono di Riolo sulla rete riservata, ce ne è una in cui lui parla con Aiello e gli dice che è su un
traliccio di 30 metri. E durante l’esame gli è stato chiesto a Rilo, “ma questa telefonata del traliccio
di 30 metri è quando lei lavorava su Belmonte?”; “Sì è quando lavoravo su Belmonte”. Quindi noi
sappiamo dalle parole di Riolo che lui lavorava su questa installazione dopo settembre 2003;
probabilmente era ottobre e quindi a ottobre 2003 rivela a Michele Aiello l’esistenza dell’attività
investigativa su Pastoia e rivela l’esistenza di quest’attività tecnica anche. Poi lui ci dice anche
“non avevo nessun dubbio sull’ing”; ma quando? A ottobre 2003? Ci torneremo. Aiello all’udienza
del 21/02/2006 è stato ascoltato anche su questi punti:

pm: “Senta, Aiello le ha mai riferito di attività investigative su Pastoia di Belmonte Mezzano?”
Aiello: nella maniera più assoluta.

Poi però a Aiello è stata posta anche questa domanda, “ma lei sa chi è una persona che si chiama F.
Pastoia”
Aiello: “per i miei ricordi, da un p d v cartaceo era un autotrasportatore della ditta Butitta, della
cava Butitta, che trasportava gli inerti a un impianto sino al 1986, anzi 87 perché poi ci siamo
comprati anche noi il semirimorchio per il trasporto di inerti”.
Riolo ci dice di avere confidato questa notizia ad Aiello, Aiello ce la contesta in radice, cioè non
esiste non me lo ha mai detto. E però la logica ha un senso: perché non si capisce come avrebbe
potuto Riolo prevedere, inventarsi, la circostanza che Aiello al nome di Francesco Pastoia
ricollegava la persona di quello che “aveva un camion” esattamente come ha fatto Aiello in
tribunale, quando gli è stato chiesto chi era Pastoia e ci ha risposto quello dei camion, un
autotrasportatore. Certo che se Riolo e Aiello non avessero mai parlato di Pastoia, Riolo può
cambiare mestiere e fare l’indovino, ma evidentemente avevano parlato di Pastoia i due, perché al
nominativo di Pastoia, Riolo non poteva sapere che Aiello ricollegava quello che “aveva i camion”,
l’autotrasportatore.
Chi è F. Pastoia, perchè questa rivelazione fatta nell’autunno del 2003 ha devastato l’ulteriore
fronte investigativo che in quel momento aveva il raggruppamento operativo speciale dei
carabinieri nei cfr di Provenzano? Prima del suo decesso in carcere il 27/01/2005, a distanza di
appena due giorni dal fermo disposto nell’operazione “grande mandamento”, Pastoia è stato uno
degli anelli fondamentali del sistema Provenzano. È stato il regista delle sue comunicazioni, ma è
stato soprattutto il vero alter ego del capo di Cosa nostra dei suoi rapporti con il resto
dell’organizzazione. Devo dire che è un ruolo che Pastoia non si inventa, ma che ha radici antiche,
risalenti nel tempo, ma che il tribunale può tranquillamente leggersi in due provvedimenti giudiziari
definitivi che abbiamo depositato e che sono la sentenza di condanna della corte di Appello di
Palermo in data 13/07/2001 (sentenza con la quale Pastoia è stato condannato in via definitiva per il
reato di partecipazione mafiosa proprio in relazione dei suoi rapporti fiduciari con Provenzano) e le
stesse cose il tribunale le leggerà nel decreto con i quale nei cfr di Pastoia erano state applicate
sempre dalla corte di Appello di Palermo 25/10/1999 le misure di prevenzione. Questi 2
provvedimenti ci dicono del passato di Pastoia, chi è stato fini a un certo punto e ci spiegano il
motivo del suo ruolo e delle sue funzioni, ma l’importanza strategica dell’attività del Ros su Pastoia
e proprio a partire dal 2003, ci è stata spiegata dal colonnello Damiano e ci è stata spigata dal

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maggiore Russo all’udienza del 27/03/2007, i quali ci hanno riferito le diverse fasi delle attività
investigative che il Ros aveva su Pastoia.
Nell’udienza di ieri io avevo fatto cenno alle indicazioni che ci aveva dato il colonnello Sergio De
Caprio quando ci aveva raccontato del suo impegno nel dopo stragi nella persona di Provengano,
finito Riina, Provenzano e ci ha detto De Caprio due erano i nomi i fronti investigativi: Tommaso
Cannella e Francesco Pastoia. E infatti sul boss di Belmonte Mezzagno e sul suo entourage
familiare, come su quello di Tommaso Cannella e sul suo entourage familiare il Ros aveva
cominciato a investigare sin dal 1997-98 con risultati che avevano portato il 24/01/2002 ad
un’ordinanza di custodia cautelare in carcere da un lato nei cfr di tutto il gruppo Lipari ed era
lavoro della polizia, dall’altro nei cfr di tutto il gruppo Cannella ed era lavoro del Ros, ma insieme a
queste persone era stato arrestato anche un’altra persona molto importante di Mezzagno: Giuseppe
Vaglica , cognato di Francesco Pastoia perché Pastoia ha sposato una sorella di Vaglica e quindi
nelle attività nelle quali erano stati raccolti elementi in mezzo a mille difficoltà (fuga di notizia
anche su Vaglica che gli aveva consentito di scoprire microspie collocate sulla autovettura dal Ros,
proprio quando Vaglica faceva da autista a Provengano: siano tra giugno e ottobre 1998). Durante
quelle indagini vengono raccolti elementi significativi nei cfr di Vaglica che viene arrestato nella
notte del 24/01/2002 e però non erano stati raccolti altrettanti elementi per dimostrare la
reiterazione di condotte di reato da parte di Pastoia e quindi quando la notte del 24/01/2002 –ce lo
racconta in particolare Stefano Russo-, il Ros va a Belmonte e arresta G. Vaglica effettuano anche
una perquisizione a casa di Pastoia e installano delle microspie nell’abitazione di Pastoia in paese.
Quelle microspie non avevano dato particolari esiti, anzi una di esse, quella in particolare quella
installata presso il salone era stata pure ritrovata e quindi le attività avevano avuto una fase di stallo.
Erano poi riprese nel marzo del 2003 con servizi di osservazione, intercettazioni telefoniche e
nuove attività ambientali. Erano state ricollocate diverse microspie all'interno dell'abitazione del
paese, quindi quella già oggetto di attività tecniche, erano state installate anche telecamere e
microspie che guardavano la casa di campagna di Pastoia a Belmonte ed erano state attrezzate delle
telecamere per osservare i movimenti come dicevo sul lato principale sul lato posteriore della casa
di Pastoia per poterlo poi intercettare nei suoi movimenti e seguirne le frequentazioni. Siamo a
marzo 2003, iniziano queste installazioni nuove e infatti coerentemente con quello che ci ha detto
Riolo si protraggono durante l'estate e nell'autunno, quando Riolo fa quella telefonata cui ho fatto
cenno usando il telefonino delle rete riservata e dice a Riolo sono su un palo alto 30 metri se non
ricordo male siamo a ottobre 2003, quindi vuol dire che quell'installazione ancora non è stata
completata. Bene, accade che nel frattempo la sentenza di condanna di Pastoia, quella che abbiamo
acquisito agli atti di questo processo passa in giudicato e che Pastoia, fatti tutti i dovuti conti, deve
espiare una pena residua di mesi 6. Pastoia quindi da mafioso avveduto non si fa arrestare a casa sua
a Belmonte Mezzagno, ma se ne va a Roma e si costituisce spontaneamente il 13/12/2003 al carcere
di Rebibbia. Viene liberato dopo 6 mesi il 13/06/2004 e non appena scarcerato Pastoia torna in
paese, torna a Belmonte Mezzagno dove appunto rientra il 13/06/2004, nel frattempo ce lo ha
spiegato Damiano ce lo ha detto anche Stefano Russo il Ros aveva ultimato le sue installazioni
tecniche e messo sul'avviso del fatto che Pastoia stava riacquistando la libertà, proprio lo stesso
giorno in cui Pastoia viene scarcerato vengono riattivate le attività di intercettazione presso la sua
abitazione di Belmonte, il giorno successivo alla sua scarcerazione, scarcerazione che avviene il
12/06/2004 e le microspie vengono riattiviate il 13/06/2004. Pastoia fa ritorno a casa e il 13 /06
vengono riattivate le microspie, ci ha detto Damiano che vengono provate, che funzionano il
segnale ha il rilancio giusto e addirittura arriva fino alla sala ascolto del Ros poi improvvisamente,
il giorno successivo e cioè il 14/06 tutte le microspie installate presso l'abitazione hanno smesso di
funzionare ci ha detto Damiano per assenza del segnale, cioè sono state disattivate. Ci ha detto
Damiano che poi ovviamente 25/01/2005 anche Pastoia figurava fra gli indagati sottoposti a fermo
dal pm nell'operazione grande mandamento, ma l'ho già detto ieri, Antonio Damiano ci ha detto che
di quel fermo il Ros non aveva alcuna responsabilità alcun merito "penso che tutti gli elementi di
prova racolti nei cfr di Pastoia non erano stati raccolti dal Ros che pure aveva quell'attività da

123
gennaio 2002 nei cfr di Pastoia". Pastoia era incappato in attività di intercettazione effettuate dalla
squadra mobile di Palermo su degli immobili siti tra Misilmeri e Monte Mezzagno attraverso
intercettazioni di altri soggetti presso le cui masserie F. Pastoia si recava per effettuare incontri seri
a altissimo livello di mafia, dove incontrava mafiosi di tutta Palermo e dove portava gli ordini e
raccoglieva le risposte per Provenzano. Aggiungo che ovviamente oltre quelle intercettazioni nei cfr
di Pastoia c'erano anche altri elementi sui quali né Riolo, né altri poteva intervenire: cioè le
dichiarazioni di Giuffrè e le lettere che Provenzano aveva mandato a Giuffrè.
Riolo ci ha poi riferito di avere avuto conoscenza del contenuto dei biglietti, delle lettere
dattiloscritte che Provenzano aveva scritto ed avviato ad Antonino Giuffrè. Documenti sui quali,
diciamo, a partire dalla seconda metà del 2002 e poi dal dicembre 2002, cioè dopo il secondo
rinvenimento per capirci, la sezione anticrimine di Palermo aveva iniziato una complessa attività di
analisi e di riscontro del relativo contenuto. Sia durante l'interrogatorio al pm (e faccio riferimento a
quello del 7 giugno 2004 e a quello del 20 agosto 2004), che poi nel corso del dibattimento
all'udienza del 4/04/2006, Riolo ha dichiarato di avere avuto la disponibilità di un floppy disc al cui
interno erano contenute le trascrizioni dei biglietti delle lettere che Provenzano aveva mandato a
Giuffrè e che erano state sequestrate a Giuffrè il 16/04/2002 e rinvenute a seguito delle sue
indicazioni a Vicari il 4/12/2002. Ci ha detto Riolo che questo floppy gli era stato consegnato dal
capitano Giovanni Sozzo che gli aveva copiato davanti a lui i pizzini attraverso un copia-incolla di
Provenzano, gli aveva messi su un dischetto affinché lui li potesse leggere. Riolo ci ha poi detto che
lui poi questo floppy non lo aveva mai aperto, anzi ignorava che cosa ci fosse dentro, e allora a
questo punto -questo ce lo ha detto durante l'esame - , è stato contestato a Riolo che su questo
specifico punto il 7 giugno ci aveva detto cosa diversa, e cioè contestazione: siamo a pag 7 alla
trascrizione parlando proprio di questo floppy disc la domanda era: "Se lei aveva lo aveva aperto,
letto etc" e lei dice: "Sul computer a casa mia, mi sa che una volta l'ho acce… l'ho passato perché
cercavo un floppy vuoto tant'è vero che gli chiesi ai miei ragazzi di cancellarmi. Sicuramente avete
trovato un sacco di floppy con delle intestazioni però non c'era niente, perché me li feci cancellare,
perché mi servivano i floppy vuoto". A questa contestazione Riolo ha detto: "Sì, vero è, l'ho aperto
il floppy" e ci ha confermato che effettivamente aveva inserito questo flppy nel pc a casa. Poi Riolo
ci ha detto che questo floppy che conteneva le lettere di Provenzano era stato oggetto di confidenze
a Aiello, cioè lui ad Aiello l' aveva detto che aveva con sé il floppy disc, dove c'erano le lettere di
Provenzano e che lo aveva fatto poco prima dell'arresto, quindi dell'arresto di entrambi, quindi poco
prima del 5/11/2003, quando le indagini - ha precisato Riolo -erano molto avanti, ci ha detto
testualmente sul punto Riolo: "era preoccupato l'ing Aiello" (che in questo processo, oltre al ruolo
di estorto ha anche quello di costantemente preoccupato) "dico, guardi di non preoccuparsi! Perché
io ero in possesso di tutte le dichiarazioni io, senza sapere che cosa c'era. Di tutte le dichiarazioni di
Giuffrè di cui dell'ing Aiello non se ne parla assolutamente, quindi di che cosa ti preoccupi? "Stai
calmo", dice, io gli faccio "se vuoi te lo posso anche fare leggere il floppy, il contenuto del floppy"
e ci ha detto Riolo che poi ha precisato non erano le dichiarazioni di Giuffrè e cioè le dichiarazioni
rese da collaboratore, erano le dichiarazione rese dentro le lettere. E ci ha detto anche Aiello di
fronte a questa generosa offerta, "se vuoi te lo faccio vedere il contenuto del floppy, lo puoi aprire"
aveva detto a Riolo, per come ci ha detto Riolo, "No, non l'ha aper… anzi mi rispose addirittura
aveva fiducia in me "una volta che l'hai letto tu che importanza ha?"". Quindi il senso era, se tu hai
controllato e mi dici che non c'è il mio nome nel floppy e nelle lettere che Provenzano aveva scritto
a Giuffrè io mi fido, non ho bisogno di aprirlo, perché quello che tu mi dici, Riolo, mi dici, mi basta
per rassicurarmi. 28/02/2006, quindi anche qui due mesi prima noi a Aiello avevamo fatto la stessa
domanda e cioè se Riolo gli avesse offerto la disponibilità o anche solo gli aveva parlato
dell'esistenza di un floppy disc e Aiello ci ha detto "No, di questa lettere, non gli aveva parlato
Riolo" e ne Riolo gli aveva offerto la disponibilità, la possibilità di aprire questo floppy disc e di
visionarne il contenuto. Su questa vicenda abbiamo sentito anche il capitano Sozzo, il quale che di
suo non aveva mai consegnato a Riolo alcun dischetto e lo ha ribadito più volte. A dire il vero
anche durante la fase delle indagini per cercare di capire avevamo messo a confronto Riolo e il cap.

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Sozzo sull'argomento, ma quel confronto non ha avuto alcun seguito perché in quell'occasione
Riolo all'interrogatorio del pm si avvalse della facoltà di non rispondere quindi il confronto non
ebbe corso. Cmq il cap. Sozzzo si è lungamente sommermato sui tempi, sulle modalità di analisi,
sulla ricerca di riscontri che lui con un suo ben individuato gruppo di lavoro, di cui non faceva parte
Riolo, aveva effettuato su questo importante materiale. Il cap. Sozzo ci ha anche spiegato la
dislocazione tecnica del suo gruppo, cioè la logistica dei suoi uffici durante il periodo in cui veniva
effettuato questo lavoro di analisi. Ci ha riferito dettagliatamente le modalità di funzionamento
all'epoca dei computer installati presso i locali dove effettuavano questo lavoro di analisi e ci ha
detto che questi computer erano collocati nei vari uffici erano collegati in una sorta di rete interna
che non aveva nessuna possibilità di collegamento con l'esterno e ci ha anche fornito una serie di
indicazioni importanti, ci ha indicato tutte le circostanze di fatto che io non sto qui ad indicare
specificatamente che dimostrano come Riolo al tempo aveva certamente avuto la concreta
possibilità di copiare lui stesso i file contenenti le trascrizioni letterali delle lettere dei bigliettini di
Provenzano facendo accesso ad uno dei pc in rete. Tutte le circostanze che ci ha riferito Sozzo sul
punto sono poi state confermate dal Col. Daminano il 18/10/2005. Damiano, come aveva già fatto il
cap. Sozzo, ci ha anche detto che i componenti del gruppo tecnico tra cui Riolo non erano a
conoscenza del dettaglio di questi biglietti, ma erano a conoscenza che esisteva questo compendio
documentale, erano a conoscenza che su quest'ultimo era al lavoro un gruppo di analisi comandato
da Sozzo ed erano a conoscenza anche di un solo documento che era stato rinvenuto, che era un
aspetto che riguardava un aspetto tecnico, l' ho già detto ieri. Tra questi tanti lettere, scritti, pizzini,
santini etc c'era il biglietto da visita di una ditta che curava installazioni e noleggio di
apparecchiature tecniche… insomma noi le chiamiamo le "ditte delle intercettazioni", cioè c'era il
biglietto da visita della IES che è una società di cui l'arma dei carabinieri ha fatto in passato largo
uso come ausiliario di pg e che ha lavorato molto sia in attività svolte dalla procura di Palermo sia
in attività svolte dalla procura di Termini Imerese. E ci ha detto Damiano che di questo bigliettino
della Ies effettivamente i tecnici erano stati portati a conoscenza che c'era questo bigliettino da
visita della Ies, ma al di là di questo, delle lettere di Provenzano, i componenti del Gruppo tecnico
di Riolo non avevano conoscenza nel dettaglio del loro contenuto. Poteva Riolo accedere al pc e
copiarsi i file di lavoro dove c'erano le lettere trascritte? In linea teorica poteva, ce lo hanno
spiegato Giovanni Sozzo e Damiano che era possibile accedere al computer, ma poteva farlo anche
in concreto perché quella parte di giustificazione che Riolo ha inteso prospettare e cioè che lui non
avrebbe nemmeno saputo farlo e lo ha fatto sia durante l'interrogatorio al pm sia durante il
dibattimento per parte è stato smentito dai suoi colleghi, da quelli che lavoravano con lui.
Maresciallo De Venuto udienza 13/03/2007 ci ha detto che prima del suo trasferimento ad altro
incarico che è avvenuto nel settembre 2002 quindi siamo a ridosso tra un sequestro, quello del
16/04 e l'altro, De Venuto ci ha detto che prima del settembre 2002 la squadra tecnica aveva un pc
presso gli uffici di Bocca di Falco, ci ha detto che Riolo all'inizio non aveva una particolare
dimestichezza, ma che poi aveva imparato l'uso minimo e ci ha detto che a settembre quando lui se
ne era andato, Riolo era in grado "di scrivere, di fare una lettera, di copiare un file, incollarlo", così
si è espresso De Venuto. Leone udienza 13/03/2007 ci ha detto la stessa cosa e con riferimento a un
periodo successivo, perché Leone ha continuato a lavorare nel gruppo tecnico e ci ha detto che
Riolo aveva una certa dimestichezza con il computer, sapeva scrivere e copiare i file ci ha detto.
13/03/2007 abbiamo anche sentito il maresciallo Filippo Salvi che è stato con Riolo dall'estate del
2002 fino al momento dell'arresto di Riolo il 5 novembre 2003. E anche lui ci ha detto, col
riferimento al periodo in cui avevano lavorato insieme che Riolo aveva una buona dimestichezza
con l'utilizzo del pc, sapeva gestire i sistemi di videoscrittura, e gli chiedeva consiglio soltanto per
caricare i programmi o quando c'erano problemi di sistema operativo, tant'è vero ci ha detto il
maresciallo Salvi che Riolo nel suo pc manteva tutti i fogli di lavoro fatto, custodiva le relazioni
delle varie attività etc etc. Dunque Riolo per sua stessa ammissione è certamente entrato in possesso
delle trascrizioni delle lettere di Provenzano di quelle lettere che P. aveva spedito a Giuffrè. Li
aveva copiati facendo accesso a un computer, ma anche a voler prescindere da questa circostanza,

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lui stesso ci ha detto che dopo aver avuto la disponibilità di questo floppy disc, lo aveva aperto a
casa sua nel suo computer e questo evidentemente Riolo non lo poteva negare perché da operatore
di pc di medio livello sapeva che il passaggio dei file tra floppy disc e pc di casa sua avrebbe potuto
lasciare una traccia sul suo computer, quello stesso computer che il 5 novembre 2003, era stato
sequestrato presso la sua abitazione e sul quale Riolo poteva pensare che fossero effettuati degli
accertamenti tecnici particolari che potevano trovare la traccia di questo passaggio e quindi Riolo ci
ha ammesso questo passaggio. Ma Riolo ci ha detto di più che di questo floppy aveva offerto la
visione, il contenuto del floppy a Aiello e lo ha fatto ci ha detto Riolo per tranquillizzare Aiello ci
ha detto: "glielo l'ho offerto " quando le indagini erano ormai avanti, cioè le indagini che
riguardavano entrambi a poco tempo dall'arresto. E ci ha detto Riolo che contemporaneamente
Michele Aiello aveva detto che su quelle lettere il nome di Aiello non c'era che a suo carico non
c'era nulla e con queste parole Aiello si era tranquillizzato e gli aveva risposto che si fidava di
quello che lui stesso Riolo gli aveva riferito su questo punto. Ora io davvero rimango stupefatto da
questa risposta e dalla sua collocazione temporale, perché questa risposta avrebbe un senso se il
floppy disc fosse stato offerto da Riolo a Aiello al massimo a gennaio del 2003 a Natale del 2002 e
forse manco allora, perché già dal dicembre 2002 Aiello ha la prima notizia che lo riguarda la
famosa notizia che porta Borzacchelli e c'è Giuffrè che parla di lui, Aiello ha sempre detto guardate
siccome io ero sottoposto ad un'azione ricattatoria, intimidatoria questo Borzacchelli mi diceva le
cose per spillare quattrini lo chiamavano il terrorista nelle intercettazioni della rete riservata
possiamo logicamente ammettere che se a gennaio 2003 Riolo avesse detto ad Aiello, ecco qua ci
sono le lettere di Provenzano a Giuffrè quello avrebbe potuto tranquillamente dire: "mi fido di
quello che dici tu", ma non ha pochi giorni dall'arresto a pochi giorni dall'arresto con tutto quello
che c'è (e ci vorrebbe un'altra udienza per ripassarlo, ma non ne vale la pena) sulle intercettazioni
sulla rete riservata, ve l'immaginate Michele Aiello che dice a Riolo "ah, non c'è niente su di me, mi
fido, sto tranquillo" quando Aiello già sa che esistono le dichiarazioni di Giuffrè su di lui, che è
stato intercettato sulle utenze della diagnostica, che le dichiarazioni di Giuffrè sono dichiarazioni
pesanti sa che è iniziato un procedimento della sanità, sa che c'è tutto il mondo che lo sta
investigando, quattro forze di polizia, c'è fuori pure lo Sco, e poi ha la conferma che oltre lui era
investigato anche Giuseppe Ciuro che oltre lui era stato iscritto Giorgio Riolo, cioè il tempo che
passa dà il senso della catastrofe intorno a Michele Aiello.
E pochi giorni ancora prima dell’arresto è credibile che Aiello abbia rifiutato di prendere visione di
questo floppy e del suo contenuto? Non c è soggetto in questo processo che abbia avuto rapporti
con Aiello il quale non ci sia venuto a dire seduto su queste sedie che bisognava tranquillizzare
Aiello perché era apprensivo, perché era in ansia e quindi era una gara di benefattori per
soccorrerlo, per dargli notizie per tranquillizzarlo, addirittura dargli notizia false per
tranquillizzarlo. Voi ve lo immaginate Aiello con in mano il dischetto con dentro tutte le lettere di
provenzano e che dice, “no mi fido di quello che dici tu, Giorgio Riolo”. Riolo ha poi avuto una
parte attiva unitamente a Giuseppe Ciuro con i fatti di cui abbiamo già detto durante la prima parte
della discussione nell’acquisizione di notizie sull’attività investigative, notizie che come abbiamo
visto venivano comunicate questa volta d Ciuro, ma previa divisione dei compiti, previa
informazione di Riolo a Aiello. Riolo si è infine reso responsabile di altre diverse rivelazioni, aventi
ad oggetto sempre attività investigative svolte dal suo reparto di appartenenza. Riolo ha informato
Aiello della collocazione di microspie nell’abitazione di Giuseppe Guttadauro e dell’esito di queste
attività di indagine, fatti sui quali torneremo appresso, esaminando la posizione dell’imputato
Salvatore Cuffaro. Riolo ha infine informato Domenico Miceli della collocazione di microspie nella
sua autovettura e più in generale delle attività d’indagine espletate nei suoi confronti e ce ne ha
parlato all’udienza del 21 marzo 2006, ci ha riferito degli incontri che aveva avuto prima con
Giuseppe Rallo medico palermitano amico di Miceli e poi con lo stesso Miceli, incontri tutti
avvenuti in un periodo in un lasso temporale tra maggio e luglio-agosto 2002, incontri in occasione
dei quali lui aveva confidato ai due, a Rallo e a Miceli, prima separatamente poi insieme. che nei
confronti di Miceli vi erano in corso attività investigative e che era stata installata una microspia

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anche nell’autovettura di Domenico Miceli. Di queste attività – queste le dichiarazioni di Riolo al
dibattimento - ci ha riferito il colonnello Damiano, ci ha riferito Stefano Russo, i quali ci hanno
elencato tempi e modalità delle progressioni investigazione compiute dal Ros su Miceli. Ma di
queste confidenze ci ha anche riferito nel corso della fase dibattimentale il dottore Rallo che è stato
sentito il 15/03/2005 e Rallo ha sia pure tra mille imbarazzi e altrettante incertezza ma poi ha
ammesso di avere incontrato Riolo di averlo incornato insieme a Miceli ha ammesso di avere
ricevuto da Riolo a partire dall’estate del 2002 e fino a prima che Miceli fosse tratto in arresto
diverse confidenze sulle attività investigative che il Ros conduceva nei cfr del suo amico Miceli e in
una di queste occasioni ci ha detto Rallo, Riolo gli aveva confidato che effettivamente aveva
collocato delle microspie all’interno dell’autovettura in uso a Miceli proprio quando
quest’autovettura si trovava parcheggiata temporaneamente a Caltanissetta, circostanza vera perché
ci è stata riferita dagli ufficiali che avevano curato questa attività investigativa. Quindi qui abbiamo
dichiarazioni di Riolo riscontrate oltre che dall’iter investigativo anche da quello che ci hanno detto
Damiano e Russo ma st da quello che ci ha confermato il dott. Rallo.
E allora possiamo iniziare a trarre su tutto l’argomento della fuga delle notizie alcune conclusioni.
Intanto appare assolutamente evidente sotto il profilo in esame, ovvero fughe di notizie che hanno
avuto per oggetto le attività investigative del Ros, non soltanto la natura, ma anche la specifica
valenza del contenuto di quella che abbiamo chiamato la controprestazione che Aiello nell’ambito
del contratto di protezione e grazie al determinante contributo fornito da Giorgio Riolo, che gli ha
confidato tutte queste notizie, ha potuto garantire all’organizzazione mafiosa e in particolare ai suoi
vertici; e qui noi abbiamo una serie di indicazioni che l’acquisizione di queste informazioni
riservate, il disvelamento delle attività investigazione delle forze di polizia (che in questo caso
erano le attività del Ros) è una delle attività che costituiscono da sempre uno dei momenti di
intervento privilegiati da parte dell’organizzazione mafiosa, un settore che ha sempre destato il
massimo interesse in Cosa nostra e soprattutto nel suo capo Provenzano. Sono circostanze note a
chi si occupa di processi di mafia, ma sono circostanze che in questo nostro processo, sono emerse
con una particolare forza probatoria, anzi direi che in questo processo forse più che in altri, è stata
acquisita la prova documentale che Provenzano in persona si occupava, nutriva interesse per tutto
quello che riguardava attività di carattere tecnico: ascolto, microspie, telecamere, videoriprese
eseguite dalle diverse forze di polizia e che questo settore, anzi, costitutiva uno dei suoi motivi di
vera e propria, questa sì, preoccupazione, anzi, poi vedremo, negli ultimi tempi per Provenzano era
diventata una vera e propria ossessione. La prima prova documentale noi ce l’abbiamo in uno dei
biglietti che abbiamo acquisito al fascicolo del dibattimento ed è uno dei biglietti che sono stati
sequestrati ad Antonino Giuffrè al momento del suo arresto; ed è una lettera che Provenzano aveva
scritto a Giuffrè ad aprile del 2002, una delle ultime lettere indirizzate ad Antonino Giuffrè prima
del suo arresto. Quindi abbiamo un momento temporale ben determinato siamo nella primavera del
2002 ed è un momento che si colloca esattamente a metà in quella progressione di rivelazioni di
notizie sull’attività del Ros da parte di Riolo a Michele Aiello che abbiamo visto iniziare nel 1999 e
avere termine pochi giorni prima del loro arresto, di Aiello e Riolo, quando Riolo aveva confidato a
Michele Aiello che c’erano le telecamere e le attività su F. Pastoia. Ebbene in questo biglietto che
risale ad aprile 2002, Provenzano scrive testualmente ad A. Giuffrè: “discorso C R: se lo puoi fare ti
ubbidiscono, facci guardare se intorno all’azienda ci avessero potuto mettere una o più telecamere
vicino distante, falli impegnare ad osservare bene e con questo dire che non parlano nè dentro né
vicino alle macchine, anche in casa, non parlano ad alta voce, non parlare nemmeno vicino a casa
né buone né diroccate, istruiscili. Niente per me ringraziamenti, ringrazia nostro Signore Gesù
Cristo”. Giuffrè, che ha visto questo biglietto, ce ne ha spiegato il contenuto e ci ha detto che questo
biglietto non era un avvertimento di tipo generico, era qualche cosa di più, era un avvertimento di
tipo specifico “facci guardare se intorno all’azienda discorso CR” e ci ha detto CR altri non era che
il suo particolare uomo di fiducia, cioè Carmelo, un codice assolutamente semplice. Carmelo era
Carmelo Umina, cioè colui il quale portava a Ciminna, ai fratelli Piscopo, i biglietti di Giuffrè e
riceveva a sua volta le lettere di Provenzano indirizzate a Giuffrè. E l’azienda ci ha spiegato

127
Giuffrè era l’azienda degli Umina, dove lavorava Carmelo Umina con suo padre Gioacchino.
Un’azienda zootecnica che si trovava a Vicari, praticamente di fronte a Ciminna ed era l’azineda
dove fino a 10-15 gg prima dell’arresto di Giuffrè, Provenzano passava quando vedeva determinate
persone e utilizzava una serie di luoghi in prossimità di questa azienda che serviva come punto di
incontro per gli appuntamenti e quindi ecco gli interessi di Provenzano a questa azienda. E presso e
quell’azienda le telecamere c’erano per davvero, e allora la circostanza davvero originale - ed è
ancor più originale se la si interpreta in riferimento a quelle che sono le prassi, le dinamiche interne
a Cosa nostra, del suo sistema di controllo del territorio - è che sulla presenza delle forze di polizia
di un’attività investigativa per altro così penetrante di carattere tecnico a Vicari, mandamento di
Caccamo, luogo nel quale negli ultimi due anni Giuffrè trascorreva la sua latitanza, presso
quest’azienda Giuffrè era di casa, occupava un’abitazione che gli aveva trovato Carmelo e
Gioacchino Umina e che era a pochi Km dall’azienda zootecnica. Ebbene, la presenza delle
telecamere in quell’azienda a Giuffrè, che è capo del mandamento, glielo manda a dire Provenzano.
Il che la dice lunga non solo sulla preoccupazione e sull’interesse personale di Provenzano ad
acquisire notizie, ma soprattutto la dice lunga sulle sue capacità di acquisire notizie sulla pervasività
dei suoi canali informativi. Ma si può anche dire, tranquillamente, che le notizie che Riolo ha
sistematicamente confidato ad Aiello sulle attività del Ros hanno una caratteristica, hanno una
connotazione del tutto particolare, perché non hanno riguardato genericamente le attività del Ros a
360 gradi, le attività in Sicilia e a Palermo, no. Hanno avuto per oggetto specificamente quelle che
interessavano direttamente o anche indirettamente Matteo Messina Denaro, ma soprattutto
Bernardo Provenzano, il cui stato di latitanza si è indubbiamente potuto protrarre anche grazie alle
preziose informazioni che Riolo ha veicolato ad Aiello e da quest’ultimo sono state a sua volta
trasferite come abbiamo visto a Cosa nostra. E sotto questo profilo il maggior numero di notizie
investigative del Ros sia dal p d v della qualità sia dal pdv della quantità hanno avuto come centro
ancora una volta Bagheria, che si dimostra anche sotto questo profilo uno degli snodi fondamentali
del sistema Provenzano. Sono passati molti anni da quando lo stabilimento della Icre era uno dei
campi di sterminio di Cosa nostra, quindi omicidi. Poi Bagheria ha significato per Provenzano
alleanze mafiose, affari miliardari, ma ha significato anche e soprattutto informazioni riservate.
Alleanze, affari, informazioni: il pane quotidiano di Cosa nostra a Bagheria. Dell’esistenza di più
canali informativi che da tempo funzionavano tra Bagheria e Provenzano tra i suoi uomini di fiducia
nell’area territoriale di Bagheria ci ha riferito in primo luogo lo stesso Giuffrè. Udienza dell’8
marzo 2005. Giuffrè ci ha raccontato della costante preoccupazione di Provenzano per le attività
delle forze di polizia, ci ha raccontato del costante e crescente livello di attenzione che il capo di
Cosa nostra manifestava per il profilo per il settore dell’acquisizione delle informazioni e quello
della prevenzione generale sulle indagini antimafia e ci ha detto Giuffrè che era diventata nel corso
degli anni soprattutto dopo il 2000 una vera e propria ossessione per Provenzano, ha testualmente
riferito Giuffrè: “questo diciamo (il controspionaggio) che era forse l’argomento più importante che
veniva trattato da Provenzano stesso e che raccomandava sempre di stare attenti a parlare a
raccontare, raccomandava sempre di stare attenti negli spostamenti. Parlare perché vi erano
microspie, negli spostamenti perché spesso e volentieri erano state ubicate delle telecamere durante
i percorsi che si facevano anche a volte in zone interne, diciamo che a volte probabilmente
esagerava (l’ossessione) però cioè aveva le idee abbastanza chiare della pericolosità sia per quanto
riguarda i discorsi delle microspie, sia per quanto riguarda i discorsi delle telecamere. E che spesso
e volentieri magari da parte delle altre persone si sottovalutavano, che magari lì si discuteva poi ben
presto se lo dimenticavano, posso tranquillamente dire che poi nell’ultimo periodo si è cercato di
attrezzarsi con delle apparecchiature idonee per il ritrovamento di microspie. Lo stesso Provenzano
tutte le volte che veniva dalle mie parti, a Vicari, faceva un’attenta ricognizione delle stanze dove
noi ci mettevamo per discutere”. E Giuffrè a questo punto alla domanda se al di là di quelle che
sono le preoccupazioni generiche di un capo di Cosa nostra che è latitante da 40 anni, Provenzano
aveva dei canali di informazione? Cioè le cose che diceva, le microspie nell’azienda zootecnica etc,
aveva delle informazioni? Giuffrè ha risposto di sì e ha detto “seppe Provenzano delle telecamere

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ma non solo, spesso e volentieri diceva che vi erano anche dei punti di osservazione e non solo in
quella zona, punti che andavano ad interessare se mi ricordo bene la zona di Cutarno (ma è
Godrano) e nello stesso tempo la zona di Ciminna. Probabilemte anche l’azienda se non ricordo
male di un certo Riggio, o qualche cosa del genere, cioè bene o male tutto il contesto dove
Provenzano si muoveva diciamo che lo stresso era pari pari informato”. E allora è stato chiesto a
Giuffrè da dove Provenzano attingesse queste informazioni riservate e ha detto : “io sapevo che da
sempre vi era un discorso che portava a Bagheria è un discorso che risale addirittura agli anni 80 e il
discorso era: ne erano beneficiari coloro che se ne occupavano in modo particolare Nino Gargano
prima e Nicolò Eucaliptus successivamente, tant’ è vero che in più di un’occasione io stesso attingo
notizie, cioè ricevo delle missioni di informare dei mafiosi che da lì a breve ci saranno dei blitz,
degli arresti. In modo particolare mi ricordo di un fatto portato avanti dal Provenzano e dal Nino
Gargano attorno… ”, poi Giuffrè è stato interrotto e gli è stato chiesto di specificare cioè : “poi le ha
chiesto se ho capito bene le fonti di queste notizie, cioè se Provenzano avesse solo una
preoccupazione generale o se avesse delle fonti particolari”. E Giuffrè ha subito risposto: “ho detto
io su Bagheria in modo particolare”, domanda “su Bagheria che cosa intende in particolare, si
riferisce a Gargano ed Eucaliptus?”. Giuffrè: “il discorso parte da lì, che io in un periodo sono stato
chiamato dal Provenzano e dal Gargano per avvertire e c’è un particolare ben preciso Giuseppe
Farinella che dovremmo essere intorno all’87 io andrò in missione per andare ad avvertire.”
“Quindi Provenzano le disse che aveva notizie direttamente da Gargano prima e da Eucaliptus
dopo da Bagheria?”; Giuffrè: “Cioè da quella zona, cioè, da sempre gli passavano delle notizie”. E
all’udienza del 9 marzo 2005, Giuffrè ha confermato quanto aveva riferito in questa parte
dell’esame e anzi ha aggiunto qualche cosa di estremamente importante, perché è stato chiesto da
una delle parti private: “Ma questo centro d’informazioni di Bagheria che lei ha detto anni 80, può
essere più preciso, cioè da quando a quando per quelle che sono le sue conoscenze”; Giuffrè :
“avvocato non è che io… da quando a quando non sono in grado”; “o fino a quando? ”; Giuffrè: “
fino a quando io ho frequentato perché come le ho detto io poi da latitante frequenterò Bagheria
pochissime volte, nel 94, ma le pochissime volte dopo di ciò su Bagheria, ma lo stesso Provenzano
diciamo che come appuntamenti ci andrà sporadicamente”. Ovviamente lui parla prima del 2002.
“Come, scusi, non ho sentito”; “Ci andrà sporadicamente”, “Quindi diciamo che lei dal 94 non ha
più notizie su queste informazioni?”, Giuffrè: “per quanto riguarda informazioni per quanto
riguarda discorsi diretti a parte gli uomini di Bagheria ”; “Senta, ma anche dopo l’arresto di
Gargano ed Eucaliptus continuarono queste fughe di notizie?”; “Sì, penso di sì, certo”, allora
l’argomento viene ripreso e sviluppato e viene chiesto, “ma dopo che sono stati arrestati Gargano ed
Eucaliptus, lei sa se vi furono ancora notizie giunte al Provenzano da Bagheria, relative ovviamente
ad indagini ed arresti?”; Giuffrè: ”su questo ho risposto anche ieri, dicendo di sì. Sono notizie che
poi che apprendo direttamente dal Provenzano, non ho più discorsi personali e direttamente su
Bagheria”; “Ma il Provenzano gliene parlò di questa cosa?”; “certo!”; “quindi anche dopo il 91-
92?”; “sì, perfetto, perfetto” “Fino in tempi recenti?”; “perfetto”, “Fino in tempi recenti?”; “in modo
particolare poi attorno al 2000”. Giuffrè parla fino al 2000 per quella che è la sua conoscenza che
viene arrestato nel 2002. Dell’esistenza di un canale informativo riservato che partiva da Bagheria
e arriviava a Provenzano e che aveva ad oggetto informazioni sulle attività di indagine e sugli
arresti e ci ha detto Giuffrè che sin dagli anni 80 questo canale aveva un nome, anzi due nomi e due
cognomi Nino Gargano e Nicolò Eucaliptus ed è lo stesso Nicolò Eucaliptus al quale tra il 20
gennaio 2003 e l’11 /02/2003 Aiello comunica l’esistenza di una microspia nella macchina di suo
figlio. Tanto per dimostrare che anche sotto questo profilo i moduli con i quali il sistema
Provenzano si è reiterato nel tempo sono davvero sempre gli stessi. Sempre gli stessi moduli,
sempre le stesse persone. Ci sarebbe da farne un altro di processo. Su un canale informativo che
parte da Bagheria e ha per oggetto attività di indagine e arresti, non ci ha parlato solo Giuffrè,
qualcosa ci ha detto anche il colonnello Riccio e siamo sempre all’interno dello schieramento
mafioso più vicino a Provenzano: siamo sempre a Bagheria!

129
Udienza del 6/12/2005, al colonnello Riccio viene chiesto: “ Senta, per quanto invece rigurada la
attività investigativa che lei svolge, o comunque il pedinamento che lei e i suoi uomini svolgete nei
confronti del Castello (qui si parla di Simone Castello, indagine Grande Oriente) furono posizionate
microspie o altro per seguire, per attenzionare il Castello?”. Simone Castello è uomo di Provenzano,
il postino, quello che va a Reggio Calabria per imbucare l’unica lettera con la firma autografa,
allora, di Provenzano. Riccio: “Sì, se non sbaglio, se non ricordo male fu posizionata, fu messo
sotto controllo il telefono di una delle sue abitazione e anche fu messa una microspia nella
macchina. Però lui, appena riuscimmo, poco poco, dopo poco, a mettere l’ambientale nella
macchina, nel mercedes di S. Castello, il Castello si incontra con Ilardo e consegna a Ilardo una
lettera di cui io ne acquisisco copia ed era la dichiarazione di intenti di un certo Carbonaro
Dominanti, di un collaboratore, nella quale si parlava anche di S. Castello e lui dice “guarda io so,
sono stato avvisato che c’è un’indagine nei miei cfr, che sicuramente mi stanno mettendo le
microspie ””. Siamo a metà degli anni 90, siamo a Bagheri, di nuovo mi stanno facendo le indagini,
mi stanno mettendo le microspie. Questo è il Castello che lo dice e prosegue Riccio: “dice, anche se
dice, la mia collocazione è errata nell’organigramma che fa questo collaboratore, però io peno che
prima o poi mi arrestano. Però riuscirò a evitare l’arresto perché ho una persona che mi può
informare dell’Arma di Bagheria, almeno così lui la qualificò”, ci dice Riccio. Che cos’è questa, se
non la conferma, ancora una volta, puntuale, precisa di quello che ci ha detto Giuffrè fino al 2002?
E di quello che dopo il 2002 Giuffrè non ci poteva dire, ma che ci hanno detto i diretti protagonisti:
Riolo, Aiello, N. Eucaliptus, suo figlio; la conferma che da sempre Provenzano e i suoi uomini di
fiducia a Bagheria potevano fare il bello e il cattivo tempo, ma potevano soprattutto acquisire
informazioni riservate sulle attività di indagine in corso, sugli arresti, sulle microspie: informazioni
che servivano a neutralizzare quelle indagini e quelle attività tecniche che erano in corso,
esattamente come è accaduto negli ultimi anni, esattamente come è accaduto dopo la cattura di
Giuffrè dal 16/04/2002 e come è accaduto fino al 5/11/2003 e cioè fino a quando non sono stati
arrestati Riolo e Aiello.

È stato un lungo, forse anche desolante elenco di particolari e specifiche notizie riservate sulle
attività investigative condotte dal Ros, quello che Riolo ha partecipato a Aiello, ma questo lungo
elenco e le modalità con le quali ogni singola rivelazione si è realizzata c forniscono gli elementi
utili a rispondere alla domanda con la quale avevamo aperto questa parte della discussione. Ci ha
detto Riolo che ogni volta che aveva messo al corrente Aiello su notizie, info, iniziative riservate
sulle attività del suo reparto di appartenenza: il Ros, lo aveva fatto sempre “Così”: gli veniva “così”
per puro spirito di protagonismo e per usare ancora una volta le parole di Riolo “per pavoneggiarsi”,
senza alcun ritorno economico, ma nella speranza di poterne averne in un prossimo futuro. Ci ha
lasciato intendere che se qualche cosa aveva fatto, non lo aveva fatto di certo nella consapevolezza
di chi realmente fossero i suoi interlocutori e in particolare colui al quale lui andava partecipando
questa messe di notizie, ma aveva agito per motivi economici, per quella vil moneta che non aveva
ancora ottenuto, ma che sperava di ottenere nel futuro. E non c’è come abbiamo visto rivelazione
della quale Riolo non si sia reso responsabile e come tale non si sia anche dichiarato che non sia
stata accompagnata sempre da una sola, unica, giustificazione. Io ve l’ho letta una sola volta, ma è
sost. sempre la stessa e le parole sono: “Non lo so, mi venivano così e glielo raccontavo. Daltronde
io non avevo nessun dubbio sull’ing. No, nessuno, né su di lui né sugli altri”. E veniamo a un altro
dei tanti leit motiv di questo processo e cioè che qua in questo processo la mafia non c’è. Non ci
troviamo di fronte a una delle forme più pericolose di Cosa nostra, ma siamo invece in presenza di
un improvvido gruppo di amici che spinti da ragioni di mero interesse, da ragioni assolutamente
particolari, certo forse hanno un po’esagerato, ma che trattandosi di persone, e ce lo ha ripetuto
Riolo, aventi buone relazioni nei palazzi che contano, certo con Cosa nostra non avevano nulla a
che fare. Anzi uno dei nostri imputati ne è addirittura vittima e gli altri si sono tutti prodigati, certo
eccedendo, ma tutti si sono prodigati verso un’ unico buon fine: cioè quello di soccorrere la vittima.
E loro, gli imputati, cento volte lo ha detto Riolo, ma 1000 volte lo ha detto Aiello che non ha

130
mancato di fare nomi, cognomi, indirizzi di frequentazioni anche relative a questo nostro palazzo. E
allora cerchiamo di capire se è vero quello che ci ha detto Riolo, se tutto questo è frutto di una
smisurata voglia di protagonismo, di cose terra terra. L’elenco corposo delle rivelazioni lo abbiamo
fatto e adesso lo vediamo per davvero con quale animo Riolo ha agito.
Noi sappiamo che le rivelazioni sono iniziate nel 99 e come vi ho detto hanno avuto termine pochi
giorni prima dell’arresto di Aiello e Riolo, ma sappiamo anche che sin dal 1999, non appena
quando Riolo aveva conosciuto Aiello, questo ultimo lo aveva quasi subito, dopo pochi mesi,
informato che aveva ricevuto richieste economiche,”le solite pretese”, le famose pretese sine titulo
questa volta da parte di Filippo Guttadauro, che, all’epoca, quando Aiello gli parla di Guttadauro,
Riolo ben conosceva, non solo perché anagraficamente Filippo Guttadauro era il cognato di Matteo
Messina Denaro, che in quel periodo anche il Ros cercava, ma soprattutto perché proprio
nell’ambito di questa attività di ricerca, Guttadauro, prima ancora che Riolo entrasse nell’abitazione
di Castelvetrano per mettere le famose microspie, Filippo Guttadauro era stato uno degli obiettivi
investigativi del Ros già nei mesi precedenti con servizi di osservazione e pedinamenti, progetti di
attività tecniche anche con riferimento all’abitazione di Aspra e sempre finalizzate alla cattura del
parente latitante: dell’imprendibile Matteo Messina Denaro. Ce ne ha parlato lo stesso Riolo,
dicendoci che aveva partecipato alle fasi di preparazioni degli interventi sulle attività su Guttadauro,
sia quelle su Aspra non effettuati, gli interventi, sia quelli su Castelvetrano che erano stati effettuati.
Ma in quello stesso periodo, dopo giugno 1999, Riolo aveva scoperto anche un’altra cosa: cioè che
alle dipendenze di Aiello lavoravano Francesco e Paola Mesi il primo arrestato per
favoreggiamento di Matteo Messina Denaro, la seconda, sorella, come il primo, di Maria Mesi che
sarebbe stata tratta in arresto per lo stesso reato di favoreggiamento a giugno del 2000 e ha scoperto
Riolo, anche, che Maria e Paola Mesi occupavano proprio quell’abitazione dove qualche tempo
prima, a giugno 1999, Aiello gli aveva chiesto di recarsi per verificare la presenza delle telecamere
e lo avevano fatto, avevano verificato che le telecamere c’erano per davvero e Riolo aveva appreso
che quelle telecamere non erano quelle del Ros, ma di altre forze di polizia e però, nonostante
questo, Riolo aveva continuato a frequentare con assiduità, anzi aveva accentuato i rapporti e le
relazioni con Aiello e lo aveva fatto anche dopo il giugno ‘99 e anche dopo l’arresto di Maria Mesi
2000. E certo non gli poteva essere sfuggita la circostanza a Riolo, la strana circostanza, che
nonostante tutto quello che era accaduto: arresti, perquisizioni, ritrovamenti di biglietti di Matteo
Messina Denaro nell’abitazione di via Milwaukee 49, ciononostante pure dopo il 2000 Paola Mesi
era sempre al suo posto alla diagnostica, anzi era socia di una delle società del gruppo, non solo, ma
con il passare del tempo a Riolo non poteva certo essere sfuggito che Aiello, quando aveva deciso
di costituire la rete riservata, aveva comprato o fatto comprare alcuni telefoni cellulari, pochi: sette.
Ebbene uno di questi era finito a P. Mesi. E siamo però a 06/2003, ma nel frattempo erano accadute
molte altre cose che a Riolo non potevano essere sfuggite. Già prima delle elezioni regionali del
giugno 2001, ci ha detto Riolo, che il maresciallo Borzacchelli, che poi a quelle elezioni sarebbe
stato candidato, gli aveva parlato –quindi quando ancora era carabiniere – degli scheletri
nell’armadio di Aiello, riferendogli di investimenti di soldi della mafia e di Provenzano nelle
imprese dello stesso Aiello. Certo si dirà: quello era il periodo di rottura dei rapporti tra
Borzacchelli e Aiello; Riolo era perfettamente informato della rottura dei rapporti, anzi si adoperava
perché quella tensione fosse ricomposta e quindi si può dire che a quelle notizie che B. gli aveva
dato sugli scheletri nell’armadio di Aiello e sui soldi di Provenzano nelle imprese di Aiello,
potevano essere il frutto di un disegno di Borzacchelli volto a danneggiare Aiello. A spillargli dei
quattrini e però poi a distanza di poco tempo, perché questo avviene nel 2001, nel 2002 quella
stessa identica notizia e cioè che c’erano i soldi di P. nelle imprese di Aiello, Riolo ci ha detto il
4/04/2006 gli era stata confermata anche da due suoi colleghi di lavoro che gli avevano parlato di
nuovo di notizie su investimenti mafiosi, su investimenti di P. nelle attività di Aiello e tre o quattro
mesi prima dell’arresto, ci ha detto Riolo, anche il suo comandante Damiano gli aveva parlato a
Riolo dei possibili investimenti di soldi di P. nella diagnostica di Aiello. Però nel frattempo, poco
prima, era accaduto una cosa tra il 20/01/2003 e l’11/02/2003,G. Riolo apprende in diretta nella sal

131
ascolto del suo reparto di appartenenza che le intercettazioni in corso sulla Opel corsa utilizzata da
Salvatore Eucaliptus e dal padre, non solo stanno dando ottimi risultati e dimostrano che in quel
momento N e S Eucaliptus non solo sono organici alla Cosa nostra di Bagheria, ma soprattutto N.
Eucaliptus ne rappresenta uno degli elementi portanti, ma soprattutto in una di quelle date tra il
20/01/2003 e l’11/02 Riolo apprende che con quel N. Eucaliptus aveva rapporti Michele Aiello. E
apprende anche il tipo di rapporti perché dalle conversazioni che Riolo ci ha detto di aver ascoltato,
quel tipo di rapporti hanno una connotazione particolare e certo da quel contenuto, Michele Aiello
non sembra una vittima della mafia, non lo sembra chiunque sia dotato di media intelligenza, che
ascolta e legge quelle intercettazioni, non lo può sembrare a un carabiniere del Ros che fa attività
proprio su quel versante. Ce lo ha detto chiaramente Riolo il 28 marzo 2006, quando gli abbiamo
chiesto:”lei ha saputo che tipo di conversazioni seppure per linee generali sono state intercettate tra
nov e marzo 2003 dentro la Opel corsa?” e lui ha risposto: “le più disparate”; “più disparate che
vuol dire?”; “in questo momento non mi ricordo, mi aiuti… se mi può aiutare nella memoria” e
allora sono state lette le precedenti dichiarazioni e dopo la lettura lui non ha esitato: “sì, sì, è così,
confermo”. Che cosa aveva confermato?
La domanda era questa:
pm: “ha saputo di che cosa si parlava che cosa risultava da questa microspia?” ,
Riolo: “no cioè no, piccolezza, parlavano di cose importanti”;
pm: “non capisco”;
Riolo: “Parlavano di cose”
Pm: piccolezza, che parlavano di cose importanti, che significa?
Riolo: parlavano di cose importanti, ma non ho mai saputo il contenuto
Pm: Importanti, ma facendo dei riferimenteti a fatti di ogni tipo, di estorsione, mafia di Bagheria,
politica ?
Riolo:no,no, no
Pm: ad Aiello?
Riolo:no, no, per carità, non di questi, magari avessi saputo a questo punto per capire effettivamente
chi era Aiello. Io di Aiello non ho mai sentito parlare se non una volta, quando ha detto che
dall’ing. non lo dovevano andare a rovinare e cose varie. Questo è questo
Pm: allora questo lo ha saputo?
Riolo: questo l’lo ha saputo
Pm: questa conversazione in cui Eucaliptus dice
Riolo: sì sì perché mi sono trovato occasionalmente che stavo montando altri dispostivi nell’altra
sala. È stato occasionale
Pm: quindi ha sentito Eucaliptus che dice non dobbiamo andare “non dobbiamo andare dall’ing. se
no lo roviniamo”. È giusto?
Riolo: sì, sì ricordo. Una frase del genere

Quindi certamente in una data tra il 20/01/2003 e l’11/01/2003, Riolo ha accortezza di quali sono i
veri rapporti tra Aiello e N. Eucaliptus “non dobbiamo andare dall’ing. per non rovinarlo”. A
Palermo lo capiscono pure i bambini che cosa vuol dire, figuriamoci un maresciallo del Ros. E però,
nonostante tutto, Riolo, dopo e se non è dopo siamo in quei giorni, rivela a Aiello che nella
macchina di Eucaliptus c’era la microspia che avevano installato il 6/11/2002. Non solo, ma dopo
trascorrono dei giorni e Riolo rivela ad Aiello le attività investigative in corso, non solo sugli
Eucaliptus, ma anche che il figlio Salvatore fosse confidente del Sisde. Poi passano i mesi e Riolo
sa qualche cosa di più, siamo a giugno, sa che lo stanno intercettando, sa che stanno costruendo la
rete riservata, gli hanno dato un telefonino per evitare le intercettazioni, sa che Aiello è iscritto nel
registro degli indagati per il 416 bis da quella stessa Procura che gli firma i decreti che poi lui va ad
eseguire, sa pure che c’è il procedimento della Sanità a Riolo, sa che ci sono le intercettazioni, va a
caccia dei decreti di proroga e dopo tutto questo lui si sente in dovere di spiegare a Aiello che a
Belmonte su Pastoia ci sono attività investigative e telecamere: lui, che sta nel Ros dal 1993 e che

132
sa che Pastoia era la fissazione del Colonnello De Caprio e che era una fissazione che si era
trasmessa geneticamente nel Ros, giustamente.
Nel frattempo era accaduta un’altra cosa, Riolo aveva saputo che Aiello era diventato un possibile
obiettivo investigativo della sezione anticrimine e di Aiello, come possibile obiettivo cui estendere
le attività già in corso nei cfr degli Eucaliptus all’interno della sezione anticrimine, se ne era parlato
e non in termini generici, ma in termini concreti in una data che possibilmente sta in una data che
possibilmente sta in mezzo al periodo tra il gennaio-febbraio e aprile 2003. Stefano Russo ci ha
detto che se ne era parlato tra gennaio-febb; Antonio Damiano ci ha detto che se ne era parlato tra
aprile: è possibile che uno dei due abbia un ricordo poco esatto, poco importa, il range temporale è
tra febbraio e aprile. E che cosa succede tra gennaio e aprile?una cosa assolutamente chiara e cioè
che Riolo viene ascoltato, interpellato per ben 2 volte, prima de Stefano Russo, poi dal suo
comandante il colonnello Damiano che gli chiedono la fattibilità di attività tecniche all’interno della
diagnostica. Perché gli spiegano che nei cfr di Aiello occorre iniziare una nuova attività
investigativa e Riolo non solo partecipa a due riunioni che hanno ad oggetto questo argomento, ma
si offre e dice: “Io conosco Aiello, là dentro ci lavora mia moglie. Io ci posso entrare senza destare
sospetti”. E non è una delle tante idee campate per aria che possono venire a chi si occupa di
investigazioni dalle 7 della mattina alle 3 della notte: questo era un progetto concreto e ce lo hanno
detto Sozzo, Damiano, Russo, Filippo Salvi, tutti soggetti coinvolti per preparare questa attività. E
Aiello era diventato un possibile obiettivo investigativo del Ros anche sulla base di emergenze
investigative di cui Riolo era perfettamente informato. Perché le ragioni per le quali, e ce lo hanno
spiegato Damiano e Russo, a un certo punto si pensa di andare ad investigare Michele Aiello sono
2:
Uno: Il nome di Aiello nei biglietti di Provenzano. È possibile che a quel punto ancora Riolo
non avesse conoscenza del famoso floppy disc. Poco importa, ma si va in direzione di Aiello e
ci si va proprio esattamente in quel lasso temporale perché nel frattempo N. Eucaliptus era
andato ripetutamente da Aiello e contemporaneamente nella macchina di S. Eucaliptus erano
state captate, registrate quelle conversazioni di cui io vi ho già parlato: 20/01, 21/01; 8/02,
11/02. Conversazioni che dal p d v investigativo indicano Aiello, chiaramente, non una vittima
di N. Eucaliptus, ma più che un complice. Queste sono le emergenze che inducono il Ros a
pensare in concreto e a progettare, un’attività investigativa su Aiello e di queste emergenze
ammesso pure che Riolo già non conoscesse il famoso floppy disc, tutte le altre emergenze
erano tutte conosciute da Riolo. Quindi quando si parla in concreto del progetto di investigare
Aiello, di mettere le microspie nella diagnostica, non c’è possibilità di errore, cioè Riolo lo sa
che quello è un progetto serio che si parla di cose da fare e non di idee campate per aria. Poi
però di questa indagine, di questa direzione investigativa non se ne era più fatto niente e non se
ne era fatto niente per un semplice motivo, perché ce lo ha spiegato sia pure con parole di
circostanza Damiano gli obiettivi sono tanti e le forze sono quelle che sono. E quindi non si
poteva coprire tutto e poi probabilmente il col. Damiano aveva saputo che in quel periodo su
Aiello l’indagine già c’era e la faceva il reparto territoriale dei carabinieri. Siamo tra gennaio e
aprile
Ma Riolo nonostante tutto questo, nonostante la successione di notizie che nonostante tutto
questo aveva continuato a dare ad Aiello, di contro, non racconta nulla del versante dei suoi
rapporti con Aiello, di tutto quello che sapeva, di tutto quello che avrebbe saputo e di tutto
quello che aveva fatto. Non racconta nulla ai suoi superiori: non racconta della vera natura dei
contatti con Aiello, non racconta delle continue confidenze che già dal ‘99 gli stava facendo;
non racconta che aveva detto dello zio Tom, di Tornatore, di Eucaliptus, e non dice loro neppure
dei rapporti tra Aiello e gli Eucaliptus, non dice neppure dei rapporti che aveva cercato di
instaurare Leonardo Greco, eppure Riolo, in quel momento sapeva benissimo che N. Eucaliptus
era un obiettivo investigativo della sua sezione, sapeva benissimo che Leonardo Greco era un
obiettivo investigativo della sua sezione e su Greco, così come su N. Eucaliptus la sezione
aveva attività tecniche in corso, quando Greco veniva da Sulmona per reinserirsi socialmente la

133
sezione anticrimine gli captava i colloqui che Greco faceva in un certo portone, in un certo
androne di un palazzo e le microspie le aveva messe Riolo, oltre ad averle autorizzate il
sottoscritto e però Riolo si guarda bene dal dire ai suoi superiori che sapeva che N. Eucaliptus
aveva preso soldi da Aiello, che Leonardo Greco voleva soldi da Aiello, anzi – perché tutto
questo viene fino all’estate del 2003- passa l’estate perché Riolo continua imperterrito nella
sistematica rivelazione di notizie sulle altre attività di indagine, non solo ma si attiva, partecipa
attivamente alle controindagini per acquisire le notizie sui procedimenti in corso nei cfr di
Aiello, in particolare si attiva per trovare le notizie sulle proroghe delle intercettazioni, prende
uno dei telefoni della rete riservata, lo utilizza, a pochi giorni dall’arresto lo cambia di nuovo, e
poi finalmente il 5/11/2003 tutto questo finisce perché viene arrestato, ma nel frattempo nulla
dice di tutto questo al suo comandante neppure in forma riservata. E non lo dice neppure ad
alcuno dei suoi colleghi di reparto, neppure in forma riservata e sono tutti questi elementi che
evidenziano già chiaramente con quale consapevolezza Riolo abbia intrattenuto rapporti con
Aiello, con quale consapevolezza lo abbia costantemente informato di tutte le iniziative che il
Ros aveva in corso sul territorio di Bagheria, e su tutte le iniziative che il Ros aveva in corso su
Provenzano e di Matteo Messina Denaro, altro che la voglia di protagonismo. Ma che le manie
di protagonismo si ano del tutto estranee, del tutto estranee, non ce ne è neppure una traccia nei
motivi veri per i quali Riolo ha informato Aiello ce lo conferma anche un’altra particolare
vicenda, che nell’economia di questo processo ha davvero del paradossale ed è la cartina di
tornasole che le smanie di protagonismo non hanno nulla cui vedere con i veri motivi per cui
Riolo ha confidato tutto questo a Aiello. Faccio riferimento alla cattura di Salvatore Rinella,
tratto in arresto nella via Pitrè di Palermo il 6/03/2003. Rinella ne abbiamo già parlato all’epoca
era il capomafia, il reggente della famiglia mafiosa di Trabbia, mandamento di Caccamo,
personaggio di spicco, molto legato a Giuffrè con il quale era in corrispondenza epistolare,
molto legato dall’altro lato a Benedetto Spera, buoni rapporti con l’ambiente mafioso di
Bagheria: un buon circuito relazionale all’interno di Cosa nostra. Salvatore Rinella era latitante
da 7 anni, sul suo capo pendevano un ordine di carcerazione per concorso in omicidio aggravato
al seguito del quale aveva riportato una condanna all’ergastolo definitiva, pendevano misure
cautelari per associazione mafiosa e concorso in estorsione aggravata, delle diverse fasi che
hanno preceduto il conseguimento di un obiettivo investigativo davvero importante e
significativo da parte dell’arma dei cc, c è stato riferito da Damiano che ci ha anche spiegato il
ruolo che aveva avuto in questa attività Riolo, un ruolo estremamente particolare perché quando
ormai si era arrivati da un p d v investigativo in via Pittrè e si era individuato il palazzo di via
Pittrè in cui Rinella abitava ci si era posti il problema di sapere quale era l’appartamento in cui
Rinella abitava e di verificare se Rinella fosse effettivamente là e tutto questo non si poteva che
fare attraverso un solo sistema: bisognava guardare costantemente il palazzo, l’ingresso del
palazzo, le finestre e i balconi del palazzo. A via Pittrè questo non si può che fare con una
telecamera: è stato fatto con una telecamera installata da Riolo con l’esperienza che ne ha
sempre contraddistinto l’attività e con un’ingegnosa idea, tant’è che quella telecamera non è
stata scoperta, ha funzionato bene e ha dato i suoi frutti. Perché pochi giorni dopo, quella
telecamera ha inquadrato Rinella, è stato riconosciuto Rinella, la sagoma che è assolutamente
particolare era dietro quel balcone e la stessa notte di quel giorno i cc sono intervenuti, sono
entrati nell’appartamento, hanno tratto in arresto Rinella. È stata un’operazione importante,
brillante, perché sono stati trovati alcuni biglietti, la cui analisi ha poi acconsentito di fare
arresti, sono stati sequestrati armi, contanti, sono stati arrestati favoreggiatori. Ce ne era
abbastanza perché Riolo si potesse vantare di questa brillante iniziativa etc etc, il risultato gli
apparteneva. Riolo di questa cattura ci ha parlato, questa volta dobbiamo rovesciare l’ordine
degli elementi da valutare. Questa volta partiamo dal dibattimento, udienza del 04/04/2006:
Riolo ci ha raccontato le diverse fasi che avevano preceduto il proprio diretto impegno
nell’attività tecnica che aveva personalmente curato durante gli ultimi gg che avevano preceduto
la cattura del latitante e in particolare ci ha raccontato dell’installazione di questa particolare

134
telecamera, abilmente occultata in prossimità di un ufficio postale. E per capire qual è il senso
della vicenda, vi devo leggere qualche pagg del suo esame:
Pm: Senta, dal momento dell’installazione, poi lei ha saputo che quest’attività ha avuto un buon
esito. Dico, Rinella è stato catturato…
Riolo: Grazie a me
Pm: Come?
Riolo: Grazie a me
Pm: Sì sì si certo, grazie
Riolo: Grazie a me, perché era successo un particolare quella sera. È una cosa in più che io anco
ra non vi ho detto.

Perché quello che vi ho detto già attesta i meriti per la parte tecnica di Riolo. Qui c’è un
particolare in più
Pm: Lo dica
Riolo: e no, non si dicono le cose belle, si dicono le cose brutte. L’ufficiale non aveva
consentito di seguire questa telecamera all’interno dell’ufficio dove io mandavo tutti i segnali e li
aveva lasciati nell’atrio della porta. Quindi faceva freddo e questo cavo l’ho dovuto passare
dall’esterno. Ecco lì dalla sala ascolto, che non potendo lasciare la finestra aperta, chiudevano e
aprivano questa finestra tranciando il cavo. Siccome la sera prima i colleghi di Termini Imerese mi
avevano fatto vedere una faccia, il volto del latitante, perché lo avevano già visto la sera precedente
ed ero io e Leone, secondo poi questo ha fatto le comparazioni e l’indomani mattina l’indomani
pomeriggio questo segnale se ne va. Stavamo impazzendo io e Leone. Ci siamo saliti di notte sul
tetto (posto di ascolto dei Cc) per capire e alla fine era un cavo. Abbiamo steso immediatamente un
cavo lungo il corridoio e abbiamo ripristinato …
Pm: il corridoio del vostro ufficio?
Riolo:Sì del nostro ufficio, abbiamo ripristinato immediatamente il collegamento e poi quella
sera c’è stato. Dopo 5 ore c’è stato la fase di intervento, è stato catturato Rinella.

E dopo essersi assunto per la parte di propria competenza i giusti meriti della brillante
operazione, a Riolo è stato chiesto
Pm: ma senta, lei, di quest’attività, di tutte queste vicende, della telecamera, di come è stato
catturato Rinella, del fatto che come ha detto lei pochi minuti fa “è stato grazie a me”, lei ha
detto, gliele ha raccontate queste cose a Aiello?
Riolo ha risposto mettendo subito le mani avanti
Riolo: io ho sempre detto di no! Però in effetti quando è venuto fuori dal giornale io glielo ho
detto. Sì ne abbiamo parlato dopo, dopo l’arresto sicuramente
Pm: ma lei ha parlato dei fatti tecnici, le ha raccontato i dettagli?
Riolo: no, no, no…

E allora abbiamo il primo paradosso: per un processo intero e io per due udienze non ho fatto
altro che fare questo, Riolo ha cercato sempre di attenuare, minimizzare, postdatare, svuotare di
contenuto le rivelazioni con le quali aveva portato a conoscenza Aiello delle più significati ve
attività investigative del Ros, anzi tanto più quelle notizie che confidava erano delicate e
riservate, tanto più esponevano al rischio della responsabilità Aiello, tanto più Riolo ha dovuto
fare mille sforzi di memoria. Ora sull’ultima notizia, improvvisamente avviene l’esatto
contrario. Questo è il paradosso: guardate 26/04/2004, interrogatorio al pm. Alla domanda se
avesse mai riferito ad Aiello di tale attività per la cattura del latitante Rinella, Riolo aveva
risposto con queste esatte parole.
Riolo: no, no, no, mai completamente, completamente. Tant’è…
A parte la suggestione di quel “tant’è” lasciato in sospeso al quale si possono ricollegare molte
conseguenze sul piano logico, ma quello che colpisce è che nel dibattimento Riolo ha cambiato

135
la propria versione dei fatti, fornendo una risposta assolutamente diversa dicendo: io ho sempre
detto di no, però in effetti quando è venuto fuori sul giornale glielo l’ho detto. E dunque al
contrario di tutte le altre volte; al contrario di tutte le altre volte, il meccanismo della
contestazione è intervenuto a seguito dell’ammissione di avere rivelato una notizia che invece
in precedenza Riolo aveva dichiarato in modo certo e risoluto di non aver mai rivelato a Aiello.
È accaduto solo per questa notizia per tutte le altre la contestazione aveva sempre e comunque
fatto seguito alla negazione della rivelazione in precedenza ammessa.
Perché lo ha fatto?andiamo a vedere quello che è successo parallelamente due mesi prima,
quando ha reso l’esame Aiello. Udienza del 21/02/2006

Pm: Senta Riolo le ha mai riferito circostanze relative alla cattura del latitante di uno dei fratelli
Rinella, Salvatore Rinella?
Aiello: Una volta mi ha parlato, ma in termini che si vantava. Quando è successa l’operazione
era contentissimo e diceva lui, che grazie a lui erano riusciti a catturare Rinella
Pm: così le ha detto?
Aiello: sì
E siccome pare in questo processo che i paradossi sono come le ciliegie. Ecco subito il secondo
paradosso. Perché a Ailello è stato contestato il contenuto della risposta che su questa specifica
domanda aveva reso anche lui durante la fase delle indagini preliminari.
Pm: guardi che lei sul punto è stato interrogato il 19/05/2004
E viene letto il verbale del 19/05/2004

Pm: un’altra domanda e poi torniamo a Giuffrè. Quando è stato arrestato Rinella, è stato oggetto
di discussioni con Riolo, di commenti?
Aiello: mi ha parlato dell’arresto lui, ma semplicemente come fatto di cronaca
Pm: non le disse che era stato lui a collocare anche queste telecamere e cose?
Aiello: mi ha detto come fatto di cronaca, mi ha parlato dell’arresto, lui mi ha parlato
dell’arresto, e basta
Fatta la contestazione Aiello ha detto: “macchè, si era vantato”
Pm:“Dico, ma guardi che lei oggi ha aggiunto 2 particolari”
Aiello: e allora? Confermo pienamente quello che c’è scritto lì. Intendo precisare e raggiungere
che per i miei ricordi lui era estremamente euforico per quello che era avvenuto, in quanto
praticamente se ne vantava.
Allora eccolo il secondo paradosso. Anche Riolo, come Aiello a differenza di tutte le altre volte,
questa volta non ha frantumato, sminuzzato, sminuito, attenuato, postdatato. No, Ha caricato la
notizia che aveva ricevuto da Riolo! La notizia sulla cattura di Rinella. E quello che prima,
durante le indagini era stato un semplice commento a una notizia giornalistica, poi nel
dibattimento Aiello dice: “Mi ha parlato in termini che si vantava, era estremamente euforico”.
Quando è successa l’operazione era contentissimo e diceva che grazie a lui erano riusciti a
catturare Rinella.
Guardate, che cosa sia vero lo deciderete voi, lo deciderà il tribunale, non c’è dubbio, ma questo
atteggiamento che io ho detto che c’è il paradosso, e sono 2 i paradossi, in realtà, di paradossale,
non c’ha niente, perché il duplice, contemporaneo, mutamento di rotta, un mutamento
esattamente all’inverso di tutti quelli che ci hanno manifestato, un mutamento nella stessa
direzione, contemporaneo dalla parte dei 2 coimputati, ha un suo perché specifico, e il perché,
come sempre, si trova nelle pagine, in una pagina, della memoria che l’ufficio del pm al termine
delle indagini preliminari con la richiesta di rinvio a giudizio aveva depositato agli atti; che cosa
aveva scritto l’ufficio del pm e che ha dunque costretto prima Aiello a cambiare radicalmente
versione e poi Riolo ad andargli dietro, improvvidamente? Nella memoria del pm, c’è scritto:
Riolo ha curato tra il febbraio e il marzo 2003 la collocazione di una telecamera nei pressi di un
edificio in uno dei cui appartamenti il 6/03/20003 è stato tratto in arresto S. Rinella capomafia

136
di Trabbia, già condannato in ergastolo per omicidio, anch’egli elemento di spicco
dell’organizzazione mafiosa Cosa nostra. Pur essendo nel pieno del periodo in cui rapporti tra
Riolo e Aiello avevano trovato sviluppo, Riolo per sua stessa ammissione non ne ha fatto cenno
alcuno ad Aiello. Nel corso dell’interrogatorio reso il 26/04/2004, Riolo sollecitato sul punto
alla domanda se avesse mai riferito ad Aiello di tale attività per la cattura del latitante Rinella,
ha significativamente risposto: “No, no, mai, completamente completamente tant’è…”. La
risposta di Riolo è assai significativa per 2 motivi: in primo luogo perché rivela la
consapevolezza di Riolo che le sue indebite rivelazioni non sono rimaste senza conseguenza,
“tant’è” che quando le notizie sulle indagini sono rimaste riservate hanno avuto buon esito,
proprio nel caso della cattura di Salvatore Rinella, in secondo luogo la mancata rivelazione ad
Aiello delle notizie sulle indagini tecniche avviate per la cattura di Rinella, fa giustizia delle
ragioni sempre addotte da Riolo a giustificazione del proprio comportamento, “l’ho fatto per
protagonismo”, se davvero a spingere Riolo fosse stata questa, non meglio precisata, smania di
protagonismo, mai si era presentata un ‘occasione così ghiotta per darvi sicuro sfogo come
quella verificatasi in occasione delle attività tecniche su Rinella. Tra l’installazione della
telecamera e la cattura del latitante sono infatti trascorsi pochissimi giorni, segno evidente non
soltanto di quanto esatta fosse stata l’idea investigativa che aveva determinato la scelta di
collocare la telecamera proprio nel luogo in cui poi era stata installata, ma soprattutto di quanta
perizia fosse stata adoperata nell’esecuzione dell’attività tecnica curata da Riolo, il cui operato
aveva dunque consentito di poter conservare a notevole distanza le finestre dell’appartamento,
ove aveva trovato rifugio Rinella, riconosciuto e catturato la sera successiva, ebbene né prima
né dopo l’arresto di Rienlla, Riolo ha mai fatto vanto con Aiello delle attività tecniche che aveva
personalmente curato e grazie alle quali era stato conseguito un così brillante risultato
investigativo: uno strano modo di dare corso alle proprie smanie di protagonismo. Queste erano
le parole, esatte, che avevamo scritte nella memoria depositata con la richiesta di rinvio a
giudizio il 1 settembre 2004. E non credo che ora, dopo avervi letto questa pagina della
memoria, io vi debba spigare i motivi per cui entrambi gli imputati nel corso del dibattimento
hanno contemporaneamente cambiato versione sui fatti, su questi fatti, nella direzione e nel
senso che abbiamo visto.
Non occorre aggiungere altro, restano esattamente intatte tutte le ragioni che noi avevamo già
spiegato con la memoria depositata con la richiesta a rinvio a giudizio. Resta soprattutto la
circostanza, che come ci ha detto Riolo, oltre che di S. Rinella, lui, Riolo, a Michele Aiello non
aveva mai parlato neppure delle altre indagini del suo reparto. Quelle condotte sul territorio di
Palermo, quelle condotte sul territorio di Partitico, quelle che riguardavano la cattura di altri latitanti
le cui attività tecniche erano state pure state curate da Riolo. Certo, è certo che non lo aveva fatto, e
perché? Perché a Aiello interessavano solo le notizie su Bagheria e su Provenzano ed erano proprio
quelle che per anni, gli ha confidato e gli ha partecipato Riolo, venendo consapevolmente meno al
giuramento di fedeltà allo Stato che lui, come noi, aveva prestato.

137
Palermo, 9 ottobre 2007,
Quinta giornata requisitoria Processo Aiello - Cuffaro e altri (talpe alla Dda)

Pm, Michele Prestipino:


[…] imprenditori collusi, che instaurano una relazione di tipo stabile, di tipo come si è detto
clientelare con l’organizzazione mafiosa e con i suoi esponenti, agli imprenditori collusi che invece
sono legati all’organizzazione mafiosa da una relazione di tipo strumentale, e sono i cosiddetti
imprenditori strumentali, e sono quelli che rinnovano il patto di volta in volta, ricontrattandone
secondo le esigenze e i bisogni del momento i relativi termini, e poi abbiamo una terza categoria
che è qualla degli imprenditori vittime, subordinati, cioè quelli le cui condotte, in particolare
condotte di pagamento, non sono penalmente rilevanti, in termini di soggetti attivi, di concorrenti
nel reato associativo, perché sono autori di condotte che sono la conseguenza della coartazione della
volontà quale effetto della forza di intimidazione del vincolo associativo.
Ebbene, rispetto a questo modello tutti gli elementi di prova che abbiamo passato in rassegna
dimostrano senza alcun dubbio che michele aiello appartiene alla prima categoria di imprenditori,
quelli collusi con rapporto di stabilità, quelli le cui condotte presentano i connotati della
partecipazione organica all’associazione mafiosa. M.a. ha infatti stretto con l’organizzazione
mafiosa un accordo attivo, duraturo nel tempo, reciprocamente vantaggioso, da cui sono derivati
obblighi vicendevoli di collaborazione e di scambio, in vista e verso il fine del conseguimento di
comuni interessi.
In virtù di questo patto m. a. ha intrattenuto con l’organizzazione mafiosa in persona dei
componenti di vertice di una delle sue articolazioni terriroriali, e cioè la famiglia mafiosa di
bagheria, ma in persona anche dello stesso capo dell’organizzazione mafiosa, cioè l’allora latitante
bernardo provenzano ha dapprima instaurato e poi mantenuto stabile nel tempo, un rapporto
continuativo di interazione, fondato sulla reciproca cooperazione, e basato su legami di personale
fedeltà. Un rapporto in forza del quale aiello, l’imprenditore aiello, ha ottenuto per la sua presenza
imprenditoriale utilità non altrimenti conseguibili e ha al contempo reso anche le sue contro-
prestazioni che, nel caso di specie si sono tradotte, si chiamano finanziamenti, assunzioni,
informazioni riservate.
E di questa stabilità di rapporti, di questo rapporto duraturo, di questa reciprocità nel caso di specie,
sempre sulla base di tutti gli elementi di prova che abbiamo passato in rassegna, si rilevano come
abbiamo visto tutti gli elementi sintomatici che la giurisprudenza della corte di cassazione ha
elaborato sul punto, si rileva la particolare valenza della condotta di cooperazione, si rileva il
rilevante vantaggio reciproco, si rileva il suo esplicarsi in prestazioni diffuse in favore del sodalizio
mafioso, si rileva ancora il carattere altamente personalizzato del rapporto di scambio, la sua natura
stabile e continuativa, si rileva infine l’intrecciarsi delle finalità individuali dell’imprenditore con le
finalità istituzionali associative del sodalizio criminoso. E nel caso di michele aiello qualche cosa di
più si può dire perché nell’ambito di tale rapporto m. a. ha sin dall’inizio dell’instaurarsi del patto di
protezione espresso un’adesione personale incondizionata all’organizzazione mafiosa cosa nostra,
ha messo a disposizione se stesso e le sue attività d’impresa per il mantenimento in vita e il
perseguimento dei fini, degli scopi del sodalizio criminoso. Come tale, in questa stessa posizione,
con questo ruolo, è stato riconosciuto e accettato all’interno e nell’ambito dell’organizzaione dagli
altri partecipi ad essa.
Ed anzi, anche sotto questo profilo si può aggiungere qualcosa, perché nel caso di specie questo
riconoscimento e la consequenziale accettazione dell’inserimento organico e dei ruoli svolti da m.a.
all’interno del sodalizio, la sua qualificata posizione, le sue particolari prestazioni si sono realizzate
ai massimi livelli, hanno coinvolto direttamente il capo dell’organizzazione bernardo provenzano,
oltre che i capi delle articolazioni territoriali, b. p. che proprio di aiello è stato il personale e diretto
punto di riferimento per almeno un decennio. E questa accettazione, questo riconoscimento sono
stati confermati poi dai capi della famiglia mafiosa di bagheria a cominciare da nicolò eucaliptus,
che, come abbiamo dimostrato in questo processo, con le sue stesse parole ha espresso qual è il

138
livello, il grado, la consapevolezza di tale adesione, di tale inserimento di michele aiello nel’ambito
del sodalizio mafioso.

Anche per l’imputato giorgio riolo, gli elementi di prova che abbiamo passato in rassegna
dimostrano che sussistono tutti i presupposti di fatto e di diritto del reato di concorso esterno in
associazione mafiosa che gli viene tra gli altri reati contestato in questo processo. È assolutamente
da tutti conosciuto e noto come questa ipotesi di reato sia stata oggetto di una lunga e complessa
elaborazione giurisprudenziale che assolutamente tutti conosciamo. Una elaborazione che ha avuto
come approdo, almeno per il momento, due importanti arresti della corte di cassazione a sezioni
unite nelle sentenze in data 30 ottobre 2002 Carnevale e nella sentenza 12 luglio 2005 Mannino. In
tali occasioni le sezioni unite hanno dapprima affermato il principio secondo il quale in tema di
associazione di tipo mafioso è configurabile senza alcun dubbio il concorso esterno. Hanno poi
individuato il tratto distintivo di questa fattispecie di reato in ciò che assume la veste di concorrente
esterno, il soggetto che non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione
mafiosa e privo dell’affectio societatis, che quindi non ne fa parte, fornisce tuttavia un contributo
concreto, specifico, consapevole, volontario. Un contributo che abbia una effettiva rilevanza causale
ai fini della conservazione o del rafforzamento delle capacità operative dell’associazione o per
quelle operanti su larga scala come cosa nostra di un suo particolare settore e ramo di attività o
articolazione territoriale e sia comunque diretto, l’intervento ovviamente, alla realizzazione anche
parziale del programma criminoso della stessa associazione.
Se questo è diciamo la condotta, il nucleo centrale del comportamento ascrivibile al concorrente
esterno, le sezioni unite ci hanno anche spiegato dal punto di vista dell’elemento soggettivo cosa è
richiesto perché sia configurata tale ipotesi di reato. E sotto il profilo specifico le sezioni unite
hanno affermato il principio che la particolare struttura della fattispecie concorsuale comporta quale
essenziale requisito che il dolo del concorrente esterno investa nei momenti della rappresentazione e
della volizione sia tutti gli elemnti essenziali della figura criminale tipica, sia il contributo causale
recato dal proprio comportamento alla realizzazione del fatto concreto, con la consapevolezza di
interagire sinergicamente con le condotte altrui nella produzione dell’evento lesivo del medesimo
reato.
Sotto questo profilo nei delitti associativi in altri termini si esige che il concorrente esterno pur
sprovvisto dell’affectio societatis cioè della volontà di far parte dell’associazione, sia altresì
consapevole dei metodi e dei fini della stessa organizzazione e questo ovviamente a prescindere
dalla condivisione, avversione, disinteresse o indiffernza per siffatti metodi e fini che lo muovono
nel foro interno e ancora si renda compiutamente conto l’autore dell’efficacia causale della sua
attività di sostegno, vantaggiosa per la conservazione e il rafforzamento dell’associazione.
In altri termini egli sa e vuole che il suo contributo sia diretto alla realizzazione anche parziale del
programma criminoso del sodalizio o lo rafforzi in un suo settore d’intervento. 10:10
Se questi sono i principi comunemente elaborati in modo ormai consolidato dalla giurisprudenza
peraltro a sezioni unite della corte di cassazione, non vi è dubbio che alla stregua di essi nella
condotta complessivamente osservata da giorgio riolo debbano ravvisarsi gli estremi del cosiddetto
concorso esterno. Giorgio riolo infatti, non vi è dubbio, non è un partecipe dell’organizzazione
mafiosa, non è ad essa organico, e tuttavia mediante una reiterata, pluralità di condotte concrete e
specifiche ha fornito un determinato ed essenziale contributo all’organizzazione mafiosa cosa nostra
attraverso il particolare rapporto stretto con michele aiello.
Un rapporto, quello che ha visto protagonisti appunto g.r. da un lato e m. a. dall’altro, che sin da
subito, sin dai primi momenti succesivi alla conoscenza tra i due si è sviluppato attraverso un ben
consolidato modulo, e cioè il reciproco scambio di vantaggi, consistiti da parte del riolo nell’ausilio
per bonifiche, conoscenze, consulenze tecniche per installazione di impianti, ma e soprattutto si è
concretizzato nel rivelare a m. a. informazioni riservatissime sulle attività di indagini che nello
stesso tempo svolgeva il suo reparto di appartenenza. E da parte dell’aiello si è concretizzato questo
rapporto nella continua elargizione di regalie e prestazioni anche di un certo apprezzabile valore.

139
Con michele aiello, giorgio riolo ha in questo senso stetto un vero e proprio accordo, in esecuzione
del quale lo stesso giorgio riolo ha soprattutto partecipato a m.a. in un lungo lasso temporale, un
lasso temporale davvero apprezzabile e significativo tra il giugno 1999 e l’ottobre 2003, notizie e
informazioni coperte da segreto sulle attività investigative nelle quali era, come ho detto, impegnato
il suo reparto d’appartenenza, cioè il Ros dell’Arma dei Carabinieri.
E si è già detto e lo abbiamo dimostrato nel corso della discussione delle precedenti udienze, come
tali informazioni, cioè quelle oggetto di rivelazione, siano state attentamente e scientificamente
selezionate. Giorgio riolo si è in primo luogo attivato per ottenere e raccogliere e trasmettere notizie
riservate coperte da segreto sulle attività di indagine che riguardavano, attività di indagine in corso
nei confronti di m.a., che avevano ad oggetto le sue imprese e che riguardavano il suo socio aldo
carcione. Ma g. r. non si è limitato solo a questo, perché g.r. ha partecipato a m. a. anche l’esistenza
di altre attività d’indagine, le modalità tecniche che ne hanno segnato i diversi momenti di
svolgimento, i relativi obbiettivi investigativi. M.a. nello stesso tempo è stato posto al corrente di
alcune, come dicevo, ben selezionate e non altre invece, contestuali iniziative investigative del Ros,
quelle avviate in particolare sull’area territoriale di Bagheria, quelle soprattutto volte alla cattura
dell’allora latitante Bernardo Provenzano ed a quella di Matteo Messina Denaro che invece latitante
lo è tuttora. Le condotte commesse in questo senso da g. r. non riguardano m. a. per dirla con le
parole della cassazione mafioso uti singulus, ma si riferiscono invece al particolarissimo ruolo che
m. a. ha esercitato fino al momento del suo arresto nell’ambito dell’organizzazione mafiosa.
In altri termini, il contributo fornito da g. r. è un contributo concreto, specifico, consapevole, che si
è protratto nel tempo e che si è rivelato direttamente funzionale a consentire a m. a. di costituire un
punto di riferimento determinante per la raccolta, la gestione e lo smistamento di informazioni
assolutamente essenziali per la stessa esistenza dell’organizzazione mafiosa.
Si tratta di informazioni che hanno riguardato la latitanza dei suoi stessi capi, si tratta di
informazioni che hanno riguardato i rapporti economici più significativi riferibili allo stesso aiello,
rapporti dai quali, come si è visto, non è certamente estranea cosa nostra che è stata la prima
beneficiaria di ingenti finanziamenti elargiti dallo stesso m.a.
Rovescaindo i termini della questione, appare chiaro che senza il contributo anche di g. r., prezioso
veicolatore di riservatissime informazioni, m.a. non avrebbe potuto svolgere il particolare
qualificato ruolo per il quale l’organizzazione mafiosa lo aveva designato e arruolato. E che il
settore delle informazioni sia un settore particolarmente importante, anzi davvero strategico per
un’organizzazione come cosa nostra, è fuori di dubbio. Lo è perché da sempre l’acquisizione di
informazioni sulle attività delle forze dell’ordine e della magistratura ha rappresentato addirittura
una precondizione della stessa sussistenza di cosa nostra, tant’è che come si è dimostrato anche in
questo processo, in concreto, i suoi capi più importanti proprio di tale settore hanno fatto uno dei
principali motivi di preoccupazione e uno dei principali settori di intervento, anche e soprattutto
attraverso la ricerca di canali informativi all’interno delle stesse istituzioni. Ma lo è perché ce lo
dimostra la stessa circostanza che la corte di cassazione quando ci ha dettato i parametri di
valutazione utili a qualificare la condota dell’imprenditore mafioso, e cioè di quello colluso, e
differenziare la contiguità non punibile dalla collaborazione che integra il rapporto di scambio e
individuare in tal modo l’oggetto o meglio uno degli oggetti del contratto di protezione, ebbene, la
cassazione ha sempre fatto esplicito riferimento, quale possibile criterio alternativo proprio a quello
della trasmissione di informazioni rilevanti e determinanti per la stessa organizzazione mafiosa.

Giorgio Riolo e Michele Aiello rispondono infine in questo processo del reato di corruzione in
relazione ad alcuni fatti specificamente contestati ai capi H ed I della rubrica e sono i fatti connessi
alla meteriale disponibilità da parte di g. r. di un’autovettura marca Chrysler del valore di circa 25
milioni di lire, acquistata da riolo presso il concessionario Vidauto di Palermo, pagata dall’aiello.
Sono questi reati di corruzione ancorati ad ulteriori fatti relativi a lavori e forniture di materiali
necessari per la realizzazione di un’abitazione sita in territorio del comune di piana degli albanesi,
di proprietà di riolo, lavori e forniture cui ha fatto fronte lo stesso michele aiello.

140
Bene, la prova dei fatti costitutivi di tali ipotesi di reato nei confronti di entrambi gli indagati, gli
imputati, si desume dalle stesse dichiarazioni dei due imputati, quelle rese da g.r. all’udienza del 21
marzo 2006, quelle rese da m.a. all’udienza del 31 gennaio 2006; si desumono dalle deposizioni
delle persone che sono state direttamente coinvolte e interessate alle due distinte vicende e cioè il
capocantiere giuseppe anselmo, che è stato sentito all’udienza del 19 settembre 2006, e il titolare
della Vidauto Antonio damiani, del quale sono stati acquisiti con il consenso delle parti i verbali
[…]. Infine si desume la prova della sussistenza di questi reati di corruzione dai riscontri effettuati
dai carabinieri del comando provinciale di palermo e sui quali all’udienza del 6 dicembre 2005 ci ha
puntualmente riferito michele miulli.

Giorgio riolo, da solo, risponde del reato contestatogli infine al capo V della rubrica, ne risponde in
concorso con giuseppe rallo e rosalia accetta che per questo reato sono stati già separatamente
giudicati. Viene contestato il reato previsto e punito all’art. 615 bis del c.p., commesso da g.r. nel
corso del 2002, in danno di angela romina licari, e questo reato si è concretizzato nelle condotte di
indebita acquisizione di notizie attinenti la vita privata della stessa licari, coniuge di giuseppe rallo,
notizie che venivano abusivamente apprese attraverso la captazione di conversazioni che
avvenivano all’interno dell’abitazione della stessa licari, attraverso l’installazione abusiva e
clandestina di apparati di intercettazione.
Ora, la responsabilità di g.r. anche per tale reato emerge con assoluta chiara evidenza dagli elementi
di prova che sono stati raccolti sul punto nel corso dell’istruttoria dibattimentale, e questi elementi
di prova sono costituiti, oltre che dalla sentenza definitiva acquisita agli atti con la quale a giuseppe
rallo e a rosalia accetta è stata applicata su richiesta delle parti la pena concordata, questi elementi
di prova sono costituiti in particolare dalle dichiarazioni che ha reso giuseppe rallo il 3 aprile 2004 e
poi durante l’interrogatorio reso il 29 aprile 2004 in fase di indagine che sono stati acquisiti al
fascicolo del dibattimento con il consenso delle parti, dalle dichiarazioni che poi giuseppe rallo ha
reitarato nel corso del dibattimento all’udienza del 15 marzo 2005, dalle dichiarazioni che
all’udienza del 22 marzo 2005 ha sul punto reso anche rosalia accetta. Infine, elementi di prova
significativi anche su questo capo d’imputazione si traggono dalle ammissioni fatte dallo stesso g.r.
nel corso dei suoi interrogatori al pubblico ministero resi in data 26 aprile 2004, 7 giugno 2004, 20
agosto 2004. Anche per questi reati, quelli di corruzione e quello di cui all’art. 615 bis del c.p. si
deve dunque affermare la penale responsabilità di m.a. e di g.r. in ordine ai reati loro ascritti.

Pm, Maurizio De Lucia


Presidente, tocca a me continuare nella discussione, affrontando gli altri due, diciamo così, grandi
temi di questo processo: prima il tema che riguarda le rivelazioni di segreto e il delitto di
favoreggiamento che è contestato in particolare a uno degli imputati di questo processo che è
salvatore cuffaro, successivamente il tema anche qui a grandi linee definibile della truffa relativo
appunto ai delitti contestati di associazione per delinquere finalizzati alla truffa, truffa e vari altri
reati contro la pubblica amministrazione che ad alcuni imputati sono stati contestati.

Dicevo, tra gli imputati vi è quindi anche salvatore cuffaro. Risponde di due delitti di
favoreggiamento, di cui all’art. 378 del c.p., sinteticamente riconducibili a due vicende che in
questo processo abbiamo già sotto altri profili affrontato, vale a dire la vicenda delle informazioni
ad aiello, ciuro e riolo in ordine alla loro sottoposizione a indagini nell’ottobre del 2003, vale a dire
la vicenda della rivelazione della presenza di una microspia all’interno dell’abitazione di giuseppe
guttadauro tra la primavera e l’estate del 2001.
Oltre a questi due delitti, com’è noto, cuffaro deve rispondere anche di altri due capi d’imputazione
che sono quelli del processo riunito a quello principale il 2 maggio del 2006 per i quali il decreto
che ha disposto il giudizio è stato emesso non dal Gup bensì dalla corte di appello di palermo in
seguito appunto a un appello del pubblico ministero verso sentenza di prosciogimento che il Gup
ebbe ad emettere ed è il decreto che dispone il giudizio del 16 gennaio del 2006 relativo appunto

141
alle rivelazioni di segreto d’ufficio commesso in concorso formale con i delitti di favoreggiamento.
Con riferimento poi alla sola condotta della primavera/estate del 2001 a cuffaro è contestata una
circostanza aggravante ad effetto speciale che è quella dell’art. 7 della legge 203 del 1991.

Secondo contestazione salvatore cuffaro ha fornito a giuseppe guttadauro per il tramite di domenico
miceli e ne ha avvertito anche salvatore aragona notizie in ordine all’esistenza di attività d’indagine
all’epoca coperta da segreto istruttorio che riguardava lo tesso guttadauro ciò mentre tale attività,
consistita soprattutto nell’intercettazione di conversazioni che si svolgevano all’interno
dell’abitazione del guttadauro era ancora in corso. 25:25
Giuseppe guttadauro era già all’epoca dei fatti soggetto processato e condannato per il delitto di
associazione per delinquere di stampo mafioso. Anche sulla scorta delle intercettazioni comunque
acquisite, è stato condannato in primo e in secondo grado nell’ambito del procedimento penale
numero 6668/2000 per il delitto di cui all’art. 416 bis comma secondo, e per numerosi altri fatti di
estorsione del che è prova del fatto storico della sentenza emessa dalla corte di appello di palermo
prodotta e acquisita ai fini appunto della sua storicità all’udienza del 29 maggio del 2007.

In particolare i fatti contestati al cuffaro sono relativi a tre distinti episodi ricavati da diverse fonti di
prova. Queste fonti di prova sono: le dichiarazioni di salvatore aragona, le intercettazioni effettuate
nel primo semestre del 2001 nell’abitazione di guttadauro, le dichiarazioni dell’imputato giorgio
riolo. E in via di estrema sintesi i tre episodi sono i seguenti: la rivelazione in ordine di esistenza di
indagine del raggruppamento operativo speciale dei carabinieri che secondo le affermazioni di
aragona avrebbe avuto il suo culmine in quello che miceli avrebbe detto all’aragona durante
l’incontro tra i due avveuto all’hotel quark di milano il 29 marzo 2001, secondo quanto riferito dallo
stesso aragona della quale, a dire appunto dell’aragona, sarebbe rimasta traccia nel colloquio
intercettato il 9 aprile del 2001 che aragona aveva avuto con guttadauro nell’abitazione di questi in
via de cosmi a palermo. Fonte del miceli sarebbero stati il cuffaro, l’allora maresciallo dei
carabinieri antonio borzacchelli, figura questa che abbiamo già incontrato nella prima parte di
questa discussione e a proposito dei suoi rapporti con michele aiello sulla quale dovremo tornare,
poi l’episodio collegato al viaggio compiuto da aragona da milano a palermo il 12 giugno del 2001,
quando, appena giunto in questa città, egli aveva appreso ulteriori, più specifiche notizie circa
l’esistenza di intercettazioni nei confronti del guttadauro presso la segreteria di miceli e le aveva
riportate al guttadauro. Nei giorni successivi questi aveva poi rinvenuto e rimosso insieme ai suoi
familiari una delle microspie installate nella sua abitazione e anche in questo caso fonte della
rivelazione è cuffaro. Infine il 24 giugno del 2001, presso il locale Riccardo III, durante la cena
organizzata a chiusura della giornata di voto per le elezioni regionali, quando miceli avrebbe
rivelato ad aragona non solo che era stata effettivamente installata una microspia presso l’abitazione
di giuseppe guttadauro in grado di registrare tutti i colloqui tenuti negli ultimi mesi, compresi quelli
ai quali avevano partecipato miceli e aragona, ma che esistevano altre apparecchaiture non
rinvenute che avevano captato i commenti che erano stati fatti dagli intercettati. Tali commenti
contenevano riferimenti sia alla soffiata giunta a guttadauro sull’esistenza di intercettazioni nei suoi
confronti, sia alla fonte da cui la notizia proveniva. Anche in questo caso fonte della notizia erano
cuffaro e borzacchelli.
Centrale per la ricostruzione dell’intera vicenda è indubbiamente il disvelamento originariamente
effettuato e come vedremo confessato da giorgio riolo ad antonio borzacchelli, all’epoca
maresciallo in servizio attivo dell’arma dei carabinieri, dell’esistenza di microspie presso
l’abitazione di via de cosmi in palermo, del guttadauro. Questo disvelamento, attraverso passaggi
successivi e con l’intervento di cuffaro, portò il 15 giugno del 2001 all’individuazione delle
microspie e di fatto alla fine di una della più fruttuose indagini in corso sull’organizzazione cosa
nostra e sulle sue dinamiche del tempo. Ciò sia con riferimento alle attività estorsive che si
svolgevano in particolare modo ma non solo nel territorio di brancaccio, sia all’individuazione dei

142
suoi esponenti di rilevante livello dell’epoca, sia infine all’individuazione di importanti referenti
esterni dell’organizzazione medesima tra i quali senza dubbio domenico miceli.

Non c’è dubbio che tutte le condotte descritte, se effettivamente comprovate, integrano da parte di
cuffaro la fattispecie contestata. Del pari non c’è dubbio che la prova piena anche di uno solo di tali
episodi induce a ritenere consumato il delitto pluriaggravato ai sensi dell’art. 7 della legge 203 del
91 oltre che in forza del capoverso dell’art. 378 del c.p., dato che sia il miceli che l’aragona e il
guttadauro erano indagati del delitto di cui all’art. 416 bis del c.p.
La condotta infatti si risolve sempre nella comunicazione di notizie riservate utili a bloccare
indagini che non solo coinvolgevano la persona di giuseppe guttadauro, ma erano potenzialmente in
grado di compromettere varie propaggini territoriali di cosa nostra e tutte le persone che a vario
titolo erano state presenti in quell’abitazione nel periodo preso in considerazione, integrando
dunque, secondo l’insegnamento della cassazione, un fatto criminoso oggettivamente idoneo a
realizzare tale ulteriore aspetto offensivo voluto dal soggetto agente rispetto a quello che già di per
sé concretizza il delitto e consistito nel caso nell’agevolazione dell’organizzaizone criminosa.
Un’azione diretta in modo oggettivo ad agevolare l’attività posta in essere dall’associazione
mafiosa, sul punto Cassazione sesta del 18 luglio 97/7110.
Fatto questo che certamente cuffaro si è rappresentato nel momento in cui ha fornito la notizia
sull’indagine relativa a guttadauro, come spiegheremo di avere dimostrato nel corso dell’istruzione
dibattimentale. Naturalmente sulla problematica dell’elemento psicologico del delitto, anche sub
specie del dolo specifico, si tornerà in seguito, qui rimanendo accertato che se è realizzata la
condotta favoreggiatrice la stessa è di per sé idonea a realizzare oggettivamente l’interesse
dell’organizzazione mafiosa attraverso la neutralizzazione di un’importantissima indagine di
polizia. E la vicenda in questione, le fughe di notizie sull’indagine cosiddetta Ghiaccio, si connota
prima face 31:46 proprio sull’evidenza di almeno due aspetti caratterizzanti: la sua particolare
gravità, rappresentata dalla delicatezza e dall’importanza investigativa delle notizie illecitamente
diffuse e la sua indubbia emblematicità, in funzione dell’evidenziazione di quei rapporti tra
appartenenti agli apparati investigativi dello Stato, uomini politici e rappresentanti anche di livello
di cosa nostra che rendono oggettivamente più difficile il contrasto investigativo e giudiziario
all’organizzazione mafiosa.

In particolare, con riguardo al primo dei profili sopra evidenziati, si deve sottolineare come
l’indagine sulla attività del guttadauro si era rivelata sin dal suo inizio, nell’autunno del 99, di
grandissima importanza quale fonte di conoscenze sulla vita dell’organizzazione criminale. Grazie
al frenetico attivismo di guttadauro che da un lato esercitava in pieno le sue mansioni di
capomandamento di brancaccio, coordinando l’ordinaria amministrazione criminale su quel
territorio e dall’altro si adoperava, nell’interesse più generale di cosa nostra, per il perseguimento di
altri, fondamentali scopi dell’organizzaizone mafiosa. Tra questi emergevano quelli legati al
reinvestimento di ingenti capitali di provenienza illecita, alla gestione di appalti e forniture,
all’indebite interferenze in vicende ammmministrative di indubbio rilievo, quali quelle, a titolo di
esempio, concernenti la nomina dei presidenti e dei consiglieri del consorzio Asi di palermo. A
questo proposito, la conversazione intercettata del 17 aprile 2001 tra guttadauro e giovanni pipitone
esponente della famiglia mafiosa di carini che ha subito i medesimi procedimenti che ho citato con
riferimento al guttadauro nell’ambito del procedimento n.6668/2000.
Questa conversazione, che naturalmente non leggo ma è assolutamente esemplificativa di come il
guttadauro nel colloquio con il pipitone non faccia altro che intervenire indicando territorio per
territorio, direi mandamento per mandamento, famiglia per famiglia quali sono i doveri che i
mafiosi devono adempiere al fine di collocare al vertice di una struttura pubblica importante,
importante soprattutto per la gestione del territorio e degli appalti, l’Asi, per lo sviluppo quindi
anche dell’industria in questa terra, ebbene, quali sono le direttive che devono essere date al solo
fine di consentire di individuare rappresentanti di livello di questa organizzazione che siano eletti

143
col consenso non dei mafiosi di brancaccio, ma di tutti i mafiosi. Vi è l’indicazione esemplificativa
di chi si deve occupare di Carini, del problema che su partinico non è individuato un soggetto
responsabile in quel momento, siamo nel 2001, che sia pienamente affidabile per l’organizzazione.
Punto per punto quindi tutto il territorio mafioso è chiamato a individuare coloro i quali devono
votare al fine di eleggere un rappresentante dell’Asi, un presidente dell’Asi, che sia idoneo a
soddisfare evidentemente quelli che sono gli interessi dell’organizzazione mafiosa su tutto il
territorio della provincia di palermo. Ma ancora, nelle stesse intercettazioni vi è traccia
dell’espletamento di concorsi pubblici nel settore della sanità, l’azione o modifica da parte dei
competenti organi comunali di strumenti urbanistici, infine il gravissimo, reitarato tentativo di
condizionamento di consultazioni elettorali attraverso l’individuazione e il succesivo sostegno
mafioso in favore di candidati compiacenti.
In ragione di quanto ricordato allora, se da un alto si devono registrare i comunque importanti
risultati che l’indagine che il Raggr. Op. Speciale dei carabinieri ha, nonostante le fughe di notizie,
consentito di acquisire, con l’ordinanza del 4 dicembre 2002 vennero sottoposte a custodia cautelare
in carcere per il reato di associazione mafiosa e altri delitti allo stesso connessi 44 soggetti, in gran
parte già condannati in primo e secondo grado in esito allo svolgimento del giudizio abbreviato e
del giudizio ordinario di quella che fu la cosiddetta operazione Ghiaccio 1, poi con la successiva
ordinanza del 24 giugno del 2003 vennero arrestati con l’accusa di mafia importanti esponenti del
mondo della politica e delle professioni quali lo stesso domenico misceli, il francesco buscemi,
salvatore aragona e vincenzo greco, la cosiddetta operazione ghiaccio 2, tutti ad eccezione di greco
assolto in appello poi condannati nei gradi di giudizio ai quali sono stati sottoposti fino ad ora,
dall’altro non si può non evidenziare ancora una volta il danno che le indebite propalazioni al
guttadauro hanno causato attraverso il rinvenimento da parte del predetto delle microspie collocate
dai carabinieri presso la sua abitazione di via de cosmi. Ciò a maggiore ragione ove si consideri che
la scoperta della intercettazione ambientale e la sostanziale immediata cessazione dell’efficacia
dell’investigazione ebbe a realizzarsi il 15 giugno del 2001, a soli 9 giorni dalla data, il 24 giugno
del 2001, fissata per quelle consultazioni elettorali che tanto avevano suscitato l’interesse mafioso
di guttadauro e che avrebbero visto protagonista perché candidati rispettivamente alla carica di
presidente della regione e di deputato all’assemblea regionale siciliana salvatore cuffaro e antonio
borzacchelli e domenico miceli, alcuni tra i soggetti cioè che a vario titolo sono autori delle fughe di
notizie in questione.
Ne può essere sottaciuto l’enorme pregiudizio che il disvelamento di notizie segrete ha più in
generale arrecato alla possibilità fino a quel momento realizzatasi di continuare a vivere in diretta,
attraverso intercettazioni di colloqui tra guttadauro e altri uomini d’onore anche di altri
mandamenti, le dinamiche di cosa nostra, le strategie sottese alle sue scelte operative, i rapporti
all’interno del vertice dell’organizzazione e quelli tra gli uomini d’onore in stato di detenzione e i
loro sodali ancora in libertà. Dunque nessun dubbio può esservi sulla oggettiva gravità del delitto
commesso. La vicenda che ci occupa si colloca in un preciso momento storico, la campagna
elettorale per le elezioni regionali del 2001, investe protagonisti ulteriori rispetti ad alcuni di quelli
dei quali abbiamo già riferito nella precedente parte della discussione, in particolare giorgio riolo e
per un ruolo qui marginale michele aiello. Tra i protagonisti della vicenda vi è senz’altro il
maresciallo antonio borzacchelli, com’è noto processato separatamente per i medesimi delitti
imputati a cuffaro oltre che per una grave ipotesi di concussione in danno dello stesso m.a. sulla
quale brevemente ci soffermeremo nel seguito dell’esposizione di queste vicende.

Borzacchelli è uomo in rapporti diretti sia con g.r. che con salvatore cuffaro, che lo ha candidato
nella lista del Biancofiore, lista parallela e servente a quella dell’Udc in quella tornata elettorale.
Chi sia in questo processo borzacchelli ce lo ha spiegato in una parte della sua deposizione il
collaboratore di giustizia Francesco Campanella. Sapiamo che f.c. è stato uomo molto vicino alla
famiglia mafiosa di villabate, che ha avuto un ruolo nella protezione della latitanza di bernardo
provenzano avendo contribuito a formare la carta di identità falsa con la quale provenzano potè

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ricoverarsi a marsiglia per sottoporsi a un intervento chirurgico sotto falso nome. Sappiamo che da
sempre è stato uomo ben introdotto nella vita politica siciliana, come ci hanno confermato lo stesso
imputato cuffaro all’udienza del 20 giugno del 2006, i testi franco e giovan battista bruno
all’udienza del 18 aprile del 2006, l’attuale ministro della giustizia sen. Mastella all’udienza del 15
gennaio del 2007. A proposito del suo intervento a favore della candidatura di Acanto nelle liste
elettorali per la campagna elettorale delle elezioni regionali del 2001, intervento sostenuto e
sponsorizzato, come ci ha raccontato campanella, dalla famiglia mafiosa di villabate, lui ci ha
riferito, all’udienza del 17 gennaio 2006, a proposito del colloquio che ebbe proprio per
sponsorizzare questa candidatura con salv. Cuffaro, dice: “ma mi portò su un altra argomentazione
che era quella della quantità di voti che Acanto avrebbe potuto raccogliere e mi spiegò, perché fu un
colloquio che durò anche una ventina di minuti (un colloquio che si svolge di notte sostanzialmente,
passeggiando vicino al bar Stancampiano di palermo), mi spiegò che lui aveva una unica esigenza, e
che questa lista Biancofiore era nata con l’unica esigenza di determinare l’elezione di Borzacchelli,
che era un carabiniere, che gli era stato presentato da amici di Bagheria, da ambienti di Bagheria,
che lui aveva preso l’impegno assolutamente di eleggere come deputato regionale, a tal punto che la
costruzione, l’intera costruzione della lista Biancofiore era stata pensata proprio per l’elezione di
borzacchelli, che lui aveva questa esigenza impellente (lui cuffaro, naturalmente) sembrava proprio
importantissimo per lui portare borzacchelli all’elezione, tanto che io gli domandai il perché, io non
sapevo chi fosse questo borzacchelli, non lo conoscevo neanche, non era neanche uno di quelli che
aveva frequentato il mondo politico fino ad allora e lui mi spiegò che glielo avevano presentato
amici di bagheria e che sarebbe stato uno importante perché lo avrebbe coperto dalle indagini e dai
problemi che potevano nascere da questioni di tipo gudiziario”.
Questa la funzione di borzacchelli nella struttura dello staff, potremmo dire, di salvatore cuffaro, ed
effettivamente all’esito delle elezioni borzacchelli è stato eletto ed è rimasto in carica quale
deputato dell’assemblea regionale siciliana fino al febbraio del 2004, epoca del suo arresto per i
fatti che abbiamo detto.

Altro personaggio che rileva in questa vicenda è giuseppe guttadauro, per il quale sono state
prodotte le precedenti sentenze di condanna per il delitto di cui all’art. 416 bis del c.p. e per il quale
dalla lettura delle intercettazioni ambientali operate presso la sua abitazione emerge pienamente il
ruolo direttivo che all’epoca dei fatti ricopriva in cosa nostra, quanto meno al vertice della famiglia
di brancaccio.
Dalla medesime intercettazioni, oltre a una serie di elementi di prova che da qui a breve
analizzeremo e che hanno una influenza diretta sulle imputazioni per le quali è il processo,
emergono i suoi strettissimi rapporti con domenico miceli e con salvatore aragona.
Domenico miceli è un altro importante protagonista della vicenda, già condannato in primo grado
per il delitto di cui agli art. 110 e 416 bis del c.p., assiduo frequentatore dell’abitazione di
guttadauro, anche lui con forti ambizioni politiche, e interessato in prima persona alle elezioni del
2001, amico da sempre dell’imputato cuffaro, come riconosciuto nel corso del suo esame dallo
stesso cuffaro, collega nella professione, militante nella stessa formazione politica. Ma non c’è
dubbio che nella ricostruzione della vicenda relativa alla divulgazione delle informazioni di cui ai
capi in argomento della rubrica e di fondamentale importanza la figura di salvatore aragona. Questi
insieme a miceli interloquisce da un lato con cuffaro dall’altro con guttadauro. È in atti la sentenza
con la quale aragona è stato condannato in via definitiva, sentenza divenuta irrevocabile il 16 luglio
del 2002, per il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa e per il delitto di falso aggravato
in relazione all’alterazione di una cartella clinica in cui figurava il ricovero in una struttura clinica
del mafioso enzo salvatore brusca, ricovero mai avvenuto e attestato al fine di precostituire l’alibi
dell’affiliato mafioso accusato di aver commesso un omicidio nel medesimo periodo. È agli atti la
sentenza con la quale è stata riconosciuta la continuazione fra il predetto delitto di partecipazione ad
associazione mafiosa e il delitto ex art. 416 bis c.p. contestato ad aragona nel procedimento
parallelo a questo nel quale è stato anche posto in custodia cautelare.

145
Per tale ulteriore delitto, contestato a partire dal febbraio 1999, è stata applicata a salvatore aragona
la pena in continuazione di 6 mesi di reclusione ai sensi dell’art. 444 del c.di procedura penale, la
sentenza emessa il 28 settembre del 2005, anch’essa definitiva dal gup di palermo. Nella stessa
sentenza gli è stata riconosciuta e applicata la circostanza attenuante prevista dall’art. 8 della legge
203/91 per aver fornito elementi decisivi alla ricostruzione degli importanti contatti intrattenuti dal
capomafia di brancaccio giuseppe guttadauro con esponenti delle istituzioni. Stabilità e continuità di
rapporti tra guttadauro e aragona emergono innanzitutto dalle stesse dichiarazioni di quest’ultimo.
In questo dibattimento, sentito ai sensi dell’art. 210 del c. di procedura penale, aragona ha spiegato
che la conoscenza con guttadauro risaliva ai primi anni 80, quando da tirocinante aveva frequentato
il reparto di chirurgia dell’ospedale civico presso il quale l’altro già esercitava funzioni di rilievo.
Nel corso degli anni successivi, aveva proseguito e intensificato la relazione estendendola anche ad
altri componenti della famiglia soprattutto nel periodo in cui guttadauro era stato ristretto in carcere
per associazione mafiosa nell’ambito del procedimento cosiddetto Maxi 1. Nel 1993 erano divenuti
colleghi di reparto all’ospedale civico, e avevano lavorato fianco a fianco fino a che guttadauro non
era stato tratto nuovamente in arresto nell’ambito del processo definito Golden market. Nel
frattempo i rapporti tra i due si erano ulteriormente consolidati, sino al punto di fare del guttadauro
il padrino di cresima dell’aragona. Anche per aragona erano poi seguite traversie giudiziarie che lo
avevano portato a essere ristretto in carcere e a condividere con lo stesso guttadauro un breve
periodo di detenzione nel medesimo istituto carcerario. Aragona ha riferito che dopo la sua
scarcerazione nel giugno del 1997 si era trasferito con la sua famiglia a milano dove aveva trovato
lavoro presso una clinica privata e presso un’Asl locale, ma aveva continuato a mantenere contatti
con guttadauro, con i guttadauro, l’intera famiglia, in occasione delle sue visite in sicilia, tanto che
aveva costituito insieme a gisella greco e al figlio maggiore di guttadauro, francesco, e altri soci, fra
i quali sua moglie ornella, la società Global Commerce. La Global era nata con lo scopo di
collocare prodotti agricoli siciliani nel nord italia, ci ha detto. Ha anche detto poi che nell’anno
2000, durante il periodo in cui giuseppe gutt. si trovava in carcere, egli aveva ospitato a milano in
tre occasioni gisella greco e suo figlio francesco al fine di procurargli appuntamenti sul posto con
una società di consulenza finanziaria alla quale doveva essere affidata la gestione di quote societarie
della Global, e del patrimonio immobiliare della greco. Ha infine aggiunto che in tali circostanze
aveva assecondato la richiesta della donna di recarsi oltrefrontiera per farsi controllare da un noto
clinico svizzero in relazione a problemi di salute non meglio specificati. Al valico doganale
l’autovettura di aragona era stata sottoposta a minuziosi controlli tanto che egli aveva sospettato che
la presenza dei congiunti di guttadauro fosse stata segnalata in precedenza. Durante i controlli era
rimasto sorpreso dall’entità della somma di denaro che la greco e il figlio avevano dichiarato di
possedere. Il tempo trascorso alla frontiera gli aveva impedito di raggiungere tempestivamente il
luogo fissato per la visita medica tanto che era stato programmato un nuovo viaggio a milano. Fra
l’altro, aragona ha rievocato che in occasione di questo secondo viaggio i guttadauro erano giunti
allo scalo milanese sull’aereo che trasportava cuffaro in compagnia dell’on. Saverio romano e delle
rispettive famiglie e durante l’incontro in aeroporto aveva compreso che la greco conosceva già
“totò”, così ci dice la greco aveva appellato il cuffaro, totò cuffaro.
Per inciso, si può affermare fin da ora che il tema della conoscenza fra i coniugi guttadauro e
cuffaro risulta confermato non solo da affermazioni che guttadauro rende in più tratti delle
intercettazioni ma anche dalla deposizione dibattimentale dello stesso imputato cuffaro che sia pur
in maniera goffa e maldestra non ha potuto negare l’incontro in aeroporto: è l’udienza del 13 giugno
del 2006.
Alcuni aspetti delle dichiarazioni possono darsi per accertati: la precedente collaborazione di
aragona a cosa nostra si ricava dalla sentenza definitiva emessa nei suoi confronti, mentre la sua
adesione ad altri programmi condivisa con guttadauro emerge dagli elementi racchiusi nelle
conversazioni intercettate in cui, accanto alle vicende di questo processo e di quello parallelo a
miceli, si parla anche di trascorsi di mafia, di progetti e strategie comuni, di ingerenze sull’attività
della pubblica amministrazione.

146
A titolo indicativo possono citarsi i passaggi in cui guttadauro afferma che avrebbe preferito
aragona come referente esterno in campo politico se questi non fosse stato compromesso dai suoi
trascorsi giudiziari (trascrizione della conversazione del 12 giugno del 2001, pagina 59 della
perizia), oppure la frase emblematica con la quale aragona chiede di sintetizzare i prossimi progetti
elettorali e politici (anche qui trascrizione del 9 aprile 2001, testuale): “il mio padrino mi deve dire
una cosa, dove dobbiamo andare e qual è la strada”, in un contesto appunto in cui i discorsi sono
tutti di tipo politico.
Sul rapporto di aragona con guttadauro va sottolineato inoltre la parte iniziale della stessa
conversazione del 9 aprile del 2001, caratterizzata dal rispetto e dalla deferenza dimostrati nei
confronti del guttadauro quando gli riporta notizie sulle vicende più recenti del suo paese di origine,
e accetta i rimproveri in merito al suo incontro ad altofonte con i parenti di un collaboratore di
giustizia, ne ascolta le indicazioni sulla opportunità di non impelagarsi con voci e commenti
negativi.
Deve osservarsi che nel periodo sono stati intercettati colloqui in carcere in cui guttadauro discute
con la moglie e i figli di trasferire capitali all’estero (è la trascrizione del 16 febbraio 2000, pagina
580 della perizia), di aprire conti correnti cifrati e sfruttando le conoscenze di un soggetto che non
risulta indicato per nome “lui là ne deve avere di amici banchieri” (trascrizione del 23 febbraio
2000, pag. 670).
Nei colloqui si ascolta altresì che durante i controlli alla frontiera, quelli di cui aveva parlato
aragona nel corso della sua deposizione, gisella greco e il figlio erano riusciti a superare indenni la
perquisizione e a eludere i limiti di contante esportabile (trascrizione del 7 aprile 2000, pag. 392).
Dalle intercettazioni si comprende come ad aragona era stato affidato il compito di sorvegliare
movimenti e operazioni su conti correnti e su una cassetta di sicurezza aperti presso lo stesso
istituto bancario di milano vistato dalla greco. La conversazione ambientale in carcere del 12 aprile
del 2000 fa emergere che i guttadauro rivendicavano assoluta priorità nella gestione del loro denaro
in transito su quei conti e su quello depositato nella cassetta di sicurezza. Francesco g. riferisce al
padre detenuto che Tiziana, amministratrice evidentemente della società, non avrebbe ottemperato
all’ordine di prelevare una determinata cifra dalla cassetta e gli avrebbe opposto che non poteva fare
operazioni senza essere prima autorizzata da Salvo (pag. 432 della perizia) laddove francesco
sollecita un deciso intervento chiarificatore di guttadauro presso aragona: “prima ne prendiamo 10,
10. Allora faccio: no, no, no, 15. E tiziana dice: no, glielo devo dire a salvo. E ci dissi: alt, un
minuto, prima che lo chiami mettiti in testa che i piccioli sono i miei quindi qualsiasi cosa tu gli dici
a salvo a me non me ne fotte, cioè a me non mi interessa, se me ne voglio prendere 5, se me ne
voglio prendere 7. Io se voglio me li posso prendere tutti, o no, scusa? Cioè, chiama a salvo perché
sai io so 10 però i piccioli sono i mia e tu ci hai a dire”.
Il dato è significativo allora per valutare le giustificazioni che aragona ha fornito in merito alla
conoscenza delle movimentazioni economiche di giuseppe guttadauro, e la deposizione in
dibattimento in udienza del 28 giugno 2006, e la valutazione sul punto non può essere soddisfacente
atteso che esse non superano gli elementi indiziari emergenti dalle conversazioni intercettate.
Ai fini dell’attendibilità complessiva di aragona, non si può non dare atto da subito della scarsa
attendibilità delle affermazioni con cui lo stesso ha escluso di aver agevolato i guttadauro attraverso
i suoi conoscenti nella gestione di denaro e conti correnti intestati a prestanome o nel trasferimento
di capitali all’estero. Ha affermato che la Global Commerce srl era riuscita a operare in un’unica
occasione registrando perdite, che le visite a milano di gisella greco e francesco guttadauro erano
determinate soprattutto da motivi familiari di salute e di studio. Tutto questo non è confermato, anzi
è smentito proprio dal contenuto di quelle conversazioni che ho testè citato. E ancora, sempre a
proposito della sua attendibilità generale, deve dirsi che anche su fatti coperti da giudicato quali
quelli che hanno portato alla sua prima condanna, aragona è stato reticente, non avendo affatto
spiegato i fatti che ne hanno determinato la condanna e men che mai ammettendo la responsabilità
degli stessi. Sotto questo profilo, questa pubblica accusa condivide in buona sostanza il giudizio
articolato e complesso già espresso da altri giudici nel processo contro domenico miceli. Del resto,

147
la stessa sentenza del giudice dell’udienza preliminare dell’ottobre del 2005 emessa ai sensi dell’art.
444 non comporta ammissione di responsabilità e non è equiparabile a confessione indiretta per fatti
concludenti, così ci insegna la cassazione sez. sesta 19 gennaio 96 n. 649, né è utilizzabile come
prova di responsabilità dei fatti sottoposti a giudizio a maggiore ragione nel caso in cui come in
questo dibattimento siano state raccolte anche dichiarazioni di segno opposto provenienti dal diretto
interessato.
È vero che durante le udienze dibattimentali di questo giudizio, l’imputato di reato connesso è stato
sentito in particolare su altri aspetti, cioè su quelli inerenti ai rapporti di guttadauro con miceli e con
cuffaro, che secondo la valutazione del gup hanno determinato l’applicazione dell’attenuante sopra
menzionata nel procedimento parallelo. Alcune di queste dichiarazioni di aragona, oggetto specifico
di questo procedimento si sono rivelate invece, a differenza di quelle fin qui esposte, assistite da
vari riscontri oggettivi esterni e spesso coerenti con elementi dotati di autonoma efficacia provante.
In sostanza, nell’esame delle affermazioni di aragona, che per altro non è un collaboratore di
giustizia, anche nella parte che qui rileva che attiene direttamente alla posizione di cuffaro, sarà
come sempre necessario confrontare volta per volta le dichiarazioni con tutti gli altri elementi
emersi alla stregua delle regole previste dall’art. 192 del c.di p.p. fermo restando, che l’esistenza di
eventuali imprecisioni della chiamata in correità, come è stato affermato dalla cassazione sezione
prima 7 febbraio 96 n. 1428, non è da sola sufficiente ad escludere l’attendibilità del collaborante,
allorchè alla luce di altri obbiettivi e riscontri il giudice di merito valuti globalmente con prudente
apprezzamento il materiale indiziario e ritenga con congrua motivazione di dare prevalenza agli
elementi che sostengono la credibilità dell’accusa.
Secondo il principio stabilito dalla giurisprudenza di legittimità in tema della frazionabilità della
chiamata, sez. sesta, 10 marzo 95 n. 4162, l’attendibilità della dichiarazione accusatoria, anche se
denegata per una parte del racconto, non ne coinvolge necessariamente tutte le altre che reggano la
verifica giudiziaria del riscontro, così come per altro verso la credibilità ammessa per una parte
dell’accusa non può significare attendibilità dell’intera narrazione.
Dunque il metro di giudizio al quale si fa riferimento è quello laico della regola di giudizio del
codice, in presenza della dichiarazione di un soggetto audito ex art. 210, la stessa ha valore di prova
solo ed esclusivamente in presenza di riscontri estrinseci alla dichiarazione medesima.

E proprio in ordine al primo degli episodi sommariamente sopra descritti, le comunicazioni


avvenute a milano all’inizio del 2001, va subito detto che le dichiarazioni di aragona dalle quali si
deve partire non trovano riscontri proprio alla luce dei parametri di cui all’art. 192 comma 3 che
sono stati richiamati. Nel corso della sua audizione, in particolare l’udienza del 28 giugno del 2005,
aragona ha sostenuto che sin dal marzo del 2001, durante l’incontro a milano, miceli gli avrebbe
rivelato di aver appreso da cuffaro che il Ros stava effettuando in quel momento nuove indagini nei
confronti di giuseppe guttadauro, riguardo al suo ruolo di esponente mafioso in ascesa del
mandamento di brancaccio. Le dichiarazioni di aragona si riferiscono avere proprie notizie
circostanziate e non a semplici congetture confidate da cuffaro, in quanto egli ha precisato in
servizio di polizia giudiziaria interessato alle indagini. Secondo aragona, queste notizie tendevano a
sollecitare miceli a prendere tutte le cautele del caso nei suoi rapporti con guttadauro.
Dice: Alchè il dottore miceli mi dice che in quel momento, proprio da parte del dottore cuffaro, vi
era stata anche una ulteriore conferma sulla condizione di pericoloso, di pericolo, di pericolosità che
gravitava su guttadauro, nel senso che mi dice sostanzialmente “non è messo bene guttadauro”.
Cioè in che senso, che vuol dire?
Il dottore cuffaro mi ha detto praticamente che i ros stanno indagando sul guttadauro in quanto lo
ritengono un personaggio in ascesa nel gotha di cosa nostra. Aragona ha poi sostenuto però che le
stesse notizie erano state riferite da miceli sia a lui che allo stesso guttadauro. Ora, a fronte di tale
dichiarazione, se vi sono come detto elementi specifici che la avvalorano, come il riferimento al ros
e alla descrizione del guttadauro come “personaggio in ascesa nel gotha di cosa nostra”, espressione
questa che riecheggia la motivazione posta a sostegno delle richieste di autorizzazione alle

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intercettazioni, ve ne sono altri di segno opposto. Infatti, la condotta di miceli successiva
all’incontro di milano non è almeno in astratto compatibile con gli inviti alla pudenza e alla cautela
trasmessi da cuffaro. Emerge infatti proprio dalle intercettazioni depositate che nel periodo seguito
alle asserite rivelazioni miceli ha addirittura intensificato i rapporti con guttadauro, ha concordato
con lui le strategie per affrontare insieme la campagna elettorale per l’assemblea regionale siciliana
e i momenti successivi, si è incontrato più volte con aragona e guttadauro, soprattutto
nell’abitazione di questi fidandosi allora solo delle rassicurazioni che gli venivano dal guttadauro
stesso, circa le misure di prudenza che questi aveva adottato per evitare di essere controllato dalla
polizia giudiziaria. È vero che aragona ha parlato di rivelazioni su indagini e non ancora di
intercettazioni, ma al di fuori delle sue affermazioni non sono state acquisite altre conferme e di tali
fatti non vi è traccia nei colloqui miceli/guttadauro tra i primi di febbraio e la fine del mese di aprile
del 2001. Resta quindi da spiegare quando e come miceli avrebbe avuto, secondo quanto affermato
da aragona, l’opportunità di riferire tali notizie a guttadauro. Nelle predette intercettazioni risulta un
unico cenno generico di miceli alla possibilità di essere stato seguito fin sotto casa di guttadauro,
circostanza che non sembra preoccupare eccessivamente né il padrone di casa né lo stesso miceli.

Si parla pure di altre indagini sulle intercettazioni in carcere a carlo guttadauro risalente a qualche
anno prima e diffuse dalla stampa, ma non si discute mai in concreto di nuove specifiche indagini
del ros a carico di giuseppe guttadauro. Secondo quanto emerge dalle intercettazioni, il
comportamento osservato da miceli, aragona e guttadauro, nei giorni precedenti e in quelli
successivi al convegno presso l’hotel quark di milano, nel corso del quale aragona ha collocato la
notizia delle indagini apprese da miceli, non appare ispirato a particolari cautele, e se i predetti
soggetti si dimostrano consapevoli dei sospetti che potrebbero sollecitare i loro incontri in casa del
mafioso, si tratta di preoccupazioni generiche, legate essenzialemnte alla consapevolezza della
caratura criminale di guttadauro piuttosto che alla conoscenza dell’esistenza di specifiche indagini
in corso. Tanto si evince ad esempio dai continui riferimenti che guttadauro fa all’eventuale scusa
da opporre a chi dovesse avanzare perplessità sui loro incontri o a chi volesse effettuare eventuali
controlli: “siamo colleghi, parliamo di chirurgia, potevi avere l’affetto di venirmi a trovare” o
quando tranquillizza miceli affermando che nessuno di coloro che sono andati a trovarlo ha mai
avuto il sospetto di essere pedinato.
Del resto la polizia giudiziaria non ha percepito alcun sospetto da parte degli indagati fino agli
episodi su cui si tornerà evidentemente del 12 e del 15 giugno del 2001. Gli ufficiali del ros,
confronta udienza del 18 ottobre 2005, testimonianze cafuri e giovinazzo hanno deposto sulle
medesime circostanze a cominciare dalla descrizione della nuova attività investigativa volta nei
confronti di guttadauro e hanno specificato che queste consistevano nell’acsolto dei colloqui captati
dalle microspie nella loro registrazione e nelle verifiche conseguenti. È stato riferito che la
collocazione di strumenti di ascolto era stata coordinata dal maresciallo riolo nell’agosto del 1999,
sfruttando la temporanea assenza dall’abitazione di via de cosmi di giuseppe guttadauro e dei suoi
familiari, e che all’ingresso dello stabile era stata piazzata una telecamera per identificare gli ospiti
dell’abitazione. E se è vero che si è parlato di precedenti tentativi di esportazione delle microspie
andati a vuoto, effettuati nei primi mesi del 2001 (oltre a quelli dei testi indicati bisogna analizzare
sotto questo profilo proprio la deposizione di giorgio riolo), in realtà sono stati descritti rumori
percepiti e interpretati come tali basandosi più che altro su una circostanza emersa da precedenti
colloqui, il possesso da parte di guttadauro di apparecchi idonei alla scoperta di microspie.
Niente di paragonabile, allora, all’unico episodio concreto registrato il 15 giugno, il solo che risulta
coronato dalla disattivazione dell’impianto, disponibilità di mezzi idonei e sospetti generici,
d’altronde, non corrispondono ancora alla consapevolezza delle indagini in corso, alla diffusione di
notizie, alla loro comunicazione al diretto interessato.
Se in effetti risulta che giuseppe guttadauro parlando con miceli (trascrizione del 9 febbraio 2001)
discute di contromisure utili a smantellare gli strumenti di rilievo: “ Ca un cia, la machinetta l’haiu
dintra pi taliari”, deve osservarsi che si tratta del medesimo colloquio in cui rassicura l’ospite

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affermando di sentirsi al riparo di tali controlli, che ritiene per altro solo un evento ipotetico. E
d’altra parte, dalla stessa conversazione risulta che miceli si limita a manifestare generici sospetti e
continua anche nei giorni successivi a frequentare l’abitazione del mafioso, a parlare liberamente
con lui, a corrispondere alle sue richieste senza esprimere dubbi di alcun genere sull’esistenza di
indagini in corso. Anche le altre intercettazioni ambientali dello stesso periodo, restituiscono una
descrizione articolata e circostanziata delle molteplici attività svolte da guttadauro nell’ambito del
suo territorio e a contatto con altri esponenti mafiosi. Ben diverse sono state le reazioni degli
imputati dopo le notizie portate dall’aragona il 12 giugno sull’esistenza di intercettazioni, la
disattivazione e il successivo giorno 15 della microspia.
Non può essere valutata come una conferma delle affermazioni di aragona, quelle presso l’hotel
quark, il passaggio di conversazione del 9 aprile, in cui si parla di una dimostrazione di stima e di
affetto da parte di miceli nei confronti di guttadauro consistita nel recarsi a casa del mafioso ad
avvisarlo. In questo caso infatti, le notizie riferite da miceli riguardano tutt’altra vicenda, le frasi
pronunciate nello stralcio di conversazione in questione rimandano sotto vari profili a un altro
episodio che pure è emerso nel dibattimento, quello dell’hotel di roma, sede del partito di cuffaro,
circa il tema della candidatura alle elezioni regionali e la sponsorizzazione dell’avv. Priola, e non a
rivelazioni su indagini in corso.
Ricorderete l’episodio: il contatto tra cuffaro e priola, i saluti del guttadauro portati da questi al
cuffaro, il sostanziale respingimento della sua proposta di candidatura per le elezioni regionali fatta
da cuffaro, il rapporto che di tale vicenda miceli rende a guttadauro. In verità, in fase di indagini
preliminari il passo citato si è interpretato proprio come riscontro alle dichiarazioni di aragona, ma
se in quella fase il quadro probatoro rendeva possibile tale interpretazione, all’esito del di
battimento, sulla scorta di perizia tecnica va inquadrato appunto nella vicenda della candidatura di
priolo sponsorizzata da guttadauro. Allora per tutte le considerazioni che precedono, le
dichiarazioni di aragono non coincidono con le condotte obbiettivamente rilevate nei giorni
immediatamente successivi, tali condotte non sono cratterizzate dall’adozione di contromisure più
immediate ed efficaci simili a quelle effettuate nella prima metà di giugno, come sarebbe stato
logico attendersi dopo la rivelazione di notizie specifiche sull’indagine in corso. Né sono emersi
elementi di conferma sul presunto ruolo di informatore che, come affermato da aragone, l’imputato
avrebbe svolto in quei giorni. E d’altra parte altri testi e imputati di reato connesso hanno affermato
in dibattimento che i primi veri sospetti degli inquirenti, sulla diffusione di notizie riservate erano
scaturite solo nelle settimane seguenti dopo l’ascolto del nastro in cui risulta registrato il momento
del ritrovamento della microspia in casa guttadauro, il 15 giugno appunto, e se ne percepisce in
concreto la disattivazione.
Il colonnello damiano, esaminato all’udenza del 18 ottobre 2005 e a quella successiva del 25
ottobre del 2005, ha riferito che dopo l’asportazione della microsia applicata nel salone
dell’abitazione del guttadauro, le operazioni di intercettazione erano seguite attraverso altre
apparecchiature installate in altre parti della casa, che non avevano più fornito risultati utili e a
precisato che dopo due giorni, durante una visita di un ospite, Màranto, erano stato ascoltato il
padrone di casa avvisare che non era il caso di continuare a parlare di argomenti che li
riguardavano.
E in effetti, se ci si basa sul contenuto dei dialoghi intercettati, le prime incongruenze che fanno
sospettare che gli intercettati possano essere stati messi al corrente dei controlli in casa, si
riscontrano nella conversazione di aragona e guttadauro del 12 giugno, soprattutto quando i due
decidono di recarsi sul terrazzo per precauzione, e in quella registrata poi lo stesso giorno
dell’asportazione il 15 giugno tra guttadauro e cataccio (?).
Dunque, se noi non riteniamo fondamentalmente provato il primo degli episodi contestati a
salvatore cuffaro, ben altro discorso abbiamo da fare riguardo al secondo degli episodi
cronologicamente contestati, cioè la diffusione di notizie sull’esistenza di intercattazioni, non più
soltanto di investigazioni, anche ambientali trapelati dagli ambienti investigativi nel periodo
maggio/giugno, che sonos state rivelate da salvatore cuffaro a miceli, da questi ad aragona che l’ha

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riferito il 12 giugno a guttadauro, che proprio a seguito di ciò cercò e trovò, il successivo 15 giugno,
una microspia all’interno della sua abitazione. Per ricostruire l’intera vicenda, che è decisiva ai fini
delle responsabilità dell’impitato cuffaro in ordine ai delitti di cui agli art. P e Q della rubrica, è
necessario prendere le mosse dall’esame reso da salvatore aragona. Nel corso della sua audizione,
nell’udienza del 28 giugno 2005 in quelle successive, aragona ha parlato anche di notizie riservate
trapelate pochi giorni prima della data della scoperta della microspia. Ha precisato che dopo
l’ultimo viaggio a palermo nel mese di aprile, periodo in cui era stata ufficializzata la candidatura di
miceli alle elezioni regionali del 2001, aveva deciso di ritornare in sicilia per dedicarsi alla
campagna elettorale come concordato non miceli e guttadauro. Era giunto all’aeroporto di punta
raisi nel pomeriggio del 12 giugno, e insieme al suo amico renato vassallo si era recato direttamente
presso la segreteria di miceli. Arrivato in quei locali, miceli lo aveva invitato a seguirlo fuori,
precisando che non era il caso di continuare a parlare all’interno dato che aveva saputo che con ogni
probabilità vi erano state installate delle microspie e che erano state predisposte telecamere nello
stabile di fronte per studiare i vari movimenti della sua segreteria. Alla sua reazione di sorpresa,
miceli aveva replicato accennando a giuseppe guttadauro, e aveva poi precisato che tali controlli da
parte degli inquirenti erano scaturiti dall’intercettazione di una telefonata di guttadauro in cui il
mafioso parlava con lui. Miceli aveva aggiunto che dopo la notizia gli era tornato in mente che in
occasione di una delle sue visite in casa guttadauro egli aveva avuto la netta sensazione di essere
stato seguito da qualcuno per breve tragitto, e comunque notato che si dirigeva verso lo stabile
dell’esponente mafioso. Subito dopo miceli aveva specificato che la notizia del suo coinvolgimento
nelle indagini a carico di guttadauro gli era pervenuta da salvatore cuffaro. Aragona ha integrato inl
suo racconto e ha poi confermato le sue precedenti dichiarazioni sulla fonte primaria di tali notizie
(interrogatorio del 28 giugno 2005) ricordando che miceli fin da allora gli aveva precisato che le
informazioni erano state, a sue dire, originariamente, acquisite dal maresciallo borzacchelli che a
sua volta le aveva passate a cuffaro che a sua volta le aveva passate a miceli. A dire di aragona, la
specificità di tali notizie imponeva la massima prudenza specie da chi non era stato coinvolto in
precedenti indagini e pertanto aveva consigliato miceli di interromepere immediatamente le sue
visite a casa guttadauro. Subito dopo però egli stesso si era recato personalmente presso l’abitazione
di guttadauro per informarlo delle novità apprese da miceli.
Nell’appartamento di via de cosmi aveva commentato la notizia appena ricevuta insieme a
guttadauro a sua moglie gisella e si era subito scontrato con lo scetticismo del padrone di casa, che
aveva escluso drasticamente di aver mai fatto conversazioni compromettenti al telefono, perché
questo è il tipo di informazione, poi vedremo perché, che miceli trasmette ad aragona.
Guttadauro aveva anche escluso ogni altro genere di intercettazioni in casa sua, e aveva comuque
chiesto di approfondire la notizia presso gli informatori di miceli. Aragona ha affermato che il 12
giugno del 2001 aveva precisato a guttadauro il nome di chi aveva avvisato miceli, e anche se aveva
solo citato il soprannome del futuro presidente della regione intendeva riferirsi a cuffaro. È questo
quanto emerge dalle intercettazione ambientale che è stata letta in aula dall’accusa al fine di far
precisare ad aragona alcuni dei passaggi essenziali nel corso dell’udienza del 28 giugno 2005.
È la conversazione delle 20:45 del 12 giugno 2001 presso l’abitazione di guttadauro: la signora
greco chiede se qualcuno vuole qualcosa da bere poi interviene guttadauro: “Tu questa cosa devi
vedere di sapere, che mi interessa a livello mio”
e aragona risponde: “io la devo verificare io, e con totò giovedì, a iddu totò ci u disse e ci mannò a
chiamari e ci disse”
e guttadauro: “a mia mi parunu puttanate, no?”
aragona: “sì”
guttadauro: “ anzitutto mi interessa sapere se sono io che parlo o sono altri che parlano”
e aragaona: “dicono, dicono peppino guttadauro […] che c’è una telefonata di peppino a qualcuno”.
“Telefonata? Ma ci dici che si vanno a farsi futtere a rirere”
“giusto, infatti io non ci credo, nella maniera più assoluta, è normale”.
E guttadauro incalza di nuovo: “è una telefonata mia a qualcuno?”

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e aragona dice: “dice che si parla di.. vabbè, a me me lo dici”
e guttadauro: “niente salvù, si iddu è accussì categorico…. Se ambientale…”
e aragona: “no, io sto parlando di quello che mi ha detto lui, questo”
Guttadauro: “salvo, se è una telefonata…”
e gisella greco che intanto interviene di nuovo perché è presente, coinvolta e ascolta tutta la
conversazione, questo è un tema importante per valutare la successivva conversazione che pure va
analizzata. E gisella greco che interviene: “fatta da lui… stai tranquillo che iddo al telefono non ci
parla mai”
e aragona: “no, ma è normale. Che fa non lo so?”
e guttadauro: “quindi io manco rispondo a casa mia al telefono. Ma tu sei sicuro che è a telefono,
che è a telefono?”
e aragona: “a me ha detto, a me ha detto questo, che c’è stata una telefonata intercettata in cui
peppino parlava con mimmo” e sempre aragona “e non è la stessa versione di vincenzo?”
guttadauro: “no, quella dice è ambientale”
“a me me l’ha detto, non vorrei sbagliare però”
e gisella greco dice “la cosa importante è sapere se è l’una o l’altra”
e aragona: “con mimmo vado girando persone, giorno 20 con totò cuffaro mi ci vedo”

Allora, questa è la conversazione che è stata letta in aula, che è naturalemnete parte del facsicolo
per il dibattimento perché depositata nel corso dell’esame di aragona. Su questa aragona ci ha detto:
“al dottore guttadauro… cioè che il dottore miceli mi ha detto, mi ha detto.. l’unico dato di cui io
sono a conoscenza è di una telefonata. E per ben due volte dice: ma sei sicuro di quello che dici? E
io per ben due volte da quello che ha letto lei sostengo a lui: questo mi ha detto”.
E ancora, il pm gli chiede: “iddu, totò ci u disse e mi mannò a chiamare”.
E aragona conferma: “miceli dice, ma cuffaro mi ha mandato a chiamare”
Pm: “quindi con riferimento alle notizie che gli aveva fornito”
“Certo”
Pm:”quindi miceli le dice che queste notizie cuffaro gliele aveva date dopo averlo mandato a
chiamare a miceli”
Aragona: “ovviamente”

In sostanza, allora, nel suo interrogatorio dibattimentale, aragona ha ribadito e confermato quanto
risulta da questa intercettazione ambientale che ho letto, e cioè che la fonte dell’informazione del
miceli, sul cui contenuto ovviamente e necessariamente dobbiamo tornare, è stato cuffaro.
Il racconto di aragona è confermato in primo luogo per quanto riguarda i suoi movimenti dalle
deposizioni rese in dibattimento dai testi di polizia giudiziaria. Secondo quanto ha riferito il teste
giovinazzo, il 12 giugno 2001 era stato predisposto un servizio di osservazione in seguito all’ascolto
di una telefonata pervenuta a miceli che lo avvisava del fatto che aragona sarebbe arrivato nel
pomeriggio per andarlo a trovare presso la sua segreteria. La polizia giudiziaria che pedinava
aragona come ha confermato oltresì il teste Del Francese nell’udienza del 11 ottobre 2004, ci ha
confermato recarsi dall’aeroporto verso la segreteria politica di miceli. Molto più importante
ovviamente è il fatto che subito dopo in casa guttadauro è stato intercettato il colloquio in cui
aragona ha parlato con lo stesso guttadauro e la moglie delle notizie ricevute da miceli e
dell’esistenza di intercettazioni che coinvolgevano miceli nei termini sopra riportati che devono
essere ancora analizzati dettagliatamente.
Sin dalle prime frasi si comprende che essi stanno discutendo di intercettazioni poiché guttadauro
rispondendo a una probabile sollecitazione di aragona a cambiare locale (frase che non è ststa
decriptata, perciò diciamo probabile) afferma che non è consigliabile recarsi fuori a parlare,
intendendo erosimimente riferirsi al balcone dell’abitazione in quanto potrebe essere peggio: “noi
altri ci potremmo mettere di fuori, ma fuori peggio è”. Ed è logico e plausibile che egli intenda

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riferirsi alla possibilità di essere visti o ascoltati. Seguono alcune frasi che denotano una reazione
irritata da parte di guttadauro alla notizia che evidentemente ha appena ricevuto.
Dice guttadauro nella conversazione intercettata: “ma guarda che ti devi ricordare bene i discorsi,
non è che l’abbiamo messo noi nei guai” e ancora guttadauro “cioà, non so se rendo l’idea, rischia
di essere eletto” e poi “per un collega posso spendere una parola nell’ambito familiare dei miei
parenti, iddi che cazzu vonnu”
E aragona: se è vero quello che tu, tu mi hai detto allora approfittane, approfittane molto
liberamente delle tue cose, non fare un discorso.. non hai motivo per farne.

È chiaro che la persona di cui si sta parlando è miceli. Riguardo a questa persona guttadauro fa due
precisazioni: la prima, che si tratta di un collega per il quale si ritiene libero di spendere una parola
di cercare appoggio presso parenti e familiari senza dovere per questo temere o sottostare a
particolari controlli, “che cosa vogliono?”. Fra l’altra si tratta, a suo dire, di persona che rischia di
essere eletta, e quindi è evidente che sta parlando di un candidato alle elezioni. D’altro canto egli
tine a precisare che secondo i discorsi fatti in presenza di aragona “ma guarda che ti devi ricordare
bene i discorsi”, a questa persona non è mai stato nascosto nulla. “non è che c’è di mezzo un
polverone” (testuale pruvulazzo, camilleri docet) e fin dall’inizio gli erano noti spessore e
personalità di guttadauro, “che, a me non mi conosce?”.
Sotto tale aspetto guttadauro ricorda un incontro in pubblico con il padre del soggetto di cui si parla,
durante il quale questo non si era posto problemi a salutarlo davanti a tutti: “però è chiaro che ci
hanno visto tutti, che questo cambiò strada, mi viene incontro, mi abbraccia, mi bacia e mi saluta”.
Nello stesso passaggio si discute anche di consapevolezze dei rischi che possono derivare dalla
frequentazione di guttadaur ed aragona: “ma guarda che ti devi ricordare bene i discorsi, non è che
l’abbiamo messo noi nei guai” , vedi ancora più avanti a pag. 27 della trscrizione in esame.
“ma di fatti, io gliel’ho detto a lui a che cosa stava andando incontro lui se tutto va bene”.
È certo poi che guttadauro conoscesse giovanni miceli, padre di domenica al quale si fa riferimento
ora, perché ciò risulta anche dalle conversazioni intercettate, ad es. 21 aprile 2001 ore 21:35, anche
in riferimento all’incontro pubblico descritto nel racconto quindi vi è una plausibile giustificazione.
La notizia che ha suscitato critiche e perplessità da parte di guttadauro e poi ulteriormente chiarita
nel corso dell’incontro, quand’egli dubita della sua veridicità e si fa nuovamente precisare da
aragona di che cosa si tratta e apprende che è trapelata la notizia di una sua telefonata a qualcuno:
“anzitutto mi interessa sapere se sono io che parlo o sono altri che parlano” e aragona dice: “dicono
dicono peppino che sono io, che c’è una telefonata di peppino a qualcuno” . più avanti poi quando
aragona diventa ancora più esplicito sul tenore della notizia: “a me ha detto, a me ha detto questo,
che c’è stata una telefonata intercettata in cui peppino parlava con mimmo” cioè con mimmo
miceli. E ancora, quando guttadauro sospetta che possa trattarsi di una manovra studiata a tavolino
dal diretto interessato per tirarsi indietro e prendere le distanze da lui: “aspetta non vorrei che questa
fosse una mossa per alfine tirrsi indietro lui, è giusto? Per cercare di prendere sin da ora un poco,
eh?”
E il fatto che nel corso dell’incontro si sia discusso anche dell’affidabilità di miceli e nella parte
finale della converszione guttadauro e aragona, pag. 60 e seguenti, convengano sul fatto che si tratta
di persona seria, che dà garanzie, comprova che i due ne hanno duiscusso l’affudabilità prprio per
valutare l’attendibilità delle notizie ricevute quella sera, in particolare la parte in cui guttadauro
dichiara di non conoscere miceli altrettanto bene di come conosce invece aragona. Ma è l’intero
colloquio a contenere vari stralci in cui ricevono conferma le dichiarazioni di aragona sulle notizie
riportate a guttadauro e sulla loro provenienza. E infatti, se si escludono i brevi cenni su argomenti
ch eriguardano gli interessi in comune gestiti da gisella greco, è la notizia dell’intercettazione che
torna di continuo a catalizzare l’attenzione dei presenti. Nonostante tutte le sue perplessità e le sue
critiche guttadauro, prima che aragona ribadisca nuovamente che si tratta di una telefonata
intercettata in cui peppino parlava con mimmo, invita il suo ospite a verificare bene la cosa: “tu tu
questa cosa devi vedere di sapere che mi interessa a livello mio”

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e aragona: “io la devo verificare io e con totò giovedì, a iddu totò ci u disse e mi mannò a
chiamari”. Ora nella trscrizion edella perizia è così, ma dall’ascolto diretto emerge invece la
versione corretta delle ultime parole pronunciate da aragona: “u mannò a chiamare” e non, come è
riportato nella trscrizione “mi mannò a chiamare”. Il significato della frase nella versione corretta
sopra specificata risulta allora coincidere con quanto affermato da aragona in dibattimento e cioè
che la persona che gli aveva dato la notizia era stata a sua volta convocata e avvisata da totò
cuffaro: “a lui gliel’ha detto totò che l’ha mandato a chiamare” , sostanzialmente.
Ancora, analizzando l’intercettazione del 12 maggio 2001, ulteriore conferma nele diciarazioni di
aragona sul ruolo di cuffaro nella …… della notizia si evince nella frase intercettata in cui aragona
si ripromette esattamente, come si legge nel suo racconto, di approfondire su richiesta di guttadauro
l’informazion e con totò, che avrebbe dovuto incontrare il giovedì.
Allora diciamo subito che la verifica non venne fatta, ci ha etto aragona infatti, durante l’uienza del
28 giugno 2005: “ io poi ebbi contatti assidui con miceli per cercare di capire se il dottore miceli
avesse potuto … qualche altra notizia dall’on. Cuffaro. Le risposte furono negative tant che dopo
due giorni circa nella tarda mattinata telefonai alla signora gisella, le chiese un appuntamento, mi
recai sotto l’abitazione proprio per dire al dottore guttadauro che proprio a due giorni di distanza dal
12 io non avevo ancora nessuna notizia”.
Sia il tenore complessivo del colloquio intercettato, in cui si discute ripetutamente dell’affidailità di
miceli, sia il fattoche aragona, come accertato dal servizio predisposto dalla polizia giudiziaria, è
arrivato a palermo poco prima della sua sosta presso la segreteria di miceli, si ricollegano
coerentemente a quanto ha affermato in aula il dichiarante cioè che la persona avvisata da totò
cuffaro e che aveva poi trasmesso la notizia ad aragona era miceli. Risulta quindi sia dalle
dichiarazioni di aragona, sia dalle intercettazioni che egli, assente dalla sicilia da qualche settimana,
ha appreso le informazioni riportate a guttadauro durante la sua accertata soglia presso la segreteria
di via libertà.
Neppure su questo punto posso sorgere dubbi, non rileva infatti in alcun modo il dato negativo che
aragona nelle intercettazioni del 12 giugno non fa mai cenno alla visita in via libertà e che dichiara
di non vedere miceli dall’ultima riunione del 9 aprile, quella in cui era stata concordata l’imminente
attività per le elezioni regionali. Aragona dice di essere appena giunto in cittàà dopo la sua partenza
alle 6 e 20 dall’aeroporto di milano. Ora, a parte l’imprecisione che è frutto di un errore materiale
del trascrittore in merito all’orario: le 15: 20 e non le 18:20, la presenza di aragona in via libertà è
ststa riscontrata dalla polizia giudiziaria che lo pedinava, il fatto che non ne abbia parlato a
guttadauro non è comunque significativo e peraltro tale conclusione non è del tutto certa tenuto
cnonto della breve interruzione della registrazione nella cruciale fase del suo inizio. Per ulteriore
scrupolo, può essere anche affrontata la questione relativa all’argomento a contrario, tratto
dall’affermazione dei due intercettati relativa al presunto ultimo incontro di aragona con miceli. Il
riferimento si ricava da un breve inciso riportato a pag. 26 della trascrizione dell’intercettazione che
abbiamo citato, quando guttadauro afferma di non vedere miceli dall’ultima volta che è stato
presente in casa sua insieme ad aragona, e il suo ospite risponde altrettanto con una frase rimasta in
sospeso. Dice guttadauro: io che non lo vedo a mimmo da quando…
E aragona: ma infatti, neanche io
Da quando è venuto con te (dice guttadauro che conclude questo pezzo del colloquio)
Allora si tratta di una cicostanza citata da tutti e due gli interlocutori e in maniera più netta da
guttadauro, ma in questo caso il contenuto poco chiaro della risposta di aragona non può fare
pervenire alla conclusione che smentirebbe il dichiarante secondo la quale aragona avrebbe
ammesso in modo esplicito di non vedere da tempo miceli e quindi di non averlo incontrto quella
sera. Tra l’altro la stessa affermazione di guttadauro risulta contraddetta dalle intercettazioni di altri
suoi incontri con miceli, in prticolare le trascrizioni del 21 e 28 aprile, successivi all’incontro con
aragaona. È palusibile pertanto che gli intercettati non intendessero riferirsi ai loro rispettivi ultimi
incontri a quattr’occhi con miceli, ma all’ultima riunione in cui erano stati tutti insieme. E
comunque, come si è appena detto, è stato accertato dalla polizia giudiziaria la presenza di aragona

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in via libertà e anzi nella stessa intercettazione si coglie un rimanda abbastanza preciso a un
recentissimo incontro con miceli. Aragona riferisce di aver discusso da poco con lui sulla
opportunità di fare propaganda, discorsi pubblici, contro le illazioni sollevate nei suoi confronti: “ho
fatto un ragionamento semplice, mi ricordavo semmai senza dubbio anche pubblicamente, fallo
qualche discorso pubblico ufficiale contro chi…” risposta: poco fa dice io non lo faccio perché non
mi va di farlo, sostanzialmente.
E allora la rivelazione c’è indubbiamente stata nei termini che ci ha raccontatao salvatore aragona e
ciò è confermato quantomeno dal contenuto di questa conversazione che abbiamo analizzato.

[…]
Noi abbiamo sostenuto che salvatore cuffaro è incriminato per tre distinti episodi che realizzano la
fattispecie di cui all’art.378 e poi vedremo di cui all’art.326 del c.p.
Stiamo analizzando la questione relativa alla cosiddetta fuga di notizie in favore, fra virgolette, di
giuseppe guttadauro, abbiamo ritenute che le prime propalazioni di aragona, quelle relative alla
prima rivelazione, quella del Quark di milano fategli da miceli non siano sorrette da quei requisiti di
riscontro estrinseco che l’art. 192 comma 3 impone alla chiamata di aragona.
Viceversa stiamo osservando come la seconda fuga, chiamiamola così, di notizie, cioè quella reltiva
al 12 giugno del 2001 che porta al rinvenimento della microspia il 15 giugmo del 2001 sia, lei sì,
sorretta da elementi di prova ulteriori rispetto alle indicazioni di aragona tali da ritenere poi la
responsabilità per questo fatto anche di salvatore cuffaro. Abbiamovisto fino a questo momento che
certamente quella informazine è stata trasmessa da aragona a guttadauro per averla avuta da miceli
e con l’indicazione a sua volta che ra stata fornita da cuffaro, ma vediamo il contenuto di questa
rivelazione, perché gli elementi più consistenti a proposito del contenuto della rivelazione sono
legati alle frasi in cui si parla nella conversazione intercettata il 12 giugno 2001 di una telefonata di
peppino a mimmo. Diciamo subito che è trascurabile il fatto che aragona usa il plurale per
specificare la provenienza di tale informazione, a pag. 16 della trascrizione, “dicono che c’è una
telefonata di peppino”. È trascurabile perché è chiaro che lui si riferisce alla fonte originaria
dell’informazione agli ambienti da cui è trapelata la notizia riservata.
Infatti aragona usa termini più consoni per parlare del suo informatore diretto, pag. 20 della stessa
trascrizione, “a me ha detto questo”. Non vi può essere dubbio che la comunicazione tra cuffaro e
miceli prima, poi da questi ad aragona e infine a guttadauro dell’esistenza di un’attività di indagine
su miceli e su guttadauro e suoi loro rapporti basati anche su intercettazioni telefoniche ambientali
integri pienamente i delitti contestati a cuffaro, cioè quelli agli art. 378 e 326, salvo poi a discutere
dell’aggravante di cui all’art. 7 della legge 103 del 1991-
Invero, il fatto che l’informazione contenga come contiene un’imprecisione (si parla di una
probabile telefonata invece che di una intercettazione ambientale, come in realtà è) nonriduce la
portata innovativa della notizia rispetto alle certezze che nutriva guttadauroe alle sue conoscenze
fino a que momento. Del resto è chiara la funzione di sollecitazione attribuibile all’informazione in
diretto rapporto di causa/effetto con la ricerca della microspa messa in atto pchi giorni dopo.
Per altro, la ragione di questa imprecisione, intercettazione telefonica in luogo di intercettazione
ambientale, ha una sua spiegazione logica in uno degli anelli della catena di trasmissione di tale
informazione, e anche questo funge poi da riscontro di credibilità dell’assunto accusatorio. Perché
una di questi anelli della catena, sostamzialmente la seconda, è il maresciallo borzacchelli, come
vedremo. Ebbene, borzacchelli ha in questa vicenda una posizione peculiare, ha interesse a
dimostrare a cuffaro l’importanza del contributo che poteva fornire proprio su quel piano del
proteggerlo dalle indagini che gli ha fruttato la candidatura e poi l’elezione all’assemblea regionale
siciliana. In quel preciso momento storico, poi, è in contrasto con miceli, perché con miceli è in
concorrenza a proposito dell’appoggio elettorale che entrambi ricercavano in quel momento da
cuffaro, appoggio indispensabile per essere poi eletti all’assemblea regionale siciliana. Allora
proprio questa posizione contribuisce a spiegare il fatto che a miceli siano pervenute notizie in parte
errate e imprecise ad esempio anche a proposito dell’esistenza di microspie nella sua segreteria, di

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videocamere che filmavano la sua segreteria. Vedremo che giorgio riolo ha informato borzacchelli
di intercettazioni ambientali in casa di guttadauro senza per altro riferirgli di dove erano collocate le
microspie. E però sis piega come a miceli siano arrivate informazioni diverse perché emerge
chiaramente dagli atti processuali che tra i modi di agire propri di borzacchelli vi è proprio quello di
fornire notizie con un nucleo sostanziale di verità, ma in parte distorte o gonfiate, con ogni
probabilità per rendere ancora più preziosa la sua opera di informatore e forse anche per sviare
eventuali sospetti a suo carico.
Pensiamo a proposito a quanto emerge dalle indagini relative ad aiello, di cui abbiamo già
ampiamente parlato. Aiello, nelle sue dichiarazioni definisce borzacchelli “il terrorista”, ed è
sufficiante ricordare a proprosito che le informazioni assolutamente precise e dettagliate comunicò
all’aiello che nei locali della diagnostica erano state collocate delle microspe tanto da non volerlo
più incontrare nei suoi uffici. Del resto anche riolo, secondo quanto rivelato in più occasioni da
borzacchelli, ebbe a dire di sapere con certezza che tutti loro erano sottoposti a intercettazioni
ambientali e anche questa circostanza si è rivelata non vera.
E allora, anche sulla base di queste osservazioni, ai fini della sussistenza dei reati contestati a
cuffaro e privo di effettivo rilievo il fatto che il colonnello damiano, coordinatore dell’inchiesta
abbia escluso con certezza l’installazione di microspie nei llocali della segreteria di miceli, sitratta
di un aspetto marginale, comunque spiegato che non incide sulla portata essenziale
dell’informazione trapelata da ambienti investigativi, giunta a cuffaro e ai miceli e poi fino ad
aragona e guttadauro. Che non sia vera l’informazione delle microspie presso la segreteria di miceli
riguarda altri locali e non inficia affatto il dato che a casa di guttadauro tre giorni dopo la rivelazion
fatta da aragona, si arriva al ritrovamento della microspia. Questo evento, il ritrovamento della
microspia, è la migliore conferma dell’importanza che la rivelazione ha avuto nel precludere
evoluzione e prosecuzione di quelle importanti indagini che in quel momento erano in corso. Nel
colloquio intercettato e sopra richiamato, infatti, si ascolta come all’iniziale scetticismo di
guttadauro subentra l’esigenza di approfondire, si manifestano i primi sospetti sui posti dove andre
a cercare gli strumenti di rilevazione, si operano confronti con altre sitazioni precedenti.
Nella conversazione si fa un riferimento alla “versione di vincenzo”, proprio quando si parla di una
ipotetica intercettazione ambientale, ebbene, anche a proposito di questa parte della conversazione
bisogna proprio affrontare questo tema, quello in cui appunto si parla di intercettazioni ambientali e
si cita “la versione di vincenzo” che dimostrerebbe come guttadauro era già a conoscenza di
indagini e intercettazioni nei suoi cnfronti sin da epoca precedente. Non è così. Questa tesi
tenderebbe a smentire evidentemente l’intero racconto di aragona e a dimostrare che nel colloquio
del 12 giugno non sarebbero state dimostrate reali novità rispetto a quanto già conosciuto dai due
mafiosi, e in definitiva che le informazioni sulle intercettazioni ambientali non potevano provenire
da miceli e prima ancora da cuffaro. In realtà, l’unico aspetto condivisiile di questa tesi è che sia
aragona che guttadauro risultano a conoscenza dell’esistenza di un’ambientale loro riferita da
vincenzo, ma dalla conversazione intercettata non soltanto non emergono informazioni più
specifiche, ma si evince chiaramente che essi si soffermano incidentalemente su argomente diverso
da quello su cui stanno discutendo da vari minuti: “quella è ambientale”.
Né va tracsurato il fatto cha dall’intero colloquio emerge che i presenti stanno commentando una
notizia appena ricevuta, fanno ipotesi e considerazioni a caldo, non si iferiscono certo a nozioni loro
note da tempo, tanto che avvertono l’esigenza di assumere informazioni più approfondite e lo
dichiarano come abbiamo visto in modo esplicito.
Alle considerazioni che precedono va aggiunto che in colloqui precedentemente intercettati in casa
guttadauro può trovarsi la chiave di lettura più probabile di questo inciso, dell’inciso relativo
all’ambientale “di vincenzo”, perché se noi leggiamo la trascrizione 4 gennaio 2001 pag. 499 e
seguenti, si comprende che in varie occasioni giuseppe guttadauro e vincenzo greco avevano
discusso di microspie piazzate nell’auto di greco. Tale fatto risale al momento in cui i due cognati
erano impegnati nelle trattative di vendita relative ai terreni della famiglia greco, destinati alla
realizzazione di un centro commerciale, come sappiamo. In questa circostanza guttadauro aveva

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sostenuto che uno dei mediatori entrati in contatto con loro, sospettato perché in passato era stato
nelle forze dell’ordine, avesse fatto installare dei microfoni nell’auto del cognato, principale artefice
delle compravendite, per seguire più da vicino le trattative con eventuali concorrenti. Vincenzo
greco aveva invece fornito una sua versione ipotizzando che le autorità giudiziare di trapani, che si
occupava delle indagini a carico di filippo guttadauro, avesse disposto intercettazioni a suo carico.
Riallacciandosi a tale precedente, lo stralcio del 12 giugno deve allora essere letto, e in modo molto
più convincente e compatibile con tutto il resto della trascrizione, nel senso che la rivelzione appena
ricevuta ricordava ai due interlocutori la vicenda precedente, la vicenda segnalata da vincenzo
greco, anche se in quel caso si era parlato id intercettazioni ambientali, appunto: “quella è
ambientale” dicono, e in quel momento si parlava di altro genere di intercettazione, al notizia che
aveva portato guttadauro in riferimento alla intercettazione telefonica.
Allora in questa ottica, tra l’altro, l’osservazione di aragona “e non è la stessa versione di vincenzo”
risulta ancora più pertinente perché rievoca un altro caso simile in cui giuseppe guttadauro aveva
sottovalutato il problema e attribuito ad altre motivazioni l’installazione della microspia nell’auto
del cognato piuttosto che ad indagini dell’attività giudiziaria. In questo caso aragona rievoca “la
versione di vincenzo” perché guttadauro nutre ancora qualche dubbio, si ritiene al riparo da tali
rischi, si aspetta che i controlli possano essere stati architettati da avversari politici di miceli:
“chiedi a mimmo per me, perché giustamente i cunti se li fanno loro sugi avversari,chiamiamoli
così”. In definitiva allora la frase può essere letta come una sollecitazione a non trascurare, come
nel caso precedente, l’eventualità di indagine a suo carico. Il sollecito sembra trovare piena
corrispondenza negli sviluppi della conversazione, quando il principale argomento che viene
trattato riguarda proprio la ricerca di eventuali nascondigli delle microspie. “Ripeto, io ho due
dubbi”, dice uno, è la richiesta di approfondire le informazioni ricevute da aragona.
Dice guttadauro: tu mi devi, devi vedere se appurare se sono io innanzitutto, se telfonate fisse, io
non ho parlato con nessuno, tranquillo, a testa mi facisti.
Va bene. Se ambientale, se è ambientale, sempre se sono io o se è quallc’altro che parla di me. Parla
di… cosa che è più prababile, probabile.
Ancora guttadauro: “se sono io dove sono, perché ripeto io ho due dubbi, però dubbi, sai perché? Io
dov’è che parlo? Me lo faccio controllare in ogni angolo, se io mi devo chiamare A, non è che lo
posso chiamare in mezzo alla strada”
A: “è ovvio”
e guttadauro: “né c’è gente che mi posso ricevere …., in campagna, sotto un pero, ci siamo. E va
bene. Anche perché volendo non è così” etc etc
Dunque anche a volere tenere conto delle precauzioni che guttadauro dichiara di adottare di
continuo, non può trscurarsil’incidenza della rivelazione appena ricevuta, si ribadisce gli eventi che
seguono al colloquoi ne sono la migliore dimostrazione. Particolarmente significativo è che
aragoona s impegna nel corso della conversazione a verificare con totò, sulla cui identificazione
ovviamente non possono esservi dubbi. E ancora è utile rileggere la conversazione tra guttaduaro e i
suoi figli mario e francesco e la mogli gisella, la conversazione del 15 giugno 2001 in casa
guttaduaro, è quella nella quale viene ritrovata la microspia.
E allora. 1:41
Mario, uno dei figli di guttadauro: e quella aveva e a smuntò
Francesco: e sì
Mario: e l’ha smontato.
E ancora mario: è là, giusto? Si è pure levato un pochettino papà
E giuseppe guttadauro: piglia il caccavite e vediamo se…
E mario: è americano o italiano?
Francesco: aspetta, apsetta, tutte e dua italiane sono
Giuseppe: non l’ho trovata mai
Francesco: vero è, si è mossa. No, non c’è bisogno.
E poi francesco, evidentemente perché la trovano: io vorrei sapere come la vennero a mettere

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Filippo (?): francesco, solo di notte potevano
E ancora la conversazione prosegue: e certo che la possiamo lsciare così
Giuseppe: questa?
No no no non la devi svitare, mario (dice gisella greco) Non tutta, il servizio
E francesco: guarda tutti questi fili, da lì scendono. Dopo che siamo usciti noi sono entrati loro.
E gisella: ma quando mai, non esiste, [pm:cioè non esiste che possano essere entrati].
E poi ancora giuseppe: è aperta francè, pezzi cancellati sono e intanto è aperta
E giuseppe: vai aprendere il miniscanner
Filippo: il miniscanner?
E finalmente giuseppe: è stata, e tu trovasti niente di rotto. Da dove entrarono. Ammunì, futtiti
gisè… che c’è sta cosa, poi io, non è che ci sta chissà quali discorsi poi abbia fatto (questo poi è
molto soggettivo alla luce di quello che intanto è stato intercettato.
E poi, cioè trovata la micropsia, pochi minuti dopo, guttadauro giuseppe: andiamo a fare i discorsi
dentro il bagno.
E ancora riferimenti alla centralina, e poi, ed è il passaggio probabilmente più importante in questa
logica, quando la trascrizione dalle 07:27 alle 07:46, cioè quando non era stato intercettato più nulla
per un certo periodo, gisella greco dice: e meno male che ce l’hanno detto
E filippo: meno male
E ancora, sempre gisella: capito, non è che è delicatissima, è (per il momento mi limito alla
trascrizione che sto leggendo, cioè quella fattadal perito) è ragioni vero, ragioni avia totò cuffaro.
(che è un fonetico nella prima indicazione del perito ma su questo “ ragioni avia totò cuffaro”
naturalemente dovremo tornare.
Sta di fatto che da questo colloquio, colloquio che poi necessariamente bisognerà ascoltare,
immagino, all’interno della camera di consiglio, si comprende che guttadauro e i suoi figli sono
intenti a smontare qualche cosa, parlano di fili, di una centralina, di strumenti che si apprestano a
utilizzare: cacciavite, macchinetta, scanner, e le loro parole sono spesso coperte da rumori di fondo:
fischi, suoni metallici, che dimostrano come stessero in effetti armeggiando nei pressi del mezo di
rilevazione.
Da altre frasi si comprende che qualcosa è stato rimosso “mario, non ti muovere perché è sul
portacenere” e il fatto che da quel momento in poi il tono delle voci sia molto più basso, tanto da far
registrare varie espressioni incomprensibili, evidentemente coincide con la constatazione fatta dai
servizi di ascolto di polizia giudiziaria sull’asportazione della micrspia e sul funzionamento invece
piazzate in altre parti delle case, lontane dal punto in cui i presenti stanno discutendo. Ma le parole
più significative sono quelle pronunciate dopo che giuseppe guttadauro e i suoi figli sembrano aver
individuato qualcosa. Si domandano come è stata installata in casa: “io volussi sapere come a
vennero a mettere” ; si pongono il problema di andare a parlare in un locale differente, ed il fatto
che queste ultime osservazioni si riferiscano ad un mezzo di captazione emerge dai riferimenti alle
discussioni che potrebbero esser stati intercettati in passato attraverso l’oggetto da poco rinvenuto:
“che è, non lo so che è. Discussioni hnno registrato, li togliamo”. E ancora: “Non state e tu, non
trovasti niente di rotto. Da dove entrarono? Poi io non è che ho fatto appunto chissà quali discorsi”.
Le ulteriori considerazioni degli intercettati subito dopo chiariscono anche in che modo è partita la
ricerca della microspia e come questa è ricollegata a una specifica informazioneproveniente
dall’esterno: “e meno male che ce l’hanno detto”, dicegisella greco, e poi c’è la frase appunto: “avia
ragione totò” sulla quale apputo torneremo.
La scoperta delle microspie, sappiamo, avviene il 15 giugno del 2001 e cioè non solo in seguito al
colloquio del 12, ma anche dopo che aragona si è impegnato a verificare con totò le informazioni
ricevute da miceli. Il giovedì successivo al 12 è il 14 giugno 2001, precede di un giorno il momento
della scoperta della microspia e evidentemente allora in casa guttadauro erano stati attesi gli
approfondimenti promessi, prima di procedere alla ricerca di questa microspia.
Allora, abbiamo già acquisito sul punto della responsabilità di cuffaro, in ordine alla rivelazione di
notizie del 12 giugno distinti e convergenti elementi di prova, le dichiarzioni dibattimentali di

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aragona sul fatto che la fonte delle informazioni a lui fornite da miceli era proprio cuffaro, il
contenuto della conversazione intercettata il pomeriggio del 12 giugno a casa guttadauro, nel corso
del quale aragona informa guttadauro e sua moglie delle notizie ricevute da miceli, spcifica più
volte nel corso di questa conversazione che la fonte di miceli è totò, e cioè l’imputato, e si
ripromette di attingere ulteriori informazioni da totò cuffaro, il giovedì seguente o il giorno 20, data
per la quale già fissato un appuntamento, infine la frenetica attività culminata nel ritrovamento delle
microspie il 15 giugno.
Ma sull’origine della fuga di notizie è stata poi raccolta la deposizione di giorgio riolo. Nel corso
dell’udienza del 15 e poi del 21 marzo 2006, riolo ha ammesso di avere parlato con borzacchelli di
microspie piazzate in casa di guttadauro 20 giorni/1 mese prima del suo ritrovamento. Bisogna dire
che riolo era stato sospettato seppur non in termini di natura penalistica, per così dire, di essere
l’autore della rivelazione dal suo comandante.
Il colonnello damiano ha più volte ricordato infatti, nel corso dell’audizione più volte citata, che
dopo l’ascolto della conversazione del 15 giugno durante la quale, ha riferito riolo, era stato
percepito il nome di toò cuffaro, circostanza sulla quale dovremo tornare, era stato staccato uno dei
microfoni ed erano sorti all’interno del ros i primi sopsetti sul fatto che la microspia potesse essere
stata scoperta a causa di una fuga di informazioni. Successivamente, nell’estate del 2003, a
conclusione dell’indagine relative alla cosidetta operazione Ghiaccio, questa è stata contestata a
riolo, ed è stato ipotizzato che egli ne avesse parlato innanzitutto con borzacchelli, che nello stesso
periodo era candidato, come miceli, nele liste di cuffaro per le elezioni regionali.
Damiano ha riferito che questi sospetti erano scaturiti dai rapporti pregressi tra i sottoufficiali ex
colleghi di reparti e dal fatto che durante la campagna elettorale, nel maggio/giugno del 2001, i due
avevano ripreso a frequentarsi e riolo aveva accompagnato borzacchelli incaserma durante la
campagna elettorale per una visita elettorale appunto. Damiano ha dichiarato che riolo,
espressamente interrogato sia pur appunto informalmente sul punto, aveva negato le circostanze
davanti al suo superiore. Nel corso del processo riolo ha invece ammesso i fatti, ha dichiarato che
borzacchelli gli aveva chiesto un parere sull’attività politica che stava per intraprendere e lui gli
aveva consigliato di non impegnarsi con cuffaro confidandogli che erano in cosro intercettazioni
ambientali in casa guttadauro, che in quell’abitazione era stato intercettato miceli e che in alcune
conversazioni si parlava di cuffaro.
L’imputato riolo ha sostenuto di aver fornito le notizie a borzacchelli trattandosi di colega ancora in
servizio. Quanto alla giornata del 15 giugno 2001 ha ricordato con certezza di essere stato avvisato
dai suoi uomini della disattivazione e delle parole ascoltate al momento della scoperta “allora aveva
ragione totò”, anche se poi è stato molto più vago sull’interpretazione attribuita alla frase e
sull’individuazione della persona citata e ha affermato di non essere nemmeno in grado di precisare
se aveva riascoltato personalmente l’intero nastro compresa la frase in questione, o si era soffermato
solo ai rumori procurati dal distacco.
Riolo ha parlato inoltre dei suoi rapporti precedenti con borzacchelli e cuffaro, rapporti
sostanzialmente negati da cuffaro nel corso del suo interrogatorio: il secondo, cioè appunto cuffaro,
gli era sto presentato proprio dal collega, da borzacchelli, negli anni 98/99 e si era interessato,
quando era ancora assessore regionale, di una pratica che riguardava un congiunto suo omonimo:
l’agriturismo di giorgio riolo.
Ha precisato inoltre di essersi occupato per conto di cuffaro della bonifica di ambienti da microspie,
e di aver sempre intrattenuto ottimi rapporti con borzacchelli, tanto che questi aveva favorito
l’impiego di sua moglie presso la clinica di michele aiello. Con lo stesso aiello, come sappiamo, rilo
aveva intrattenuto rapporti di confidenza a vario titolo che hanno …. Oggetto della altre
imputazioni a lui addebitate in questo processo. Ora, l’esistenza di un canale divulgativo di notizie
riservate, basato sul rapporto fra borzacchelli e cuffaro è ststa confermata anche da aragona che ha
indicato borzacchelli e cuffaro come gli informatori che avevano fornito a miceli le notizie riservate
per averle apprese da miceli.

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Ne ha parlato inoltre il collaboratore di giustizia francesco campanella, il quale a proposito di una
diversa inchesta che riguardava la mafia di villabate, ha riferito che era stato cuffaro ad informarlo
di indagini riservate nei suoi confronti dovute ai rapporti intrattenuti con i Mandalà, e gli aveva pure
precisato che le notizie provenivano dal maresciallo borzacchelli per il quale, come abbiamo
anticipato, gli aveva spiegato cuffaro, l’unica ragione della candidatura e dell’elezione
all’assemblea reginale siciliana era quella di essere protetto dalle indagini (udienza del 17 gennaio
2006).
Il collegamento effettuato da riolo fra disattivazione ela microspia, origine e modalità della fuga di
notizie trova poi parziale conferma nelle intercettazioni relative al momento della scoperta del
rilevatore di segnale. Rileva la frase intercettata che a sua volta rivelerebbe la fonte delle rivelazioni
giunte fino a cuffaro: “capito, non è che delicatissime… Ragiuni veru. Ragiuni avia totò cuffaro”.
Considerato il contesto in cui l’inciso si colloca subito dopo la constatazione della presenza in casa
della microspia e la sua rimozione, le parole pronunciate da gisella greco devono essere interpretate
come il riconoscimento da parte degli intercettatai della fondatezza delle notizie a loro comunicate
provenienti da “totò” cuffaro, che aveva ragione.
Queste parole costituiscono inoltre un valido e autonomo elemento di prova a riscontro delle
dichiarazioni di riolo, il qual si è accusato della prima diffusione delle notizie a borzacchelli, ma poi
si è limitatao ad affermare che cuffaro risultava già al corrente pochi giorni dopo il ritrovamento
senza fornire altre informazioni nei passaggi intermedi della notizia.
L’inciso in questione “ Ragiuni veru. Ragiuni avia totò cuffaro” conferma inoltre le dichiarazioni di
aragona sul coinvolgimento di cuffaro nella diffusione delle notizie riservate.
Se le dichiarazioni di aragona con i riscontri sopra evidenziati hanno contribuito ad illuminare un
segmento importante della vicenda in oggetto, e altrettanto vero che sono state proprio le
dichiarazioni di giorgio riolo a delineare più compiutamente la fase centrale della fuga di notizie
specificamente relativa all’esistenza di attività di lavoro in corso, in particolare il canale attraverso
il quale borzacchelli e cuffaro vennero a conoscenza delle notizie successivamente divulgate.
Sotto questo profilo le dichiarazioni di riolo sono anch’esse di grandissima importanza perché
rispondono in modo persuasivo e ampiamente riscontrato all’obbiezione sempre pervicacemente …
a difesa proprio da cuffaro, e cioè che egli non avrebbe avuto modo alcuno per venire a conoscenza
di notizie riservate sulle indagini in corso. Non è così. Contemporaneamente le dichiarazioni di rilo
sono coerenti con quelle di aragaona e con quelle a casa guttadauro sull’esistenza di un canale di
diffusione di notizie riservate costituito da borzacchelli e cuffaro. E infatti, proprio riolo, il
maresciallo del raggruppamento operativo speciale che aveva materialemnete installato l’apparato
di captazione ambientale nell’abitazione di via de cosmi, ha riferito che borzacchelli già prima del
giugno 2001 era da tempo pienamente a cnoscenza dell’esistenza di indagini nei confronti di
guttadauro. In particolare riolo ha ammesso di aver egli stesso informato, circa venti giorni prima
del ritrovamento delle microspie, borzacchelli delle intercettazioni in corso. In corso con una
pluralità di strumenti di captazione nell’abitazione di guttadauro nonché, è opportuno evidenziarlo,
dell’esistenza di conversazioni registrate relative a consultazioni con miceli e del fatto che dalle
stesse emergesse in maniera del tutto negativa l’operato politico di cuffaro.
Riolo ha dichiarato di aver cercato di dissuadere borzacchelli dal candidarsi alle elezioni regionali
con lo schieramento che faceva capo a cuffaro e che proprio per giustificare la sua opinione disse la
collega: “merda, ci esce sempre merda. Tant’è vero che noi abbiamo una microspia di cui lui già
sapeva che era attorno perché già da un pezzo che si parlava di questa benedetta … c’è una
microspia, l’indagini di guttadauro di cui non si fa altro che parlare. C’è un certo miceli che sta
parlando, si fa fact totum, fact totum di cuffaro. Sì, borzacchelli faceva le veci di…”
Riolo ha specificato che pur se all’epoca non conosceva miceli, il suo ruolo, né gli elementi
specifici emersi a suo carico, aveva usato toni pesanti per dissuadere borzacchelli. A suo dire
borzacchelli si era molto interessato al fatto che l’indagine coinvolgev miceli perché l’aveva
definita “persona che stava molto a cuore a cuffaro”.

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Riolo ha affermato di non aver seguito personalmente i servizi di ascolto, di essersi limitato a
coordinare il lavoro svolto da altri colleghi, di non aver avuto precisa cognizione di tutti gli eleenti
emersi, ma di aver appreso che dalla presenza di miceli in casa guttadauro si ricavavano indizi tali
da giustificare una nuova richiesta di intercettazioni questa volta su utenze intestate a miceli.
Ella descrizione delle vicende, riolo ha riferito di avere subito immaginato che le sua informazioni a
borzacchelli potessero essere trapelate all’esterno per giungere fino a cuffaro e in qualche modo
anche a guttadauro. Ha infatti precisato che pochi giorni dopo la scopeta della microspia aveva
chiesto allo stesso borzacchelli se si fosse fatto scappare qualcosa sulle confidenze ricevute, magari
proprio con cuffaro. L’altro aveva negato e si era comportato nello stesso modo anche negli incontri
successivi.
Riolo ha poi citato un incontro con borzacchelli e cuffaro avvenuto un mese dopo le elezioni,
quando già il secondo era presidente della regione, è l’incontro presso la prefettura. In questa
occasione i due si erano mostrati a conoscenza del ritrovamento della microspia, secondo sempre il
racconto di riolo. E nonostante riolo abbia affermato di non essere in grado di stabilire momento e
circostanza in cui era stata diffusa l’ulteriore notizia del ritrovamento e dei conseguenti sospetti, ha
poi riferito che cuffaro insieme a borzacchelli aveva preteso spiegazioni sul fatto di essere stato
sospettato da lui. Entrambi avevano negato di aver fatto pervenire suggerimenti a guttadauro e di
aver così contribuito allo smantellamento dell’impianto.
In definitiva riolo ha affermato che aveva fornito al suo collega notizia dell’installazione di
microspie certamente prima del ritrovamento e che anche cuffaro ne era stato informato.
A riolo è stata chiesta spiegazione di una serie di telefonate intercorse con l’utilizzo delle rispettive
utenze cellulari, e risultante quindi dai tabulati acquisiti agli atti del fascicolo dibattimentale, con
cuffaro nel mese di maggio e più significamente nelle date del 4 giugno 2001 e del 12 luglio dello
stesso anno, in epoche quindi a cavallo del rinvenimento delle microspie a casa guttadauro.
All’epoca dunque riolo non era in contatto solo con borzacchelli ma era anche in rapporti personali
e diretti con cuffaro. In proposito riolo ha affermato che lui, cuffaro, era preoccupatissimo per il
ritrovamento delle microspie e aveva institito molto… no chiedo scusa: che lui riolo era
preoccupatissimo per il ritrovamento delle microspie e aveva institito molto con borzacchelli per
sapere se era stato lui a dirlo a qualcuno. Davanti all’invito di borzacchelli a informarsi direttamente
con cuffaro, riolo lo cerca al telefono e in quel contesto si verifica l’incontro presso la prefettura
con l’esito che abbiamo detto.
A salvatore cuffaro nel corso del suo interrogatorio è stato chiesto in quale momento aveva appreso
delle microspie presso l’abitazione di guttadauro. Cuffaro ha riferito di averne avuto notizie solo
dopo l’arresto di guttadauro che è avvenuto il 22 maggio del 2002. Sappiamo che su questo punto,
sappiamo che anche su questo punto cuffaro ha mentito, tentando di giocare sull’equivoco fornito
da notizie di stampa che parlavano sì, di uso delle intercettazioni nelle indagini che portarono
all’arresto anche di guttadauro il 22 maggio del 2002, ma non certamente di intercettaioni presso la
casa di guttadauro. Tra l’altro, l’arresto del maggio 2002 è opera della squadra mobile di palermo,
mentre tutta l’indagine guttadauro è opera dell’attività investigativa del ros dei carabinieri, e del
dato relativo a quali notizie furono pubblicate dalla stmpa all’epoca è prova la rassegna stampa
relativa a quell’operazione di polizia che abbiamo prodotto all’inizio di questo processo. Dunque
quello che venne pubblicato è qualche cosa di ben diverso dalle notizie specifiche risalenti a quasi
un anno prima che stiamo esaminando. Ricordiamo sul punto che cuffaro ha tentato di distorcere i
fatti giocando sull’equivoco proprio a proposito della domanda che gli è stata rivolta in sede di
esame circa il momento in cui sarebbe venuto a conoscenza delle intercettazioni a casa guttadauro.
Gli chiede il pubblico ministero: senta, lei quando ha appreso per la prima volta delle intercettazioni
ambientali a casa del dottor giuseppe guttadauro?
Risposta: io ho appreso per la prima volta delle intercettazioni ambientali a casa di guttadauro
quando fu arrestato il dottore guttadauro il 22 maggio, perché il giorno dopo la stampa ne parlò. Io
dissi questa cosa quando sono stato interrogato l’altra volta e voi avete detto che non era vero.
Presidente, io qui ho i ritagli di stampa che per brevità siccome sono solo tre righe li leggerei, sono

161
due quotidiani, la gazzetta del sud e il giornale di sicilia. Il giornale di sicilia dice testualmente, sta
parlando dell’arresto di guttadauro: “indagini tradizionali, hanno detto gli investigati, si è avvalsa di
pedinamenti e intercettazioni ambientali e telefoniche”. Questo è il giornale di sicilia, la gazzetta
del sud è ancora più precisa: “anche attraverso l’uso di microspie e telecamere è stato ricostruito
l’organigramma mafioso facendo capo al nuovo boss del territorio guttadauro”. Come io ricordavo
perfettamente questi ritagli di stampa che il mio ufficio stampa mi fa ogni mattina tra l’altro, e dopo
questo mi preoccupai e chiamai miceli che non era a palermo, era fuori e lo incontrai. Dissi questo
quando sono stato interrogato però mi è stato detto che non era vero, oggi invece credo di ricordare
bene.
E naturalmente il pubblico ministero gli chiede: c’è scritto di intercettazioni ambientali a casa di
guttadauro?
E la risposta dell’imputato cuffaro è sì.
Ma quello che vale in politica evidentemente non vale in diritto. I fatti sono e rimangono fatti,
quello che è scritto nella rassegna stampa è scritto, e nella rassegna stampa c’è scritto sì che
guttadauro è stato arrestato come ha letto cuffaro in base a delle intercettazioni, ma non c’è scritto
(perché non era vero) che queste intercettazioni erano quelle in casa di guttadauro.
In realtà delle intercettazioni in casa di guttadauro si parlerà in atti giudiziari e si parlerà anche sulla
stampa soltanto dopo le prime ordinanze di custodia cautelare reletive all’operazione Ghiaccio 1 del
dicembre del 2002, non se ne è parlato nel maggio del 2002, ha mentito su questa circostanza
salvatore cuffaro.
Sostanzialmente, con le affermazioni sopra richiamate rilo allora, pure in un contesto improntato
alla prudenza se non alla parziale reticenza, e ben lungi quindi da ostilità verso l’imputato cuffaro,
rispetto al quale in questo dibattimento per la verità atteggiamenti ostili da nessuna delle fonti di
accusa si sono registrati, vedremo anche aiello come tenterà di tutelare cuffaro poi quando si tratterà
di parlare del secondo episodio che lo ha riguardato e per il quale è incriminato, dicevo, ha
confermato comunque riolo un dato, sempre decisamente negato da cuffaro, che consiste appunto
nella pienaconsapevolezza di quest’ultimo già almeno a luglio del 2001 dei particolari relativi alle
intercettazioni ambientali a casa di guttadauro e alle confidenze che sulla vicenda borzacchelli
aveva ricevuto da riolo.
Riolo ha infine escluso che borzacchelli potesse aver ricevuto da altre persone notizie sulle indagini
da lui coordinate, non solo l’ha indicato come l’unica persona alla quale prima del ritrovamento
aveva comunicato le informazioni sulle registrazioni in corso, ma ha affermato di non avere parlato
con nessun altro del suo colloquio con borzacchelli. Del resto anche il lasso di tempo che intercorre
tra la rivelazione di riolo a borzacchelli e la conoscenza della notizia da parte dell’interessato più
diretto, guttadauro, che scopre le microspie il 15 giugno del 2001 per il tramite miceli/cuffaro, trova
ampia giustificazione negli interessi ambigui con i quali borzacchelli ha sempre gestito a sua
esclusivo vantaggio il patrimonio informativo che gli veniva dal suo precedente incarico di
autorevole investigatore dell’arma dei carabinieri.
Ancora, una sia pure parziale conferma delle dichiarazioni di riolo è data poi dalle dichiarazioni di
michele aiello. Riolo ha precisato che nello stesso periodo in cui era stata trovata la microspia, in un
momento di rabbia, aveva confidato tutto ad aiello. Oodio, in un momento di rabbia… veramente
gli ha confidato tutto anche senza i momenti di rabbia, come abbiamo visto. Sta di fatto che ad
aiello glielo aveva detto. Ha però specificato di essersi limitato a manifestargli preoccupazioneper il
ritrovamento dell’impianto, parlando delle sue … a borzacchelli senza accennare al coinvolgimento
nelle intercettazioni di miceli. Tra l’altro ha dichiarato di ignorare se aiello conosceva o meno
miceli, se fossero esistiti rapporti fra aiello e miceli.
Allora diciamo subito che il fatto che anche aiello sia stato informato delle microspie da guttadauro
non può fornire argomenti a una possibile tesi alternativa su chi possa essere stata la vera fonte delle
informazioni alla mafia delle intercettazioni in corso. Infatti se è certamente vero che sono
intensissimi i rapporti tra aiello e cuffaro, tali da comportare la comissione di due reati, deiquali
diremo, da parte di cuffaro in favore di aiello, non sono all’epoca dei fatti buoni i rapporti tra aiello

162
e borzacchelli, neppure risulta riscontrata da aiellol’epoca in cui ha ricevuto la confidenza da riollo.
Michele aiello ha confermato infatti che riolo gli aveva effettivamente esternato la sua
preoccupazione per avere rivelato a borzacchelli l’esistenza di intercettazioni in casa guttadauro, e il
suo sospetto che borzacchelli l’avesse rivelato ad altri, ma ha collocato questo sfogo nel periodo di
mggio/giugno del 2003, spiegando che solo allora riolo si era reso conto del fatto che in caserma i
suoi superiori lo avevano collegato a borzacchelli a causa del suo impegno durante la campagna
elettorale parlamentare e per l’assemblea regionale siciliana e lo sospettavano come fautore della
fuga di notizie, circostanza questa conferata dalla stessa deposizione del teste damiano. Nel corso
del suo esame, il 7 febbraio 2006, aiello conferma quanto ci ha detto riolo, nel senso che questi era
rammaricato di aver informato borzacchelli della presenza di microspie in casa guttadauro e
temporalmente collega l’episodio alla trattativa sul prestito in favore di riolo, che
almenoapparentemente borzacchelli stava conducendo con cuffaroe della quale è traccia nelle
conversazioni telefoniche del’ottobre/novembre del 2003, sulla rete riservata e non solo. In
particolare quella del 1 novembre del 2003, 16:59 tra riolo e aiello su cui dovremo tornare.
Nella sua deposizione, aiello: che ha avuto problemi praticamente riolo a casa di borzacchelli e
durante la campagna elettorale del 2001 per le regionali, riolo ha riferito a borzacchelli della
presenza di microspie in casa di guttadauro e temeva, riolo, che questa notizia l’avesse sparsa in
giro borzacchelli.
Il pubblico ministero: cioè riolo l’aveva detto a borzacchelli e temeva riolo…
Temeva.
Che borzacchelli l’avesse..
Temeva. E temeva che borzacchelli l’avesse potuto dire ad altri (dice aiello).
Senta, e riolo questa notizia a borzaccheli l’aveva passata, diciamo, quando ancora l’aveva data,
l’aveva comunicata quando ancora quelle intercettazioni erano segrete? Per questo temeva di avere
problemi?
Aiello: sì.
Perché lei sta facendo in questo momento un collegamento con la vicenda del prestito che
borzacchelli aveva chiesto a cuffaro per conto di riolo?
Non è un collegamento, in quanto il prestito lo faccio in ordine temporale. Lui in quell’istante era
letteralemente infollito, riolo, inferocito oserei dire nei confronti di borzacchelli, soprattutto quando
lui, con molt sfacciataggine, ci va e gli va a dire: senti, vedi, tu hai bisogno di soldi. E quello gli
dice no. Dice: ma non ti preoccupare, tanto te li… i soldi te li gestisco io. Vediamo s mi posso far
fare un prestito a nome tuo perché ho bisgno di soldi. Per cui era letteralmente imbestialito riolo nei
confronti di borzacchelli. Già precedentemente aveva parlato che non era tanto contento di
borzacchelli e del comportamento suo che aveva tenuto in epoche precedenti.
Quindi gli riferisce delle informazioni a borzacchelli negli stessi giorni in cui le riferisce del
prestito?
Sì.
Che aveva confidato a borzacchelli l’esistenza di intercettazioni a casadi guttadauro?
E ancora aiello michele: sì. Ha avuto un discorso precedentemente, sul fatto che borzaccheli era
andato a trovare riolo in caserma nel periodo precedente al periodo elettorale, ma questo era
qualcosa di cui avevamo parlato prima, nel maggio 2003. Ma il fatto della microspia in casa
guttadauro, quindi della presenza della microspia, delle microspie in casa guttadauro riolo me lo
riferì nell’ottobre del 2003. Quindi abbiamo maggio, mi riferisce discorsi relativi ai problemi che
aveva avuto con borzacchelli durante la campagna elettorale del 2001 perché praticamente dice che
ra stato richiamato da un suo comandante che aveva notato la presenza di borzacchelli all’interno
della caserma e che non gli era piaciuto che andasse a fare campagna elettorale all’interno, che se
voleva la poteva fare fuori di lì e successivamente c’è stato il discorso della microspia.

Allora, all’epoca di tali confidenze a michele aiello, non è stata quindi confermata dal soggetto
chiamato in causa, il quale ha escluso di aver ricevuto notizie delle intercettazioni nell’estate del

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2001. Riolo ha dunque confermato che rinvenimento e disattivazione della microspia erano stati
provocat dalle informaioni trapelate all’esterno e giunte fino a casa di guttadauro, e ha indicato
nelle sue confidenze fatte a borzacchelli l’origine della fuga di notizie riservate escludendo più o
meno esplicitamente ogni altra ipotesi. Ha poi individuato nel rapporto fra borzacchelli e cuffaro il
canale di ulteriore diffusione della notizia anche se poi non ha saputo spiegare in che modo erano
poi pervenute a costoro ulteriori notizie interne collegata alla diffusione delle prime rivelazioni.
Certamente riolo non aveva alcun movente plausibile per ciamare in causa borzacchelli e cuffaro e
l’unico motivo di possibile rancore nei loro confronti si lega a una circostanza esposta peraltro dallo
stesso riolo, che è la promessa di denaro con la quale i due avrebbero tentato di blandirlo poco
prima del suo arresto, questo prestito di cui si parla nelle intercettazioni del 1 novembre 2003.
Il suo buon rapporto di confidenza con borzacchelli è comprovato dalla circostnza inerente al lavoro
procurato alla moglie, confermata in dibattimento dallo stesso aiello oltre che dai testi di polizia
giudiziaria. Il fatto che nel periodo in questione riolo abbia intrattenuto rapporti con borzacchelli e
con cuffaro è stato poi confermato non solo dalle affermazioni del teste damiano sulla propaganda
svolta da riolo in favore dell’ex collega borzacchelli poi eletto parlamentare, ma anche dai dati sui
tabulati descritti dal consulente tecnico del pubblico ministero genchi, in particolare i dati
menzionati nel corso dell’udienza del 22 novembre del 2005.
Genchi ha riferito di contatti fra le utenze telefoniche dei diretti interessati e in particolare, come
abbiamo detto, nei giorni fra il 4 e il 6 giugno segnalando le seguenti telefonate:
4 giugno: riolo/cuffaro
6 giugno: riolo/borzacchelli e cuffaro/borzacchelli.
Deve poi ulteriormente osservarsi che per meglio inquadrare la condotta di rivelazioni di segreto
d’ufficio contestata a riolo in relaziona all’attività di intercettazione ambientale di cui sitratta, non si
può non tenere conto del più ampio contesto di relazioni che il sottoufficile del ros intratteneva con
un uomo politico dell’importanza di cuffaro.
Ci si rifersice a quanto è stato dichiarato dallo stesso riolo in merito alle diverse occasioni nelle
quali su imput di borzacchelli, riolo operò vere e proprie bonifiche nei pressi di cuffaro, nella prima
occasione nel 1999 come si è già detto, presso gli ufficio dell’assessorato regionale dell’agricoltura
e foreste, successivamente presso l’abitazione privata di cuffaro e presso gli uffici di presidenza
della regione siciliana. Sul tema delle bonifiche si devono citare i riscontri intanto provenienti dal
…. Ganzer, comandante del riolo, a proposito della natura certamente privatistica di tali prestazioni
certamente da lui non autorizzate (deposizione all’udienza del 7 giugno del 2005), nonché del teste
Sammartino (udiemza 17 maggio del 2005) a proposito delle modalità di realizzazione delle stesse.
Ancora più evidente appare la situazione se si pensa che riolo, al quale cuffaro continuava a
rivolgersi per avere notizie sulle inchieste e sulla sua posizione a tale proposito, in una delle
occasioni di incontro presso gli uffici della presidenza della regione ebbe ad assicurare
sostanzialmente cuffaro sulle indagini che lo riguardavano direttamente proprio aproposito del
rapporto cuffaro/riolo. È qui oppportuno infatti ricordare quanto riolo ha riferito degli auguri di
natale del 2001.
Natale 2001 – chiede il pibblico ministero – lei va alla presidenza della regione. Ha occasione di
parlare direttamente con il presidente cuffaro?
Ci siamo scambiati pochissime parole, perché c’era confusione, una marea di gente, quindi mi prese
sottobraccio e mi chiese solamente se c’erano problemi per lui. Non ho capito subito di cosa si
trattava, perché la mia presenza o dovevano notificargli qualche cosa oppure… di fatto chiedeva se
nel corso dell’indagini, cioè c’erano indagini nei suoi confronti.
A natale 2001?
Sì.
E lei come rispose, marescialo?
Che non lo sapevo. Non sapevo dirgli niente perché non ero io che mi interessavo delle indagini.

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Dunque ancora una volta altro che “un certo marescialo riolo”, come ci ha detto nel suo
interrogatorio cuffaro, “un certo marescialo riolo” quando la persona con cui è in contatto continuo
e costante telefonico, che è in contatto immediato attraverso borzacchelli, che gli svolge un lavoro
sistematico di bonifica ad uso privatistico dei suoi siti, sia istituzionali, ma naturalmente anche qui
che hano veste privatistica, che l’abitazione, al quale chiede in ogni momento se è indagato o non è
indagato, questi sarebbe per cuffaro “un certo marescialo riolo”.
Certo non vi è prova di pagamenti del riolo da parte di cuffaro per queste prestazioni, è persino
presto che non vi sia prova di pagamenti da parte di cuffaro per le prestazioni di bonifica operate da
riolo e certamente operate da riolo, ma non vi è dubbio che di tutte queste circostanze riolo
approfittava per raccomandare all’uomo politico situazioni che gli stavano a cuore e tra esse emerge
appunto quella relativa al finanziamento del’agriturismo di piana degli albanesi di pertinenza
dell’omonimo giorgio riolo, in vero la pretesa della concreta erogazione delle somme già deliberate
veniva avanzata di riolo in ottica della gratitudine che avrebbe dovuto ispirare cuffaro in virtù dei
servizi ottenuti dal carabiniere, ma di fatto una srie di servizi anche diversi dalla rivelazione del
segreto riolo a cuffaro li ha resi.
In un quadro così articolato e costante di rapporti anche di natura strettamente fiduciaria, allora, tra
riolo e cuffaro, risulta assolutamente non credibile la versione resa da cuffaro nel suo interrogatorio,
tesa a dimostrare una conoscenza del tutto superficiale e strettamente connessa a ragioni di
propaganda elettorale.
E ancora più significativamente, l’intera vicenda trova un momento importante, con riferimento
all’articolato rapporto riolo/borzacchelli/cuffaro, proprio nel contenuto di quella conversazione del
1 novembre 2003 ore 16:59 registrata sulla cosiddetta rete riservata. La conversazione intercorre tra
michele aiello e giorgio riolo e deve necessariamente essere messa in relazione con il ato
dell’incontro riservato tra aiello e cuffaro, verificatosi il giorno prima della conversazione in
oggetto e di cui naturalemente si dirà diffusamente a proposito delle ulteriori contestazioni a
cuffaro, nonché da quanto riferito dagli stessi riolo e aiello nel corso dei loro interrogatori. Emerge
da questi atti, in sostanza, un quadro in cui anche a fronte della crescente preoccupazione di riolo
sull’evolversi a partire dall’estate del 2003 delle indagini in corso sulla fuga di notizia guttadauro,
borzaccheli aveva prospettato la possibilità di un regalo che egli stesso a cuffaro avrebbero dovuto
consegnare a riolo e rappresentato da una somma di denaro talmente cospicua da consentire a
quest’ultimo di tranquillizzarsi e di sistemare definitivamente la propria precaria posizione
economica. Il regalo avrebbe comunque costituito una ricompensa per ciò che riolo aveva fatto e
soprattutto per le preoccupazioni che stava vivendo specia dopo che il suo comandante gli aveva
cheisto come sappiamo qualche tempo prima se era possibile che la notizia dell’intercettazione a
guttadauro potesse essere venuta, mgari anche per incolpevole coincidemnza, in possesso di
borzacchelli. Cuffaro ha negato di aver ricevuto richieste di denaro da riolo o da borzacchelli per
conto di riolo. Anche questa negazione è contraddetta da una serie di risultanze di portanza ben più
significativa, in particolare l’intercettazione telefonica della conversazione tra aiello e riolo del 1
novembre 2003, le dichiarazioni di aiello che ha espressamente confermato di aver parlato con il
presidente della regione anche delle proposte di borzacchelli relative al regalo a riolo. Risulta quindi
palese che tutto il compendio delle dichiarazioni resa da cuffaro in merito ai suoi contatti con riolo
denota l’evidente imbarazzo a gistificare un rapporto che aveva assunto chiari connotati di illeceità.
Merita di essere esaminata a proposito proprio la conversazione del 1 novembre, sotto questo
profilo.
Aiello: ieri sera l’ho visto, vedi
E riolo: eh.
Aiello: e il discorso è andato al contrario, lui ci è andato
Eh
Per dire che tu avevi necessità, ultra bisogno urgente

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E poi ancora nel corso della conversazione, sempre aiello: dico, nella vita può avere uno bisogno
chessò l’università, una visita medica, una cosa, giusto? U piglia e corre intanto vabbè. Comunque
questo ci dimostra quanto pezzo di merda è… (ma il riferimento è a borzacchelli).
E riolo: ho paura della seconda ipotesi, che magari poi una volta che è in possesso di questo (cioè
del denaro del prestito di cui si trattava) quancuno mi fermava e mi trovava queste cose.
In sostanza temeva riolo un trabocchetto da parte di borzacchelli, il fargli dare il denaro e poi
evidentemente farlo trovare dalla polizia giudiziaria col denaro equindi bruciare lui come unica
fonte evidentemente delle rivelazioni che fino a quel momento c’erano state.
Su questa vicenda il 15 marzo del 2006 nel suo interrogatorio riolo ci ha detto:
pubblico ministero: dopo che lei comunque, temporalmente sto dicendo, dopo che lei gli dice della
preoccupazione dovuta anche al cambio di atteggiamento di damiano e le domande che le aveva
fatto damiano, borzacchelli che cosa le dice su questi soldi?
Dice: ma se è per questi problemi perché non ne parli? Perché non mi hai parlato prima in modo che
ti posso venire incontro. andiamo dal presdente che ti posso… che ti faccio un bel regalo. Prima il
prestito, che regalo. Insomma era il regalo che voleva, che voleva. Alchè io mi misi s ridere.
Pubblico ministero: aspetti, prima della sua reazione vediamo bene, questa proposta i borzacchelli,
dice: se hai questi problemi perché non me ne parli prima, andiamo dal presidente che ti faccio fare
un bel regalo. Lei di che cosa gli aveva parlato prima, cioè in quale contesto, di cosa parlavate?
E riolo: di tutto quello che abbiamo fino ad adesso detto
quindi i problemi erano anche quello dei sospetti, dell’atteggiamento del maggiore damiano nei suoi
confronti?
Certo, ma solo con borzacchelli, io con…
Pm: solo con borzacchelli, va bene, cosa le dice? Lei dalle parole del borzacchelli si riferisce a un
quantitativo predeterminato di denaro? O comunque le dice qualche cosa per capire se si trattava di
un regalo che corrispondeva a un quantitativo significativo di denaro o pochi spiccioli?
Riolo: non abbiamo mai quantificato, poi se a un certo momento è dichiarata una somma di 50mila
euro che potevano essere simbolici, 50mila, perché sì… (e continuando dice) io ho problemi a darti
questi soldi per paura di come… come li potresti gestire. Gli dico: guarda che se io quindi che i
soldi…
E il pm: chi è che le parlò della paura di come poteva gestire lei questi soldi, borzacchelli?
Borzacchelli, sì.
Quindi da questo lei arguì che non era una somma di pochi spiccioli.
Una mia sensazione, sono sensazioni
E di matteo… il pm: ma questi soldi secondo la proposta, secondo quello che le dice borzacchelli
praticamente chi li doveva uscire di tasca?
Risposta: penso il presidente. Appunto, non c’era motivo…

Sappiamo che dalla conversazione intercettata il 1 novembre 2003, anche aiello era al corrente della
questione del prestito, e infatti aiello il 7 febbraio 2006 ha dichiarato: sì, abbiamo parlato di un
prestito, di un finto prestito che borzacchelli aveva eventualmente chiesto al presidente a nome e
per conto di riolo. Riolo mi aveva pregato nell’eventualità che incontrassi il presidente cuffaro di
chiedergli se rispondeva al vero il fatto che borzacchelli avesse chiesto del denaro a lui… se
borzacchelli avesse chiesto al presidente a nome del riolo.
Pm: lei lo ha detto a cuffaro? Cuffaro gliele confermò questa ircostanza?
E aiello: cuffaro mi confermò che borzacchelli gli aveva chiesto, gli aveva parlato di disagi
economici, di difficioltà economiche del riolo e in buona sostanza mi confermò la circostanza, ma
non si scese poi in particolari in ordine alla quantità di denaro.

Si arriva anche alla quantificazione o comunque nell’esame di aiello si cerca di sondare sotto questo
profilo.

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Per chiudere sulla vicenda del prestito – chiede il pm – lei ha già detto che non fu fatta una
quantificazione precisa del prestito chiesto da borzacchelli a cuffaro. Quando cuffaro disse: vabbè,
poi vediamo, diede una risposta. Ma io voglio capire una cosa: riolo le dice se si trattava di una cifra
significativa o irrisoria?
E aiello: guardi, non ne abbiamo parlato parecchio, lei me l’ha chiesto più volete, io non riesco
materialmente. Cioè lui mi ha precisato: mi deve prestare 100mila, 1 milione, 100 milioni… ho
chiesto per me questo prestito e mi ha detto che sì, si è rivolto borzacchelli al presidente per un
eventuale prestito nei miei confronti, un certo prestito nei miei confronti, ma non ha precisato
l’entità, né me l’ha mai detto questo il riolo perché mi poteva anche aggingere: senti, si è rivolto al
presidente per chiedere un prestito di 50 milioni di vecchie lire, ma questo non è avvenuto, per cui è
rimasto sempre imprecisato il prestito, la quantità del prestito.
Allora si possono riassumere significatamente le conclusioni fin qui raggiunte.
Il racconto di riolo spiega come cuffaro tramite borzacchelli sia venuto a conoscenza della
intercettazione ambientale a casa guttadauro e abbia potuto quindi informare proprio miceli della
esistenza di indagini basate su intercettazioni telefoniche e ambientali.
Da miceli poi, anche con imprecisioni che non ne hanno peròpregiudicato l’efficacia, la notizia è
transitata ad aragona e a guttadauro, tanto che quest’ultimo si è attivata fino al ritrovamento della
microspia.
Proprio a questo episodio bisogna tornare e in particolare alla frase pronunciata subito dopo il
ritrovamento dell’apparato: “veru, avia ragioni totò cuffaro”.
Certamente non è facile decodificare le frasi pronunciate in questo tratto diconversazione. Sono
state acquisite al fascicolo del dibattimento le perizie e le deposizioni alle perizie svolte dai periti
nei processi contro miceli domenico nei quali pure si è discusso di questa condotta. La lettura di
quegli atti consente di osservare che l’intera conversazione in questione, compreso il tratto
contestato, è stato più volte sottoposta all’esame del perito Genovese sino all’eleborazione della
versione definitiva della trascrizione. È stato affidato un nuovo incarico ad altro perito fonico,
Gianpaolo zambonini dirigente tecnico della polizia scientifica di roma, sono state pure acquisite le
risultanze dei consulenti tecnici del pm, baldassare Locicero e della difesa, il prof. Andrea paoloni.
Il prof. Paoloni, trascrizione dell’udienza del ? giugno del 2006, procedimento contro miceli
acquisita agli atti, ha espresso sintetico parere contrario sulla intelleggibilità della frase evidenziata
sotto il profilo fonico, soffermandosi soprattutto su cosideraizoni tecniche di carattere generale,
sulle difficoltà di traduzione dal dialetto, su quelle legate alla soggettività dell’ascolto del cosiddetto
effetto priming, sull’incidenza di fattori esterni ambientali di disturbo ampiamente illustrate nella
sua relazione che è appunto acquisita agli atti per il fascicolo del dibattimento.
Il perito zambonini, che indubbiamente risulta avere svolto un esame approfondito della frase,
coaudiuvato nella sua attività da un gruppo di ascolto, ha concluso che l’inciso descritto come
“veru, avia ragioni totò cuffaro” risulta incomprensibile e che la frequenza della voce, attribuita dal
perito Genovese a gisella greco fa ritenere invece che questa appartenga ad un uomo e non ad una
donna. Secondo il suo parere conclusivo, per il quale anche si può fare riferimento al documento
depositato, dalle misurazioni effettuate il rapporto segnale/rumore risulta variabile e inferiore ai 10
db, valore ritenuto insufficiente per un’analisi tecnica ottimale. […].
Noi riteniamo invece, proprio per le ragioni cha abbiamo esposto e da cui risulta l’attendibilità della
versione offerta dal perito Genovese, oltre che dal consulente del pm, dicevo noi riteniamo invece
debba ritenersi che gisella greco abbia detto le parole “veru, ragione avia totò cuffaro”. In questo
senso è anche il nostro convincimento basato sull’ascolto diretto, ascolto diretto al quale certamente
procederà anche il tribunale. Per altro a proposito della frase detta da gisella greco vanno fatte due
ulteriori considerazioni. Intanto la prima è che la circostnza che si ritenga o meno pronunciato il
nome dell’imputato cuffaro di per sé non è decisiva dato che in ogni caso la moglie di guttadauro
non farebbe che confermare quanto appreso da aragona e già registrato in altri tratti della
conversazione intercettata, e cioè che la fonte di miceli era proprio cuffaro. Per altro verso invece,
non deve dimenticarsi che all’ascolto e alla trascrizione di uesto tratto di conversazioni si è giunti

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perché riolo per la prima volta nel corso proprio di questo dibattimento ha riferito della frase in
questione ascoltata dai militari del ros nei giorni successivi al rinvenimento della microspia, in
occasione del ripetuto acsolto delle conversazioni intercettate mediante i quali i carabinieri
cercavano di capire che cosa era successo dato che la microspia non era stata rimossa e ocntinuava a
funzionare ma non registrava più alcuna conversazione.
In ogni caso la circostanza che il perito genovese e il consulente del pm abbiano scritto proprio la
frase indicata da riolo, “avia ragione totò cuffaro”, conferma con tutta evidenza l’attendibilità di
riolo in generale e con riferimento specifico all’episodio alla fuga di notizie sull’indagine
guttadauro. Dall’altro conferma in qualche modo il convincimento prima espresso sull’esattezza di
questa ricostruzione.
E quindi questo è un altro dato che ci porta aritenere la responsabilità di salvatore cuffaro in questo
gravissimo fatto di rivelazione che stiamo ricostruendo.
Ce n’è però ancora uno di dato che non può essere tralasciato nella ricostruzione di questa vicenda,
ed è lo sforzo volto a depistare le indagini del quale si è reso protagonista cuffaro per il tramite di
salvino caputo. Il tema ha originato un altro processo, tutt’ora in corso, per il delitto di falsa
testimonianza (art.372 del c.p.) nei confronti proprio di salvino caputo, avvocato ed sponente
politico, e in proposito abbiamo depositato il decreto che dispone il giudizio nel procedimento
12145/2005 proprio contro il caputo.
All’udienza del 28 giugno 2005 salvatore aragona ha riferito un ulteriore episodio che deve essere
opportunamente valutatao a proposito delle responsabilità di cuffaro per il reato in argomento. Il pm
nel corso di quell’esame chiede conto ad aragona della conversazione con la moglie intercettata il 4
settembre 2003 mentre aragona è detenuto. È uno dei colloqui in carcere, intercettati appunto.
Il pm parla, dice, leggendo la trascrizione, dice: tutto sto discorso della motivazione … questo,
quello
Parla aragona: ma sì, io, se le cose le ha fatte un altro perché devo pagare io?
E questa è la parte che poi interessa perché poi dice aragona nel corso della conersazione
intercettata: tu avvocato, se uno ca fa il sindaco ti viene a fare ogni giorno in televisione contro la
mafia, contro la mafia, poi viene da te e ti viene a dire.. di dire a me di non parlare, in che mondo si
vive?
Devo dire questa è una consttazione che, come diceva anche qualcuno, ci azzecca anche in questo
processo perché di grida contro la mafia le hanno fatte in tanti, anche imputati di questo processo,
l’osservazione rivolta a caputo che in televisione da sindaco tutti i giorni grida contro la mafia e poi
dice all’avvocato di aragona che è meglio che lui non parli, sostanzialmente. In che mondo si vive..
davvero, in che mondo si vive… detto da aragona, appunto.
Cioè, “ogni giorno in televisione contro la mafia, contro la mafia, contro la mafia, poi che fa? viene
e ci dice […] che si avvalga della facoltà di non rispondere.
Poi lei con il labiale dice: caputo, cosa? di monreale?
E Sua moglie gli dice: picchì, no?
E le risponde: per cuffaro, non lo sapevi questo?
E la moglie, cimino ornella, dice:non lo sapevo.
Lui: E la sera prima, iurno 29 sera, ci iu a casa, mandato da quello.

Allora questo è il brano di intercettazione in cui sostanzialmente aragona, quindi non nel suo
interrogatorio ma in una inetrcettazione parlando con la moglie spiega qual era stato l’input,
“mandato da quello” , madato da salvatore cuffaro, per il quale il sindaco di monreale, già socio
dell’avvocato difensore di aragona aveva contattato lo stesso difensore di aragona per, come dire,
suggerire al suo assistito di avvalersi della facoltà di non rispondere. In ordine a questa
conversazione aragona ha riferito che il suo avvocato antonino zanghì gli aveva riferito l’episodio,
che il 29 sera salvino caputo appunto, sindaco di monreale e collega, “collega del mio avvocato”,
quindi avvocato anch’esso, era andato a chiamarlo sotto casa dicendo di dire al suo assistito di
avvalersi della facoltà di non rispondere su indicazione di cuffaro.

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Su questa dichiarazione di aragona si è innestata un’attività istruttoria dibattimentale,
esclusivamente dibattimentale, quindi più genuina non si può stando al nostro codice di rito, che nel
corso delle successive udienze del 12 e del 19 luglio del 2005 ha portato dapprima all’esame
dell’avvocato zanghì e poi al confronto tra zanghì e caputo.
Ebbene, l’avvocato zanghì, io devo dire anche con coraggio, ha confermato quanto aveva dichiarato
aragona: “mi fissarono l’interrogatorio del dottor aragona per il 30, quindi il lunedì successivo.
Della vicenda non conoscevo nulla se non quello che era venuto fuori sui giornali e basta, per cui la
domanica, il giorno di domenica 29 io come ero solito fare andavo allo studio per preprarmi il
lavoro per l’indomani mattina, quel giorno lo feci di pomeriggio. Rientrai a casa intorno alle sei e
mezza perché avevo promesso ai bambini che li avrei portati fuori e salgo sopra. Mia moglie mi
dice: guarda che ha chiamato salvino, intendendo per salvino l’avvocato caputo, ha necessità di
parlarti. Lì per lì immaginai che avesse avuto qualche incarico nell’ambito dello stesso
procedimento, che ci era fissato l’interrogatorio di qualche suo assistito per l’indomani e che
sapendo che io assistevo aragona mi voleve chiedere la cortesia di assistere in sua sostituzione
qualche suo assistito. Dico: guarda, io non intendo aspettare nessuno. Ha urgenza di vederti. Dico:
guarda, scendiamo altrimenti con i bambini non riusciamo ascendere. Nel fratempo arriva l’altra
telefonata. Nino dove sei? Dico: a casa. Sto salendo. No, dico, salvino aspetta un attimo scendo io
con il cane. Quindi metto il guinzaglio al cane e scendo, esco dal portone e mi trovo l’avvocato
caputo, unitamente che si accompagnava ad un’altra persona. Poco distante, proprio a pochi metri
veod una macchina blindata. So che in quel momento lui era scortato, mi presenta un carabiniere se
non ricordo male che si pone a due tre metri di distanza da noi. Dico salvino che problemi hai?
Sempre io avendo come dire come previsione quello di doverlo sostituire l’indomani in qualche
interrogatorio qualche suo assistito. E salvino mi dice: senti nino, testuali parole (Testuali parole
non lo dico io, lo zanghì che dice quello che gli ha detto salvino). Senti nino, tu assisti aragona
sempre? Dico sì. Il presidente gradirebbe che si avvalesse della facoltà di non rispondere. Io lì per lì
rimango molto stupito e frastornato, se potessi uitlizzare un termine più pesante lo utilizzerei ma
non penso che sia questo nè la sede né il caso. Salvino dico, tanti anni assieme non ti hanno
insegnato niente? Tu mi viene a chiedere una cosa impossibile e me la vieni a chiedere con la scorta
dei carabinieri? (poi dice che aragona dice “in che mondo si vive…”) dico: ma che cosa stai
facendo e testualmente credo di avergli detto: ma ti sei bevuto il cervello? Quindi proseguo, faccio
il giro del palazzo sempre molto nervoso fino a che lui dice: no, ma senti ti dovevo chiedere pure
un’altra cosa. Siccome mi sono arrivate voci di due soggetti che mi avrebbero minacciato in
carcere… Etc etc e mi disse due nomi ma credetemi, in quel preciso momento – dice znghì – tutto
avevo per la testa ma non che potevo conoscere due detenuti o du malavitosi che non potevano
avere proferito delle domande nei suoi confronti. Basta, io il discorso lo chiudo e dico: va bene,
salvino, per favore andiamocene, ho da fare con i bambini, andiamocene. E il discorso si chiude là.

E poi, nel corso dell’esame il pm: le volevo chiedere appunto se ci fossero state dele ulteriori,
sempre nell’interrogatorio di aragone, degli ulteriori interlocuzioni con caputo
E zanghì: e allora, l’indomani io feci l’interrogatorio che durò parecchie ore, credo che sia stato
interrogato per prima aragona, se non ricordo male, io non gli parlai prima, ma così tanto per
salutarlo perché non lo vedevo dal luglio dell’anno precedente perché si era preso, anzi giugno etc
etc. si fa l’interrogatorio, lo racconta, la sera entro a casa sul tardi, volutamente, per evitare, perché
capivo che era una situazione che già era grossa ma si sarebbe ingigantita, posteggio la macchina,
non ricordo se dietro la macchina, me lo trovai davanti sempre con la macchina della scorta
posteggiata e mi telefonò dalla macchina dicendo: nino, ti sto vedendo, fermati. cioè era sempre a
vista, mi vedeva quando io sono arrivato sotto casa. Scendo dalla macchina, dico: salvino, che cosa
vuoi? Com’è andata? Dico: guarda, ha fatto quello che doveva fare e non mi chiedere altro
perché… e chiudo il discorso. Gli dissi nuovamente che era stato molto stupido a venire
nuovamente che era stato molto stupido a venire con la scorta e mi auguravo che non sarebbe stato
molto più stupido a ricordare queste conversazioni al presidente.

169
Dunque abbiamo un avvocato del libero foro di palermo, certamente un teste non ostile a cuffaro
che ci racconta questa vicenda che è sollecitata per altro da un altro atto assolutamente neutro quale
l’intercettazione ambientale fra aragona e sua moglie, in un quadro in cui il mandante di questo
tentativo chiarissimo di depistaggio ha un nome e un cognome che è fatto sostanzialmente da
aragona ma che è ribadito proprio da questo avvocato. Il mandante di questo depistaggio si chiama
salvatore cuffaro, e si deve inserire questo depistaggio in tutti gli ulteriori elementi relativi alla
gravissima fuga di notizie in danno, in danno della repubblica, in danno dello stato, che ha favorito
cosa nostra e guttadauro per un lungo periodo impedendo ulteriori sviluppi di indagine che abbiao
visto di quale qualitò erano.
Non basta, perché a eguire il tribunale ha disposto il confronto fra zanghì e caputo, atteso che
sentito caputo naturalmente questi ha negato ogni circostanza, l’esito del confronto ha laciato le
parti sulle proprie posizioni, ma su chi abbia detto la verità e su chi abbia mentito non possono
esserci dubbi ove si consideri appunto che la dichiarazione iniziale di aragona trova un elemento di
significativo riscontro proprio nella conversazione intercettata in carcere tra lo stesso e la moglie,
che zanghì come ho detto è un teste neutro e privo di interessi nel procedimento, per il quale non
esiste alcuna ragione di astio né nei confronti di caputo né nei confrronti di cuffaro, tant’è che lo
stesso cuffaro, ad espressa domanda del pm nel corso del suo interrogatorio lo ha escluso. Ha detto:
zanghì? Con me? E perché?
Se questo allora è l’episodio appare evidente la volontà di cuffaro di far tacere aragona ed è
altrettanto evidente che vi è un interesse personale di cuffaroa che ciò avvenga, rappresentato dal
ruolo che ha avuto nel fare transitare la notizia segreta dai carabinieri alla mafia.
Sulla base degli accertamenti esposti, deve allora trovare piena conferma quella parte dell’assunto
accusatorio relativa al … delle nozioni trapelate il 12 giugno del 2001 attraverso miceli da cuffaro.
Dalla valutazione congiunta delle dichiarazioni di aragona e riolo, di vari passaggi delle
intercettazioni del 12 e del 15 giugno, dagli apppostamenti effettuati dalla polizia giudiziaria e
riferiti in dibattimanto è emerso che l’imputato ha in effetti rivelato le notizie riservate ricevute da
borzacchelli a miceli e da questi ad aragona e poi a guttadauro, pur essendo ben consapevole
dell’appartenenza di costui cosa nostra, del fatto che il loro contenuto era inerente a indagini ancora
in corso, della potenzialità agevolatrice che la loro diffusione all’esterno avrebbe comportato per il
sodalizio criminale e per guttadauro. E soprattutto essendo consapevole delle frequentazioni di
miceli con guttadauro e dei precedenti di aragona e di guttadauro così come ci ha confermato egli
stesso nel corso del suo interrogatorio.
Il contenuto di queste notizie era potenzialmente in grado di agevolare tutti coloro che erano stati
intercettati nel prolungato periodo delle indagini e del servizio di ascolto incasa del rappresentante
mafioso, e soprattutto di metterli sull’avviso in ordine al fatto che erano stati scoperti.
Fuga e informatori che avevano fatto da tramite per gli stessi imputati.

C’è un terzo episodio che all’inizio di qusta parte della discussione abbiamo citato. In ordine a
questo terzo episodio, che possiamo indicare in ordine a quello del Riccardo III, riteniamo invece
che non siano emersi elementi in ordine al coinvolgimento di salvatore cuffaro, questo perché.
Perché la narrazione che fa aragona di quanto avvenne la sera del 24 giugno del 2001 in occasione
della festa elettorale a casa di… presso il Riccardo III dove si celebrava sostanzialmente la festa per
la vittoria di salvatore cuffaro per le elezioni regionali appunto… dicevo, questo episodio non trova
un riscontro individualizzante alla narrazione di aragona, non trova un riscontro individualizzante
alla narrazione di aragona che ci riferisce sostanzialmente di avere visto cambaire l’umore di miceli
dopo che questi aveva contattato borzacchelli e cuffaro. Che borzacchelli e cuffaro gli avrebbero
detto dell’esistenza delle ulteriori microspie presso l’abitazione di guttadauro che avevano
continuato a funzionare anche dopo il rinvenimento di quella del 15 di giungo del 2001, non è
sostanziata da alcun elemento di natura individualizzante, atteso che, anche il vassallo, persona alla
quale ci dice aragona, si era fatto accompagnare per portare rapidissimamente la notizia del

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ritrovamente… funzionamento di quste microspie a guttadauro mentre andavano a bagheria, non ci
conferma chi abbia fornito effettivamente questa informazione all’aragona medesimo.
per questo fatto quindi noi non riteniamo si debba perseguire il cuffaro, mentre invece il cuffaro va
perseguito per gli altri due… per il secondo degli episodi che ho indicato.

Non sono invece emersi elementi per il perseguimento di michele aiello nell’attività di diffusione
delle notizie riservate trapelato fino a mimmo miceli.
Lo dico perché nelle nostre contestazioni a michele aiello vi è anche questa contestazione, ma qui
gli unici elementi emersi dei rapporti fra aiello e miceli riguardano l’acquisto del laboratorio Ria,
diagnostico ormonale […]

Questa mattina noi abbiamo illustrato la prima delle condotte di cui si è reso responsabile secondo
la nostra impostazione l’imputato cuffaro. Dico, abbiamo illustrato la prima delle condotte perché
una è al condotta per la quale l’imputato cuffaro è chiamato a rispondere in questo processo è quella
di aver aiutato giuseppe guttadauro da un lato, l’organizzazione mafiosa cosa nostra dall’altro lato e
di averlo fatto rivelando che esistevano delle attività investigative e delle intercettazioni
nell’abitazione di guttadauro con quella catena che abbiamo ricostruito questa mattina e che tutto
questo ha portato a un evento, la scoperta di quella microspia, l’evento che ha causato il danno che
sappiamo alle inchieste che erano in corso.

Se questa era la prima delle condotte che è stata contestata a salvatore cuffaro, noi sappiamo sub
specie di due distinti reati, parimenti sub specie di due distinti reati è contestata a salvatore cuffaro
una seconda condotta, anche questa vedremo che si caratterizza per due distinti momenti, due date
del mese di ottobre del 2003, si tratta quindi del capo O del decreto che dispone il giudizio ed è in
buona sostanza la rivelazione agli imputati di questo processo ciuro, riolo e aiello delle indagini in
corso a loro carico in quel tempo a cura del nostro ufficio.
Nel contesto che è stato fino a questo momento descritto, in particolare nella parte della discussione
in cui si è affrontato il tema della cosiddetta rete riservata che vede aiello e i suoi complici informati
in maniera dettagliata di volta in volta da borzacchelli, da ciuro, da riolo, dall’ineffabile dottor ianì
dell’inizio dell’indagine a suo carico dei temi oggetto di accertamento e delle intercettazioni delle
utenze a lui ufficialmente riconducibili, si inseriscono nel mese di ottobre del 2003 ulteriori
rivelazioni sulle indagini in corso poste in essere dal presidente della regione in carica salvatore
cuffaro, all’epoca, come sappiamo, già da tempo più volte indagato per i reati di cui agli art. 110 e
416 bis del c.p. nell’ambito di un procedimento, il n. 9358/99 ampiamente pubblicizzato dopo il suo
interrogatorio che avvenne il 1 luglio del 2003.
È accertato che cuffaro conosceva aiello da molti anni e che tra loro intercorrevano rapporti sia
personali sia politici in relazione all’attività imprenditoriale di aiello di indubbio rilievo nella realtà
siciliana. Aiello a sua volta sosteneva il movimento politico di cui cuffaro in sicilia è il leader o
quanto meno è uno dei leaders, l’Udc.
Questi rapporti erano particolarmente intensi nell’estate del 2003 perché la regione stava da tempo
predisponendo il tariffario, o meglio il nomenclatore, che avrebbe dovuto fissare il compenso delle
prestazioni di radioterapia non tradizionale ad alta specializzazione erogate da aiello, tema questo
sul quale torneremo.
La questione, la questione del nomenclatore era stata seguita personalmente da aiello e da carcione,
ma anche per tutti gli aspetti operativi dal geometra roberto rotondo, altro imputatao a questo
processo, collaboratore di fiducia di aiello, amministratore di una delle sue società e anche,
all’epoca, consigliere comunale dell’Udc a bagheria. Ciò anche perché aiello evitava, a differenza
che in passato, di incontrare personalmente cuffaro per evitare, così ha detto, di creargli difficoltà
dato che entrambi erano sottoposti ad indagine.

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Il primo episodio che rileva ai fini della condotta di cuffaro è quello del 20 ottobre del 2003. Nel
suo nucleo essenziale si può sintetizzare in questo modo: il 20 ottobre del 2003 rotondo, le cui
dichiarazioni rese nel febbraio del 2004 al pm sono state acquisite al fascicolo per il dibattimento
con i consenso di tutte le parti e dunque hanno valore di prova anche nei confronti di cuffaro,
dicevo… rotondo, che aveva vanamente cercato da alcuni giorni di incontrare il presidente della
regione che si trovava però fuori sede, veniva convocato alla presidenza della regione e incontrava
cuffaro, che dopo avergli detto di tranquillizzare aiello relativamente al tema del tariffario, lo
incaricava altresì di riferire all’imprenditore, con cui doveva parlare ma che non era riuscito ancora
a contattare, altre circostanze, e cioè che aveva saputo che c’era stata una telefonata tra ciuro e
l’ingegnere in cui si raccomandava una persona: “è che questa cosa mi dà fastidio, non mi piace che
si facciano queste raccomandazioni sulla mia persona”. Dato che, per questa raccomandazione,
aiello e ciuro in sostanza facevano da tramite a favore di terzi … presidente della regione senza
neppure informarlo personalmente.
Ancora, sapeva che – è sempre riolo…. È sempre rotondo che parla – “tra l’altro per questa
telefonata ciuro ha problemi, è indagato”. E ancora, “che c’è anche un certo maresciallo dei
carabinieri, un certo riolo, che era anch’egli indagato”.
Rotondo aggiungeva che cuffaro non gli aveva dato alcuna indicazione sulla fonte delle sue
informazioni, che lui si era affrettato a riferire ad aiello. È però opportuno ripercorrere rapidamente
i passi essenziali delle dichiarazioni di rotondo, il quale era – giova ripeterlo – persona di assoluta
fiducia e prezioso collaboratore da molti anni di aiello ma anche persona vicina sul piano politico a
cuffaro, il quale quindi ben lo conosceva e aveva motivo di fidarsi.
Nell’interrogatorio acquisito agli atti, rotondo invitato a parlare di un suo incontro con il presidente
cuffaro avvenuto il 20 ottobre 2003, incontro che già risultava, vedremo, dalle intercettazioni sulla
rete riservata, ha detto: “in quell’occasione non mi ricordo se mi ha chiamato vito raso o giovanni
antinori, perché erano loro due che di solito chiamavo, dico, in questo momento onestamente non so
chi dei due mi ha chiamato. Uno dei due comunque mi ha chiamato e ha detto: che fa, si avvicina in
presidenza? Io giorni prima avevo cercato il presidente sempre per avere notizie perché l’ingegnere
mi pressava (sulla questione naturalmente del tariffario), mi avevano detto che il presidente era
fuori, era partito, e l’inizio della settimana dopo mi chiama giovanni antinori o vito raso, ripeto non
ricordo chi dei due, dicendo: che fa, avvicini in presidenza? sono andato in presidenza. Ho
incontrato il presidente, il presidente mi ha detto: tranquillizza l’ingegnere che a breve verrà fuori
questo tariffario, ormai la commissione sta finendo i lavori e verrà pubblicato. Vabbene, dice. Poi
un’altra cosa, visto che non riesco a rintracciarlo e gli dovrei parlare, io ho saputo che c’è stata una
telefonata tra ciuro e l’ingegnere dove si raccomandava una persona. Questa cosa, dice lui, mi dà
fastidio, non mi piace che si facciano queste raccomandazioni sulla mia persona”.
Perché praticamente l’ingegnere – spiega rotondo – doveva fare da tramite per ciuro per questa
raccomandazione. Dice: “e tra l’altro so che per questa telefonate ciuro ha dei problemi, è indagato.
Dillo all’ingegnere, anche perché ci devo parlare, vabbene”. Mentre mene stavo per andare – è
rotondo che parla – stavo per prendere l’ascensore e mi fa, dice: “ah, vedi che c’è anche un certo,
un maresciallo dei carabinieri, un certo riolo, vabbene”.
Gli viene naturalmente chiesto di spiegare che cosa significhi “ ah, vedi che c’è anche” e rotondo;
“sì, mi scusi: che anche è indagato. Mi scusi. Certo, sono tornato in ufficio e ho riferito
all’ingegnere quello che mi aveva detto il presidente di dirgli.
E l’ingegnere che ha detto?
Onestamente non ha detto niente, ha fatto un’espressione, un mezzo sorriso e basta.

È chiaro allora il valore che la rivelazione di cuffaro ha per aiello e soprattutto l’elemento di novità
che questa rivelazione contiene. Aiello, alla data del 20 ottobre, già sapeva da tempo di essere
indagato e sapeva dell’intercettazione della telefonata tra lui stesso e ciuro avente ad oggetto una
raccomandazione, che è poi la famosa raccomandazione a favore del marito della signora pellerano.
Non sapeva invece che fossero indagati lo stesso ciuro e riolo, e tra l’altro è ben strano, o meglio è

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significativo, che ciuro parli del sottoufficiale come di “un certo riolo” mentre invece ormai
sappiamo bene quali fossero ormai da anni i loro rapporti: incontri, bonifiche, rivelazioni e
sappiamo anche perché rotondo ce lo dice, che lo stesso rotondo ben conosceva riolo in forza delle
frequentazioni di riolo e aiello che avvenivano spesso in sua presenza spesso all’interno delle
cliniche di aiello.
Dunque aiello che cosa fa, una volta ricevuta questa informazione con questo carattere di novità che
porterà, vedremo, a un evento particolarmente delicato che poteva compromettere le indagini alora
in corso. Aiello si preoccupa di informare immediatamente i suoi collaboratori e complici, e
approfitta della circostanza di dover venire quella sera a palermo per incontrare i suoi avvocati,
quello amministrativista e quello penalista che hanno lo studio in due case vicine, via arzilli e via
caltanissetta, per organizzare con tutta urgenza un incontro sia con ciuro che con riolo. A questo
incontro è presente anche rotondo che ce ne ha riferito, sempre in quei verbali che sono acquisiti al
fascicolo per il dibattimento: “io ero presente, sì, ero presente. Mi ricordo che siamo andati
dall’avvocato monaco sempre per la problematica dei Nas. All’uscita c’era ciuro, là davanti, penso
che l’abbia chiamato l’ingegnere, non lo so, dico, che aspettava. Ci siamo avvicinati, hanno parlato
l’ingegnere e ciuro. Ho percepito un po’ di questa vicenda perché gli raccontava la
raccomandazione e ciuro si ricordava che gli aveva fatto sta raccomandazione.
Ha sentito la conversazione? – gli viene chiesto –
Sì. Ho capito la conversazione di cui si trattava.
Gli viene chiesto: parlava sia della telefonata, sia del fatto che era indagato, se lei lo ha sentito?
Sì, glielo ha riferito lui, io l’ho sentito, gliel’ha detto pure. E poi è spuntato riolo.
C’era già rolo o arriva dopo?
No, non c’era riolo – dice rotondo- è venuto in un secondo tempo.
Cioè che cosa è successo?
E rotondo: poi hanno parlato tutti e tre, ma erano ancora un po’ più lontani da me e l’ingegnere
d’amico (altro soggetto presente che però non ha ascoltato la conversazione).
E il pm chiede ancora: aiello dice a ciuro questa storia dell’indagine, delle intercettazioni. Lei si
ricorda se per caso… come reagisce ciuro, cosa disse?
E rotondo: sì, sì. Parlava della telefonata, hanno confrontato, mi ricordo che hanno confrontato, che
si trattava della segretaria del… perché a me l’on. Cuffaro non aveva detto di chi si trattava. Aveva
parlato genericamente di una raccomandazione, aveva parlato di una telefonata, di una
raccomandazione fatta per telefono da ciuro per un trasferimento, ma non mi aveva detto chi.
Invece ciuro ripeteva ad aiello che si trattava sicuramente di quella telefonata fatta, parlavano della
telefonata del marito di una segretaria, mi ricordo che parlavano di queste cosa di qua.
E il pm, a questo punto: della segretaria del dottore lo forte?
Sì, dico, però cioè. Questo so tutto perché poi ho letto, però in quel periodo…
Lei sentì “un marito della segretaria”?
Sì.
E ciuro ricollegava a che cosa?
Sì, ricordava di averla fatta. Diceva: sì, mi ricordo, si tratta sicuramente di quella telefonata. Ciuro,
che mi ricordo io, anche lui ha avuto una reazione spavalda, mi ricordo una battuta con precisione,
dice: sì, v a vediri scommissa che sono indagato io. cioè questa è stata la sua… scommissa che sono
indagato io. Proprio mi ricordo la battuta.
Gli viene anche chiesto se chiese ciuro all’ingegnere aiello come aveva fatto, la fonte: “glielo ha
detto, e mi ricordo che l’ingegnere, facendo segno a me, dice: glielo ha detto il presidente a roberto”
Senza che lei intervenisse nel dialogo?
No, ero là vicino. Acconsentivo, dico. Io non ne sapevo niente di tutta questa storia, a me è arrivata
disopra il giorno prima, io non sapevo di nessuno, dico.
Ma il presidente a lei non glielo aveva detto come l’aveva saputo?
No.

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Ma lei non si meravigliò che il presidente cuffaro le dà una notizia di queste da dire ad aiello, cioè,
e lei piglia e se ne va da aiello e porta sta notizia così?
No, per carità. no, io per carità mi ha detto “dì all’ingegnere questa cosa”. Dico, in tutta sincerità,
dico, non è che… cioè, io non sapevo della fonte, di cosa stessero parlando, di quali problemi
stavano parlando.
Praticamente l’on. Cuffaro le dà l’incarico di dire ad aiello…
Sì, mi ha detto: “siccome non riesco voglio parlare con l’ingegnere, però digli che ho saputo questa
cosa”
Cioè, lui aveva saputo dell’intercettazione e della telefonata?
Lui aveva saputo di una telefonata, non mi ha parlato di intercettazione. Lui mi ha detto: ho saputo
che c’è stata una raccomandazione fatta da ciuro all’ingegnere aiello per telefono per raccomandare
una persona e cose varie e per questa…
Per raccomandarla a lui, cuffaro?
A lui cuffaro.
E per questa cosa c’era ciuro che era indagato. Poi successivamente mi ha aggiunto a ciuro riolo,
dico io, poi non lo so se la raccomandazione riolo era interessato o non era interessato alla
raccomandazione. Io non ero a conoscenza di questa raccomandazione.
Ha detto testuale “un maresciallo dei carabinieri, riolo, non ha specificato.
Lei non ha chiesto niente, ha appreso la notizia e gliel’ha riportata ad aiello?
Questo mi ha chiesto e questo ho fatto.
E ancora: il presidente quando mi ha incontrato mi ha detto che siccome lo sapeva che lo avevo
cercato, dice: sono rientrato da roma questa mattina. O ieri sera, non mi ricordo. Sono rientrato da
roma e ti ho chiamato. Il presidente mi ha detto “sto tornando da roma”.
Ma era una conseguenza?
Sì, una conseguenza. Una conseguzio di tempi, non le ha detto di avere saputo questa notizia a
roma?
No, mi ha detto “sto tornando da roma”.
E gliel’ha detta ad aiello sta cosa?
Gliel’ho detto che stava tornando da roma. Sì che gliel’ho detto all’ingegnere aiello, certo che
gliel’ho detto. Anche perché l’ingegnere mi aveva chiesto continuamente “rintraccialo”.

Allora, la ricostruzione così offerta da rotondo, che prova pienamente, come è evidente, la
colpevolezza sua e di cuffaro, trova negli atti processuali, numerose e univoche riscontri. La prima
e indiscutibile conferma, e che anzi è alla base stessa dell’interrogatorio di rotondo e della sua
decisione di rispondere al pm, è la serie di telefonate che ci consentono di sentire in diretta gli
incontri aiello/ciuro/riolo/rotondo che hanno sede la sera stessa del 20 ottobre dopo che aiello ha
finito di parlare separatamente con i suoi legali e raggiunge i suoi collaboratori e complici e lo
aspettano in strada.
Già alle 19:24 del 20 ottobre ciuro ha saputo da aiello che è stata intercettata la telefonata relativa al
marito della signora pellerano, e subito telefona alla signora pellerano per cercare di stabilire con
maggiore precisione la data di quella conversazione: “una domanda al volo, senti”. “sì”. “quand’è
che tuo marito mi ha detto quella cosa per farlo rientrare, ti ricordi?” “più o meno era prima
dell’estate, dopo l’estate, prima dell’estate, forse aprile”. “verso aprile era?” “boh, non so. Perché?”
“no, no, vabbè. Per una mia curiosità personale, non ti preoccupare”. È così che ciuro conclude la
conversazione telefonica con la pellerano.
Due ore dopo, quando evidentemente aielo ha concluso i suoi incontri con i suoi legali, lo stesso
aiello si premura di informare il cugino e socio professor carcione delle notizie trasmessegli dal
presidente, da cuffaro, tramite roberto rotondo nei termini precisi con cui rotondo ce li ha riferiti. È
la conversazione delle 21: 23 del 20 ottobre del 2003, intercorsa tra ciuro, aiello e carcione perché a
parlare sono tutti e tre, ed è aiello che parlando a carcione che in quel momento lo ascolta:

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Aldo, non potevo parlare che ero con l’avvocato, dunque roberto praticamente l’ha incontrato oggi
pomeriggio al presidente e lui stesso gliene ha parlato. Dice che sta, lui è stato tutto il fine settimana
a roma e ha attinto queste notizie lì.
Mah, questa di pippo non mi risulta – dice carcione, e poi conferma ancora – no, non mi risulta
Poi aiello passa il telefono cellulare proprio a ciuro, il diretto interessato dell’informazione, che
evidentemente è accanto a lui e che commenta le notizie con carcione con un misto di stupore, di
scetticismo e di preoccupazione. E infatti i due non riescono a capire né perché una semplice
raccomandazione possa portare a considerare indagato ciuro, né come mai finora le loro fonti non li
hanno avvertiti, ma non possono certo sottovalutare, così come non aveva sottovalutato se ricordate
la conversazione intercettata nell’abitazione di guttadauro lo stesso guttadauro il valore
dell’informazione in quanto proveniente da una fonte dell’autorevolezza di cuffaro. E infatti
carcione suggerisce a ciuro: “cominciati a taliarti”.
Importante è poi che ciuro associa la sua posizione a quella di riolo: “perché insomma io e giorgio
parliamoci chiaro, giusto, non siamo così sprovveduti”
Insomma mi ha dato una certa notizia – dice ciuro … dice carcione – per quello che riguarda te è
una gran minchiata.
Le fonti di carcione non confermavano la notizia, dunque. E ancora dice ciuro: e per quello che mi
ha detto michele ora? quello che mi ha detto michele ora?
E ancora carcione: pippo, è una grande minchiata perché… è una grande minchiata dopo tutto..
verifica pure tu”
E infatti conferma ne corso della conversazione ciuro, dicendo a carcione: vabbè comunque io ora
comincio a taliari, non t’illudere che…”
E che hanno solu sti pensieri – dice ancora ciuro
Tutti cretini – carcione
E ciuro: no, ma non.. a parte tutti cretini. Ma oltre tutto per fare una cosa del genere. Nessuno
avessi da scrivere, avestero messi i telefoni sutta. Per l’amor di dio, avissero potuto fare centomila
cosa, no.
Tanto loro erano sicuri che i telefoni sotto, per come abbiamo detto all’inizio di questa discussione,
non c’erano. E carcione infatti gli conferma: no, no, credimi. E ancora carcione: fino a stamattina
non c’era manco… cioè non c’era depositato u rapporto, niente, completamente niente.
Ciuro conferma. E comunque – ancora carcione - hanno ancora i carti in mano, ma non sanno chi
cazzu, chi cazzu hanno a fari, che pisci pigliari.
Sì, ma comunque, comunque – dice ciuro – ora vediamo.
E proprio quando conclude ripromettendosi di fare nuovi controlli, “ ora vediamo”, ciuro dà la
stura alla seconda parte degli accertamenti che l’informazione di cuffaro ho originato.
Perché la mattina dopo, già alle 8:19,aiello e carcione commentano preoccupati “un po’ sballati
siamo” le notizia portate il giorno prima da rotondo. È evidente il riferimento a cuffaro, che è
preoccupato e che è rimasto solo dopo la pubblicizzazione del procedimento contro di lui per mafia.
I due soci e cugini fanno, per cos’ dire, il punto della situazione, esprimendo all’inizio e poi di
nuovo alla fine dubbi sull’esattezza della notizia data da cuffaro: “a me, pippo, non mi risulta –
duce carcione sull’esistenza di un’indagine a carico dei due sottoufficiali che ritengono sarebbe
legata solo alla domanda di raccomandazione del marito della signora pellerano dato che
evidentemente hanno totale fiducia sulla tenuta della rete riservata. Nella telefonata ripercorrono poi
i vari temi del momento, le indagini dei nas, la creazione di una fondazione finanziata dalla regione,
le assicurazioni rivelatesi inesatte date a riolo dai suoi colleghi dei nas. Va sottolineato anche che in
questa conversazione la posizione d ciuro è accomunata a quella di riolo. Questo è causa di
incertezza per i due interlocutori, dato che riolo è del tutto estraneo alla vicenda raccomandazione
cui essi collegano l’iniziativa giudiziaria a carico di ciuro: “pronto, michele! Aldo, che dici, come
va? Un po’ sballati siamo. Vabbene, sballati, perché? Non mi convince quello – è aiello che parla –
non mi convince quello che gli ha detto a roberto.
Carcione conferma: sì, non mi convince.

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Aiello: ci fosse una regia, io non ci credo che gliel’ha detto, è preoccupato perché io lo conosco a
lui.
E carcione: tu devi capire che in questa situazione quest’uomo è rimasto solo

La stessa ricostruzione degli eventi è data da riolo, poi, nel suo esame dibattimentale, stiamo
sempre parlando del 20 ottobre. Il 15 marzo 2006 riolo indubbiamente contribuisce a ricostruire i
fatti, cominciando proprio dall’episodio del 20 ottobre. Anche riolo sappiamo era presente in via
caltanissetta e da lì ha appreso da ciuro le notizie in ordine alla loro iscrizione nel registro degli
indagati. Riolo ci ha detto che quella sera fu invitato da ciuro a recarsi in via caltanissetta, ciuro che
lo chiama al telefono mentre stava facendo, riolo, ritorno a piana degli albanesi. In via caltanissetta
riolo incontra dapprima ciuro che gli dice che sono in attesa di aiello, in quel momento come
sappiamo in visita ai suoi avvocati, e prima che questo arrivi è ciuro a dirgli che sono entrambi
indagati e che lui, ciuro, lo aveva saputo da aiello. Quando poi aiello compare, riolo gli chiede quale
sia la sua fonte: ma da chi l’hai saputo? E mi ha fatto solamente un gesto con la mano: l’ho saputo,
l’ho saputo, basta. Io non più… non mi sono messo a chiedere ulteriormente. Riolo a contestazione
del precedente interrogatorio resi nelle fasi delle indagini preliminari, ha ricordato la frase che gli
disse aiello: senti, molto probabilmente siete iscritti nel registro degli indagati. E poi, interrogatorio
del 3 dicembre 2003 tra gli altri, ma la domanda era specifica: aiello – questa è la contestazione che
gli muove il pm, nel corso dell’esame in dibattimento – aiello scendendo cosa vi dice, arriva davanti
al portone e cosa vi dice?
Riolo: sì, dice: guarda che ho appreso che vi hanno iscritto nel registro degli indagati.
E conferma questa dichiarazione e in fase dibattimentale riolo dice: sì, confermo, l’ho detto io.
“L’ho detto io” evidentemente quello che gli era stato contestato all’interrogatorio del 3 dicembre.
Riolo ci ha anche detto, cosa su cui torneremo fra breve, che ciuro si attivò ed ebbe conferma
dell’informazione ricevuta da aiello e per il suo tramite da rotondo e cuffaro. E anche aiello nel suo
esame dibattimentale, udienza del 7 febbraio del 2006, non ha potuto fare a meno di ammettere in
buona parte l’esattezza della ricostruzione dei fatti fin qui effettuata, anche se, come al solito, ha
cercato di sminuirne l’importanza e ancora di più ha tentato di salvare la posizione dell’imputato
cuffaro. Ha riferito aiello nel corso del suo esame che nel 2003 rotondo era responsabile della
manutenzione di tutte le strutture sanitarie e con lo stesso aveva un rapporto di assoluta fiducia e
che rotondo gli ha fornito notizie in merito ad attività investigative in corso. In particolare aiello ha
riferito che il 20 ottobre 2003, “il geometra rotondo mi viene a trovare in studio, dopo un incontro
che ha avuto con il presidente della regione cuffaro e mi ha riferito ch vi era stata una telefonata tra
me e ciuro riguardante il trasferimento, il possibile trasferimento del marito della signora pellerano.
Telefonata che era avvenuta credo i primi di giugno, i primi del giugno del 2003 – dice aiello – per
cui mi riferisce il contenuto di questa telefonata, contenuto che era stato ovviamente riferito al
geometra rotondo da parte del presidente cuffaro, e niente, era un po’ preoccupato il presidente
perché era venuta fuori questa telefonata e quindi”
Aiello dunque ha confermato quanto ha riferito rotondo, che la notizia gli è arrivata da cuffaro, ha
spiegato in quali circostanze i due si erano incontrati: “dovevano incontrarsi praticamente perché
doveva, avevo chiesto io a rotondo di incontrare il presidente cuffaro perchè c’erano alcuni
problemi inerenti alle tariffe in corso di emanazione all’interno di una commissione all’interno
dell’assessorato alla sanità.
Aiello una volta ricevuta l’informazione a sua volta la comunica ai suoi complici. Ci dice: io ero
costantemente in contatto con i miei due legali, uno amministrativo e l’altro l’avvocato monaco e al
termine degli incontri che ho avuto con i miei legali mi ero incontrato, perché in via caltanissetta
con il geometra rotondo e il ragionier damico, mi aveva accompagnato a palermo un dipendente
della struttura ed io mi incontro con il maresciallo riolo.
Un incontro casuale o lei chiama?
No, no, lo chiamo
Lo convoca?

176
Un incontro, perché una volta appresa la notizia da parte del geometra rotondo, io chiedo di
incontrare il maresciallo ciuro, ci vediamo in via caltanissetta dopodichè sopraggiunge, perché
avevamo appuntamento, anche il maresciallo riolo.
Quindi ciuro lo ha convocato lei per comunicargli questa notizia?
No. Ci dovevamo sentire, vedere per altri motivi, ma no, non interessava, la notizia non riguardava
il riolo. Cioè per quanto riguarda la notizia lo dovevo riferire, lo dovevo riferire a ciuro. Anche per
avere conferma perché c’erano dei discorsi vaghi. Mi ricordavo che c’erano dei discorsi di questa
signora che aveva chiesto una raccomandazione, però avevo, non riuscivo a collocarla in che
periodo era avvenuta… (ma di certo la telefonata era avvenuta, almeno questo). 30:07
Quindi, quella sera aiello informa sia ciuro che riolo. Aiello ha escluso di aver saputo da rotondo o
da altri dove cuffaro avesse tratto le notizie che gli aveva riferito: “non mi dice. Il presidente era
stato fuori se non ricordo male in quel periodo, ma non mi dice da dove lui attinge queste notizie.
Mi dice semplicemente praticamente cuffaro ha avuto notizie di questa telefonata, ti sta facendo
sapere.
Ora è facile osservare che la notizia riferita da rotondo fosse stata relativa soltanto alla telefonata
concernente il marito della signora pellerano non si capirebbe perché è stato immediatamente e
affannosamente convocato anche riolo. Aiello ha cercato di negare quanto invece ha riferito rotondo
proprio a proposito del fatto che nella conversazione tra rotondo e cuffaro quest’ultimo avesse fatto
riferimento anche ad una posizione da indagato che aveva ciuro, ragione reale del fastidio di cuffaro
a proposito della conversazione pellerano intercettata. E viene smentito aiello su questo punto,
come al solito riduttivo su quanto aveva detto nella fase delle indagini preliminari, dicevo, viene
smentito su questo punto da tutte le altre risultanze già esaminate, a cominciare dalla telefonata che
fa subito dopo a suo cugino carcione. Del resto, la rivelazione fatta da cuffaro ad aiello tramite
rotondo, e poi da aiello a cascata a riolo e carcione sull’esistenza delle indagini non solo a carico di
aiello, circostanza nota da tempo, ma anche a carico dei due sottoufficiali che fino a quel momento
si erano ritenuti insospettabili, ha prodotto immediati effetti potenzialmente gravissimi per le
indagini. Perché se le cose fossero andate come in dibattimento ha tentato di raccontarci aiello,
allora perché all’improvviso la rete riservata viene immediatamente cambiata, vengono cambiati
tutti i numeri di questa rete? Ciuro e riolo, così come correttamente dicono di apprendere riolo e
rotondo di essere indagati si preoccupano immediatamente delle notizie delle indagini a loro carico
anche perché sicuri dell’affidabilità della rete riservata e dell’esito negativo dei controlli effettuati
sia sulle iscrizioni sia sulle intercettazioni, non riescono a comprendere come si fosse giunti fino a
loro.
Ciuro assicura l’amico che l’indomani avrebbe fatto nuove verifiche e in effetti alle 12:56 del 21
ottobre è in grado di informare aiello e poi gli altri correi che aveva avuto la conferma, il
controvalore della notizia data da cuffaro a rotondo. Ebbene, il controvalore di cosa? Del fatto che
era stata intercettata la conversazione relativa al marito della signora pellerano? Non c’era bisogno.
Il controvalore è il controvalore di quella parte di deposizione che aiello in dibattimento non ha
confermato sostanzialmente cioè che i due sottoufficiali, quello della guardia di finanza in servizio
alla dia, e quello dei carabinieri in servizio al ros erano in effetti soggetto di investigazioni. 12:56
del 21 ottobre.
Va precisato che in questa come in altre occasioni anche se nelle intercettazioni e nelle trascrizioni
si parla di iscrizione di ciuro e di riolo al registro degli indagati, il fatto è sostanziale dell’esistenza
di indagini nei loro confronti, dato che i loro nomi sono stati scritti solo dopo che essi sono stati
tratti in arresto. Prima naturalmente era stata seguita una procedura abbastanza complessa di
criptazione di questi nomi che rendeva di fatto impossibile la scoperta del fatto che erano stati
iscritti.
È da notare ancora che a seguito del comportamento processuale assunto anche a questo proposito
da ciuro, che si è avvalso della facoltà di non rispondere (ciuro che ci disse di aver intenzione di
chiarire tutto, dal primo momento, e di dimostrare di essere un leale servitore dello stato, tant’è che
nel dibattimento come tutti i leali servitori dello stato, dobbiamo pensare, si è avvalso della facoltà

177
di non rispondere… devo dire qualcuno l’aveva fatto in altre sedi), non è stato possibile sapere da
chi e in quale modo egli abbia avuto la conferma dell’esistenza di indagini a suo carico. E però che
questa conferma vi sia stata lo confermano le telefonate del 21 ottobre del 2003, quella che ho già
citato, 12:56 fra ciuro e aiello, in cui ciuro dice: comunque vero eh
E aiello: è tutto tranquillo dico
Sì per il resto però è vera la cosa di ieri
Ah, ho capito, non cambia niente.
Uh sì, ora vedremo
Sempre ciuro: e quindi ora stanno allargando
E ciuro: non capisco con quale sistema, non capisco con quale sistema. Perché insomma… però è
vero, è. Questa mattina manco arrivato mi ha chiamato uno – sempre ciuro che parla – la prima cosa
che mi ha detto: guarda che è così, così.
Ah sì.
E ciuro: ah sì, dico. E come mai? “non lo so” dice. Ah
E ciuro ancora: attenzione, dice, perché ho capito. Vabbene, ci dissi, qua siamo pronti, ho capito.
E aielo: quindi lo confermano.
Sì, sì, sì. Lo confermano, lo confermano sempre.

16:01 dello stesso 21 ottobre. Ciuro e riolo


ciuro: non sei andato proprio lì, va bene, ma comunque vedi che è vero. Stamattina manco sono
arrivato, prima che io chiedessi già qualcuno ha detto.
riolo: va bene.
Ciuro: va bene?
Ok
Ciuro: però non lo so. Adesso dove bisogna andare a parare non lo so, questo perché è una cosa…
E riolo: ma di chi è? Ah sapessi…
Ciuro: sempre degli stessi
Va bene.
Ciuro: non solo. Oltretutto è intervenuto pure un nuovo fattore, questo mi pare che lo state facendo
voi. Matteo l’avete fatto voi? (chissà chi è questo matteo)
E riolo: sì, sì. Ma infatti io t’ho parlato di quella, di quella cosa, sì.
E ciuro: E vogliono fargli pure questa contestazione a mike – e ancora ciuro – quindi adesso vedi tu,
io più di tanto non riesco, capisci? Adesso perché adesso devo quartiare più degli altri.

E ancora, 16:09. Ancora ciuro e riolo


Ciuro: se è perché… io non ci dormo più adesso perché stamattina ho avuto il controvalore
dall’altra parte, il che significa che qualcuno ha detto “riolo, buono, vabbè. Bene.
E allora aiello non è che ci può venire a dire che la rivelazione di rotondo riguardava la signora
pellerano, ancora una volta ha ragione rotondo che ci racconta tutta la verità, non soltanto il
pezzettino che tentando di neutralizzare quanto aveva in precedenza detto, ci ha raccontato aiello.
Perché all’esito della conferma dell’esistenza delle indagini a loro carico aiello e suoi complici
decidono di mettere subito in esecuzione il suggerimento dato come al solito da ciuro la sera prima,
come ulteriore misura prudenziale, cioè cambiano le utenze della rete riservata. La circostanza
emerge in modo assolutamente univoco dalle intercettazioni telefoniche ed è stata ammessa anche
da riolo.
Anche qui, l’informazione che fornisce cuffaro, che è confermata da riolo, dalle intercettazioni e da
rotondo, porta a un effetto. Anche qui, quello che si stava ascoltando non deve essere più ascoltato,
soltanto che nel caso di guttadauro questo effetto si verifica, qui per una serie di circostanze non si
verifica, e vediamo perché.
Intanto riolo nel corso del suo esame ha fatto riferimento anche all’incontro che ebbe la sera del 4
novembre del 2003, il giorno prima dell’arresto, con aiello presso la clinica di bagheria e ha

178
dichiarato: l’ingegnere michele aiello mi ha confermato quella sera che avrebbe parlato con il
presidente. Se adesso nello stato confusionale in cui io mi trovavo ho aggiunto di aver appreso
anche dell’iscrizione detto da cuffaro, questo non so, non posso dirlo per certo, ma ricordo di aver
capito che aveva detto di averlo appreso dal presidente cuffaro.
Sulla mossa di queste affermazioni gli sono state mosse le contestazioni derivanti
dall’interrogatorio che riolo rese il 19 febbraio del 2004 sullo stesso tema, l’incontro del 4
novembre presso la diagnostica: “io andai da aiello. Mi disse: senti, io mi sono visto a quattr’occhi
con il presidente. E io gli chiesi ad aiello: ma è stato lui? E mi confermò che era stato lui a dire che
noi eravamo stati iscritti nel registro degli indagati. E ancora il pm: ricorda l’intero passo della
contestazione del 4 novembre 2003… il presidente cuffaro.
Il presidente cuffaro? E lei risponde: il presidente cuffaro confermò ad aiello che eravamo iscritti
nel registro degli indagati.
E ancora, sempre per completezza, pag. 95 dello stesso interrogatorio: lei parlava del fatto dei soldi
(su cui torneremo) e dice: io gli dissi prima questo fatto dei soldi il 4 novembre, lui i confermò che
era stato il presidente.
E ancora al pm che le chiedeva: lui chi?
Aiello mi confermò che era stato il presidente a dirgli che eravamo iscritti nel registro degli
indagati.
Ed in più aveva anche chiesto questo fatto dei soldi al presidente: lei conferma queste dichiarazioni?
E riolo: confermo, sì.
E ancora, a proposito della vicenda rileva l’incontro che ebbe con il maresciallo pasquale gigliotti.
Riolo ha riferito di avere avuto un incontro con il maresciallo gigliotti nel periodo coincidente a
quello nel quale aveva avuto le notizie da aiello e da ciuro, ottobre/novembre del 2003.
Ha riferito in particolare di un incontro occasionale, 10/12 giorni prima del suo arresto, in una
traversa di via marchesa di villabianca, nei pressi di un negozio di autoricambi e di una agenzia di
viaggi. In quella occasione aveva confidato a gigliotti che conosceva da molti anni e che sapeva fare
parte del sismi e prima ancora del ros, di essere molto preoccupato per essere sottoposto a indagini
per la vicenda guttadauro e gli aveva chiesto di aiutarlo acquisendo ulteriori notizie, in particolare
accertando se era sottoposto a intercettazioni. Si tratta di circostanze che ne corso del suo esame del
15 marzo 2005 troveranno piena conferma nella deposizione di gigliotti. Sentito con le garanzie
previste dall’art.210 del codice, gigliotti ha riferito: è capitato che prima che lui fosse arrestato ci
siamo incontrati una volta casualmente in via laurana a palermo, nei pressi di una agenzia di viaggi.
Casualmente ci siamo incontrati lì, lui proveniva da un’altra parte, fu proprio una cosa che andò a
combaciare il mio arrivo con il suo. E poi lui entrò nell’agenzia, mi disse come va? Io dissi
veramente è un periodo che per me non va bene. E lui mi disse: bè, effettivamente non è un periodo
che va bene, sono preoccupato perché a seguito del ritrovamento di una microspia a casa guttadauro
penso di essere sottoposto a indagini. E lui in quell’occasione anzi mi disse: non è che tu magari ti
puoi interessare della cosa? Io onestamente lo confortai a parole, gli detti la mia disponibilità però
di fatto non feci nulla.
Quindi c’è un’informazione relativa a indagini cu era sottoposto riolo, che riolo possiede perché
l’ha avuta dal tramite cuffaro/aiello e che mette sostanzialmente a disposizione per interesse
proprio, evidentemente, di gigliotti. Ma abbiamo già detto che aiello, nel confermare
sostanzialmente la ricostruzione dei fatti fin qui operata, ha cercato di sminuire in sede
dibattimentale il ruolo di cuffaro e l’importanza delle notizie da lui ricevute.
Abbiamo già illustrato ampiamente nel corso della discussione quanto sia stato riduttivo aiello nel
corso della sua lunghissima deposizione dibattimentale.
Però le notizie sono importanti e questo emerge senza dubbio alcuno da altre telefonate intercettate,
alcune, che però citiamo sotto altro profilo, abbiamo già citato: quella del 12:56 del 21 ottobre del
2003 sotto altro profilo che è il seguente, perché ciuro dice a un certo punto di quella conversazione
di cui un pezzo ho già letto: quella cosa che abbiamo pensato ieri comunque facciamola. E cioè
davanti alla preoccupazione di essere indagati, e non c’entra niente la telefonata della signora

179
pellerano, il rimedio naturalmente qual è? Dopo essere arrestati il voler chiarire tutte le cose farlo o
non farlo, ma qui in questo momento il rimedio è fare la cosa che abbiamo pensato ieri.
Risposta di aiello: lo stano facendo. Sì, aspetta. Si tratta di averlo, ah
Chiaro, sì, perché possono arrivare a tutto oramai.
Va bene, giusto, perfetto.
E poi ancora, la conversazione delle 16:01 dello stesso giorno, anche qui sotto altro profilo, dove
parlano sempre ciuro e riolo e ciuro dice: ve bene, senti, gli ho detto a michael tutto di quella cosa
che parlavamo di farlo subito. Arrivati a sto punto perché…
Certo, sì, certo, certo.
Giusto, anche perché non sappiamo le cose come vanno.
D’accordo.
E sempre su questo tema, e a questo punto il tribunale chiaramente ha capito di cosa sto parlando, la
conversazione delle 16:04 del 21 ottobre 2003 fra ciuro e aiello, pochi minuti dopo la conversazione
fra ciuro e riolo. 44:19
Ho parato pure con giorgio – dice ciuro – gli ho detto, infatti, dice pure lui, a posto siamo. Ora
cominciò a vedere all’interno tutta una serie di situazioni.
Ah, ho capito, va bene.
Ancora ciuro: comunque pensa pure a qual’altra cosa per farla subito perché non mi è piaciuta tutta
la cosa di stamattina.
Va bene
Quindi vediamo di riesumare tutto.
Ok, va bene.

E ancora, 15:55 del 22 ottobre. Ciuro e aiello.


Tutto benissimo, ci è andato francesco, aspetta un istante. No niente, niente attivazione l’altro o no.
Questo ti dicevo, se ne è andato a fare questo lavoro. Se ne è andato – sempre ciuro – io sono stato
il primo allora il più fortunato. No no perché non credo già attivato è. Non lo so io non ho la più
pallida idea.
E aiello: ti chiamo io appena attivato dagli altri numeri.
Va bene, va bene.

E infine, su questo punto, 12:49 del 22 ottobre ciuro/riolo


Buongiorno
Buongiorno
Se potresti passare per… ti devo dare il pacco
E riolo: il pacco regalo, auguri e buone feste
Ah, no. Io passo da lì e te lo prendi uhm che già è pronto
Ah sì?
Sì.
Da lì?
Sì. Poi appena ce l’hai chiamami.
D’accordo. Va bene.
Lo ritiri, lo guardi, mi dici se ti piace, se lo dobbiamo cambiare, se dobbiamo fare gi auguri, che
dobbiamo parlare
Va bene.

È chiaro che si sta parlando di questo simpatico regalo che si sono fatti, e cioè della sostituzione
delle utenze cellulari cosiddette riservate. Questa sostituzione di cellulari delle utenze cosiddette
riservate, l’ho già detto ma lo ripeto, avrebbe potuto pregiudicare in maniera molto seria l’indagine
che era in corso, impedendo tra l’altro di captare le conversazioni tra gli imputati nei 15 giorni
successivi e fino all’arresto avvenuto il 5 novembre 2003. Fra queste telefonate, quelle dei 15 giorni

180
successivi, ci sono le telefonate che consentono di ricostruire l’incontro tra aiello e cuffaro del 31
ottobre di cui parleremo fra un attimo.
Ora. Se questi esiti non si sono verificati è stato solo grazie all’intuito investigativo dei carabinieri
che indagavano e grazie a una nuova imprudenza degli imputati, questa volta ascrivibile a carcione
che ha utilizzato il nuovo cellulare segreto mentre aveva ancora aperto il telefono pubblico
sottoposto a intercettazione, conversazione del 18 ottobre 2003, ore 18:42, è stato così possibile
ricostruire quasi immediatamente la nuova rete riservata ed è proprio su questa seconda serie di
apparecchi che vengono intercettate le telefonate relative al negozio bertini di bagheria. 47:22
Intanto, per concludere l’esposizione relativa alla rivelazione del 20 ottobre 2003 non vi sono dubbi
che essa sia stata posta in essere da cuffaro tramite rotondo e che integri i reati contestati.

Ma l’esame della posizione di cuffaro, con riferimento alla rivelazione di notizie su indagini a
carico di michele aiello deve continuare appunto con la ricostruzione del secondo episodio che
completa una condotta che per la verità è sufficientemente esaurita con l’episodio del 20 di ottobre.
Perché 10 giorni dopo, sostanzialmente, in realtà il 31 ottobre, cuffaro forniva ad aiello nuove
informazioni sulle indagini a suo carico. L’appuntamento veniva fissato per il pomeriggio di quel
giorno con modalità tali da garantirne la riservatezza. Rotondo veniva chiamato telefonicamente,
ma solo per essere invitato a recarsi alla presidenza della regione da uno dei collaboratori di cuffaro,
il quale gli comunicava a voce che il presidente intendeva incontrare aiello presso un negozio di
abbigliamento di bagheria, il negozio bertini, dove si doveva recare per fare degli acquisti.
Cuffaro si recava a bagheria senza la scorta, accompagnato solo dai suoi fedelissimi. La scorta,
contravvenendo alle più elementari regole di sicurezza, non veniva attivata con un pretesto, scorta
che lo aveva invece altre volte accompagnato in quello stesso negozio. Dalle intercettazioni delle
conversazioni cellulari dei collaboratori risultava esplicitamente che lo spostamento doveva
avvenire in incognito, lo stesso aiello, che si teneva pronto nelle vicinanze, veniva avvisato avendo
cura di non lasciare alcuna traccia esplicita dell’appuntamento nelle conversazioni telefoniche
peraltro avvenute tutte sui cellulari dei rispettivi collaboratori.
La prima caratteristica di questo incontro tra il presidente della regione in carica e il suo amico con
il quale gli incontri prima frequenti erano pressochè cessati dal 1 luglio del 2003, data
dell’interrogatorio di cuffaro, pur se contatti indiretti erano, come abbiamo visto, continuati
regolarmente, e la sua assoluta riservatezza. Ce lo dice chiaramente rotondo che è stato contattato
dallo staff di cuffaro per fissare l’appuntamento con aiello. Nel suo interrogatorio al pm del 9
febbraio 2004 ha dichiarato:
il pm gli chiede: le stavo chiedendo se lei ha fissato in questi ultimissimi tempi, prima del 5
novembre, che è la data dell’arresto dell’ingegner aiello, degli appuntamenti fra aiello e cuffaro.
E rotondo: un giorno mi ha chiamato vito raso. Io l’ho incontrato e mi chiesto, mi ha detto di riferire
all’ingegnere che il presidente quel pomeriggio sarebbe stato a bagheria e che voleva incontrare
l’ingegnere. 50:12
Cioè a parlato di persona?
Sì.
Cioè, lei da bagheria è venuto a palermo o era già a palermo?
Io era a bagheria, vito raso mi ha detto (al telefono, naturalmente): che fa, avvicina un attimo in
presidenza? Sono sceso, io non sapevo. Mi ha detto: guarda, il presidente oggi pomeriggio è a
bagheria, se dici all’ingegnere se si possono incontrare.
E di che cosa hanno parlato?
Non lo so.
Poi si sono incontrati? Cominciamo da là.
Penso di sì. Che l’unica cosa che mi ha riferito l’ingegnere, mi ha detto che aveva incontrato il
presidente, dicendomi che anche a lui aveva dato conferma del tariffario da lì per lì per la
pubblicazione.
Solo questo?

181
Che sappia io sì.
E ancora, pm: torniamo al 31 da cui eravamo partiti. Lei aveva cominciato a dire, perché io le
avevo fatto la domanda più avanti, che ha preso questo appuntamento, è stato chiamato da vito raso
ed è venuto da bagheria a palermo.
Sì, mi ha chiesto: avvicina a palermo, ed io l’ho fatto, dico, mi sembrava che era un appuntamento
come le altre cose, per darmi notizie sul tariffario.
E invece le ha detto: il presidente vuole parlare col…
Esattamente
Poi ha detto lei aiello dopo il colloquio, ma lei ha accompagnato aielo al colloquio, no?
No.
Si è limitato a riferire l’appuntamento?
Sì.
Ma a vito raso non gliel’ha chiesto: ma perché mi fai venire a palermo? Non ce l’hai il telefono?
Non gliel’ho chiesto.
Non gliel’ha chiesto…
Certe volte, sa, nella confusione uno fa le cose meccanicamente, sono partito sperando di avere
notizie sul tariffario
Ma lei è partito da bagheria?
Ma non è la prima volta che io parto da bagheria e scendo, salgo, dico per lavoro o altre cose.
Sì, ma lei parte da bagheria per parlare con vito raso, arriva e vito raso le dice: vedi che stasera il
presidente vuole vedere aiello, e se ne torna?
Sì, esattamente.
E le dà l’appuntamento al negozio.
Sì, mi dice che siccome il presidente doveva andare là a fare compere…
Là dove?
Al negozio bertini.

Vi sono altri impressionanti riscontri alla narrazione che vengono come vedremo sia da fonti
dichiarative che da intercettazioni telefoniche. Cominciamo dalle ulteriori fonti dichiarative, perché
l’8 ottobre 2005 sono stati esaminati raso e antinoro. Ora antinoro è ufficialmente una guardia
forestale che lavora nell’ufficio di gabinetto del presidente cuffaro, di fatto è un suo gurdaspalle da
oltre 10 anni. Antinoro suo malgrado ha ricordato i movimenti di cuffaro del 31 ottobre 2003
quando ha accompagnato appunto cuffaro a bagheria. Sono le modalità del’incontro a dimostrare
ancora anch’esse la sua ….
Antinoro accompagna cuffaro con una macchina privata, dice una lancia lybra appartenente ad un
altro fidato di cuffaro, tale pisano. Ha spiegato che su ordine di cuffaro stesso aveva licenziato la
scorta. Testuale, gli aveva dato il liberi tutti. Cuffaro viene accompagnato nel negozio di bertini nel
tardo pomeriggio e dopo un poco, conferma antinoro, arriva il dottor aiello, da lui definito come “un
amico del presidente, ci vedevamo spesso”. Antinoro conferma che i due si dovevano incontrare
perché dell’appuntamento gli aveva parlato vito raso, altro teste e accompagnatore di cuffaro.
Raso, sentito nella stessa udienza, ci ha riferito di essere amico di cuffaro fin dal’infanzia, di
svolgere per cuffaro il ruolo di segretario particolare: gli pigliavo gli appuntamenti, le persone gli
ricevevo, tutto il lavoro di segreteria.
Ci ha riferito di conoscere rotondo,un consigliere comunale di bagheria che lavorava da aiello, e ha
riferito di conoscere anche aiello perché veniva dal presidente: “perché qualche volta è venuto dal
presidente, perché lo chiamavo telefonicamente, perché gli mandavo persone che avevano bisogno
di lui se veniva qualcuno che aveva bisogno di fare qualche visita, qualche esame.
A proposito dell’incontro del 31 ottobre del 2003 raso ha spiegato che era stato cuffaro a chiedere di
chiamare rotondo perché questi avvisasse aiello.
Amche le modalità di questo avviso sono particolari perché rotondo viene convocato alla presidenza
della regione per ricevere la comunicazione, ci dice raso, e l’ordine che raso riceve da cuffaro è

182
esplicito: per telefono mi dice di chiamare rotondo, no. Mi dice di chiamarlo e di farlo venire in
presidenza. Dice raso che è stato cuffaro a dirgli di far venire rotondo alla presidenza e non dare la
comunicazione dell’appuntamento per telefono, ordine che raso ha puntualmente eseguito.
Cioè il presidente che cosa le ha detto, di farlo senza usare il telefono?
Di chiamarlo, di chiamarlo, farlo venire e dirglielo.
Di chiamarlo, farlo venire e dirglielo? E lei solitamente quando ci sono appuntamenti con il
presidente usa questa procedura? (vito che ci ha detto che era lui che faceva il segreteario
particolare e che gli organizzava gli appuntamenti)
Anche qusta procedura.
Anche qusta?
Diverse procedure.
Procedure? Cioè, non capisco. Perché non sarebbe stato possibile chiamare una persona per telefono
e dirgli che ci sarebbe stato… Molte volte… un appuntamento intorno…
Molte volte le persone le faccio venire.
Si è raccomandato con lei…
Forse sì.
… usare il telefono?
Forse sì.
Riesca a fare uno sforzo di memoria, a dirmi se il presidente si è raccomandato con lei di non usare
il telefono?
Ma io il presidente lo sentivo 100 volte al giorno quindi qualche volta mi diceva “fai venire una
persona là” e io lo convocavo.
E ancora: stiamo focalizzando su una sola persona e su un solo giorno, il 31 ottobre,
l’appuntamento procurato per il tramite di rotondo.
Lo so, ma non è un giorno…

E, ancora più chiaro, per dichiararae il carattere clandestino dell’incontro, sono le telefonate
intercorse nel pomeriggio del 31 ottobre del 2003 tra cuffaro e i suoi collaboratori, aventi ad aggetto
proprio l’organizzazione dell’incontro. Chiamata del 31 ottobre del 2003, ore 16:52,
segretaria/salvatore cuffaro/vito raso. È brevissima.
Pronto?
Vito raso.
Te le passo.
(e il presidente cuffaro prende il telefono): pronto?
Dove sei?
Vicino a casa.
Cuffaro: hai confermato? Non hai confermato?
Vito raso: alle 18.
Ma lo hai fatto venire? Gli hai detto per telefono?
No, è venuto.
Bene, alle 18. Spero che tu l’abbia fatto venire.
Totò, vedi che quando tu mi dici le cose, a me basta mezza volta
Va bene, ciao.

Ancora, 31 ottobre 2003, ore 19:07. Parlano gambino giuseppe e giovanni antinoro, tutti
dell’entourage del presidente. In particolare, antinoro abbassa il tono della voce e riferisce: perché
non lo so? Deve andare da qualche parte poi deve andare a prendere sua figlia.
(poi abbassa ancora di più il tono della voce): per ora abbiamo mandato tutti, abbiamo mandato
pure la scorta, capisci? E siamo fuori in incognito, d’accordo?

Poi ancora, 31 ottobre, ore 19:11, gambino e antinoro.

183
Pronto, mi senti?
Ti sento.
Dicevo vattene che poi ti chiamiamo noi. (perché gambino sostanzialmente è l’autista)
Va bene. Voi siete ancora in presidenza?
No, no.
Pino va bene, ho capito.
Vattene, ti chiamiamo sicuramente. Non andare in presidenza però (appunto, non c’erano).

E poi ancora 31 ottobre 2003 quando c’è di nuovo l’aggancio della scorta e si torna, si esce dalla
clandestinità, si torna a essere uomini pubblici.
Vieni, chiama la scorta e venite in via villareale, dove c’è la clinica candela.
Via villareale?
Dove c’è la clinica candela. Ce l’hai presente?
E dobbiamo venire con la scorta, lì? (e lo credo bene perché non è che è sicuro quando ci si muove
con la scorta o no)
Sì. Tu dove sei?
Io a casa.
A va bene, io ti aspetto.
(e in sottofondo si sente la voce di cuffaro): va bene
ma se ci sei tu perché devo venire pure io

Ancora, 31 ottobre 2003, ore 21:09. Cuffaro che parla col figlio e gli conferma che ha fatto gli
acquisti. E poi in conclusione allora non si può mettere in dubbio l’anomaia della modalità con cui è
stato organizzato questo incontro del 31 ottobre, confermate sostanzialmente loro malgrado devo
dire a questo punto, sia da aiello che da cuffaro. Questa anomalie vanno sempre tenute presente
nella valutazione delle risultanze processuali in ordine alla valutazione finale ai fini del giudizio
dell’imputato cuffaro per qunto riguarda questo segmento di condotta, quale sia stato cioè il
contenuto dell’incontro.
Per rispondere a questa domanda, atteso che, come abbiamo detto, c’era qualcosa che non
funzionava nella modalità dell’incontro, vediamo se sulla base del materiale probatorio che
abbiamo, si riesca a capire che cosa si sono detti, cuffaro e aiello mentre erano intenti a scegliere i
capi di abbigliamento per la stagione invernale del 2003. 59:09
E allora per rispondere a questa domanda conviene partire dal resoconto che, secondo abitudina,
aiello ha fatto a carcione la sera stessa del 31 ottobre 2003, quando alle 20:14 lo chiama, cioè poco
dopo la conclusione dell’incontro. inutile sottolineare che questa conversazione … sulla nuova rete
riservata quindi siamo proprio al sicuro, cioè quelli sostituiti pochi giorni prima, subito dopo la
prima rivelazione di notizia riservate sulle indagini da aprte di cuffaro, quella del 20 ottobre. Inutile
inoltre sottolineare l’autonomo valore di prova che quaste intercettazione ha ai fini del caso in
esame e vedremo anche che essa è coerente con tutte le altre risultanze processuali. Allora:
Pronto, michele?
Aldo, sei in compagnia?
No, completamente
Ho capito (dice carcione), com’è finita? (perché si sapeva che si dovevano incontrare)
No, era messo a vibracall. Niente praticamente, niente di eccezionale. Praticamente il discorso qual
è: ha fatto un giochetto che sta facendo a giorgio, lui. Eh, poi ti spiego, quel tizio…
Ho capito.
Per il resto lui mi ha assicurato e spergiurato che niente, ma niente di eccezionale. Praticamente
stavano… ma quello che sappiamo noi.
Va bene, d’accordo.
(sempre aiello) Perché è un… diretto, diretto collegamento con roma, e quindi niente riesce ad
avere.

184
Va bene.
Nè più né meno quello che sappiamo.
D’accordo, va bene.
L’interessante è che stavano commentando un po’ questa conversazioni, facendo delle ipotesi, anzi,
quello lo metteva in guardaia e per dire “vedi sti bastardi che stanno combinando”.
Va bene
(e ancora aiello) né la sua, quando si è parlato di quel dipendente, non gli hanno dato molta
importanza, completamente. Però in considerazione di questo dice, vabbè, apritevi gli occhi.
Va bene, d’accordo, va bene, chiaro.
Va bene, d’accordo, va bene, ok, ci sentiamo.
E per le nostre cose ha detto niente?
(seconda parte della stessa conversazione)
no, le tariffe?
No, che la settimana entrante approvano tutto
E poi’
Poi però mi ha detto di accettarle per quelle che sono, non fate completamente ricorso perché fra tre
mesi ancora le cambiamo.

In sostanza da questo resoconto che aiello fa nell’immediatezza a carcione, lasciando per un


momento di lato la parte relativa al tariffario, che cosa risulta, risulta che dall’incontro con cuffaro
non è emerso nulla di eccezionale, che la persona con cui ha parlato cuffaro ha un diretto
collegamento con roma e quindi riesca ad avere informazioni, bisogna logicamente ritenere, ma ch
queste informazioni sono già le stesse che aiello e carcione conoscono: “né più né meno quelo che
sappiamo noi”, “lui mi ha assicurato e spergiurato, ma niente di eccezionale”.
Che cuffaro e il suo interlocutore stanno commentando un po’ “queste conversazioni”, “queste
conversazioni” – bisogna notare il plurale – facendo delle ipotesi, “anzi, quello lo metteva in
guardia e per dire “vedi sti bastardi che stanno combinando”.
Che cuffaro e il suo interlocutore non davano molta importanza alle intercettazioni della telefonata
oramai famosa di almeno 6 mesi prima della raccomandazione per il marito della signora pellerano,
che cufaro, in considerazione di questo, cioè dell’esame complessivo delle preocupazioni espresse,
avevano invitato aiello, dice “và, apritevi gli occhi”, che la situazione appariva loro nel complesso
un pochettino più ridimensionata. A allora in sostanza cuffaro e aiello avevano rifatto il punto sulle
indagini sulla base delle notizie e dei commenti ricevuti dalla regione …. Che costituiva un diretto
collegamento con roma.
Questa condotta integra evidentemente i reati contestati pur se aielo afferma alla fine che il quadro
generale corrispondeva a quello a lui già noto. Ma dalle intercettazioni emerge un’indicazione
ulteriore. Le conversazioni che cuffaro e il suo interlocutore stavano commentando erano più di una
e diverse da quella, sempre ricorrente, dell’ormai famosa raccomandazione che era l’unica che fino
ad allora aveva allarmato, seppur in misura minima, aiello e i suoi complici e proprio da questo
esame e da questo commento era scaturita la sollecitazione: “apritevi gli occhi”.
E allora deve giustificatamente dedursi già da qeusta conversazione del 31 ottobre sera tra aiello e
carcione, che cuffaro aveva rivelato ad aiello l’esistenza di attività di intercettazione diverse da
quella a lui già nota da mesi e in particolare che queste intercettazioni avessero ad oggette ciuro e
riolo, di cui proprio cuffaro aveva rivelato, appena 11 giorni prima, la qualità di indagati. Questa
conslusione trova poi piena conferma dalla dichiarazioni fatte da aiello nel suo esame
dibattimentale. Come al solito, come al solito, aiello nel suo interrogatorio del 7 febbraio 2006 ha
tentato di attenuare la portata di precedenti sue dichiarazioni, con un comportamento processuale
che dovrà in questa sede essere sicuramente e opportunamente valutato. Sta di fatto che
ricostruendo l’incontro presso il negozio di bagheria alla fine ha dovuto confermare la dichiarazione
resa al pubblico ministero e contestatagli nel corso dell’udienza, dichiarazine resa appunto al pm il
6 dicembre del 2003 e che cuffaro “praticamente aveva detto che c’erano delle indagini in corso nei

185
confronti del riolo e del ciuro, notizie che aveva ricevuto da roma però non mi ha precisato da
dove”.
Nel successivo interrogatori pure contestato del 5 gennaio 2004, nel corso dell’esame dibattimentale
aiello ha precsato ulteriormente che cuffaro gli aveva detto che nel corso delle indagini a suo carico
erano state messe in evidenza le telefonate “tra me (aiello) quindi ciuro e rilo”. E dopo avere
ricostruito l’anomale organizzazione dell’incontro nei termini che abbiamo gi accertato, aiello passa
a riferire il contenuto dell’incontro cercando appunto di attenuarne la gravità.
“Il 99,99% si parla del problema del tariffario che sta per uscire, poi alla fine prima di andare via mi
ribadisce il concetto di aprirci gli occhi (sempre alla fina cuffaro dà queste indicazioni, anche a
rotondo mentre stava allontanandosi dalla presidenza della regione gli ricorda che fra gli indagati
c’era “un certo maresciallo riolo”). Qui anche, prima di andare via, lo 0,01% della conversazione,
gli dice di “aprire gli occhi, di stare attenti a parare per telefono perché c’è stata questa famosa
telefonata della signora pellerano, e poi alla fina, ma è stato proprio un flash, dice: vedi comunque
attento anche per qaunto riguarda riolo”.
E il pm gli chiede; gli parla di intercettazioni, di telefonate intercettate tra lei e ciuro e tra lei e
riolo?
E aiello: non mi parla di telefonate, mi parla della telefonata (e abbiamo visto che non è così),
l’unica telefonata di cui si parla, del contenuto è sempre la famosa telefonata di cui abbiamo parlato
già ampiamente anche stamattina, credo 20 venti (perché si è anche stancato di circi che c’è solo
una telefonata, giusto l’ulica che penalmente non significa nulla). Quindi, da indignato anche lui, da
disturbato dalla indagini, come dice cordero, dice: signor presidente, creod 20 volte, però l’unica
praticamente, l’unico flash che manda è sul discorso riolo. Dice: attenzione anche a parlare con
riolo. In questo senso.

E poi a contestazione, anche il 9 dicembre 2004, quando veniva sentito come teste al processo
borzacchelli a proposito del contenuto dell’interrogatorio: “l’incontro, l’oggetto era quelo (aveva
parlato del tariffario) poi si è parlato alla fine mi ha detto: sono state attenzionate delle telefonate
intecorse tra te, il maresciallo ciuro e il maresciallo riolo.
Dunque, in quell’interrogatorio, raccontando quello che gli disse cuffaro il 31 ottobre, ammetta che
sono state attenzionate telefonate intecorse tra aiello, ciuro e riolo. Questa circostanza l’ha ripetuto,
se vuole gliela leggo tante altre volte.
E ancora il pm: io voglio sapere se quello che ha dichiarato nel corso dei numerosi interrogatori
anche in sede di udienza dibattimentale (perché quelle rese nel processo borzacchelli sono
deposizioni ovviamente dibattimentali), cioè che cuffaro le disse personalmente: sono state
intercettate telefonate tra te e ciuro e tra te e riolo, è vero o non è vero (una domanda semplice).
Guardi, è certo che mi ha parlato che il discorso della telefonata pellerano, lì parliamo di telefonate
intercettate, è certo. Per quanto riguarda il discorso del riolo, lui non mi fa riferimento a una
specifica telefonata o a delle telefonate mi ha detto: attenzione anche a riolo, a parlare al telefono
con riolo. Punto e basta.

Punto e basta ci dice aielo. Ora, davanti a tale atteggiamento reticente viene data lettura delle
dichiarazioni rese il 6 dicembre 2003, pag.60 della trascrizione dell’interrogatorio reso nella fase
delle indagini preliminari.
E aiello dice: un’ultima cosa che intendo precisare (perché in questo interrogatorio, poi, è aiello che
introduce il tema, l’interrogatorio era finito o quasi), un’ultima cosa che intendo precisare. Il
presidente della regione mi aveva riferito che c’erano delle indagini in corso nei confronti di ciuro,
notizia che il presidente della regione aveva ricevuto da roma, però non mi aveva precisato da dove.
Viene chiesto in quell’interrogatorio: è un discorso diretto questo?
Discorso diretto, con il presidente della regione.
E il pm: cioè questo il presidente glielo ha detto personalmente?
E aiello: personalmente.

186
Nel corso di tuti i successivi interrogatori ad aiello è stato contestate nell’udienza del 7 febbraio
2006 lo stesso specificato che tali notizie riferite dal presidente della regione cuffaro, sono quelle
ricevute il 21 ottobre da bertini. Ancora gli è stato contestato che il 5 ottobre 2004, precisando
quello che spontaneamente aveva dichiarato il 6 dicembre, disse: io l’altro giorno ho detto che
c’erano praticamente, erano state messe in evidenza queste, che io ero sotto indagine, erano state
messe in evidenza le telefonate tra me ciuro e riolo.
A queste contestazione, all’udienza del 7 febbraio del 2006, cioè in questo processo, nel corso del
suo esame, aiello ha replicato: questa, ma è una.. ma è evidente che è un’inesattezza quella che dico
io, fra l’altro neanche, nenche pigliamolo questo 5 gennaio. E voi eravate coscienti delle mie
condizioni quelle che erano proprio il 5 gennaio perché poi è stato chiarito ampiamente,
ovvaimente. Il presidente mi ha chiesto poco fa un piccolo particolare rigiardanti la telefonata di
ciuro, eventuali telefonate future con riolo. È stato ampiamente chiarito. Ora se dobbiamo tornare
indietro, ritorniamo al 5 gennaio dopo che mi avete fatto, no scusate, voi, uso letteralmente vivo
dieci… dopo che mi avete letteralmente chiuso vivo dieci giorni in una cella senza mangiare, senza
poter respirare, sapete le condizioni in cui mi avete trovate voi e il momento in cu mi avete
interrogato, lì sapevate le mie condizioni pscofisiche in quell’istante per cui non credo che possa
ora oggi una leggerissima sfumatura sfumata e leggera, perché si prla praticamente in buona
sostanza…

E ancora, queta volta rispondendo alla provocazione del presidente del collegio, che gli fa notare le
incongruenze: guardi, il concetto indagato ne abbiamo più volte parlato con i pubblici ministeri e
più volte durante i miei interrogatori, lunghissimi interrogatori (a guantanamo). Ho sempre ribadito
che il presidente non mi ha mai detto, perché infatti è stato più volte apposta fatta la domanda “le ha
mai riferito il presidente che ciuro e riolo erano iscritti nel registro degli indagati? Io ho detto
sempre no, perché a ma non mi ha mai riferito questo il presidente. Poi è ovvio che 8 ore di
interrogatorio, signor presidente, la stanchezza che inevitabilmente c’è, il modo in cui si viene
trattati, manca la lucidità mentale. Sfido io chiunque nelle mie condizioni, però oggi siamo
tornati…
E ancora: la verità? No, no stavo completando dicendo che alla fine, ricostruendo la storia, oggi io
posso dire con estrema tranquillità e lucidità mentale che il 31 ottobre quando ci siamo visti con il
presidente cuffaro al negozio bertini abiamo parlato della problematica riguardante il tariffario
sanità. Abbiamo alla fine parlato brevemente, brevemente accennato della intercettazione della
telefonata tra me e ciuro, mi ha semplicemente come aperto, e come aprite gli occhi, avvertito,
avvisato, il presidente cuffaro, e dirmi attenzione alle telefonate del maresciallo riolo. 1:12:08
Ora naturalmente le dichiarazioni contestate tratte del processo borzacchelli avvengono con aiello
non più detenuto in carcere, chiuso in una cella senza poter respirare senza poter mangiare per 10
giorni, dunque senza nessuna coartazione ipotizzabile perché quando rende le dichirazione al
processo borzacchelli, in pubblico e in esame incrociato, è detenuto agli arresti domiciliari. Lì
poteva respirare quanto voleva e mangiare quanto voleva.
Dunque, le molto opinabili giustificazioni relative all’interrogatorio del gennaio 2004 sono
certamente infondate con riferimento a tale esame pubblico di aiello. E questo gli è stato anche
ricordato nel corso dell’udienza. Dice il pm: perché io la contestazione l’avevo mossa su quello che
lei aveva detto anche al dibattimento borzacchelli. Quindi lei dice che al dibattimento borzacchelli,
dove ha parlato di cuffaro e anche di telefonate intercettate tra lei e riolo, lei in quel momento era
inesatto?
E aiello non ci ha saputo dire da chi cuffaro aveva preso le notizie che gli ha riferito. No no – dice
aielo – abbiamo parlato se abbiamo parlato che tornava da roma il presidente cuffaro, e che era stato
fuori, di fatti poi successivamente mi ricordo che mi è stato posto questo problema. Me lo sono
posto più volte, c’è anche una telefonata tra me e mio cugino sempre, credo il prof. Cacione.

187
Comunque ritorno a questo, ne abbiamo parlato poco fa. Io ho la certezza che lui le abbia potute
apprendere a roma non ce li ho, che ritornava invece da roma è certo.
Infine, nel corso della medesima udienza il pm gli ricorda che il 6 dicembre aiello spontaneamente
aveva detto che voleva aggiungere una cosa e ha letto appunto quello che dice: lei dice, si riferisce
direttamente ad un discorso che il presidente aveva fatto a me alcuni gorni prima, qualche giorno
prima dell’arresto: “ho saputo a roma che ci sono delle indagini, praticamente conversazioni
telefoniche, conversazioni telefoniche tra te il ciuro e riolo. Questo il 6 dicenbre. Lei addirittura su
altri argomenti, addirittura su altri argomenti viene posto a confronto con ciuro.
anche questo incontro è registrato il 6 gennaio 2004. Gliene viene letta una parte del confronto. Il
pm gli chiede: delle telefonate registrate che riguradavano lei, ciuro e riolo - ed a aiello – ne ha
ricordo? Si parlava di notizie che aveva ricevuto da cuffaro
ciuro risponde come risponde non possono essere letto, aiello prende la parola e dice per l’ennesimo
chiarimento:
Dico, confermo per l’ennesima volta, io non ho mai saputo di coloro che erano iscritti nel registro
degli indagati (e questo è quello che afferma anche in dibattimento) e il numero, il numero del
procedimento io non lo sapevo. Io il 31 ottobre ho saputo dall’on. Cuffaro che erano state
attenzionate delle telefonate, che erano già state attenzionate delle telefonate tra me ciuro e riolo e
che eravamo tutti e tre… e ho comunicato loro questa circostanza.
A questo punto il pm legge quanto letto da aiello nella sua qualità di teste assistito il 9 dicembre del
2004, nell’ambito del procedimento a carico di borzacchelli antonio: poi si è parlato, alla fine mi ha
detto che sono state attenzionate delle telefonate intercorse tra te ciuro e riolo.
In quel contesto, nel riferirgli questa notizia delle telefonate intercettate tra lei ciuro e riolo, il
presidente le consiglia qualcosa, le raccomanda qualcosa?
No, di essere prudenti e basta. Mi dice “apritevi gli occhi”.
Quindi anche in questa corcostanza dibattimentale lei ha parlato di notizie di cuffaro circa
telefonate intercettate con ciuro, e ci siamo, oggi lo ha ripetuto e con riolo ne ha parlato dalla prima
all’ultima volta in cui è stato interogato nel corso delle indagini preliminari nel dibattimento
borzacchelli. Lei conferma queste dichiarazioni?
E aiello michele, placidamente: sì, confermo.
E ancora: appieno, queste.
Sì, io li confermo.

Dunque in conclusione aiello, che certamente non è animato dalla volontà di nuocere al presidente
della regione, che anzi ha cercato disperatamente di aiutare con le sue dichiarzioni in dibattimento,
conferma che cuffaro fece con lui il punto delle indagini sulla base di quello che gli risultava da una
sua fonte, ma che nel caso di specie non è stato possibile identificare, ma quanta fatica c’è voluta
per arrivare a questo risultato.
Più in particolare aiello gli conferma che cuffaro gli parlò di intercettazioni anche nei confronti di
ciuro e riolo, non quelle sulla rete riservata rimaste segrete fino all’ultimo a tutte le fonti, alle fonti
romane e alle fonti palermitane, di ciuro, di riolo, di carcione e di aiello, e proprio per questo gli
raccomandò di prestare attenzione. In buona sostanza aiello ammette, e lo abbiamo visto pure molto
faticosamente, quanto avevamo già visto e copreso dalla ocnversazione intercettata tra lui stesso a
carcione alle 20:14 del 31 ottobre. A fronte di queste risultanze processuali, non è credibile la
posizione procesuale di cuffaro che ammette l’incontro, mche ammette che esso avvenne con la
modalità sopra descritta che il suo stesso segretario, che lo stesso vito raso ha dovuto definire
“anomale”, ammette di avere discusso degli altri elementi poi riferiti da aiello a carcione, che si è
avvalso della facoltà di non deporre che la legge gli garantisce, ma nega cuffaro assolutamente di
avere parlato delle indagini che riguardavano ciuro e riolo.
E che l’incontro del 31 ottobre non abbia avuto solo per oggetto i probelmi del tariffario, come
afferma cuffaro, ma anche e forse soprattutto quelli dell’indagine è confermato da un’altra
telefonata tra aiello e carcione sui telefoni dell arete riservata. È domenica 2 novembre e i due

188
tornano a parlare dell’incontro che aiello ha avuto con il presidente il venerdì precedente, appunto
venerdì 31 ottobre. I due si invitano reciprocamente alla prudenza e affermano che le persone con
cui sono in contatto e da cui ricevono notizie e consigli li esortano a non prendere nessuna
iniziativa. A questo punto aiello aggiunge:
Anche perché avevano fatte, erano stati tanto disonorati, avevano fatto… poi mi ha dato conferma
quando mi sono visto con quello.
Eh.
Venerdì sera ancora niente. Pure al ministro erano andati a riferirlo questa cosa che era
importantissima questa operazione che stavano facendo.
Ho capito, ho capito, va bene.

Ora, a prescindere dai riferimenti a rono e al ministro, su cui aiello ha dato spiegazioni risibili e
cuffaro non ha dato spiegazioni, è certo che la persona con cui aiello si è incontrta venerdì sera e
cioè cuffaro, non ha parlato solo del tariffario. E del resto, se torniamo alla conversazione tra aiello
e carcione del 21 ottobre ore 20:14 vi è un altro passaggio certamente estraneo alla questione del
tariffario e che invece ci riporta a una vicenda che abbiamo già accennato, quella del regalo che il
presidente della regione avrebbe dovuto a fare a riolo su richiesta di borzacchelli. All’inizio della
conversazione intercettata infatti, aiello afferma tra l’altro, con sicuro riferimento a borzacchelli:
“no era meso a vibracall etc Praticamente il discorso qual è: ha fatto un giochetto che sta facendo a
giorgio, lui. Eh, poi ti spiego, quel tizio… Hai capito?
Ora di questa parte della converszione aiello informa anche riolo, già al’indomani per telefono. La
conversazione delle 16:59 del 1 novembre 2003, che è una conversazione che sotto questo profilo
abbiamo già letto, dopo riolo manifesta tutte le sue perplessità per questo prestito che gli sarebbe
stato offerto o proposto, non si capisce bene, da borzachelli, e ha il timore che il prestito serva
aoltanto per farlo trovare con questa congrua somma di denaro addosso a un controllo per nulla
occasionale della polizia giudiziaria. Ma non c’è dubbio che poi del prestito discuta ancora di
persona con riolo la sera del 4 novembre, poche ore prima dell’arresto, ricevendolo nei locali della
diagnostica a bagheria ed è appena il caso di ripetere che questa vicend del regalo, al di là della sua
irrisolta ambiguità – un tentativo di truffa di borzcchelli? Una reale volontà di borzacchelli e cufaro
di tener buono riolo, oramai troppo preoccupato per i sospetti che sentiva su di sé per la vicenda
guttadauro o qualcos’altro ancora? – certamente non ha nulla ache fare con il tariffario ed è invece
collegata altrettanto certamente alle rivelazioni di notizie sulle indagini e al ruolo che in esse ha
avuto cuffaro.
E ancora va citata la deposizione di bertini all’udienza del 24 maggio 2005, a conferma del quadro
sia all’incontro del 31 ottobre del 2003 a bagheria tra aiello e cuffaro e vanno citati in odine ai
rapporti tra cuffaro e riolo, in un primo tempo sostanzialmente negati da cuffaro e le ulteriori
deposizioni che già abbiamo ricamato dei testi …., sammartino, bignardelli e ganzer, rispettivamete
udienze del 5 novembre 2005, del 17 maggio 2005 e del 7 giugno 2005. In particolare come
sappiamo il comandante ganzer, comandante della truttura presso cui riolo prestava servizio, ha
escluso ogni ragione istituzionale delle bonifiche operate da riolo presso cuffaro a dimostrazione
pertanto dell’esistenza di un rapporto privatistico e opaco che per lungo tempo ha legato i due.
Infine vanno analizzate le dichiarazioni che ha reso nel corso del suo esame, soprattutto 13 giugno,
ma anche 20 giugno 2006, il cuffaro. Questi ha ammesso, e non poteva fare altro, l’incontro presso
il negozio bertini, ma ha negato il fatto di erato, sostenendo che lui e aiello avrebbero soltanto
discusso del tariffario. Ha negato le anomalie del suo spostamento a bagheria sostenendo che si
inserscono nel suo abituale modo di comportarsi, ha negato di aver fornito informazioni a rotondo,
che dunque si sarebbe inventato tutto, mentre i fatti dimostrano che le informazioni erano tutte
autentiche, ha escluso, altro dato significativo, che riolo per le bonifiche operate presso i suoi uffici
diverse ed in tempi diverse sia stato pagato. E allora qui è legittima la domanda: ma questo perché
le faceva? Più in dettaglio, il 13 giugno 2006 cuffaro ha ammesso l’incontro del 31 ottobre con
michele aiello, ha ammesso di aver incontrato aiello nel negozio bertini, dove usualmente si recava

189
a comprare vestiti per sé e per i figli. Ha ricordato che l’incontro avvenne nel pomeriggio e di aver
parlato con aiello per qualche minuto, di aver parlato non nel retrobottega (ci ha tenuo molto
aprecisare perché non c’è un retrobottega nel negozio bertini) ma apertamente, davanti a tutti, e
bertini conferma l’incontro ma dici appunto di non averne potuto acsoltare il contenuto. Ha
ricordato come presenti nel negozio tante persone, persone che usualmente andavano lì a comprare,
i proprietari, certamente i miei collaboratori: “ricordo che c’era antinoro, che è uno dei miei
collaboratori, che è un’aggiunto alla mia scorta, perché è uno del corpo forestale e poi c’era
certamente pisano può darsi che c’erano altre persone, queste le ricordo anche io. E a proposito del
luogo esatto del negozio dove avvenne il colloquio, cuffaro ha detto: bertini ha un grande salone,
poi c’è un grande salone dove si vende l’abbigliamento per uomo poi accanto un salone dove si
vende l’abbigliamento per ragazzi. Siccome io quel giorno, come si evince anche dalle registrazioni
ho comprato non solo per me ma anche per mio figlio sarò stato nella prima parte del negozio,
comunque in due saloni grandi”. Però anche cuffaro non ha potut indicare le persone che abbiano
ascoltato il colloquio ealla specifica domanda che gli fa il pm: quando lei ha parlato con l’ing.
Aiello i suoi accompagnatori, cioè pisano e antinoro, hanno avuto modo di ascoltare il contenuto del
colloquio che lei ha avuo con l’ingegnere?” la risposta è ststa l’unica risposta che si poteva avere e
cioè “noncredo”.
A proprosito dell’oggetto del colloquio ha spiegato, come abbiamo detto che riguardava il tariffario
regionale ma abbiamo già chiarito che certamente non solo del tariffario si parlò come hannodetto
intercettati aiello e carcione, e ci è stato detto anche che era stata l’ultima volta che ebbe a
incontrare aiello e ha cercato di spiegare l’anomalia dell’incontro. ma per forza doveva essere
l’ultima volta visto che il 5 novembre aiello veniva arrestato.
Infine alla specifica domanda sul punto, su cosa si erano detti proprio in occasione dell’incontro del
31 ottobre sul tema del tariffario ha risposto: “esattamente quello che ho detto, presidente, ho detto
all’ing. Aiello che mi stavo occupando personalmente della vicenda, d’altronde lui lo sapeva perché
c’erano stati degli incontri intercorsi anche con l’on. Dina che essendo un esperto di sanità, anche
lui un ispettore sanitario, conosceva il problema”.
Dunque solo di tariffe si sarebbe parlato, inserimento delle voci e delle prestazioni del tariffario, e
neppure del quantum dei rimborsi. Ha poi decisamente negato appunto che in occasione
dell’incontro del 31 ottobre possa aver fornito informazioni sull’esistenza di indagini nei confronti
del marescialo ciuro e del maresciallo riolo in particolare di non poter riferire una cosa che non
sapeva.
Gli è stata contestata la conversazionedel 31 ottobre 2003 che ho già letto, quella in cui lo stesso
cuffaro si raccomanda con vito raso: “spero che tu l’abbia fatto venire” peressere certo che non ci
sono stte conversazioni telefoniche riferite all’appuntamento aiello/cuffaro riferendosi a rotondo, e
ha detto di non avere ricordo di questa conversazione. Ci ha detto che la conversazione (perché poi
ha tentato di ricordare) non si riferiva all’incontro di bagheria, e in questo smentito oviamente da
tutte le altre conversazioni citate, quindi ennesima menzogna che abbiamo raccolto dall’imputato
cuffaro, e naturalemnet quando ci ha detto che non si riferiva questa conversazione all’incontro con
aiello non ci ha saputo però dire qual era il tema di questa conversazione.
Ha ammesso, perché non poteva fare altrimenti, di avere deciso lui di non chiamare la scorta per
quell’incontro e ha detto di aver ordinato ad antinoro di liberare la scorta e ha spiegato che non ci è
stato un motivo particolare perché quel giorno non si era fatto accompagnare dalla scorta, era la
necessità di ritagliarsi uno spazio intimo.
A poposito dei suoi rapporti diretti con roberto rotondo, cha ha in via generale ammesso indicando
rotondo quale uomo di fiducia di aiello, ha anche ammesso in buona sostanza di averlo incontrato il
20 ottobre, ma anche in quel caso naturalmente ha ricondotto l’incontro alla sola vicenda del
tariffario. Ha escluso appunto di aver utilizzato come tramite rotondo nei confronti di aielo per
avvisarlo delle attività di indagine che rigurdabano lui e i marescialli ciuro e riolo: “non posso
averlo utilizzato perché riferisse notizie che non ho mai saputo e che non potevo sapere”. E ha
negato anche di essere stato a conoscenza del fatto che era stata intercettata la telefonata che

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riguardava il marito della segretaria del dottore lo forte, la signora pellerano. Ha escluso in ogni
caso di aver parlato a rotondo di tale telefonata ma abbiamo già osservato la non corrispondenza al
vero della risposta di cuffaro su questo tema, così come parlando di un altro importante tema e cioè
quelo dei rapporti con domenico miceli ha escluso di aver fornito le informazioni che portavano alla
scoperta della microspia a casa guttadauro e a proposito dei suoi rapporti col maresciallo riolo ha
escluso, contraddicendo lo stesso riolo, di avere mai avuto occasione di parlare, anche dopo aver
appreso la notizia dell’attività di intercettazione nei confronti di guttadauro, di tale vicenda, in
particolare ha riferito di non ricordare dell’incontro con riolo e borzacchelli davanti alla prefettura
di palermo pochi giorni dopo l’elezioni regionali del 2001.
Ha escluso che riolo gli abbia mai prospettato richieste di denaro, benefici di tipo economico, regali
- il famoso prestito di cui invece vi è traccia, lo sappiamo, nelle intercettazioni del 1 novembre di
aiello e di cui pure parlano nel corso delle loro deposizioni si aiello che riolo - e ha escluso
richieste nell’interesse di riolo anche da aperte di borzacchelli e aiello.
Ha negato qunto ci ha riferito riolo a proposito della richiesta di informazioni sul possibili indagini
nei suoi confronti formulate in occasine del natale del 2001, e ha escluso di aver mai avuto con riolo
motivi di astio, di dissidio, di inimicizia. Non ha potuto negare la sua conoscenza diretta di giuseppe
guttadauro, perché anche questo gli è stato chiesto, ha detto cuffaro: “di averlo visto una volta
certamente quando, se ricordo bene, in qualche anno mio figlio ebbe un incidente perché fu
investito da una macchina, un brutto incidente. Io mi recai lì, lì c’era il dottore guttadauro che allora
era in servizio che gli prestava i primi soccorsi, credo di averlo visto lì ma non ricordo neanche di
averlo salutato. Scopro dopo, per ovvi motivi, che si era preoccupato delle sorti di mio figli, poi
adesso collegando tuti gli atti non è escluso, anzi è probabile che io lo abbi incontrato un’altra sola
volta al matrimonio del dottor aragona, ma ci saranno state centinaia di persone… sarò stato lì al
mtrimonio e probabilmente ci saremo stretti la mano, ma nessun rapporto, nessun tipo ho mai avuto
di rapporto con dottore guttadauro.
Ha ammesso però di aver avuto conoscenza a suo tempo delle vicende processuali del dottore
guttadauro. “che fossero reati di mafia lo ricordo, quale fosse la sentenza nello specifico no. So che
era stato condannato, ma a che coa non lo so. Non all’ergastolo, evidentemente, se poi è uscito”.
Ha ammesso la conoscenza della signora greco, la moglie di guttadauro: “l’ho incontrata in
aeroporto una volta che ero andato con la mia famiglia ad accopagnare i miei figli a gardaland, l’ho
incontrata in aeroporto, in attesa che recuperassimi entrambi i bagagli. Credo che fosse con suo
figlio, credo. È “l’incontro con totò” di cui ci ha parlato aragona.
E poi ha ammesso di conoscere vincenzo greco e neppure questo poteva negarlo evidentemente, e
ha ammesso la conoscenza di aragona sin dai tempi dell’università, con una presentazione fattagli
proprio da miceli e cuffaro ha ammesso soprattutto di conoscere l’esistenza dei rapporti tra aragona,
miceli e giusppe guttadauro, di conoscerli e di collocarli nel tempo del 2001 in cui si verifica la
prima delle fughe di notizie di cui abbiamo parlato questa mattina, “Sia il dottore aragona sia il
dottore miceli in qualche modo erano stati allivi del dottore guttadauro”, ha spiegato il perché di
queste conoscenze e ha pacificamente ammesso gli incontri avvenuti durante la campagna elettorale
del 2001 con salvatore aragona, e ovviamente con miceli, incontri per parlare solo di iniziative
imprenditoriali e ha anche ammesso di sapere che il dottore miceli ogni tanto frequentava il dottore
guttadauro “e mi disse anche per motivi umanitari, nel senso che riteneva che essendo stato il suo
maestro di chirurgia, questo glielo dovesse. Che aragona frequentasse guttadauro, che insieme
frequentassero guttadauro nella sua casa, invece non lo sapevo. A proposito dell’intenzione invece
dell’avvocato priolo di candidarlo per le elezioni del 2001, ha riferito dei saluti che priola gli aveva
portato da parte di guttadauro, ha ammeso di averne parlao con miceli che, ricordiamolo, sapeva
essere in contatto di frequentazione con guttadauro.
A proposito del rapporto con borzacchelli ha ammesso di sapere che si occupava di indagini sulla
pubblica aministrazione, ma solo questo, cuffaro lo frequentava nel momento in cui borzacchelli si
occupava di indagini sulla pubblica amministrazione e gli forniva consigli sugli eventuali rischi di
intercettazione.

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Alla domanda circa la direzione dalla quale sarebbero arrivati i rischi delle intercettazioni che
borzacchelli gli paventava: “questo non lo so. Io non ci ho mai creduto che ci fossero delle reali
bonifiche nei miei uffici (che però si faceva fare), lo sempre considerata una sceneggiata di
controllo di bonifica, non ci ho mai creduto. Non pensavo minimamente che si potesse intercettare
nei miei uffici e a csa mia perché non ce n’era motivo. 1:33:06
E poi: senta, in questa cicostanza delle bonifiche effettuate presso la sua abitazione o preso la sua
istituzione – gli viene chiesto nel corso dell’esame – lei perché non ne ha parlato nel precedente
interrogatorio del 9 febbraio 2003?
Risposta: perché nessuno me lo ha chiesto.
Ancora gli è stato chiesto, a proposito dell’episodio zanghì/caputo, rispetta al quale la risposta è
stata “salvino caputo perché nel disorientamento del mio avvso di garanzia avevo subito chiamato
l’avvocato gallina che è un abituale a casa mia, poi stavo cercando di trovare un altro avvocato, mi
venne in mente caputo perché era persona che conoscevo essenso stato parlamentare, poi lui non ha
ritenuto, insieme non abbiamo ritenuto che lui facesse l’avvocato poi ho avuto la fortuna di
ricordarmi che avevo un amico, l’avvocato caleca e mi sono… ho chiesto a lui”.
E racconta l’episodio: è venuto a casa mie e gli ho chiesto di venire – caputo dice – e ne abbiamo
parlato, ma io non ho mai chiesto in quei giorni all’avvocato, onorevole avvocato caputo di
interferire nei confronti di zanghì, primo perché non sapevo che zanghì e caputo si conoscessero,
secondo perché non sapevo che aragona stesse dicendo delle cose di me, anzi per la verità ha
cominciato a dirle molto dopo” . Qui sposta tempi e termini di una questione che è diversa.
Poi ancora il 20 giugno 2006, nel corso della prosecuzione del suo esame ha riferito dei rapporti con
campanella, francesco campanella ammettado di averacquistato da lui che, come sapiamo, aveva un
negozio di telefonio, numerosi cellulari e schede telefoniche e ha anche detto che difficilmente era
lui a usare quelle utenze. Tra quelle utenze ve nìè una riconducibile… o meglio, tra le utenze di
campanella in uso a cuffaro ve n’è una che contatta un telefono del sisde a palermo. I contatti con i
Servizi, sostanzialmente, con il telefono del sisde cuffaro li giustifica come rapporti personali di
amicizia con un funzionario del Servizio del quale però non abbiamo mai avuto la compiuta e
completa identificazione.
Ha ricostruito il rapporto con fracesco campanella definendolo molto stretto anche sul piano
personale sino al 2003. Ci ha spiegato soprattutto: “nel 2000 il mio rapporto comicia
volontariamente a essere più lento, nel senso che comincio sempre di più di non frequentare
campanella, per tutta una serie di voci che mi arrivano da villabbate di frequentazioni, soprattutto
intorno al 2003, che faceva campanella e che io non condividevo. Sapevo che campanella villabbate
la famiglia mandalà, che campanella era in rapporti con questa famiglia mandalà che era meglio
evitare di frequentarla, perché aveva saputo che la famiglia mandalà aveva avuto dei problemi
giudiziari e che quindi, siccome era diventato palese questo rapporto con campanella, loro mi
sconsigliavano di continuare a frequentarlo”.
Dunque campanella va allontanato per i rapporti con mandalà, miceli rimane un grande amico
nonostante i rapporti e le frequentazioni con guttadauro e aragona e uindi anche qui cuffaro utilizza
due pesi e due misure evidentemente.
Ha smentito l’episodio del ficus, ci ha detto dei suoi rapporti con carlo bruno, ha ricordato a suo
modo l’episodio che analizzeremo nel proseguio della discussione della sua visita da angelo siino.
Dunque anche l’analisi dell’interrogatorio di cuffaro dimostra ancora una volta la sua
responsabilità, non ci sono giustificazioni plausibili delle contestazioni a lui mosse, sia quelle in
fatto già mosse sia quelle che ancora si devono argomentare a proposito della sua capacità di … e di
volere il contributo anche all’organizzazione mafiosa cosa nostra oltre che a guttadauro nel
momento i cui mette a disposizione di miceli la notizia dell’esistenz delle microspie da guttadauro
ricevuta da borzacchelli. Sul punto peraltro abbiamo un ulteriore dato fattuale acquisito attraverso
questo interrogatorio, cioè egli non solo ammette di conoscere l’attualità dei rapporti tra miceli e
guttadauro all’epoca delle scoperte, ma anche di avere conosciuto i problemi processuali, le
indagini e i processi di guttadauro e di aragona per fatti di mafia.

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Palermo, 10 ottobre 2007,
Sesta giornata requisitoria Processo Aiello - Cuffaro e altri (talpe alla Dda)

Pm, De Lucia
Sono stati contestati a cuffaro, in concorso formale con i delitti di favoreggiamento, anche i due
delitti di cui all’art. 326 del c.p. sul presupposto che le due condotte sulle quali ci siamo ritengo
ampiamente soffermati ieri integrino anche queste fattispecie di reato. Nell’ipotesi relativa poi alla
prima delle fughe di notizie contestate, quelle relative alla vicenda cosidetta guttadauro, anche il
delitto di rivelazione di segreto di ufficio è aggravato dalla circostanza di cui all’art. 7 della legge
203 del 1991. Ora, abbiamo già ricostruito le risultanze processuali e abbiamo già visto come per
entrambe le vicende, guttadauro e aiello, salvatore cuffaro abbia rivelato ad altri - miceli, rotondo,
aiello - notizie segrete delle indagini.

Deve ora essere affrontata la questione in diritto, già oggetto peraltro di una approfondita decisione
della corte di appello di palermo a seguito di impugnazione proposta da questo ufficio, e cioè se sia
configurabile a carico di cuffaro il reato di cui all’art. 326 del c.p. in concorso con un pubblico
ufficiale che violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua
qualità, abbia rivelato notizie di ufficio che debbano rimanere segrete, così la lettera del primo
comma dell’art. 326 del c.p. 3:46
Prima di prendere in esame sotto questo profilo specifico le singole condotte contestate a cuffaro, è
opportuno allora ricordare quali sono i principi fissati dalla giurisprudenza della suprema corte in
tema di responsabilità dell’extraneus che concorre con il pubblico ufficiale. Com’è noto la corte di
cassazione ha escluso che possa costituire il reato di cui all’art. 326 la condotta di chi si limita a
ricevere notizie, ma ha pure precisato che la condotta del partecipe si sottrae ad ogni tentativo di
tipizzazione e può perciò discostarsi dalle categorie tipiche dell’induzione o istigazione per
manifestarsi sotto ogni forma di partecipazione anche meramente psichica, capace di suscitare
nell’intraneo ??? 4:37 il proposito criminoso o di rafforzare il proposito già esistente. In questo
senso rimangono fondamentali i principi dettati dalle sezioni unite con la sentenza del 28 novembre
dell’81 nel caso Isman e altri. La corte ha esattamente qualificato tale reato come una fattispecie
plurisoggettiva anomala con riguardo alla imprescindibile correlazione soggettiva che lega la
condotta di rivelazione a colui che riceve la notizia e alla previsione normativa della punizione
esclusivamente nei confroni dell’autore della rivelazione. Altrettanto esattamente la corte ha negato
che il mero recettore della notizia possa essere punito, vietandolo il principio di legalità. Ha
affermato tuttavia che è ammissibile, in base all’ordinaria disciplina del concorso di persona nel
reato, la partecipazione eventuale anche da parte del destinatario della rivelazione, normalmente
non punibile. Anche questa proposizione deve essere condivisa, dice appunto la sentenza delle
sezioni unite che sto citando. L’impunità del soggetto che riceve la notizia è collegata al rispetto dei
limiti entro i quali si realizza la condotta enunciata nella fattispecie, vale a dire il mero ricevimento
della notizia, che è elemento necessario della condotta di rivelazione. Ma quando il soggetto
destinatario non a questo si sia limitato, ma abbia ottenuto la rivelazione mediante lo svolgimento di
un’attività ulteriore, che eccede dalla descrizione del modello legale, non esistono ragioni per
negarne la punibilità secondo la disciplina del consorso eventuale esterno ??? 6:10 sia per la
funzione complementare dell’art. 110 rispetto al principio di legalità, sia perché in tal caso il
contributo del destinatario della notizia e della realizzazione della fattispecie non è quello
espressamente tipizzato dalla norma incriminatrice.
Dopo aver allora sottolineato la differenza della fattispecie di cui all’art. 326 da quella di cui agli
art. 261 e 262 del c.p., la suprema corte ha esaminato criticamente le sentenze di appello… […]

Sulla base allora di questi principi generali bisogna chiedersi per ognuna delle condotte contestate a
cuffaro se egli abbia ricevuto le notizie che ha poi rivelato da un pubblico ufficiale che abbia agito

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in violazione dell’art. 326 del c.p. e se si possa affermare la sussistenza di un concorso sotto il
profilo dell’induzione o dell’istigazione o più genericamente dell’accordo come sopra delineato.
Ora per quanto riguarda la prima delle condotte contestate a cuffaro, quella relativa alla vicenda
guttadauro, che abbiamo limitato alla sola fase che ha portato tra il 12 e il 15 giugno al ritrovamento
delle microspie a casa di guttadauro, la fonte del cuffaro è il maresciallo antonio borzacchelli, e
come in parte abbiamo già visto il compendio probatorio acquisito attesta l’esistenza di un preciso
accordo tra l’imputato e borzacchelli, imputato dello stesso reato in altro procedimento, finalizzato
appunto alla rivelazione di notizie coperte dal segreto investigativo. All’epoca borzacchelli era
infatti maresciallo dell’arma dei carabinieri, in servizio al reparto operativo di palermo dei
carabinieri, fino all’elezione a deputato regionale e in aspettativa dopo tale data. Egli era pertanto,
per tutto il periodo che qui interessa, un pubblico ufficiale tenuto conseguentemente al segreto
d’ufficio.
[…]

Così precisate le premesse giuridiche, diventa allora essenziale ai fini della decisione la valutazione
in ordine all’emergere dagli atti processuali della prova di un concorso ai sensi del’art. 110 del c.p.
nella rivelazione delle notizie segrete fra borzacchelli e cuffaro che le ha poi a sua volta rivelate.
Il primo dato fondamentale è costituito dal fatto che da tutto il processo emerge come tra
borzacchelli e cuffaro vi è un collegamento sistematico e costante, non limitato affatto alla fuga di
notizie guttadauro, ma che investe i loro rapporti sul piano politico e si estende poi anche alla
vicenda aiello, cosicchè è assolutamente da escludere sul piano logico che il primo possa avere in
più occasioni dato al secondo notizie segrete senza una specifica comunanza di intenti come tale
riassumibile appunto nello schema del concorso indicato dalla corte di cassazione. Non si può non
prendere in considerazione infatti la circostanza che borzacchelli nel giugno del 2001 si candida
all’elezioni regionali con una lista, il biancofiore, collegata alla candidatura a presidente delle
regione di cuffaro e anzi in buona sostanza diretta emanazione di quest’ultimo. È appena il caso di
ricordare che una candidatura del genere non matura all’ultimo minuto e del resto lo stesso cuffaro,
come pure aiello, per la sua parte, hanno dichiarato che il rapporto tra il politico e il maresciallo dei
carabinieri era risalente nel tempo ed è continuato dopo l’elezione, dato che borzacchelli è poi
confluito dalla lista del biancofiore allo stesso gruppo parlamentare di cuffaro, l’udc, e la moglie di
borzacchelli è stata assunta quale funzionaria nel gruppo parlamentare dell’udc all’assemblea
regionale siciliana.
Ma sul punto specifico della candidatura di borzacchelli il processo ci offre un elemento di
valutazione ancora più significativo. Sono le dichiarazioni che abbiamo citato anche ieri di
francesco campanella sul caso acanto. Come si è già detto appunto, e quindi non torniamo in
dettaglio su questo tema, va però ricordato che l’elezione di borzacchelli era per cuffaro una
questione essenziale cui condizionare tutte le altre problematiche della lista del biancofiore e questo
perché, come esplicitamente ci ha detto campanella, borzacchelli lo proteggeva dalle indagini.
È quindi allora evidente che la candidatura di borzacchelli aveva per cuffaro una logica e uno scopo
ben precisi e non si giustificava certamente con il pacchetto di voti di cui il sottoufficiale poteva
disporre, peraltro modesto come risulta dalle dichiarazioni dello stesso cuffaro.
Del resto ancora emerge con chiarezza da tutte le conversazioni intercettate a casa di guttadauro,
dalle dichiarazioni di campanella, da quelle dello stesso cuffaro, che decisiva per l’elezione nella
lista del biancofiore sarebbe stato appunto il sostegno fornito dallo stesso cuffaro.
E per altro verso il rapporto borzacchelli/cuffaro non si è affatto esaurito nei concitati giorni del
giugno del 2001. Si è già visto, e basta quindi qui un accenno, che è stato proprio borzacchelli a
incaricare riolo per effettuare dal 1999, sia prima che dopo l’elezione di cuffaro alla presidenza
della regione, delle operazioni di bonifica nell’abitazione e nell’ufficio dell’uomo politico. Ma
anche dopo l’elezione del 24 giugno del 2001, durante l’incontro con riolo davanti alla prefettura di
palermo, che trova una conferma seppur indiretta nelle risultanze dei dati di traffico telefonico di
riolo, e allora, durante questo incontro borzacchelli e cuffaro gli parlano insieme delle microspie,

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confermando esplicitamente che borzacchelli aveva dato a cuffaro informazioni sull’attività di
intercettazione nei confronti del capomandamento di brancaccio, il guttadauro. Così riolo il 15
marzo 2006, nel corso del suo esame:
pm: ha insistito chiedendo che cosa? O è stato lei a chiedere di incontrare cuffaro? Borzacchelli a
dirgli ti faccio incontrare cuffaro?
E riolo: no, lui (il borzacchelli, evidentemente) vedendo la mia insistenza mi disse: ti faccio parlare
anche col presidente, vedi che glielo puoi chiedere direttamente a lui. E io come uno stupido ho
pure chiamato, cioè, per cercare di parlare col presidente. Non so che cosa gli diceva la testa in quel
momento, e borzacchelli mi procurò un appuntamento davanti, cioè non mi procurò, non è stato…
mi chiamò per telefono e dice: guarda, sto col presidente in via, non ricordo come si chiama quella
via di fronte, proprio davanti alla prefettura.
Era già presidente della regione?
Già era.
Cuffaro?
Presidente. Perché lo salutavamo tutti quanti come “presidente”, quindi era già.
Davanti alla prefettura?
Sì, sì.
In via cavour?
Sì, in via cavour.
Allora lei, quindi borzacchelli la chiama e dice: sono qui col presidente, vieni. Giusto?
Sì.
Lei va, ha modo di vedere il presidente?
Sì. C’era come al solito un drappello, tante persone, c’erano tante persone. Poi ad un tratto
borzacchelli prende il presidente, gli ha detto una qualcosa all’orecchio e ci siamo spostati un po’
lontano da tutto quel gruppo di persone.
Gli ha detto qualcosa all’orecchio del presidente?
Sì, l’ha invitato, insomma.
Ma lei non sa cosa ha detto all’orecchio?
No, non lo sentii. Mi mantenevo distante.
No, io voglio sapere se lei ha parlato al presidente, che cosa ha detto al presidente, che cosa il
presidente le ha detto.
E allora, il presidente quando si è spostato dal gruppo – dice riolo – mi ha detto: ma che diavolo gli
stai dicendo? borzacchelli mi ha detto una situazione che pensi che io abbia parlato con qualcuno, e
mi assicurò che lui non aveva mai parlato e non sapeva neanche, non aveva mai saputo fino a quel
momento la situazione delle microspie di guttadauro.

Quindi, anche in questa occasione borzacchelli e cuffaro erano inseme e quello che rileva non è
tanto il fatto che cuffaro neghi di avere riferito a terzi dell’esistenza della microspia nel frattempo
ritrovata da guttadauro, ma l’esplicita ammissione alla presenza di riolo, maresciallo dell’arma dei
carabinieri, delle informazioni date da borzacchelli a cuffaro sull’attività di intercettazione nei
confronti del capomandamento di brancaccio. Anche questo fatto sarebbe assolutamente
incomprensibile se si colloca al di fuori di un consolidato e permanente rapporto tra gli imputati
tanto più se si considera che nel frattempo cuffaro era stato eletto alla presidenza della regione ed
era così diventato la massima autorità politica in sicilia.
In sostanza l’analisi dei rapporti intercorsi tra cuffaro e borzacchelli nella fase cruciale dei primi
mesi del 2001 dimostra che tutto il comportamento dell’uomo politico ha concorso a determinare, o
quanto meno a rafforzare, la volontà di borzacchelli di rivelargli in maniera sistematica, in
violazione dei suoi doveri con abuso della qualità, notizie segrete sulle indagini che poi entrambi, a
volte congiuntamente, a volte separatamente l’uno dall’altro, rivelavano alle persone stesse oggetto
di indagini.

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Questo convincimento è rafforzato da ulteriori circostanze che emergono dal dibattimento. Lo
stesso riolo ha riferito che cuffaro continuò dopo il luglio del 2001 a rivolgersi a lui per avere
notizie sulle inchieste in corso nei suoi confronti, tanto che egli in occasione dell’incontro del natale
2001, presso gli uffici della presidenza della regione, ebbe a rassicurarlo, su sua richiesta, sulle
indagini che lo riguardavano direttamente.
Risulta quindi chiaro che l’atteggiamento di cuffaro nei suoi rapporti con questi, nei suoi rapporti
certamente anomali con questi sottoufficiali dell’arma dei carabinieri, non era affatto quello del
mero recettore delle notizie, e va tenuto conto che i rapporti di cuffaro con riolo non avevano
certamente lo stesso spessore, la stessa intensità di quelli da tempo intrattenuti, anche per sua stessa
ammissione, con borzacchelli.
In questo stesso senso depone sia pur indirettamente, la circostanza che è stata già oggetto di analisi
del regalo che borzacchelli nell’ottobre 2003 voleva far ottenere a riolo da parte di cuffaro. Anche
questa circostanza infatti conferma, seppure ex post, l’esistenza di rapporti tra borzacchelli e cuffaro
che rendono ben poco plausibile la tesi che quest’ultimo possa esser stato il mero ricettore passivo
delle notizie, notizie di estrema gravità ed importanza, come pure abbiamo visto, sistematicamente
e reiteratamente rivelategli da borzacchelli.
E allo stesso 2003 risale un’altra circostanza rivelatrice di questo rapporto tra il presidente della
regione e l’ex maresciallo dei carabinieri divenuto deputato regionale, perché il riferimento è
all’episodio del cosiddetto colloquio sotto il ficus tra cuffaro e campanella che qui rivela non per le
informazioni in sé, che noi abbiamo ritenuto non potessero formare oggetto di autonoma
contestazione atteso il loro carattere generico e impreciso, non potenti in effetti essere riconducibili
in termini di certezza all’attività svolta dai carabinieri che portò allo scioglimento del consiglio
comunale di villabbate, ma appunto perché invece è dimostrativo del peculiare e continuativo
rapporto fra borzacchelli e cuffaro. 22:10
E un’ultima conferma alla tesi fin qui sostenuta deriva anche dalle risultanze processuali relative
alla vicenda aiello. Una parte almeno delle informazioni in possesso di cuffaro, quelle cioè relative
all’intercettazione della telefonata che ha ad oggetto il marito della dipendente della procura
pellerano, e più in generale sull’esistenza di indagini a carico di aiello, provengono, o quantomeno
provengono anche, da borzacchelli. In questo senso vi sono precise e reiterate intercettazioni
relative ad aiello, alcune sulla rete riservata. Basti pensare al fatto che borzacchelli disse ad aiello di
non andare a trovare, come era solito fare, il presidente della regione perché questi era terrorizzato
per le notizie che lo stesso borzacchelli gli aveva dato. È l’intercettazione aiello/ciuro del 26
settembre 2003 ore 14:05. Siamo oramai all’autunno del 2003 ed è evidentemente ancora valido
l’accordo di cui abbiamo fino a questo momento parlato.
In conclusione, la sistematicità e la durata nel tempo del rapporto borzacchelli/cuffaro, sia nel suo
carattere più generale personale e politico, sia in quello specifico della trasmissione di informazioni
è la migliore conferma dell’accordo, nel senso richiesto dalla corte di cassazione, per l’affermazione
della responsabilità dell’extraneus nel reato di cui all’art. 326, dato che è del tutto illogico pensare
che, in assenza di una specifica e sempre confermata comunanza di intenti, borzacchelli avrebbe
iniziato prima e continuato poi, in violazione dei suoi più elementari doveri di ufficio, a dare notizie
segrete a volte di eccezionale importanza a cuffaro, a sua volta diventato la più alta carica
istituzionale della regione.

Per quanto rigurda invece la vicenda aiello, la contestazione del reato di cui all’art. 326 mossa a
cuffaro ha ad oggetto le rivelazioni da lui fatte il 20 ottobre a roberto rotondo e il 31 ottobre 2003
direttamente a michele aiello. Si tratta di rivelazioni di estrema gravità anche in questo caso, la
prima per oggetto all’iscrizione nel registro degli indagati ???? l’esistenza di un procedimento a
carico di ciuro e riolo, oltre che dello stesso aiello, circostanza questa già nota da tempo a tutti gli
interessati compreso cuffaro; la seconda invece ha per oggetto come si è visto l’andamento generale
delle indagini, in particolarell’esistenza di attività di intercettazione telefonica nei confronti dei due
sottoufficiali, specificamente del riolo, anche se va sempre ricordato che tali rivelazioni non

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riguardano le intercettazioni sulla rete riservata, che sono rimaste segrete e assolutamente non
sospettate fino al giorno dell’arresto. Gli elementi acquisiti agli atti non consentono, come si è già
visto, di individuare in questo caso la fonte di cuffaro. Di nessuna utilità sono le dichiarazioni sul
punto di aiello e ovviamente dello stesso cuffaro, e insufficienti sono anche a questo proposito le
indicazioni che provengono dalle intercettazioni telefoniche.
La mancata identificazione della fonte di cuffaro non è di per sé ostativa all’affermazione di
responsabilità di quest’ultimo a titolo di concorso nel reato di cui all’art. 326 del c.p. a lui
contestato, e infatti la corte di cassazione ha precisato che se pur è vero che ai fini della sussistenza
del reato di cui all’art. 326 del c.p. non è richiesta l’individuazione del pubblico ufficiale o
dell’incaricato del pubblico servizio rivelatore delle notizie segrete, è anche vero che le dette
informazioni devono comunque riferirsi a un soggetto di cui sia con certezza accertata tale qualità.
Tale prova naturalmente può anche essere solo indiziaria, ed è anzi difficile pensare a un tipo di
prova diverso se si ammette che possa essere sconosciuta l’identità di colui che rivela le notizie. Nel
caso di specie, non può che essersi trattato di un pubblico ufficiale, dato che l’esistenza delle
indagini su ciuro e riolo, per il loro carattere di eccezionale delicatezza, era nota a un ristretto
numero di persone certamente aventi tale qualità, e peraltro va rilevato che quelle direttamente
coinvolte presso questa procura e presso l’arma dei carbinieri sulle indagini erano al corrente anche
delle intercettazioni sulla rete riservata che non furono invece portate a conoscenza né di cuffaro né
degli altri indagati.
Quanto poi al fatto che anche in questo caso cuffaro non sia stato mero ricettore della notizia, ma
abbia invece concorso con il pubblico ufficiale non identificato, istigandolo anzi a fornire ulteriori
elementi di informazione e di riflessione, si deduce sulla base di una serie di elementi convergenti
che costituiscono una convincente prova logica, ammessa come si è già visto dalla giurisprudenza
della cassazione in questa specifica materia.
Innanzitutto bisogna avere presente il quadro generale della vicenda, con i rapporti intensi e
prolungati nel tempo aiello/cuffaro ammessi dagli stessi imputati.
Con la particolare situazione di cuffaro, all’epoca indagato e già interrogato per il reato di cui agli
art. 110 e 416 bis del c.p., interrogatorio del 1 luglio del 2003, e quindi preoccupato di ogni
eventuale rapporto pericoloso e alla ricerca di informazioni sulla situazione propria e di coloro con
cui veniva in contatto. Ben consapevole peraltro, perché da tempo informato da borzacchelli, delle
indagini a carico di aiello con il quale aveva infatti smesso di incontrarsi.
In questo quadro generale devono essere poi considerati gli elementi che emergono dal
dibattimento.
A proposito della prima rivelazione quella del 20 ottobre, è certo che cuffaro era appena tornato da
un breve viaggio durante il quale era stato anche a roma, ma roberto rotondo ha affermato che il
presidente non gli disse di aver avuto le sue informazioni a roma, ma semplicemente che stava
tornando da roma. Più significativo è il dato che emerge con riferimento alla seconda
intercettazione quella del 31 ottobre 2003 e della successiva telefonata intercettata alle 20:14 con
cui aiello fa al cugino e socio carcione il resoconto dell’incontro avuto con il presidente. La
telefonata è già stata oggetto di analisi ed è quindi sufficiente qui richiamare i passaggi essenziali
per il tema che interessa: “è in diretta, un diritto collegamento con roma e quindi niente, riesce ad
avere… che stavano commentando un po’ queste conversazioni, facendo delle ipotesi, anzi, quello
lo metteva in guardia per dire “vidi sti bastardi che stanno combinando”. Quando si è parlato di quel
dipendente gli hanno dato molta importanza concretamente. Poi in considerazione di questo dice
vabbene, apritevi gli occhi”.
Ora pure nell’estrema prudenza di aiello, appare evidente che l’interlocutore di cuffaro non era
certo semplicemente un impiegato infedele che avesse orecchiato qualcosa dietro una porta o
raccolto un foglio di carta dimenticato fuori posto, e risulta altresì evidente che il presidente della
regione non si era affatto limitato a ricevere passivamente notizie. Infatti l’interlocutore di cuffaro è
una persona che ha un diretto collegmento con roma, che fa con l’imputato il quadro generale delle
indagini, che ha preso in esame le singole conversazioni tra cui quella, oramai nota, relativa al

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marito della signora pellerano, che interessa direttamente il presidente della regione, e che infine
formula l’invito alla prudenza che cuffaro a sua volta gira ad aiello: apritevi gli occhi.
Dunque cuffaro ha avuto con il suo informatore una lunga ed articolata conversazione durante la
quale ha appreso anche dell’esistenza delle intercettazioni a carico di riolo, come ha riferio aiello
pur tra mille esitazioni e dopo molte contestazioni, e ha appreso anche di iniziative assunte da
qualcuno presso il ministro ed aventi ad oggetto le indagini su aiello. Di quest’ultima circostanza
che emerge come sappiamo dalle telefonate intercorse tra aiello e carcione anche il successivo 2
novembre, non è stato possibile per la reticenza degli imputati chiarire in alcun modo i termini e il
significato, ma non vi è dubbio che anch’essa concorre insieme a tutte le altre di cui si è parlato a
dipingere la figura di cuffaro non come quella di un mero ricettore di notizie, ma come di colui che
queste notizie cerca e riesce a procurarsi, discutendole e approfondendole nei dettagli e che poi si
premura di rilevare con mille cautele e precauzione agli interessati. E anche per questi reati allora
noi riteniamo debba essere affermata la responsabilità di cuffaro.

Ma cuffaro tutto questo, tutto ciò che ha fatto l’ha fatto apposta? Era consapevole di quello che
faceva e l’ha voluto fare? Sono queste le domande che ci dobbiamo porre nel momento in cui
andiamo ad analizzare il profilo del dolo e andiamo ad analizzare la sussistenza della fattispecie
circostanziale di cui all’art. 7 della legge 203 del 1991.
L’ha fatto apposta? Non vi è alcun dubbio che le condotte favoreggiatrici e rivelatrici di segreti
contestate siano state rappresentate e volute dall’imputato. Ciò emerge da tutto quello che abbiamo
sin qui sostenuto e provato e sappiamo che il dolo richiesto per queste condotte, le condotte di
favoreggiamento 378, le condotte di rivelazione di segreto d’ufficio 326, è il dolo generico.
È necessaria la volontà di una condotta a forma libera che consapevolmente si traduca comunque in
un aiuto a favore di colui che si sa essere sottoposto alle investigazioni o alle ricerche dell’autorità.
A riguardo è quindi necessario soltanto accertare che l’agente abbia volontariamente posto in essere
quella determinata condotta, pur sapendo che essa si traduce comunque in un aiuto alla elusione
dell’investigazione in corso da parte dell’autorità a carico di determinata persona (cass. penale, sez.
prima 27 giugno 89, agostani per tutte). Non vi è dubbio che tutto ciò sia stato ampiamente provato
nel corso di questo processo.
[…]
Sorge allora un primo problema, quello di fissare i criteri distintivi tra le due fattispecie, del
concorso esterno del delitto di cui all’art. 416 del c.p. e di favoreggiamento aggravato ai sensi
dell’art. 7 del dl 152 del 1991. Ora, senza ripetere qui quanto è già stato detto a proposito del
concorso esterno sulla base delle sentenze carnevale e mannino, bisogna però rilevare che la
distinzione tra i due reati che interessano è stato oggetto di pochi passaggi essenziali nella sentenza
delle sezioni unite fin qui citate che hanno evidenziato, in sostanza, due criteri distintivi
fondamentali. Dal punto di vista del risultato della condotta agevolatrice la suprema corte (sent.
Carnevale 30 ottobre 2002) ha ritenuto che la circostanza di cui all’art. 7 è incentrata su di un dato
assolutamente soggettivo. Per la sua integrazione non è quindi richiesto che lo scopo sia
concretizzato in un esito di effettivo rafforzamento del sodalizio; quando ciò avvenga il delitto così
aggravato potrà affiancarsi al concorso eventuale, se naturalmente vi sono tutte le altre condizioni
richieste.
Nel caso di questo processo, però, questo elemento distintivo non rileva ai fini della posizione
dell’imputato cuffaro, dato che è fuori discussione, per tutto quello che si è detto a proposito della
vicenda guttadauro, culminata con il ritrovamento della microspia, che il risultato di agevolazione
dell’associazione mafiosa è stato conseguito.
Dal punto di vista dell’elemento soggettivo poi la giurisprudenza richiede, per la sussistenza
dell’aggravante il dolo specifico di agevolare l’associazione mafiosa sicchè il fatto criminoso
commesso deve essere oggettivamente idoneo a realizzare tale ulteriore aspetto offensivo voluto
dall’agente rispetto a quello che già di per sé concretizza il delitto (cass. sesta 7 febbraio 2001 –
11231 tremiglio).

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Per il concorrente esterno, invece, il dolo deve investire nei momenti della rappresentazione e della
volontà sia tutti gli elementi essenziali della figura criminosa tipica, cioè dell’associazione mafiosa,
sia il contributo causale recato dal proprio comportamento alla realizzazione del fatto concreto, con
la consapevolezza e volontà di interagire in maniera sinergica con le condotte altrui nella
produzione lesiva del medesimo reato, così ci dice la sentenza mannino.
Non basta invece che nell’agire del concorrente esterno sia presente soltanto la consapevolezza che
altrui agisca con la volontà di realizzare il programma criminoso (sent. Carnevale), che quanto il
profilo soggettivo della fattispecie concursuale la sent. Carnevale perviene alla conclusione che il
discrimine fra concorso e partecipazione risiede essenzialmente nel segmento dell’atteggiamento
psicologico che riguarda la volontà di far parte dell’associazione.
Allora, in sostanziale continuità con questa posizione, la sentenza mannino afferma la necessità che
il concorrente estern,o pur sprovvisto dell’affectio societatis, cioè la volontà di fare parte
dell’associazione, si renda compiutamente conto dell’efficacia causale della sua attività e sia
animato dalla volontà, si è parlato di dolo intenzionale o diretto, di finalizzare il suo contributo alla
realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio.
Si richiede infine che l’extraneus sia consapevole dei metodi e dei fini dell’associazione a
prescindere dalla condivisione, avversione, disinteresse o indifferenza per siffatti metodi e fini che
lo muovono nel suo foro interno, così la sentenza mannino.
L’esame delle risultanze processuali deve dunque avere come punti di riferimento questi criteri
fissati dalla suprema corte.
Quindi per ipotizzare la configurabilità del concorso esterno nel delitto di associazione mafiosa è
necessario, […], che un concorso vi sia, vi sia cioè un rapporto tra l’associazione mafiosa e
l’extraneus, vi sia – con le parole della sentenza mannino – la consapevolezza e volontà di
interagire sinergicamente con le condotte altrui nella produzione lesiva del medesimo reato.
Del resto non è un caso che proprio a proposito del concorso esterno nel reato di cui all’art. 416 bis
sono divenute di uso comune le locuzioni, recepite anche nella sentenza della cassazione, di “patto
di scambio politico/mafioso”, di “patto di protezione” con riferimento rispettivamente agli uomini
politici e agli imprenditori in cui l’elemento comune è proprio quello del patto. E la ritenuta
sussistenza di un preciso patto criminoso è alla base di due sentenze ben note a palermo che hanno
per oggetto le condotte di appartenenti alle forze dell’ordine, le sent. Contrada e dantonio.
[…]
E ancora di più la stessa sentenza carnevale, nel criticare la concezione della natura monosoggettiva
della partecipazione, aveva messo in guardia dal rischio di una surrettizia assimilazione tra
associazione e mero accordo criminoso.

Nel caso dell’imputato cuffaro manca, alla stregua degli atti fin qui acquisiti, proprio il requsito di
base del concorso, sia nella forma della risposta ad una richiesta, ad un impulso – come dicono le
sez. unite – dell’organizzazione, se ancora di più di un’iniziativa dell’imputato volta a costruire un
accordo con l’associazione mafiosa.
Questa affermazione è ovviamente basata sulle risultanze processuali di cui è necessario un
riesame, sia pure sintetico, anche perché questo stesso esame costituirà per altro verso la base per
l’affermazione della sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7. del dl 152/91.
In primo luogo va fatto un accenno alla vicenda della candidatura del dottor domenico miceli alle
elezioni regionali del giugno del 2001. E invero, se vi fosse la prova che tale candidatura era stata
concordata tra giuseppe guttadauro, salvatore aragona, domenico miceli e salvatore cuffaro con
l’assunzione di precisi impegni nell’interesse di cosa nostra e la successiva attivazione di cuffaro
per la realizzazione di quanto concordato, saremmo in presenza, per ciò solo e a prescindere da altre
condotte poste in essere dall’imputato, di una responsabilità a titolo di concorso esterno
nell’associazione mafiosa nella specifica forma di quello che, come abbiamo già detto, viene
solitamente definito “patto di scambio politico/mafioso”. Dagli atti però non emerge la prova di
alcuna concreta attivazione in questo senso di cuffaro. Inoltre e prima ancora, non emerge la prova

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che cuffaro abbia concordato la candidatura di miceli nelle sue liste. In mancanza di altri elementi
non possono infatti essere ritenute prove sufficienti le dichiarazioni di salvatore aragona e le
intercettazioni delle conversazioni tenute a casa guttadauro da lui stesso e da domenico miceli nella
parte in cui riferiscono il contenuto dei loro incontri con cuffaro e le affermazioni che questi
avrebbe fatto sugli impegni che avrebbe preso.
Questo perché sul punto specifico della candidatura di miceli, lo stesso miceli e aragona erano in
quel momento mossi da loro personali e specifici interessi ad acquisire l’appoggio di guttadauro
vantando di avere quello di cuffaro e ad accreditarsi come tramite con il candidato presidente. In
mancanza di altri riscontri sul punto, non è quindi possibile ritenere senz’altro che le loro parole
rispecchino con la necessaria precisione e fedeltà quanto da loro riferito a cuffaro, né la posizione
effettivamente espressa dall’imputato. E per altro, proprio su questo punto vi sono notevoli discrasie
tra le dichiarazioni rese da aragona nel corso del dibattimento e quelle fatte durante le indagini
preliminari.
Sotto altro profilo, per quanto riguarda questo primo aspetto non vi è prova alcuna che cuffaro si sia
attivato a favore dei dottori catarcio e giammone nella vicenda dei concorsi medici sapendo che per
i due professionisti vi era un interese di guttadauro. Vi è la prova che si è attivato, gli fu contestata
anche nel corso del suo interrogatorio, ma ripeto che quest’attivazione rispecchi un precedente e
pregresso interesse di guttadauro non è dimostrato in alcun punto del processo.
Per quanto riguarda poi le vicende del centro commerciale di brancaccio che tanto stavano a cuore a
guttadauro, non vi sono elementi per ritenere che cuffaro abbia in alcun modo appoggiato
l’iniziativa, ed è coerente a questa linea, qualunque ne siano le motivazioni, quello che ci ha riferito
francesco campanella e cioè il mancato appoggio dell’imputato anche al centro commerciale di
villabate dietro il quale vi erano gli interessi della famiglia mafiosa dei mandalà.
Per quento riguarda ancora aragona, è anche provato che cuffaro non aderì alla sua richiesta di
interessamento per il buon esito del ricorso in cassazione proposto dallo stesso aragona per il suo
processo, e dalle dichiarazioni di campanella emergono poi, sempre con riferimento alla campagna
elettorale per le regionali del 2001, altri elementi a sostegno dell’assenza di un patto di scambio
politico/mafioso tra l’imputato e cosa nostra. Mi riferisco in particolare a quella parte delle
dichiarazioni di campanella, cui più volte si è fatto cenno, secondo cui cuffaro volle precise
assicurazioni che la candidatura nelle liste del biancofiore di acanto, sollecitata da antonino
mandalà e approvata da saverio romano che pure aveva piena competenza in quel settore, non
potesse pregiudicare l’elezione del maresciallo borzacchelli e di conseguenza non avesse di fatto
alcuna probabilità di successo.
E che l’elezione di borzacchelli fosse per cuffaro una priorità è confermato dal fatto che egli chiese
ed ottenne il voto di borzacchelli dallo stesso campanella, che pure faceva parte della coalizione
contrapposta e che per i suoi legami con mandalà doveva appoggiare la candidatura di acanto.
Nello stesso senso depongono anche le risultanze processuali relative ai contatti avuti nel 1991 da
cuffaro con angelo siino. In proposito si deve ritenere provato non solo l’incontro, per altro
ammesso dallo stesso cuffaro, ma anche il fatto, confermato dal teste franco bruno, che cuffaro non
ignorava i legami che siino aveva con cosa nostra, tanto da essere conosciuto come “il ministro dei
lavori pubblici di cosa nostra” e tanto da suscitare poi le ire del’on. Mannino, allora capo-corrente
di cuffaro, [….].
In effetti questa richiesta di voti era per cuffaro lo scopo dell’incontro, e questo ne fu l’oggetto. Tale
richiesta però non ebbe alcun esito, ed anzi siino ci ha raccontato di avere troncato subito la
questione dato che egli aveva gli impegni con altri candidati della corrente dell’on. Lima
contrapposta a quella di mannino. Riferisce siino: “mi propose un incontro, dice: non è che lo vuoi
conoscere? Eh, sì. Si trattava in quel momento di un momento elettorale, siamo nel 1991, intorno al
mese, qualche mese prima delle elezioni e bisogna vedere che però, che era un altro momento per
me topico, veramente brutto perché in quel momento io già avevo avuto da diverse parti il sentore
che di lì a poco sarei stato arrestato. Anzi, mi ha detto subito dopo le elezioni? Mai stata previsione
più azzeccata. Sono stato arrestato immediatamente dopo le elezioni. Enea mi accompagnò.

200
Romano, che si presentò con un personaggio molto grazioso, così, molto alla mano, che
immediatamente riconobbi essere l’on. Cuffaro. Mi disse subito, baci e abbracci, mi diede
immediatamente del tu, ci siamo dati del tu. Mi disse: guarda che sono arrivato qua perché mi devi
aiutare. Ma coma ti posso aiutare? Mi devi, io debbo assolutamente essere il primo degli eletti, anzi
ti dico che io sarò tra il primo degli eletti nella circoscrizione, perché allora era per circoscrizione. E
io gli dissi: senti, senta – perché praticamente a un certo punto mi spiazzai di dirgli immediatamente
del tu – gli ho detto: guarda, sarà difficile che tu possa fare, perché già ci sono degli impegni
diversi. Che in effetti erano ben noti in quel momento, c’era un preciso dictum, un preciso… sul
nome del’on. Puppura che poi in effetti è stato il primo degli eletti. Nella stessa occasione ho avuto
modo di parlare un po’ di tutto. Mi devi aiutare, mi devi aiutare, dice. Ma guarda, come ti posso
aiutare? E insomma”.
L’incontro con siino è come si è visto del 1991, non porta a nessun risultato, non ha neanche un
profilo di concretezza, anche se è però rivelatore di un atteggiamento di salvatore cuffaro, peraltro
da lui rivendicato, quello della sua disponibilità a incontrarsi e a parlare anche con condannati per
mafia in quanto cittadini titolari del diritto di voto. 48:01 Così ci ha detto cuffaro nel corso del suo
interrogatorio del 13 giugno del 2006, salvo tenere lontano soltanto campanella e i mandalà.
“Sapevo che aveva avuto dei problemi di giustizia e che aveva in qualche modo pagato le sue colpe
e che tornava a fare il medico (parlando di aragona), quindi ho sempre avuto culturalemnete l’idea
che la gente può sbagliare, paga il prezzo, in questo caso alla giustizia, e poi torna a fare il suo
lavoro. Credo che questo sia un dato di quello che mi riguarda, che mi appartiene culturalmente”.
Quindi l’imputato non ritiene necessario o utile porre uno sbarramento con persone già inquisite o
addirittura condannate per delitti di mafia. Atteggiamento che può essere o meno condiviso, ma di
per sé non può formare oggetto di censura in sede penale. Anche se il dato della conoscenza dei fatti
di mafia che hanno riguardato guttadauro e aragona e della consapevolezza ammessa che all’epoca
dell’episodio, in discussione miceli, li frequentava, ha sotto altro profilo invece un’indubbia
valenza, come vedremo.
Sta di fatto che a questo stesso atteggiamento si riconducono in assenza di elementi specifici sul
loro contenuto e addirittura sull’epoca alla quale risalgono, i contatti che l’imputato ha avuto con
Francesco Bonura. Questi contatti risultano dalla intercettazione ambientale eseguita nell’ambito
del procedimento 2474/05, la cosiddetta operazione Gotha, contro lo stesso bonura e altri. In
particolare, il 7 settembre del 2005 franco bonura è stato intercettato mentre discorreva con rosario
marchese. Chi siano questi personaggi è testimoniato dalla deposizione del dottor desantis, alla
quale si può fare rinvio, all’udienza dell’8 maggio del 2007.
Bonura, nel corso dell’intercettazione: Quindi dipende tutto da cufaro, siccome io non è che…
perché con cufaro ci siamo incontrati, siamo stati vicini. Poi non ci ho potuto parlare più, ma luiè
venuto diverse volte a trovarmi. Non è che ci fu una volta. Ci riunivamo là, dentro da me. Me lo
accompagnava un altro e mi diceva: non ti preoccupare. Così parlando di cose, problemi nostri. Gli
ho detto: io appena mi sistemo queste cose me ne vado. E lui: ma perché te ne devi andare? Mi
diceva. Ora che le cose si stanno sistemando. E poi a lui il culo glielo hanno stretto.
E marchese, l’altro interlocutore: Anzi, che è ancora fuori. Perché si vede che i discorsi devono
andare in questo modo.
Bonura: io non lo so com’è combinato. Io per questo ho paura di fuori, all’aria chi c’è. Lui può
stare, se fossi io…
Ma certo. Etc

Meno rilevante, ancora meno rilevante ai fini che qui interessano, è la conversazione del 21
novembre 2005, nell’ambito del medesimo processo penale, tra antonino rotolo e angelo parisi.
Infatti in questa conversazione si fa riferimento a un incontro che cuffaro avrebbe potuto avere con
daniele gusardò, persona impegnata in politica a livello locale, all’epoca dei fatti incensurata e che
solo le indagini di quel procedimento hanno accertato essere molto vicina a rotolo.

201
Dice rotolo parlando con il parisi: Gli ho detto, perché vedi le cose se tu non le sai che le senti, io
non voglio sapere più niente, gli ho detto. Ma vedi che a me, io ho fatto un discorso basato. Sì a me,
dice, ma io non ho detto niente, dice, del genere. E non è male perché io, dice, la condivido questa
cosa. Sono stato pure a vedere perché mi devo scoprire etc Gli ho detto. Mi ha fatto alcuni nomi che
a lui lo vanno chiamando dall’Udc perché aveva appuntamento, aveva appuntamento lui
direttamente con totò cuffaro. Gli ho detto: ma tu fai una cosa. Visto e considerato che lui ti è
venuto a cercare a casa e non è un appuntamento politico ma è un appuntamento privato, gli ho
detto, vacci. Vai ad ascoltare, secondo i discorsi che ti fanno tu gli dici.

Da un successivo passo della conversazione, il cui contenuto attiene prevalentemente ad argomenti


di natura politico-elettorale, rotolo diceva di aver appreso dal suo paesano che cuffaro non
concedeva incontri in quanto si era sparsa la voce che lo potesssero arrestare:
Gli ho detto – dice rotolo parlando con parisi – tu ti ci incontri e poi mi fai sapere. Praticamente
l’incontro qual è. Lo incontra per dire, dice: dobbiamo portare a totò cuffaro. […] Uno me lo ha
detto il nome che ho sentito, uno importante questo dell’Udc. L’ho sentito questo nome. Comunque,
in sostanza questo che conosce lui lo deve portare da questo e questo lo deve fare incontrare con
totò cuffaro che mi risulta che per ora totò cuffaro non si vede con nessuno. È da qualche mese che
non vuole incontrare nessuno perché lo hanno indagato. Infatti lui questo mi dice a me, dice: ci sono
sentori che lo vogliono arrestare.

In realtà un contributo importante per comprendere l’atteggiamento mantenuto da cosa nostra negli
anni successivi al 1995/96 nei confronti di cuffaro è invece offerto dalle dichiarazioni che
provengono da antonino giuffrè. Sappiamo bene chi è antonino giuffrè, nel corso della discussione
ne abbiamo parlato diffusamente, e a proposito di cuffaro, giuffrè, nel corso dell’udienza dell’8
marzo 2005, ha riferito che per le elezioni regionali del 2001 cosa nostra assunse un atteggiamento,
lui ha detto, “dietro le quinte”. Ha riferito cioè di un accordo al’interno di cosa nostra per
appoggiare cuffaro, ciò anche perché, dice giuffrè, “si aveva la sensazione netta che il rivale,
leoluca orlando, ex sindaco di palermo, non sarebbe stato eletto e come sempre cosa nostra sale sul
carro di chi vince”.
Giuffrè dice che l’accordo interno all’organizzazione è tacito, testualmente: “no, in tutta onestà no,
diciamo che… un discorso è che già di per se stesso si era… cioè la popolarità. Si era fatto tutto
cuffaro e il discorso andava perfettamente bene, diciamo che per provenzano il discorso andava
bene”.
E ancora giuffrè: “Ripeto che per il provenzano il discorso andava benissimo e diceva che laddove
si poteva intervenire, laddove si potesse intervenire, si doveva intervenire in favore di cuffaro. Però
ripeto, è un discorso che già si vedeva perfettamente che il candidato contro cuffaro sarebbe uscito
sconfitto da parte nostra”.
E alla domanda del pm: Senta, con il provenzano di questo discorso della possibilità,
dell’opportunità di appoggiare quella candidatura di cuffaro avete parlato più volte?
Giuffrè risponde con grande naturalezza: Signor procuratore, indubbiamente sì. Però nel momento
in cui non c’è storia in un determinato confronto, diciamo che per quanto riguarda l’elezione a capo
della regione non ci si è prodigati, almeno per quello che mi riguarda, che riguarda la mia persona”.
Giuffrè ha poi riferito di precedenti conversazioni con bernardo provenzano, nelle quali si parlò di
cuffaro, ha riferito che nel 1996 avrebbe voluto intervenire nei confronti di cuffaro a favore di
persone a lui vicine che fanno parte della palermo-bene e che allo stesso tempo erano proprietari di
grosse stazioni di terreno e non riuscivano a riscuotere dall’assessorato all’agricoltura rilevanti
somme di denaro cui avevano diritto. Giuffrè ha così poi continuato: “Aspettavano solo di essere
pagati. Comunque hanno organizzato per la circostanza, me lo hanno definito come un rinfresco in
onore dell’on. Cuffaro, e non ricordo se lo stesso rinfresco fosse stato organizzato presso uno degli
alberghi della catena Ponte. Poi successivamente diciamo che sono stato informato che avevano,
cioè gli era costato anche una certa somma perché di persone presenti ce n’erano diverse e poi con

202
me si sono diciamo, quasi quasi in modo particolare, nino militello e franco militello, lamentati di
questo discorso. Ora io ho portato avanti questa lamentela e incontrandomi con provenzano gli
racconto di questo discorso. Non è sembrato per difendere, tutelare i miei amici, diciamo, molto
adatto alla circostanza. Provenzano ricordo che mi ha stoppato immediatamente: lascia stare il tutto
e anzi ricordati che dobbiamo curare, indirettamente s’intende, i rapporti con l’on. Cuffaro. Cioè
curare i rapporti e lasciarlo stare perfettamente a suo agio per non disturbarlo. Questa è la prima
occasione a memoria mia che io scambierò con questa, per questa motivazione cuffaro. Non ricordo
altri discorsi diretti sull’on. Cuffaro ma ricordo, se la memoria non mi inganna, che in questa
elezione (parla del 2001) provenzano e altri sponsorizzavano un individuo di bagheria”.

Ora, sulla decisione di cosa nostra e in particolare di provenzano di appoggiare la candidatura di


cuffaro a preferenza di quella di orlando nell’elezioni regionali del 2001, giuffrè è poi tornato, a
domanda del presidente, insistendo che la scelta era giustificata da un lato dalla maggiore
affidabilità di cuffaro, dall’altro dalla certezza che egli era comunque il candidato vincente.
Gli chiede il presidente: Adesso chiariamo un attimo questo aspetto orlando/cuffaro che è rimasto
un po’ sospeso. Volevo chiederle: la decisione di appoggiare alle elezioni del 2001 la candidatura di
cuffaro nacque perché cuffaro era una persona affidabile e tale fu definita da provenzano sin dalle
elezioni del 96, o nacque perché orlando era considerato un candidato spacciato alle elezioni?
E giuffrè: Il tutto parte da un discorso, come abbiamo visto, cioè tutto parte, signor presidente,
come ho detto, dal 93 in modo particolare, 93/94 cioè dopo l’arresto di riina ci sarà un
capovolgimento che culminerà appositamente in un contesto che poi parte dal 96 se io ricordo bene.
Sì sì, il discorso parte, per non allungarmi ancora, dalle parole che provenzano allora, in quella
circostanza mi ha detto sulla affidabilità di cuffaro che fra l’altro, diciamo, che già si vedeva
benissimo che è una persona che diciamo andava alla grande nel contesto politico.
E ancora il presidente: Le ho rifatto questa domanda perché sulle sue risposte precedenti in realtà
era rimasto in sospeso questo punto particolare. Quindi lei mi sta dicendo che l’appoggio nel 2001
era legato al fatto che già fin dal 96 cuffaro era considerato un candidato attendibile, valido.
E giuffrè: Era già stata predisposta una certa strategia nel campo regionale, signor presidente.
Quindi non perché era considerato vincente per altre faccende.
E ancora il presidente: perché sennò le si potrebbe fare la domanda, che anche se di tipo ipotetica
non è consentita alle parti ma il tribunale lo può fare, se aveste considerato cuffaro come perdente,
avreste votato orlando…
E la risposta di giuffrè è: Probabilmente.
È questo il senso della sua risposta? Oppure perché era un candidato affidabile di suo?
E giuffrè: Io le rispondo tranquillamente e serenamente, signor presidente. Non sarebbe stato il
candidato ad essere il presidente della regione.

Sugli stessi concetti guffrè è tornato, in modo ancora più chiaro, alla fine del suo esame sempre su
domanda del tribunale:
Sì, diciamo che cuffaro, l’on. Cuffaro, aveva creato già automaticamente una certa politica vecchio
stampo clientelare, che cioè, da questo si toccava con mano che aveva un seguito molto sostenuto
elettoralmente.

Ora del resto, proprio su questo punto una conferma esplicita ci è offerta da un’affermazione di
giuseppe guttadauro, intercettato nella sua abitazione il 14 aprile 2001, cioè due mesi prima delle
elezioni. Dice guttadauro: “Purtroppo anche noi siamo costretti picchi io orlando non ci voto manco
ammazzato, non gli faccio campagna elettorale contro, dove sono io, perché pure iddu avi avi a
pigghiari pure i suoi voti”.

Nel proseguio dell’esame giuffrè ha poi spiegato il tipo di rapporto tra provenzano, la mafia e la
politica, definendo il rapporto come un rapporto mediato, paragonando le cmunicazioni tra mafia e

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politica alla catena attraverso la quale si trasmettevano i cosiddetti pizzini di provenzano. Dunque
un meccanismo che, per quanto possibile, cerca di attenuare i contatti del politico con
l’organizzazione mafiosa allo scopo di proteggerlo dalle investigazioni.
E a poi riferito giuffrè: “Il dottore guttadauro era in contatto, non so a quanti passi, ma io sapevo
che era in contatto con l’on. Cuffaro”.
Nonostante le ripetute domande delle parti del tribunale giuffrè non è stato però in grado di indicare
con precisione, al di là di mere ipotesi e deduzioni logiche, quali fossero gli eventuali intermediari
che facevano da tramite tra provenzano e guttadauro o guttadauro e cuffaro: “non so a quanti passi”,
ci ha detto.
Nello stesso senso infine sono le dichiarazioni di maurizio di gati, capo della provincia di agrigento,
a lungo latitante, le cui dichiraioni sono acquisite al fascicolo per il dibattimento. Di gati riferisce
che cosa nostra aveva dato un’indicazione di voto alle elezioni regionali del 2001 in favore di
cuffaro, in termini molto simili a quelli in cui ne ha riferito giuffrè, e che leo sutera, altro esponente
mafioso agrigentino, gli aveva a sua volta riferito dell’esistenza di un canale non meglio specificato
tra cuffaro e guttadauro, che tra l’altro si era speso a favore per il sostegno elettorale di cuffaro.
Nello specifico di gati parla poi di due tentativi di interessamento verso cuffaro relativi all’apertura
di una farmacia e a progetti per impianti di depurazione che non si erano però in alcun modo
concretizzati.
In conclusione per questo aspetto si deve ribadire che, allo stato delle risultanze processuali, emerge
dalle dichiarazioni di giuffrè e di gati la decisione di cosa nostra di appoggiare la candidatura di
cuffaro per due motivazioni convergenti: per un giudizio positivo della mafia sulla politica vecchio
stampo clientelare, da lui già creata automaticamente, ed evidentemente ritenuta confacente agli
interessi dell’organizzazione; la convinzione che cuffaro era poi il candidato che avrebbe comunque
vinto le elezioni.
Né giuffrè né di gati hanno riferito di un accordo tra l’organizzazione criminale e l’uomo politico in
termini tali da poter parlare, ai fini della affermazione della responsabilità penale di un patto di
scambio politico/mafioso. Né giuffrè né di gati sono stati in grado, come si è visto, al di là di
indicazioni del tutto generiche e quindi non utilizzabili in sede processuale, di riferire quali fossero
stati i tramiti tra cosa nostra e cuffaro e come costoro avessero operato. Elementi questi
indispensabili invece per valutare la sussistenza o meno del patto, ovvero di quell’azione sinergica
tra concorrente esterno e appartenente all’organizzazione mafiosa, necessario come ha precisato la
sentenza mannino per la configurabilità del delitto di cui agli art. 110 e 416 bis del c.p.

E allora se questi sono gli elementi che ci inducono e che ci hanno sempre veramente indotto a
ritenere non sussistente la fattispecie dell’art. 110 e 416 bis del c.p. in questo processo nei confronti
di questo imputato, bisogna però chiedersi quali sono gli elementi a sostegno di quello che già
abbiamo pronunciato essere la nostra richiesta di affermazione di responsabilità penale in ordine
all’aggravante contestata di cui all’art. 7 della legge 203 del 1991.
In proposito la giurisprudenza è costante nel richiedere per la sua configurazione il dolo specifico di
agevolare l’associazione mafiosa, sicchè il fatto criminoso commesso deve essere oggettivamente
idoneo a realizzare tale ulteriore aspetto offensivo voluto dal soggetto agente rispetto a quello che
già di per sé concretizza il delitto. La corte di cassazione ha precisato sul tema che, in tema di
favoregggiamento personale, l’aggravante di cui al secondo comma dell’art. 378 è compatibile con
quella prevista dall’art.7 quando il favoreggiamento sia stato compiuto in relazione a persona che
abbia fatto parte di associazione di stampo mafioso e contemporaneamente l’azione sia diretta ad
agevolare l’attività del sodalizio mafioso (sez. quinta 13 maggio 2004 – sez. sesta 10 giugno 2005).
E ancora ha sostenuto la cassazione che l’aggravante di cui al citato art. 7 concerne all’azione
favoreggiatrice diretta in maniera oggettiva ad agevolare l’attività posta in essere dal sodalizio,
entità questa non immaginaria ma reale (sez. sesta 12 marzo 98).
Bisogna chiedersi allora se cuffaro ponendo in essere consapevolmente le condotte che gli sono
state contestate allora ha avuto di mira il risultato ulteriore il cui realizzarsi peraltro non è

204
necessario per la consumazione del reato, ma che nel caso si è per larga parte realizzato, che è stato
il fine di salvaguardare l’intera organizzazione mafiosa o quantomeno una sua propaggine
importante come la famiglia mafiosa di brancaccio dalle indagini che il raggruppamento operativo
speciale dei carabinieri aveva in corso […].
Ebbene, nessun dubbio che cuffaro si sia rappresentato il fatto criminoso commesso e che lo stesso
era ed è stato oggettivamente idoneo a realizzare l’ulteriore aspetto offensivo voluto dal soggetto
agente rispetto a quello già di per sé concretizzante il delitto.
La notizia data a guttadauro per il tramite miceli/aragona è stata certamente idonea a consentire il
ritrovamento delle microspie e a interrompere un’indagine che aveva riguardato quantomeno la
famiglia mafiosa di brancaccio, appunto una parte assolutamente significativa dell’organizzazione
mafiosa.
Come detto bisogna però chiedersi se cuffaro ha anche voluto lo scopo ulteriore rispetto alla
condotta realizzata ai sensi dell’art. 378 del c.p. Ora, che anche questo evento sia stato non solo
rappresentato, ma voluto da cuffaro emerge da una serie di indicatori che sono tutti provati
attraverso il dibattimento. Come è noto la prova della volontà è molto più difficile da conseguire
che non la prova della rappresentazione della condotta, lo scopo. 1: 06:00 Qui gli indici vanno
rinvenuti da altri dati emersi dal dibattimento, sul grado di consapevolezza che nel tempo cuffaro ha
avuto dell’esistenza e delle modalità di funzionamento dell’organizzazione mafiosa e dunque delle
conseguenze che l’informazione fornita a guttadauro, anche solo attraverso la messa a disposizione
dell’informazione a miceli, avrebbe comportato.
Ai fini di questa valutazione sono rilevanti anzi sono decisivi proprio tutti gli indicatori che
emergono sia dalle risultanze processuali in relazione alle condotte specifiche di favoreggiamento e
rivelazione di notizie segrete in ordine alla quale è stata contestata l’aggravante, sia tute le altre
risultanze processuali prese in esame, anche solo al fine di escludere la configurabilità del delitto di
cui agli art. 110 e 416 bis del c.p.
Come risulta ampiamente da quanto detto a proposito delle dichiarazioni di giuffrè e di quelle più
generiche ma con le prime coerenti di Di Gati, cuffaro era ed è un uomo politico di cui cosa nostra e
in particolare provenzano sostanzialmente apprezzava la linea politica, definita “di vecchio stampo
clientelare” e ritenuta utile nel contesto di quella strategia della sommersione adottata dopo le stragi
e che trova nella intermediazione e nell’inserimento del mafioso in ogni profilo della vita sociale ed
economica, e in particolare nelle amministrazioni pubbliche, uno dei suoi momenti essenziali.
E l’imputato non poteva certo non essere consapevole di questa benevolenza dell’associazione
mafiosa che si sostanziava almeno in parte in appoggio elettorale. Anche se proprio giuffrè afferma
di non avere personalmente appoggiato la candidatura dell’imputato, e anche se su tale benevolenza
influiva la prassi, sempre seguita dall’organizzazione mafiosa, di salire sul carro del vincitore e di
cercare rapporti con il potere qualunque esso sia. È di per sé evidente che una simile
consapevolezza non poteva certo mancare in un uomo politico esperto come cuffaro, con una rete di
sostenitori e simpatizzanti largamente diffusa in tutta la sicilia.
Ma il processo offre ulteriori conferme della consapevolezza sul piano generale da parte
dell’imputato di questa situazione. Ci riferiamo proprio ai rapporti già tentati nel 1991 con angelo
siino e a quelli con francesco bonura, di contenuto imprecisato, sì, risalenti in epoca non specificata,
sì, ma quando certamente bonura aveva già vissuto problemi giudiziari: “Ora che le cose si stanno
sistemando” racconta bonura, al suo interlocutore, gli ha detto cuffaro nel corso di uno di questi
incontri, quindi dopo che i primi processi per mafia hanno investito anche bonura.

Quello che naturalmente è più rilevante, anche sotto il profilo del dolo richiesto per la sussistenza
dell’aggravante, sono le condotte stesse di favoreggiamento e di rivelazione di notizie segrete in
quanto inserite nel contesto della vicenda guttadauro. Va in primo luogo rilevato che cuffaro
sapeva, per sua stessa ammissione, che giuseppe guttadauro era una persona condannata per fatti di
mafia. Cuffaro sapeva altresì che con guttadauro e suo cognato, greco vincenzo - anch’egli
condannato per fatti di mafia, subirà poi, l’abbiamo detto, col processo Ghiaccio un secondo

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processo dal quale in sede di appello verrà assolto, ma già condannato per favoreggiamento
aggravato all’art.7 nella sua qualità di medico, in anni passati - avevano rapporti, dicevo, andando a
trovarlo nella sua abitazione i suoi amici salvatore aragona, anch’egli condannato per fatti di mafia
e cuffaro lo sapeva e ce lo ha detto, e domenico miceli.
Pertanto quando riceve da borzacchelli le rivelazioni sull’indagine che ha al suo centro l’attività di
guttadauro quale capo del mandamento di brancaccio, cuffaro ha ben chiaro il significato di queste
indagini, comprende perfettamente quello che essa può significare per questo importantissimo
settore dell’organizzazione mafiosa, sia sul versante strettamente criminale, sia, data la personalità
di guttadauro, medico stimato, appartenente a una famiglia ricca e con variegate attività economiche
sul versante dei rapporti con persone diverse dai normali uomini d’onore, se così si può dire, quali
appunto erano aragona e miceli.
Di questa consapevolezza è ulteriore indice il tentativo di indurre, come abbiamo visto, tramite
l’avvocato caputo, salvatore aragona a non rispondere agli interrogatori.
E ancora un indice di questa consapevolezza di come cuffaro abbia avuto ben chiaro il quadro
complessivo della situazione e si sia quindi non solo rappresentato ma anche voluto le conseguenze
che avrebbe prodotto la sua rivelazione a miceli e quindi ad aragona e a guttadauro è proprio la sua
spasmodica e risalente nel tempo attenzione al problema delle informazioni sulle indagini, tema che
è alla base del suo rapporto con borzacchelli.
Solo così si spiega una condotta di raccolta eccessiva di informazioni di natura investigativa, che
non è solo quella che deriva da uno stabile rapporto con borzacchelli finalizzato alla tutela del solo
cuffaro, da indagini relative alla sua attività pubblica. La raccolta delle informazioni ha fatto
riferimento anche ad un ambito, il contrasto a cosa nostra, che almeno in teoria non avrebbe dovuto
essere quello naturale di cuffaro. Si tratta di un settore che riguarda l’interesse specifico
dell’organizzazione mafiosa e non certo della tutela del solo miceli che certo vicinissimo
all’organizzazione mafiosa comunque è.
Va allora riconosciuta la sussistenza dell’aggravante di cui all’art.7 della legge 203 del 91 essendo
l’attività di cuffaro diretta specificamente alla agevolazione dell’associazione mafiosa. Rammentato
il diritto che ai fini della contestazione dell’agravante di cui all’art.7, nell’ipotesi della commissione
di delitto ai fini di agevolare l’attività dell’associazione di tipo mafioso, seppure non si richiede che
il fine particolare perseguito si risolva in concreto in un qualche risultato apprezzabile, non basta la
semplice consapevolezza della possibilità che dal reato che si commette derivi un’agevolazione
dell’attività dell’associazione, ma occorre invece che nella coscienza dell’idoneità del delitto
perpetrato a realizzare l’agevolazione suddetta, questa finalità abbia costituito pure motivo specifico
della spinta criminosa. Pertanto al dolo previsto per il delitto commesso devono accompagnarsi
elementi aggiuntivi dimostrativi in modo univoco, ovvero altrimenti rivelatori della voluta
particolare strumentalità della azione delittuosa. E allora in punto di fatto il quid pluris rilevante da
individuare nella spiegata attività di raccordo tra la tutela del proprio interesse attraverso la tutela di
miceli e la tutela della famiglia mafiosa sopra esaminata.
Gli indici esposti portano in maniera convergente a ritenere che cuffaro abbia deciso di agevolare
non solo guttadauro attraverso miceli ma, mettendogli a disposizione l’informazione relativa alla
microspia a casa sua, ha voluto agevolare l’intera organizzazione. Verso la stessa in realtà ha
mostrato ostilità solo sul piano della facciata, a questo sono servite le grida contro la mafia che fa
schifo, la serie di protocolli firmati con le forze dell’ordine di cui ci ha parlato (e avrei voluto ben
vedere che il presidente della regione siciliana, nello svolgimento pubblico del suo ruolo non
collaborasse ad aprire commissariariati di polizia e caserme dei carabinieri), con una posizione
personale del tutto irrilevalente sulla tematica di cui all’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario.
È innegabile l’assoluta consapevolezza che la propria azione di informazione, motivata anche dalla
necessità di tutelare miceli in quanto suo amico politico, abbia avuto quale intima ulteriore
motivazione lo scopo di evitare che venisse distrutto quel mondo mafioso criminale in cui era
inserito lo stesso miceli e il cui funzionamento cuffaro conosceva bene sin dai suoi incontri del

206
1991 con angelo siino. Se non avesse avuto l’informazione segreta nulla quaestio, ma avendola
avuta cuffaro non poteva correre il rischio di non riversarla all’organizzazione mafiosa.
Dare la notizia della presenza della microspia a miceli, cosa che cuffaro ha fatto, vuol dire mettere
la notizia a disposizione dell’intera organizzazione criminale sapendolo. In altre parole, accanto alle
motivazioni personali cuffaro, che il sistema di pressione e di sopraffazione mafioso conosce bene,
ha nutrito una ulteriore convinzione criminosa, ben sapendo che l’individuazione della microspia
presso la casa di guttadauro avrebbe avuto quale effetto la salvaguardia di quel sistema impedendo
di fatto lo smantellamento dell’organizzazione sul territorio.
È per queste ragioni che noi riteniamo che la responsabilità penale dell’imputato cuffaro debba
essere estesa non soltanto alla consumazione delle fattispecie contestate, ma anche al
riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 70.

E allora io inizierei a trattare, da questo momento in poi, l’ultimo dei macrotemi di questo processo,
diciamo così, che è quello relativo all’imputazione di truffa, all’imputazione di associazione per
delinquere finalizzate alle truffe e ad alcuni delitti in danno della pubblica amministrazione
soprattutto che sono stati consumati da alcuni degli imputati di questo processo. Mi riferisco
all’ipotesi di truffa che riguardano gli imputati aiello, giambruno, oliveri e iannì, nelle due diverse
contestazioni che sono state formulate; mi riferisco anche agli altri delitti contro la pubblica
amministrazione che riguardano giacomo venezia, michele giambruno, salvatore prestigiacomo e la
coppia la barbera/calaciura.
È un capitolo questo anch’esso estremamente importante di questo processo, riguarda l’attività
dell’imputato michele aiello a partire dal 1996 nel settore della sanità privata e in particolare in
quello della radiodiagnostica e della radioterapia nel quale egli, tramite due società facenti capo in
maniera assolutamente totalitaria a lui e ai suoi familiari, ma sosprattutto a lui, cioè la Diagnostica
per immagini Villa santa Teresa srl e la Atm – alte tecnologie medicali srl, ripeto, appunto di fatto
sempre da lui gestite - e la prova che ne sia il dominus sostanzialmente esclusivo sta in tutte le
intercettazioni acquisite, sta nelle dichiarazioni rese dallo stesso aiello, sta nelle dichiarazioni rese
da rotondo, sta negli accertamenti di polizia giudiziaria operati dal teste miulli, per il quale si può
rinviare alla sua audizione del 6 dicembre 2005, e in quella del teste di pasquale, il maresciallo del
Nas che ha sviluppato una parte delle indagini, per il quale si può rinviare all’udienza del 27 ottobre
2005 – è riuscito, dicevo, a realizzare un centro diagnostico dotato di attrezzature assolutamente
all’avanguardia, fatto questo che ovviamente è riconosciuto e non contestato, nel settore delle
terapie tumorali. Le società di aiello hanno così fatto registrare, a partire dalla seconda metà del
1999, un vertiginoso aumento dei ricavi annui, da pochi miliardi a molte decine di miliardi, se li
valutiamo con il parametro delle vecchie lire, erogati però sempre dallo stesso, diciamo così,
cliente, cioè dalla regione siciliana, in particolare dalla Asl n.6 di Palermo, nell’ambito del Sistema
sanitario nazionale.
In conseguenza, ciò, sia dell’aumento del numero di pazienti che è quasi raddoppiato ma,
soprattutto, dall’aumento in maniera esponenziale del costo unitario delle prestazioni, aumento
asseritamente in gran parte dovuto al loro livello qualitativo di gran lunga più elevato. Su questi
ricavi ovviamente si dovrà tornare quando si illustrerà in paricolare un atto istruttorio che è stato
assunto, e paraltro è stato assunto dal tribunale, cioè la perizia dei dottori Glorioso e Ribolla
discussa nel corso dell’udienza del 13 luglio del 2007.
Dicevo, nel contesto delle vicende relative ai delitti di truffa devono essere affrontati anche ulteriori
reati in qualche modo connessi alle vicende illecite relative alle società di aiello nel settore della
sanità, sono le contestazioni che sono state mosse al primo dirigente della polizia di stato giacomo
venezia - una ipotesi di favoreggiamento aggravato dall’art. 61 n.9 del c.p., una ipotesi di falsità ex
art. 479 del c.p., alcune ipotesi di corruzione, peraltro corruzione propria ex art. 318 del c.p.,
contestate naturalmente in concorso ex art. 321 anche a michele aiello – che riguardano salvatore
prestigiacomo, l’ho già detto, Adriana la barbera, angelo calaciura e michele giambruno.

207
Naturalmente poi questa è anche la sede per affrontare il tema delle responsabilità delle società di
aiello così come previste dal dl 231 del 2001 in relazione all’art. 5 comma V e all’art. 24 di tale dl.

Allora, noi sappiamo che a partire dalla metà del 2003 i rapporti tra le società di aiello e la pubblica
amministrazione sono stati oggetto di indagine da parte dei carabinieri del nas, oltre che oggetto di
svariati controlli in sede amministrativa da parte della direzione generale dell’asl n.6 di palermo.
Sappiamo che questa indagine e questi controlli hanno provocato in aiello e nei suoi collaboratori,
secondo proprio quanto emerge dalle intercettazioni telefoniche eseguite sulla cosiddetta rete
riservata, una grandissima preoccupazione, anch’essa sintomo della responsabilità penale di
michele aiello anche per questi reati. Infatti i timori che aiello manifesta nel corso delle sue
conversazioni intercettate sono senz’altro ben giustificati, dato che all’esito dell’indagine dei
carabinieri del Nas e di quelle ulteriori, esperite direttamente da questo ufficio, e a seguito
dell’istruzione dibattimentale e in particolare delle audizioni dei numerosi periti ed esperti che è
stata operata, sia su iniziativa dell’accusa che delle parti private, che della difesa, che dello stesso
tribunale, rimane accertata un’indebita percezione da parte delle società di aiello di ingenti,
ingentissime, direi, somme erogate dall’Asl n.6 a titolo di rimborso in regime di assistenza indiretta,
e cioè in assenza di qualunque forma di convenzione con le strutture mediche private.
In particollare aiello è riuscito a ottenere, a partire dalla seconda metà del 1999, il pagamento di
somme molto maggiori di quelle incassate fino a quel momento non solo per le prestazioni di livello
qualitativo più elevato, perché realizzate con nuove e migliori attrezzature, tali da comportare anche
metodiche, più complesse e più costose – ma anche su questo alcune osservazioni vanno fatte
perché è, veramente, questo fatto notorio: l’investimento tecnologico a un certo punto li riduce i
costi, non li aumenta, così avviene in tutta la società tecnologicamente avanzata. Pensiamo
esemplificativamente al costo dei telefonini di qualche anno fa e al costo dei telefonini oggi:
impianti e strutture ad alta tecnologia, col tempo, riducono tutto il costo della sttrutura e di quanto a
essa è connesso – ma anche per prestazioni, dicevo, rimaste del tutto identiche al periodo
precedente.
Per queste ultime, dunque, certamente i pagamenti erogati dalla asl n.6 non erano dovuti e sono stati
ottenuti da aiello attraverso artifizi e raggiri assai complessi e articolati, oltre che grazie alla
complicità di alcuni funzionari del distretto sanitario di base di bagheria e cioè in particolare
l’ineffabile dottor lorenzo iannì e il dottor michele giambruno.
Sempre in via di premessa, sul tema che si sta affrontando si deve sottolineare che per il rimborso
delle prestazioni erogate fino al giugno del 1999 anche le società di aiello hanno seguito una
procedura del tutto regolare, e del resto uguale a quella delle altre società siciliane operanti nel
settore. Dal luglio del 1999, in coincidenza con l’assunzione dell’incarico di dirigente del distretto
sanitario di base di bagheria da parte del dottor lorenzo iannì, amico personale dell’aiello, come il
processo ha chiarito, la Diagnostica per immagini Villa santa teresa e, dall’inizio dell’attività che
risale al 2001, anche la Atm hanno adottato una procedura completamente diversa mediante la
quale, attraverso una serie di modifiche apparentemente poco significative e con la complicità dei
responsabili del distretto di base di bagheria dell’asl n.6 hanno ottenuto rimborsi di gran lunga
superiori a quelli in realtà dovuti.
Queste condotte sono continuate fino al momento in cui, il 9 febbraio del 2002 per la Villa santa
teresa srl, il 1 luglio del 2002 per la Atm, le due società hanno conseguito il cosiddetto pre-
accreditamento e cioè sono transitate dal regime di assistenza indiretta a quello di assistenza diretta,
basato su una convenzione che prevede il pagamento al centro clinico e non sul rimborso al
paziente che aveva fruito della prestazione.
Non c’è nessun dubbio che abbia contribuito in maniera significativa alla realizzazione della truffa
contestata la mancata previsione di un tariffario ufficiale, il cosiddetto nomenclatore, come avviene
invece per le forme di assistenza diretta, e dalla previsione normativa che il rimborso delle spese da
parte della competente unità sanitaria locale avviene “al costo”, cioè su ruchiesta dell’avente diritto
documentata e corredata da fatture debitamente quietanzate, lo prevede l’art.2 della legge regionale

208
80 del 1988 con le successive modifiche. In sostanza, il legislatore regionale ha scelto,
limitatamente ad alcune patologie di particolare gravità, di rimborsare l’intero costo sostenuto dal
cittadino senza porre apparentemente alcun limite quantitativo per ogni singola prestazione,
richiedendo solo la documentazione dell’effettività dell’esborso.
In concreto, poi, anche questa condizione è venuta meno perché l’amministrazione regionale, per
motivi facilmente comprensibili e anche apprezzabili, ha accettato la prassi del rilascio di procura
all’incasso da parte dei singoli cittadini in favore delle case di cura o dei centri di terapia, cosicchè,
quelli che dovevano essere dei rimborsi di somme già erogate sono divenuti dei pagamenti in favore
dei soggetti stessi che avevano erogato le prestazioni e, diciamo subito, poiché si tratta certamente
di una delle anomalie che hanno consentito la truffa, la procura speciale è diventata in realtà una
sorte di cessione di credito nella quale il cedente, cioè il privato, debole e ammalato, non aveva
nessuna consapevolezza del credito che cedeva, né in virtù del meccanismo con il quale i costi
venivano trasmessi dal distretto di bagheria e da iannì all’asl 6 era possibile per la pubblica
amministrazione erogante rendersi conto dell’effettivo costo del servizio appunto pagato.
In pratica, anche attraverso questo meccanismo, michele aiello non soltanto determinava il costo a
suo piacimento, ma evitava che anche la persona che usufriva della prestazione ne venisse a
conoscenza. La disposizione alla quale abbiamo fatto riferimento, l’art.2 della legge regionale 80
dell’88, che prevede il rimborso al costo, potrebbe condurre alla conclusione paradossale che
sarebbe di per sé legittima la richiesta e quindi anche il pagamento di una qualsiasi somma, anche la
più spropositata, per ogni singola prestazione, anche la più semplice. Per esempio, nel caso in
questione, per ogni seduta di irradiazione. Questa conclusione è in realtà chiaramente paradossale e
trova il suo primo correttivo in un corretto concetto di prestazione che, nel caso in esame, non è la
singola irradiazione, ma l’intero ciclo descritto nel piano terapeutico inizialmente predisposto dallo
specialista radioterapista, che ha come scopo principale quello di individuare la dose utile di raggi
da irradiare e che ricomprende necessariamente le altre attività specifiche: la visita pre-trattamento,
la simulazione o “centratura”, la redazione del piano terapeutico, la visita post trattamento.
Ci è stato detto dagli imputati che a proposito delle terapie eseguite non è corretto parlare di ciclo
sul piano scientifico, ma in questa sede la questione, peraltro mai contestata nel corso delle indagini
preliminari, è ovviamente soltanto una questione terminologica avendo in buona sostanza chiaro il
significato del ciclo inteso come la completa esecuzione della terapia prevista, quello che intendeva
da un lato il paziente e dall’altro l’ente publico pagatore: i laici di questa materia indicano per
“ciclo” proprio questo.
Ciò premesso, è stato accertato che la Villa santa teresa Diagnostica per immagini e la Alte
tecnologie medicali hanno adottato una serie di accorgimenti diretti da un lato a richiedere il
pagamento delle singole parti del ciclo invece che di questo nella sua interezza, con un conseguente
indebita moltiplicazione degli incassi, dall’altro lato a eludere i controlli dei funzionari dell’Asl di
palermo mentre, per altro, potevano contare sulla complicità dei responsabili del distretto di base di
bagheria. Questi accorgimenti sono stati costituiti dall’uso di documentazione non corrispondente a
quella prescritta, specie per l’uso di fotocopie invece che degli originali, dall’uso di
documentazione contenente affermazioni non corrispondenti al vero, soprattuto con riferimento al
domicilio sanitario, dall’uso di documentazione redatta volutamente in modo tale da non fare
risultare che l’oggetto della singola richiesta di pagamento e della corrispondente fattura non era un
intero ciclo ma solo una parte di esso, dalla redazione da parte del distretto sanitario di base di
bagheria delle proposte di deliberazione e di liquidazione che dovevano poi essere adottate dall’asl
n. 6 con modalità tali da eludere i controlli da parte della direzione generale dell’azienda. 1:29:05
Ulteriori accorgimenti fraudolenti sono stati poi necessari per evitare il rischio che la asl a cui
appartenevano i pazienti non residenti nel territorio della provincia di palermo, quindi fuori dalla
competenza dell’asl 6, potessero rilevare l’enorme incremento del costo delle prestazioni erogate
dalle due società facenti capo ad aiello.
L’effetto del ricorso a questi che sono stati definiti con termine volutamente non tecnico
“accorgimenti”, ma che in realtà integrano perfettamente gli artifizi e i raggiri previsti dall’art. 640

209
del c.p., è stato quello di indurre in errore la pubblica amministrazione, di ottenere il pagamento di
somme non dovute dato che in buona sostanza veniva pagata più volte la stessa prestazione intesa
come ciclo terapeutico e non come singola seduta e comunque dolosamente non si metteva in
condizione la pubblica amministrazione di comprendere quale fosse l’effettivo costo delle
prestazioni erogate, vere o false che esse fossero.
Questa ricostruzione dei fatti trova conferma, come vedremo, nella documentazione acquisita e
nelle diverse consulenze e perizie svolte nel processo, ma trova conferma anche in alcune
ammissioni anche di alcuni imputati, in particolari del dottor oliveri, responsabile della radioterapia
oncologica presso la società dell’aiello, e in misura meno significativa dello stesso dottor
giambruno. Non vi è dubbio che il contesto nel quale si sviluppano anche le condotte criminose di
truffa e quelle, sostanzialmente connesse, di tipo corruttivo è il medesimo nel quale sono maturate
anche le altre condotte criminali di michele aiello, si sono intrecciati i suoi inquinati rapporti con
esponenti politici di spicco appunto di questo mondo, quello della politica, e di quello della
pubblica ammnistrazione. Il soddisfacimento e la tutela di taluni dei molteplici interessi anche di
natura illecita di aiello conotano infatti anche in questo caso i suoi rapporti con gli imputati lorenzo
iannì e michele giambruno, rispettivamente direttore e funzionario medico del distretto sanitario di
base di bagheria.
Non vi è dubbio che le società di aiello hanno vertiginosamente incrementato i ricavi annui solo in
minima parte grazie agli investimenti tecnologici operati e al fisiologico accrescimento del numero
dei pazienti. Soprattutto i ricavi aumentano a causa del patologico gonfiamento del costo delle
prestazioni compiacentemente consentito da taluni settori dell’asl 6 di palermo e quindi sopportato
dalla regione siciliana. L’esistenza di numerosi e variegati rapporti di aiello con esponenti politici e
della pubblica amministrazione proprio in relazione ai suoi cospicui interessi nel settore della
sanità, la predisposizione da parte di aiello di artifizi e raggiri complessi e articolati che grazie alla
complicità proprio di quei funzionari del distretto sanitario di base di bagheria, e in particolare iannì
e giambruno, gli hanno consentito l’indebita percezione di ingenti somme erogate dell’asl 6.
Dall’esame degli esperti abbiamo appreso in quali passaggi si articola un trattamento di radioterapia
e qual era la procedura standard prevista dalle norme vigenti, nel periodo che qui interessa, per
usufruire di prestazioni di radioterapia, e lo possiamo così sintetizzare: la visita pre-trattamento, la
simulazione o “centratura” del volume bersaglio, il piano terapeutico, le sedute, la visita post-
trattamento. Allora il ciclo, cioè il termine che alcuni ci hanno spiegato non esistere dal punto di
vista scientifico, può senz’altro definirsi come l’insieme di tutti i punti sinora esposti, pertanto una
frazione delle sedute complessive previste dal radioterapista non è da considerarsi un ciclo, ma una
parte del ciclo e se poi non si vuole accettare questo concetto - ma ripeto la questione è soltanto
terminologica – si può tranquillamente usare l’altro concetto pure emerso in dibattimento, cioè il
concetto di “prestazione sanitaria” che pare invece, chissà perché, soddisfare le esigenze di tutti
quelli che ci hanno corretto sul termine “ciclo”. È pur vero che a volte nel corso della terapia si può
rendere necessaria l’esecuzione di ulteriori simulazioni per modificare i campi di trattamento, di
solito riducendone le dimensioni iniziali, e però le modifiche apportate non costituiscono un nuovo
ciclo, non costituiscono una nuova prestazione sanitaria.
Dalla deposizione del teste Di pasquale, già citata, è possibile ricostruire, insieme alla
documentazione prodotta e ai dati normativi, quella che è l’ordinaria procedura di erogazione delle
prestazioni: le prestazioni di radioterapie sono effettuate da centri pubblici e/o privati autorizzati
dall’assessorato regionale alla sanità, i centri privati fino al 30 giugno del 2002 sono distinti in
convenzionati e non convenzionati, presso i centri convenzionati l’assistito si reca con la
certificazione di uno specialista oncologo, con la prescrizione del medico di base per un trattamento
di radioterapia. Al termine del ciclo di irradiazioni la struttura erogatrice richiede il rimborso della
prestazione in base al tariffario regionale all’azienda asl dove insiste il centro stesso tramite il
distretto sanitario di competenza. Presso i suddetti centri posso accedere tutti gli assistiti residenti
nel territorio nazionale senza ulteriore formalità, per gli assistiti non residenti nel territorio
dell’azienda sanitaria dove viene effettuato il trattamento, la stessa azienda asl chiederà la

210
compensazione all’asl di appartenenza dell’assistito. Presso i centri non convenzionati le prestazioni
vengono effettuate in forma indiretta, ovvero l’assistito con certificazione sanitaria rilasciata da
specialista oncologo attestante la malattia e la necessità del trattamento radioterapico si reca dal
proprio medico di famiglia il quale rilascia la prescrizione su ricettario regionale per un trattamento
di radioterapia. Questo passaggio prevedeva due tipologie:
assistito residente nel territorio ove esiste un centro pubblico o convenzionato che effettua
prestazioni di radioterapia, e in questo caso il paziente con la prescrizione del medico di base si reca
presso il centro pubblico abilitato alla radioterapia. Qualora presso il centro pubblico non è
possibile intraprendere il trattamento entro breve tempo viene rilasciata apposita attestazione a cura
del responsabile del centro pubblico convenzionato circa l’impossibilità di iniziare il trattamento. In
questo caso l’assistito può recarsi presso qualsiasi struttura esistente nel territorio nazionale anche
non convenzionata per sottoporsi al trattamento.
Assistito residente nel territorio ove non esiste un centro pubblico o convenzionato che effettua
prestazioni di radioterapia. E in questo caso il paziente con la prescrizione del medico di base si
reca presso il distretto sanitario di residenza ove viene rilasciata apposita autorizzazione per il
trattamento. Dopo tale incombenza, l’assistito può rivolgersi a qualsiasi struttura esistente nel
territorio nazionale, anche non convenzionata, per sottoporsi al trattamento.
Con la prescrizione dello specialista oncologo, con la ricetta del medico di base autorizzata,
l’assistito si reca presso il centro di radiooterapia scelto dallo stesso dove il medico radioterapista,
al termine di una visita medica supportata da accertamenti diagnostici, predispone il piano
terapeutico, indicando in apposita cartella il ciclo di radioterapia. In tale fase l’assistito prende
cognizione del numero delle sedute di irradiazione cui deve sottoporsi. Nella ricetta il medico di
base prescriveva genericamente, ci ha detto il De Pasquale, e si legge per la verità nelle ricette,
necessità di un trattamento di radioterapia con acceleratore lineare poiché il compito di individuare
l’esatta terapia è di pertinenza del radioterapista. Al termine del ciclo, quindi dopo la visita post-
trattamento, la struttura emette la fattura. Trattandosi di assistenza indiretta, la fattura deve essere
saldata dall’assistito che a sua volta ne chiede il rimborso alla asl di appartenenza tramite il distretto
sanitario.
Ora, come abbiamo anticipato, in considerazione degli elevati costi di un ciclo di trattamenti viene
utilizzata una prassi diversa, questo per evitare i notevoli disagi economici che altrimenti
ricadrebbero sulla famiglia dell’assistito.
L’assistito davanti a un notaio sottoscrive un apposito documento pubblico con il quale nomina
procuratore, per la riscossione dell’importo fatturato, il legale responsabile del centro che ha
affettuato la prestazione sanitaria. In questo atto, l’assistito dichiara la propria residenza anagrafica
e che il rimborso, in ottemperanza alla legge regionale 40/84, deve essere effettuato dall’asl di
appartenenza. Il centro suddetto richiede in virtù della procura speciale il rimborso all’asl di
appartenenza dell’assistito inviando al distretto sanitario la documentazione in originale, ovvero
certificazione dello specialista oncologo, richiesta del medico di base, atto notarile, piano
terapeutico, dichiarazione che il centro non era convenzionato con il SSN, fattura. Successivamente
il responsabile del distretto sanitario predispone apposita proposta di delibera per il pagamento e
detta delibera viene adottata dalla direzione generale dell’asl interessata.
Ora, se questa è la regolare procedura, il dibattimento ha dimostrato che gli imputati hanno posto in
essere due diversi tipi di condotte, strettamente tra loro connessi: il primo aspetto riguarda il profilo
sostanziale dell’ammontare delle somme richieste e indebitamente percepite, il secondo riguarda le
irregolarità delle richieste di rimborso.
Le irregolarità sostanziali: non c’è dubbio che fino al giugno del 1999 il centro Villa santa teresa ha
seguito la procedura che abbiamo appena descritto. Dal luglio del 1999 la Diagnostica per immagini
Villa santa teresa, dal 2001, inizio dell’attività, anche la Atm e fino al passaggio al regime di
assistenza diretta, il cosiddetto pre-accreditamento, il 9 febbraio 2002 per la Villa santa teresa, il 1
luglio 2002 per l’Atm, hanno adottato una diversa procedura mediante la quale, soprattutto grazie

211
alla complicità dei responsabili del distretto di base di bagheria e dell’asl 6, hanno ottenuto rimborsi
di gran lunga superiori a quelli in realtà dovuti.
Nel periodo indicato, le società suddette al completamento dell’intero ciclo di radioterapia per ogni
assistito emettevano più fatture, ognuna delle quali relativa a frazioni di trattamento pur se eseguiti
in periodi di trattamento consecutivi, e indicava però un importo pari a quello complessivamente
richiesto fino al giugno del 1999 per l’intero trattamento. Ne segue all’evidenza che questo modo di
operare ha determinato una indebita dilatazione del costo del trattamento secondo le modalità che
emergono in particolare dalle deposizioni e dalla documentazione prodotta dal teste dara, udienza
del 27 giugno 2006, del 7 febbraio 2007 e del 15 maggio 2007 sulle quali pure si tornerà.
Dall’esame della documentazione acquisita, dalla deposizione dei carabinieri del nas, da quello
dell’amministratore giudiziario Dara, che ha dovuto gestire le imprese sanitarie di aiello dopo il suo
arresto, da quello dei periti si deve ritenere come assodato che le società di aiello hanno ottenuto
dall’asl 6, a partire dal luglio del 1999, somme considerevolmente superiori a quelle ottenute per la
stessa identica prestazione fino alla prima metà del 1999 grazie al marchingegno consistente in
sostanza nella proliferazione di fatture sulle quali sono state spalmate attività terapeutiche invero
facenti parte di un unico ciclo terapeutico, o prestazione sanitaria, così indebitamente frazionato.
Questa operazione è illecita perché non è conforme alla legge regionale 12 agosto 80 n. 88 e
successive modifiche, normativa base in materia che sia pure brevemente va esaminata.
Il legislatore regionale all’art. 2 comma 1 della disposizione citata ha previsto che le prestazioni
sanitarie farmaceutiche, dietetico-medicamentose, diagnostiche, nonché i presidi terapeutici in atto
non previsti o soddisfatti con forme di intervento parziale o limitato nel tempo, sono erogati in
forma indiretta nei casi in cui siano giudicati da conforme parere tecnico-sanitario espresso del
servizio competente dell’unità sanitaria locale indispensabili e insostituibili alla tutela della salute
del cittadino.
Al comma 3 dice che il rimborso delle relative spese da parte della competente unità sanitaria locale
avviene al costo e su richiesta dell’avente diritto documentata e corredata da fatture debitamente
quietanzate etc etc.
In questo modo e per prestazioni sanitarie in genere di particolare complessità strumentale non
assicurate dai presidi pubblici, il cittadino può fare ricorso alla cosiddetta assistenza indiretta che
prevede che egli si rivolga a strutture private, sopporti il costo delle prestazioni erogate e ne ottenga
il rimborso da parte della asl documentando l’esborso sostenuto. I presupposti della cosiddetta
assistenza indiretta sono in primo luogo che le prestazioni sanitarie siano non previste o soddisfatte
e soprattutto siano giudicate da giudicate, da conforme parere tecnico-sanitario espresso del servizio
competente dell’unità sanitaria locale, indispensabili e insostituibili alla tutela della salute del
cittadino.
E allora, il regime del rimborso delle spese, teoricamente in prima battuta sostenute dal cittadino, è
rimasto in realtà travolto dalla prassi. La prassi ha consentito anche ai non abbienti, giustamente
ovviamente, il ricorso a cure assai costose, dal ricorso alle procure all’incasso rilasciate dai singoli
cittadini alle case di cura o ai centri di terapia attraverso appunto questo sistema delle spese
sostenute. In questo modo quelli che dovevano essere dei rimborsi di somme erogate dagli utenti in
realtà sono divenuti veri e propri pagamenti che l’asl opera in favore di quegli stessi soggetti che
hanno erogato le prestazioni sanitarie. Nella sua concreta applicazione il sistema normativo
sommariamente riferito, per evitare paradossali e arbitrarie conclusioni connesse ad esasperate
interpretazioni dello stesso, ad esempio proprio l’illimitato rimborso rectius pagamento, è stato
sorretto da adeguati rimedi connessi in particolare al concetto che nell’ipotesi di procedimenti
terapeutici composti e articolati quello che va rimborsato è il costo “prestazione sanitaria” e non
ogni singola componente dello stesso. Ora, nel caso di specie non c’è dubbio che la prestazione
sanitaria è sinonimo di ciclo terapeutico, così come è stato prima delineato, e che vede nella singola
irradiazione una parte, non autonomamente rimborsabile, dell’intero ciclo, questo rimborsabile.
Che questa sia la corretta interpretazione del dato normativo si evince chiaramente dalla
considerazione che fino alla metà del 99 anche la Villa santa teresa si è attenuta a questi ovvi

212
concetti come del resto si fa in tutta Italia, vedi riferimenti al san raffaele di milano, ai nomenclatori
regionali dei quali hanno parlato numerosi e qualificati testi (ettore cittadini il 19 aprile 2005, guido
catalano il 29 novembre 2005, il rag. Cuccia il 6 giugno 2006, lo stesso dott. Dara all’udienza del
27 giugno 2006 nonché tutti i consulenti e i periti esaminati tra i quali in particolare il professor biti,
su cui torneremo).
E allora in proposito è significativo proprio quanto ci a riferito il dottor scaduto, predecessore di
iannì nell’incarico di dirigente sanitario del distretto di bagheria, nel corso del suo esame il 30
maggio del 2006. Scaduto ha illustrato la procedura relativa alle erogazioni in regime di assistenza
indiretta durante il suo periodo di direzione del distretto di bagheria. Ci ha spiegato che i suoi
compiti, che saranno poi i compiti ereditati da iannì, erano di autorizzare il trattamento radiante con
l’accelaratore lineare su indicazione specialistica dell’oncologo e prescrizione del medico di base
con la dicitura che il trattamento era indispensabile e insostituibile. Completata la terapia il centro
con delega notarile faceva pervenire la richiesta di rimborso allegato in originale, in originale, i
seguenti documenti: l’istanza di rimborso del cittadino, la delega notarile, la relazione tecnico-
sanitaria del centro, la richiesta specialistica, la richiesta del medico di base, la dichiarazione di non
convenzionamento.
Ha spiegato dunque che la documentazione doveva essere in originale, o al più doveva trattarsi di
fotocopia autenticata; ha confermato che la fattura era in riferimento alla relazione tecnico-sanitaria
allegata, e che tale documento conteneva tutte le prestazioni effettuate in favore dell’assistito, dalla
prima visita sino all’ultimo giorno di trattamento e visita conclusiva, e ha riferito che la durata di un
trattamento variava tra le due e le quattro settimane in base alla tipologia della malattia e che erano
sporadici i casi nei quali, su proposta dello specialista oncologo, l’assistito veniva sottoposto a
ulteriore ciclo. Ha chiarito che per “ciclo” intende tutte le prestazioni suddette, ovvero dalla visita
pre-trattamento a quella post-trattamento. Ha indicato come costo medio del ciclo una cifra fra i 9 e
i 24 milioni delle vecchie lire a seconda del tipo di trattamento, che i costi più alti effettivamente
riguardavano la terapia cosiddettta “conformazionale” le cui richieste di rimborso erano cominciate
a prevenire solo verso la fine del suo mandato, e ha spiegato che quando dirigeva il distretto
sanitario di bagheria la struttura di Villa santa teresa, così come le altre strutture, faceva pervenire le
richieste di rimborso una volta al mese. Su ogni singola richiesta egli verificava la rispondenza della
documentazione e che la terapia fosse stata iniziata in data successiva all’autorizzazione ai sensi
della legge regionale 40/84 e in tempi brevi, in caso contrario effettuava le dovute contestazioni.
Dopo i controlli suddetti faceva redigere uno specchio riepilogativo di tutte le richieste che poi
veniva allegato a un’unica proposta, un’unica proposta di deliberazione che in seguito veniva
inviato all’ufficio della signora La barbera. Ha confermato che fino al 99 le pratiche di rimborso per
i pazienti residenti fuori dalla provincia di palermo erano sviluppate direttamente presso la asl di
appartenenza, tant’è che quando gli è stato chiesto cos’è un domicilio sanitario ha detto quello che
dovrebbe essere ovvio per tutti, ma che evidentemente non è, e cioè il domicilio sanitario, ci ha
detto, è quando per ragioni di opportunità, per evitare disagi all’assistito, si elegge il domicilio
sanitario nel posto dove si esegue un determinato trattamento, per evitare di andare avanti e indietro
e quindi i pazienti in condizioni precarie potevano eleggere il domicilio sanitario nelle località dove
eseguivano la terapia per evitare appunti questi rientri alla loro residenza, che poteva comportare un
affaticamento per poi l’indomani magari ritornare alla struttura.
E allora mi pare del tutto evidente che la ratio del domicilio sanitario è proprio questa; ci hanno
spiegato qui, invece, che la ratio del domicilio sanitario è cosa diversa, è una semplificazione
burocratica-aministrativa, ma vedremo questo è un altro degli artifizi attraverso i quali si può
realizzare il delitto per il quale stiamo discutendo.
La truffa sta allora in particolare nel fatto che il nuovo meccanismo dei rimborsi adottato dalla
società di aiello dal 1999 comporta la moltiplicazione dei debiti contabili, le fatture, emessi e
soprattutto il fatto che ogni singola fattura, in genere relativa a trattamenti settimanali, riporta una
somma quasi pari a quella riportata in precedenza dall’unica fattura prima di allora emessa per
l’intero ciclo o prestazione sanitaria.

213
Palermo, 15 ottobre 2007,
Settima giornata requisitoria Processo Aiello - Cuffaro e altri (talpe alla Dda)

Pm, Maurizio De Lucia

Presidente: volevo dare atto della presentazione in cancelleria di questa istanza di remissione ai
sensi dell’articolo 45 e seguenti del cpp. Se la vuole illustrare, prego…

Avvocato Antonio Mormino: Volevo dire Presidente che adesso è compito del tribunale assumere le
determinazioni conseguenti rispetto alle quali noi non formuliamo nessuna esplicita richiesta. La
norma prevede anche la facoltà del tribunale di adottare un provvedimento anziché un altro e questo
è nei compiti del tribunale stesso e noi non abbiamo nessuna ragione di forzare o richiedere
esplicitamente una o l’altra delle determinazioni. Attendiamo di conoscere le decisioni del
tribunale, ed eventualmente se proseguiremo in questa fase allo stato delle cose, aspettiamo che così
come era stato prospettato alla prossima udienza il pubblico ministero formuli le sue richieste
conclusive e ne prenderemo atto per quello che è l’andamento fisiologico, normale del
procedimento.

Presidente: c’è qualcuno che vuole interloquire su questa questione?

Pm: non abbiamo nulla da osservare rispetto a quanto è stato rilevato ora

Presidente: delle parti c’è qualcuno che vuole interloquire? Il tribunale si ritira…
(sospensione)

Presidente: …l’importante è registrare quello che stiamo dicendo in merito alla presentazione
nell’odierna udienza, di una richiesta di remissione ai sensi dell’articolo 45 del codice di procedura
penale da parte dell’imputato salvatore cuffaro. Rilevato che le altre parti non hanno osservato
alcunché né avanzato richieste ulteriori, ritenuto che in forza al disposto di cui all’art. 46 terzo
comma ccp il tribunale ha il dovere di trasmettere immediatamente alla suprema corte di cassazione
la richiesta con i documenti allegati. Ritenuto altresì che il collegio è chiamato a pronunciarsi
unicamente sull’opportunità di sospendere il processo in attesa delle determinazioni della suprema
corte, che a tale riguardo, in considerazione della specifica fase in cui si trova il dibattimento è in
corso una lunga e articolata discussione che fa prevedere ancora tempi non brevi per il suo
esaurimento, il tribunale non ritiene opportuno disporre la sospensione del processo e per questi
motivi dispone trasmettersi a cura della cancelleria la richiesta di remissione del processo avanzata
ai sensi dell’art. 45 e seguenti cpp dall’imputato salvatore cuffaro alla suprema corte di cassazione
con urgenza, facendo riserva di trasmettere separatamente la documentazione attinente alle
eventuali notifiche e osservazioni. Dispone procedersi oltre. Possiamo ridare la parola al pubblico
ministero, per l’ennesima volta..

Pm de lucia: alla scorsa udienza abbiamo cominciato ad esaminare la prima condotta di truffa in cui
il profilo è costituito dal pagamento di somme non dovute perché apparentemente relative all’intero
trattamento sanitario e di fatto, invece, riferite solo a frazioni di tale trattamento. Questo profitto
indebito è stato ottenuto mediante artifizi e raggiri che si sono sostanziati in una serie di irregolarità
delle pratiche di rimborso, l’innovazione del 1999 che ha enormemente inciso nella sostanza
dell’ammontare dei costi sopportati dalla regione per l’assistenza sanitaria, lungi dall’essere frutto
di un’errata ma in buona fede interpretazione della normativa vigente da parte dei responsabili della
villa santa teresa diagnostica per immagini e della Atm altro non era che la dolosa attuazione di una
specifico e ben attuato piano criminoso che con la indispensabile complicità dei responsabili del
distretto di base di bagheria era diretto ad eludere i controlli delle funzioni della asl 6 di palermo.

214
Questa considerazione trae il suo fondamento dal riscontrato, disinvolto uso da parte della società a
corredo delle richieste di rimborso di documentazione non corrispondente a quella prescritta,
fotocopie invece degli originali, cosa che lo stesso Scaduto nel corso del suo esame ha escluso si
praticasse per il passato e ha definito illegittima, ovvero sostanzialmente falsa e ciò con specifico
riferimento al domicilio sanitario, ovvero ancora artificiosa nei suoi contenuti. A tale
predisposizione di documentazione fa da controaltare la redazione da parte del responsabile del
distretto sanitario di base di Bagheria, Iannì, di proposte di deliberazione e di liquidazione
confezionate in modo tale da eludere i controlli da parte della direzione generale dell’azienda. A
questo proposito va sottolineato che sotto il profilo sostanziale ogni controllo delle pratiche di
rimborso e la stessa predisposizione della proposta di pagamento restava devoluta per intero ai
distretti di base. Infatti giusta disposizione, numero 3821/da del 26 luglio del 2001, il direttore
amministrativo e il direttore sanitario della asl 6 hanno invitato i direttori dei distretti, testuale “ad
esaminare l’esigenza di inoltrare gli atti unitamente allo schema compilato dal provvedimento” e
hanno altresì previsto che la documentazione riguardante i vari procedimenti istruttori dovrà
rimanere custodita in originale, così è detto nel provvedimento che ho citato “agli atti del distretto”.
Rimanendo alla competenza della direzione generale l’approvazione della proposta di
provvedimento alla quale veniva allegata, a seconda dei casi, il ruolo di pagamento in duplice copia
e le copie fotostatiche delle fatture emesse dagli enti o associazioni. È del tutto evidente che per
evitare il rischio che le asl di appartenenza dei pazienti non residenti nella provincia di palermo, alle
quali la asl 6 avrebbe chiesto in compensazione le prestazioni erogate ai loro assistiti .potessero
rilevare l’enorme incremento del costo delle stesse Aiello e i suoi coimputati hanno utilizzato
ulteriori scaltrezze anche il tal caso rappresentando situazioni di fatto non corrispondenti alla realtà,
in particolare attraverso l’adozione sistematica della pratica del domicilio sanitario, anche questa a
decorrere dal 1999 e sempre a questo proposito si può rinviare alle dichiarazioni che ha reso lo
stesso Scaduto.
Gli accorgimenti adottati evidenziano in particolare la responsabilità di Iannì, dirigente sanitario del
distretto sanitario n4 di bagheria e di Gianbruno, medico dipendente della asl 6 di palermo in
servizio presso il distretto sanitario di bagheria, di Oliveri, radioterapista dei due centri clinici
facenti capo ad aiello. Vedremo da qui a breve in dettaglio quale è la loro condotta illecita.
Il maresciallo Di Pasquale, e si può verificare dalla documentazione prodotta, ci ha detto nel corso
del suo esame, che è pure già citato, che ad ogni richiesta di rimborso veniva allegata per i soggetti
non residenti nel territorio della asl n6 l’istanza con l’indicazione del domicilio sanitario
dell’assistito che, abbiamo già anticipato, ha un solo scopo, quello di consentire la trattazione della
pratica solo presso il distretto sanitario di Bagheria, e non presso altre strutture pubbliche, quelle di
reale residenza dell’assistito.
Di Pasquale ci ha anche riferito che a redigere le ricette sul ricettario regionale relative al
trattamento di radioterapia con acceleratore lineare con l’indicazione del domicilio sanitario
dell’assistito, domicilio sanitario solo virtuale dunque, era Giambruno e che la necessità di
sottoporre l’assistito a ulteriori sedute di radioterapia, era del dottor Oliveri, era infatti il dottor
Oliveri a scegliere anche il tipo di terapia con la non irrilevante opzione tra terapia tradizionale e
conformata, atteso che il concetto di terapia tradizionale e conformata è estraneo alla letteratura
scientifica, abbiamo appreso, ed è affidato alla sola dichiarazione dell’Oliveri. Tra la
documentazione prodotta vi sono gli specchi riepilogativi allegati alle delibere di rimborso delle
prestazioni, dalla loro analisi emerge che i nominativi di diversi assistiti si ripetevano in più specchi
riepilogativi, ad ogni delibera corrispondeva un solo specchio tranne in alcuni casi dove ve n’erano
due. Ogni specchio riepilogativo riportava i seguenti dati relativi ad ogni assistito […].
Ebbene, è chiaramente impossibile che per un funzionario amministrativo, addetto alla sede di
palermo, anche in buona fede e non era questo – lo vedremo – il caso della signora La Barbera che
ha avuto per un lungo periodo questo compito, rendersi conto di tale dato, cioè della ripetizione di
nominativi, analizzando non il complesso degli specchi riepilogativi, e del resto non avrebbe avuto
alcuna ragione per farlo, ma i singoli specchi a sostegno delle liquidazioni. Peraltro dalla visione

215
d’insieme degli specchi riepilogativi emerge che numerosi assistiti risultavano abitare ai medesimi
indirizzi e in numero tale da rendere evidente come la dichiarazione relative al domicilio, perché di
indirizzi del domicilio sanitario stiamo parlando, non sia mai corrispondente alla realtà se è vero
che i dati che emergono dalla lettura degli specchi sono quelli di cui ci ha riferito il Di Pasquale.
Non vi è dubbio allora, e del resto lo ammette lo stesso aiello nel corso del suo esame, che l’uso del
domicilio sanitario era finalizzato acché le richieste di rimborso non fossero mandate alle diverse
asl della Sicilia competenti per territorio, ma tutte quante all’ asl 6 di Palermo tramite il distretto
sanitario di Bagheria, ciò permetteva appunto ai due centri di Aiello di richiedere rimborsi in misura
sproporzionata, sicuri del fatto che al distretto sanitario di bagheria, competente alla verifica
amministrativa e sanitaria, grazie al dottor Iannì, non sarebbero state mosse contestazioni di alcun
tipo.
Il dato della virtualità del domicilio sanitario è ammesso dallo stesso Aiello che nel corso del suo
lungo esame ha dichiarato dapprima che l’indicazione dei domicili sanitari corrispondeva ad un
dato reale, che i pazienti utilizzavano i mini appartamenti di proprietà delle sue società, siti accanto
al centro clinico, salvo poi ammettere che le dichiarazioni di domicilio sanitario non significava
affatto che il paziente risiedesse fisicamente presso tale domicilio, ma che si trattava solo di una
questione di natura formale volta a concentrare tutti i pagamenti presso la asl 6, sì da avere un unico
interlocutore. In ogni singola richiesta di rimborso, relativa ad assistiti per i quali veniva indicato il
domicilio sanitario, risulta allegato una procura speciale o fotocopia della stessa dalla quale si
evince l’effettiva residenza dell’assistito. Numerosi assistiti risultato residenti nel territorio di
pertinenza nella asl di Agrigento e in quella di Trapani.

Presso i due uffici competenti delle due asl sono state acquisite e sono state poi versate nel fascicolo
per il dibattimento le pratiche di rimborso relativi ad assistiti per i quali risultavano anche richieste
di rimborso alla asl 6. nelle pratiche acquisite alla asl di Trapani ed Agrigento non vi era indicato il
domicilio sanitario ma soltanto la residenza anagrafica, inoltre alle medesime istanze risultava
allegato in originale una procura speciale nella quale veniva indicata la sola residenza. anche dal
raffronto tra le richieste di rimborso presentate alla asl di appartenenza e le molteplici richieste di
rimborso presentate al distretto sanitario di Bagheria per il medesimo assistito emerge un quadro
ben definito del meccanismo truffaldino. Per quel che concerne l'istanza di rimborso è inoltre
emerso che la stessa costituita da un modulo preliminarmente predisposto dai centri di Aiello era
così congegnata, un contenuto dell'istanza presentata all'asl di appartenenza che conteneva: la
domanda di rimborso con le indicazioni dell'assistito, l'effettiva residenza e l'importo richiesto. La
richiesta del medico di base su ricettario regionale di un trattamento di radioterapia con acceleratore
lineare, la certificazione del medico specialista oncologo attestante la necessità di effettuare il
trattamento, l'autorizzazione del servizio di medicina di base ai sensi della legge regionale 40/84 per
poter usufruire dell'assistenza sanitaria in forma indiretta, uno schema di trattamento redatto dal
radioterapista indicante il periodo di terapia, la dose giornaliera, la dose totale irradiata, fattura e
dichiarazione di non incompatibilità dal centro erogante la prestazione, e la procura speciale
notarile con cui l'assistito incaricava il centro di riscuotere dalla asl di appartenenza il corrispettivo
per il trattamento. Ovviamente in questa procura era riportata l'effettiva residenza anagrafica
dell'assistito. Questa documentazione veniva allegata in originale, il contenuto invece della prima
istanza presentata alla asl 6 di palermo prevedeva la domanda di rimborso con indicazione
dell'assistito, il domicilio sanitario e dell'importo richiesto e la residenza anagrafica veniva omessa,
la prescrizione del dottor Giambruno dipendente dell'asl 6 di Palermo abbiamo detto presso il
distretto sanitario di bagheria su ricettario regionale richiedente un trattamento di radioterapia con
acceleratore lineare, relativamente all'assistito non era indicata appunto la residenza anagrafica ma
il domicilio sanitario, su ogni ricetta vi era poi il timbro di autorizzazione da parte dello Iannì,
autorizzazione da intendersi questa ai sensi della legge regionale 40/84, la fotocopia della
certificazione del medico specialista oncologo attestante la necessità di effettuare il trattamento,
l'originale del documento era stato utilizzato per richiedere evidentemente il rimborso all'asl di

216
eprtinenza, uno schema di trattamento redatto dal radioterapista indicante il periodo di terapia, la
dose giornaliera, la dose totale irradiata, fattura e dichiarazione di non incompatibilità dal centro
erogante la prestazione, e il periodo di trattamento risultava consecutivo a quello per il quale era
stato richiesto il rimborso alla asl di pertinenza e pertanto faceva parte dello stesso ciclo; la procura
speciale notarile con cui l'assistito incaricava il centro di riscuotere dalla asl 6 il corrispettivo per il
periodo di trattamento indicato di cui al punto 4, lo schema di trattamento che abbiamo illustrato.
Ora questa procura speciale veniva riportata la dichiarazione di domicilio sanitario presso un
indirizzo ricadente nell'ambito della provincia di Palermo, la procura speciale e quella inviata all'asl
di pertinenza venivano redatte nella medesima giornata e riportavano un numero di repertorio
progressivo nelle due procure quindi risultavano dichiarazioni diverse, in una l'asl di pertinenza e la
residenza anagrafica, nell'altra l'asl 6 di Palermo e il domicilio sanitario e la suddetta
documentazione ad eccezione di quelle indicate al punto 3 venivano allegate all'originale.
Ancora per le istanze successive alla prima, presentate all'asl 6 di Palermo, domande di rimborso
con indicazione dell'assistito domicilio sanitario e dell'importo richiesto e la residenza anagrafica
veniva ancora omessa, fotocopia di prestazione su ricettario regionale dle dott. Giambruno, la
ricetta originale era stata utilizzata per la prima richiesta di rimborso, prsentataall'asl 6, fotocopia
della presscrizione del medico specialista oncologo attestante la necessità di effettuare il
trattamento, la cui copia originale era stata utilizzata per la richiesta di rimborso presentata alla asl
di pertinenza del'assistito e schema di trattamento redatto dal radioterapista indicante il periodo di
terapia, la dose giornaliera, la dose totale irradiata, fattura e dichiarazione di non incompatibilità dal
centro erogante la prestazione, e il periodo di trattamento risultava anche quiconsecutivo a quello
per il quale era stato richiesto il rimborso alla asl 6 di palermo; le ulteriori richieste di rimborso
facevano capo a periodi consecutivi e quindi facenti parte dello stesso ciclo; e la certificazione
redatta da Oliveri con il quale attestava la necesità di sottoporre l'assistito ad ulteriori sedute di
radioterapia. le sedute di radioterapia della prima istanza presentata all'asl 6 di Palermo risultavano
sempre consecutive alla seduta relativa al'istanza presentata all'asl di pertinenza e pur tuttavia nella
prima istanza presentata a Palermo non veniva inserito alcun riferimento da part edi Oliveri a
precedenti sedute. Questa omissione ha chiaramente lo scopo di fare apparire la prima istanza
presentata all'asl 6 di Palermo come l'inizio del trattamento di radioterapia che in abbinamento
all'uso del domicilio sanitario competente al rimborso fosse la suddetta Asl, e ancora fotocopia della
procura speciale notarile, la cui copia originale era stata utilizzata per la prima richiesta di rimborso
presentata all'asl 6 di Palermo e in ogni fotocopia vi era il timbro del dirigente sanitario Iannì
attestante la conformità alla copia originale. Ogni istanza di rimborso doveva poi essere corredata
dalla richiesta del medico di base su ricettario regionale inerente il trattamento di radioterapia con
acceleratore lineare. Nella ricetta il medico di base prescrive genericamente necessità di un ciclo di
radioterapia con acceleratore lineare, poiché la metodologia di trattamento e la durata sono di
esclusiva competenza del radioterapista. La necessità della richiesta su ricettario regionale è dettata
dalla normativa regionale per le prestazioni sanitarie a carico del servizio sanitario pubblico. La
ricetta del medico di base di un assistito residente fuori dalla provincia di Palermo veniva utilizzata
per presentare l'istanza di rimborso per le prime sedute del ciclo alla asl di pertinenza occorreva
quindi una nuova ricetta per presentare la prima istanza all'asl 6 di palermo che non poteva essere
richiesta nuovamente all'assistito e quindi al medico di base per due motivi: intanto il medico di
base sapeva benissimo che la ricetta già emessa era attinente a un intero ciclo di trattamento, e poi il
medico dibase avrebbe riportato la residenza anagrafica dell'assistito e allora la richiesta di
rimborso non avrebbe potuto essere dirottata al distretto sanitario n° 4 quello di Bagheria.
Giambruno, dipendente dell'asl 6 di Palermo presso il distretto sanitario di Bagheria è stato
individuato dai suoi complici e da Michele Aiello in particolare come la persona adatta
all'emissione di migliaia di ricette, a nome di migliaia di assistiti relativi a prescrizioni di trattamenti
di radioterapia. In ognuna di queste ricette veniva indicato il domicilio sanitario. Come ammesso
nel corso del suo interrogatorio 23 maggio 2006 lo stesso Giambruno, questi non ha avuto contatto
mai di alcun genere con gli assistiti; è risultato invece saldamente legato a Michele Aiello, il quale

217
lo ha indicato come la persona per la quale ha svolto a titolo gratuito lavori di rifacimento e
ristrutturazione di una casa sita ad Altavilla Milicia (???) e il capo h1 del decreto che dispone il
giudizio. Questa condotta si inserisce nel contesto di tutte quelle attività ilecite che Aiello ha messo
in campo er sviluppare il reato principale di questo settore di questa sua attività criminale, appunto
la truffa contestata. Il delitto di corruzione contestato emerge innanzitutto dalle dichiarazioni dello
stesso Aiello che nel corso del suo interrogatorio il 14 febbraio 2006 ha riferito che nella primavera
del 2001 Giambrone gli chiese una mano di aiuto così dice, in ordine alla manutenzione di un
immobile che aveva ad Altavilla e allora dice Aiello io gli ho mandato un mio capocanteire per fare
un sopralluogo congiunto per quanto riguarda questi lavori, ne è venuto fuori un preventivo di 20
milioni di allora per opere che erano di ebanisteria, idraulico, pitturazioni etc e poi c'era una scala a
chiocciola etc etc. soprattutto lo stesso aiello esclude che sia stato pagato questo lavoro, e la
dichiarazione trova conferma intanto in quelle di Francesco Giuffrè, che nel corso dell'udienza del 5
aprile del 2005 ha riferito effettivamente di aver fatto il lavoro ad altavilla, al dottr Giambruno, per
la somma di 20 milioni di vecchie lire a titolo sostanzialmente di cortesia e ancora un altro dei
dipendenti di aiello Anselmo Giuseppe ha confermato lo stesso fatto, perlatro con estrema dovizia
di particolari nell'indicare quali lavori erano stati fatti all'udienza del 12 aprile del 2005, in cui è
riferito anche del materilae impiegato, del tempo delle maestranze utilizzate e questo è certamente
uno dei prezzi della corruzione del Giambruno che contribuisce a spiegare appunto almeno in parte
le sue condotte. Altro soggetto che ah svolto un ruolo centrale nella perpetrazione del delitto di
truffa è Iannì, questi ha assunto, lo sappiamo la carica di dirigente del distretto sanitario 4 nei primi
mesi del 1999; è certamente singolare che il sistema di frammentazione di richieste dei rimborsi per
un solo ciclo, l'uso del domicilio sanitari, l'uso delle ricette di Giambruno, l'uso delle fotocopie al
posto degli originali nelle singole richieste di rimborso abbia avuto inizio proprio a metà del 1999
quando appunto Iannì si insedia al distretto sanitario di Bagheria. E' Iannì che appone il visto di
autorizzazione in ogni ricetta medica sanitaria di Giambruno, così ai sensi della legge 40/84, è Iannì
che autorizza il trattamento di forma indiretta per gli assistiti domicialiti in palermo anche in
assenza delle dichiarazioni delle strutture pubbliche attestanti l'impossibilità di eseguire il
trattamento radiante in tempi brevi. Sul punto le dichiarazioni di Cartaino del 5 aprile 2005 del teste
Aserio del 17 maggio 2005. E' Iannì che svolge un ulteriore compito, quello di evitare che il sistema
descritto, cioè che altri uffici dell'asl di Palermo, il settore economico e la direzione generale
potessero avere un'immediata cognizione sugli esosi rimborsi richiesti dai due centri di radioterapia.
Tutte le richieste di rimborso indirizzate alla asl 6 venivano infatti depositate al distretto sanitario 4
e il dirigente di questo distretto Iannì aveva il compito di eseguire i dovuti controlli economici
sanitari e predisporre le proposte di deliberazione di liquidazione, che in seguito venivano adottate
dalla direzione generale. Ebbene, come si può constatare dall'analisi della documentazione che
abbiamo prodotto dalle consulenze, Iannì alle proposte di deliberazione allega soltanto uno
specchietto riepilogativo in cui vengono riportati nominativo dell'assistito indirizzo periodo di
trattamento, numero della fattura e relativo importo. Importo complessivo da liquidare per ogni
proposta di deliberazione si aggirava sistematicamente inotrno ai 500 milioni di vecchie lire per
prestazioni effettuate mediamente su 20 assistiti, sì da fare falsamente figurare un costo medio per
malato del tutto nella norma, 20-25 milioni di vecchie lire circa. Tuttavia il dirigente del distretto di
bagheria aveva a disposizione un numero decisamente superiore di richieste di rimborso ma si
guardava bene dall'unificarli in un unico specchio riepilogativo onde evitare il ripetere dei
medesimi nominativi, quando per uno stesso assistito venivano presentate mediamente 7-10
richieste di rimborso e di richiedere un impegno di liquidazione unico su cifre mediamente di 4
miliardi di vecchie lire. Una diversa condotta sarebbe stata corrispondente alla logica e alla buona
prassi amministrativa, avrebbe però evidentemente rischiato di richiamare l'attenzione della
direzione generale sia sull'abnormità del costo complessivo per ogni singolo malato, sia sull'entità
colossale sulle somme complessive rimborsate alle società di Aiello. Inoltre rilevata la sistematicità
con la quale i due centri facevano ricorso a indirizzi fittizi per la cosiddetta domiciliazione sanitaria,
un unico specchio riepilogativo avrebbe portato un numero talmente consistente di assistiti abitanti

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ai medesimi indirizzi da far sì evidentemente che l'anomalia sarebbe emersa. Il sistema adottato da
Iannì invece evitava accuratamente che in ogni specchio si ripetesse il medesimo nominativo. Se
poi si guardan le deposizioni dei pazienti e dei loro familiari nel corso del dibattimento, da questo
emerge in via di estrema sistesi che nessuno era consapevole del ruolo che aveva l'elezione del
domicilio sanitario che tutti hanno escluso di avere chiesto l'emissione di ricette a Giambruno che
peraltro hanno affermato di non conoscere, e che tutti hanno affermato di non essersi mai recati
presso i locali del distretto sanitario di Bagheria e ancora che tutti hanno precisato che durante il
ciclo non venivano sottoposti ad altre visite mediche o accertamenti diagnostici, tranne qualche
caso in cui veniva effettuato un esame ematochimico e le sedute avevano una durata di ochissimi
minuti e ancora vanno riportate le dichiarazioni rese da alcuni impiegati delle due società di aiello
che riscontrano la fondatezza della tesi accusatoria in particolare in ordine sia alle responsabilità dei
funzionari della asl 6 che alle modalità di predisposizione della documentazione a sostegno della
richiesta di rimborsi, al ruolo preminente dello stesso aiello.
Significative sono le dichiarazioni di francesco Buffa, impiegato amministrativo presso la villa
Santa teresa diagnostica per immagini addetto dal giugno 99 al febbraio 2002 alla predisposizione
delle richieste di rimborso in regime di assistenza diretta per i trattamenti di radioterapia. Sentito il
15 febbraio 2005, non ha potuto non ammettere, perché naturalmente spontaneaente qui nessuno è
venuto a dare un contributo, sono numerosissime le contestazioni delle dichiarazioni rese in fase di
indagini preliminari che sono state effettuate nei confronti di questi testi, fatto sta che nei confronti
di queste contestazioni è emerso un quadro sufficientemente chiaro, per Buffa che all''inizio di ogni
trattamento di radioterapia per ogni assistito su indicazione di Aiello egli predisponeva una serie di
richieste di rimborso che variavano di numero in relazione al trattamento e comunque da un minimo
di 2-3 a un massimo di 10-15, ogni richiesta di rimborso portava cognome e nome dell'assistito
località di nascita, data, codice fiscale, domicilio sanitario. L'indicazione di domicilio sanitario ch
abbinava ogni assistito veniva sempre ed esclusivamente indicato proprio da Michele Aiello. Le
richieste di rimborso non riportavano a priori la richiesta di rimborso da presentare alla asl e
pertanto l'assisitito quando sottoscriveva la richiesta di rimborso che avveniva durante la seduta del
trattamento non era mai a conoscenza dell'importo richiesto e non lo sarebbe mai stato, atteso il
meccanismo di funzionamento della procura pseciale di cui abbiamo parlato la volta precedente. In
realtà anche questa forma di controllo, quella dal basso, che sarebbe stata operata proprio dal
paziente non è mi divenuta uno strumento efficace di controllo proprio perché neppure il paziente
sapeva quanto costava la sua prestazione. L'unico che lo sapeva era colui che richiedeva il
rimborso, cioèAiello. peraltro qualora l'assistito non consegnava la procura speciale era lo stesso
Buffa ad accompagnarlo con un automezzo della società presso lo studio del notaio e la procura
speciale riportante la domiciliazione sanitaria dell'assistito riportava sempre l'asl 6 competente per
territorio ai fini dell'inoltro della richiesta di rimborso; nella stessa circostanza veniva predisporsta
anche una seconda procura speciale, con le stesse generalità e domiciliazione sanitaria anagrafica,
ma questa volta indicante l'asl competente per territorio, ai fini della sola finalità di rimborso che
poteva essere la Asl di Trapani, Agrigento, Caltanissetta e altre province, omettendo in questo caso
il domicilio sanitario. le ricette mediche di Giambruno che venivano allegate alla prima richiesta di
rimborso, così come le fotocopie delle procure con l'indicazione del timbro di conformità appostovi
da Iannì.

L'importo delle fatture che venivano allegate a ogni richiesta di rimborso riportanti sempre numero
e data diversa erano pure indicate ad Aiello. Buffa si è anche occupato della compilazione degli
specchi riepilogativi che venivano avanzati al distretto sanitario di Bagheria.Alla fine di ogni mese
sempre su indicazione di Aiello ci ha detto compilava una serie di elenchi riepilogativi limitandosi a
inserire numero del distretto sanitario di appartenenza dell'assistito, dati anagrafici riportanti nome e
cognome, data di nascita, indirizzo periodo di trattamento di radioterapia importo e numero della
relativa fattura. Il modello gli era fornito da aiello, riportava nella prima pagina di ogni specchio
dati dell'asl 6 i dati del distretto di Bagheria e le indicazioni di uno spazio relativo a un numero di

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protocollo e a un numero relativo alla data, nonché l'indicazione del rimborso per le prestazioni di
radioterapia riferite a un mese dell'anno solare. I campi relativi al numero di protocollo, la data e il
mese venivano da lui sempre lasciati in bianco. Ogni specchio riepilogativo conteneva un numero
compreso tra 30 e 40 nominativi di assistito e le pratiche inerenti a ogni specchio gli venivano
consegnate da Aiello, ogni specchio riepilogativo compilato, con le relative pratiche di rimborso
veniva consegnato al distretto sanitario nelle mani di un altro protagonista seppur certamente
minore che è il signor Prestigiacomo anche lui in rapporti molto stretti con Michele Aiello.
Nel corso dell'udienza del 1° marzo 2005 anche un'altra degli impiegati amministrativi della villa
Santa Teresa la signora Rosaria Calabria e anch'essa con non poche difficoltà come emerge dalla
trascrizione del suo interrogatorio, ha confermato di avere avuto sin dall'inizio della sua attività sin
dal settembre del 2000 disposizioni dirette solo ed esclusivamente da Aiello specificando che le
pratiche di rimborso per esami diagnostici inerenti assistiti residenti fuori della provincia di Palermo
venivano consegnate allo stesso Aiello il quale dopo alcuni giorni consegnava a sua volta altre
richieste mediche degli stessi assistiti su ricettario regionale a firma questa volta di Giambruno per
ulteriori prestazioni. In queste ricette vi erano riposrtati i domicili sanitari degli assistiti, le ricette di
Giambruno le venivano consegnate da Aiello e sul ruolo svolto da Giambruno le indicazioni della
Calabria sono state confermate ancora da un'altra impiegata, che è Giuseppina Di Fiore, sentita
anche lei in data 1° maro 2005 ha ribadito che la pratica per il rimborso dell'assistenza indiretta
comprendeva anche le prescrizioni del medico di base e di uno specialista su ricettario regionale per
gli assistiti oncologici provenienti da altre asl Aiello aveva dato disposizione di fare comunque
effettuare gli esami e di lasciare le pratiche in sospeso al solo fine di unirvi la ricetta medica e per
questi assistiti il medico era Giambruno che come è noto lavora presso il distretto sanitario di
Bagheria che con una cadenza quasi bisettimanale si presentava lui nel suo ufficio e consegnava le
ricette relative alle pratiche in sospeso e Giambruno quando consegnava le ricette ritirava un
foglietto in cui erano inseriti dall'amministrazione della clinica i dati dell'assistito, l'esame cui era
sottoposto, il domicilio sanitario. l'indicazione del domicilio sanitario avveniva, ci ha detto anche
questa teste, su indicazione di Aiello. Il tipo di esame diagnostico a cui doveva essere sottoposto
l'assistito era estrapolato dalla prescrizione effettuata da Oliveri. Per gli assistiti fuori provincia
dunque era sistematico il ricorso alla ricetta di Giambruno, anche nel caso in cui gli assistiti
portavano al seguito la prescrizione dell'esame diagnostico. Stesse indicazioni da un altro teste,
sentito sempre il 1° marzo 2005, francesco Robello impiegato fin dal 1998 presso la Villa Santa
Teresa che ci ha riferito che quando si presentavano delle ricette di esami diagnostici di assistiti
provenienti da altre province, su disposizione di Aiello veniva presa comunque la prenotazione e
venivano consegnati i dati allo stesso ingegnere il quale dopo qualche giorno forniva per
quell'assistito ricetta di un medico facente parte dell'asl 6 di Palermo un domicilio nell'ambito della
provincia di Palermo che solitamente era o via Città di Palermo o viale Bagnera. Sullo stesso
appunto ancora 15 febbraio 2005 Mariangela Daniela Puleo, che ci ha spiegato che il giorno
dell'accentratura qualora l'assistito non si presentava con al seguito la procura speciale e non
conosceva le strade di Bagheria veniva fatto accompagnare da un autista del centro presso lo studio
notarile, che il domicilio sanitario da abbinare al paziente era comunicato da Aiello lo stesso giorno
della accentratura, che per gli assistiti per i quali venivano presentate più istanze di rimborso
venivano predisposte tante richieste quante ne venivano indicate da Aiello, e così anche 1° marzo
2005 la deposizione del teste Biagio Saraniti. Ma l'ulteriore conferma della validità del nostro
assunto accusatorio è desunto poi proprio dall'interrogatorio di Domenico Oliveri, uno degli
imputati di questo processo, radioterapista oncologico sia presso il centro diagnostico per immagini
villa santa teresa dal giugno 1997, con un contratto formalizzato nel 99 come libero professionista,
con un minimo garantito e una percentuale legata al fatturato che presso l'Atm. Questo ha dichiarato
nel corso del suo interrogatorio nel maggio 2006, dopo una serie di contestazioni sul verbale di
interrogatorio reso in fase di indagini preliminari, che da una certa data in poi Aiello gli disse che
dovevano essere predisposte relazioni con cadenza settimanale che Oliveri aveva firmato e che
dovevano giustificare l'intero ciclo. Oliveri ci ha dato nel corso del suo esame la definizione di ciclo

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terapeutico: è essenzialmente un concetto profano, ci ha detto, cioè è un qualcosa che serve a nio
per metterci in contatto con il paziente e spiegargli esattamente che cosa lui avrà in maniera
estremamente semplice. E' chiaro che se io gli dico a un paziente lei deve fare 60 grey con un
frazionamento di 2 grey giornalieri lui mi guarderà estremamente interdetto e oltretutto io andrò a
violare i miei doveri di consenso informato, E allora il concetto normalmente al paziente si
identifica come ciclo quel numero di sedute che coincide con la sua terapia e che possiamo dargli
un inizio dalla visita di pretrattamento, e una fine con la visita di fine trattamento, questo come
concetto generale, anche se il concetto di ciclo terapeutico di radio terapia non esiste da un punto di
vista scientifico né da un punto di vista amministrativo. Il pm gli contessta quando ebbe a dire
nell'interrogatorio del 4 dicembre 2003, cioè alla domanda che cosa si intende per ciclo terapeutico,
rispose "per ciclo terapeutico si intende la visita preliminare, la redazione del piano terapeutico, gli
accertamenti preliminari e tutte le sedute fino alla relazione conclusiva, è esatto?, Oliveri Domenico
rispose "sì confermo".
E Oliveri ci ha confermato che le certificazioni erano predisposte dall'ufficio amministrativo della
clinica e che era lo stesso ufficio di amministrazione a inserire anche il domicilio sanitario. Gli
viene chiesto "Lei ha mai discusso con Aiello dei domicili sanitari?" "Diciamo che ci siamo
incontrati, i miei incontri con l'ingegnere aiello erano sempre più che altro incontri chiamiamoli non
di corridoio, ma chiacchierate amichevoli al di fuori dello studio e lui mi disse che il domicilio
sanitario era un atto amministrativo percorribile che diciamo che era stato chiarito con la asl la sua
fattibilità e a che serviva non lo so, diciamo che un'altra cosa che vorrei aggiungere, diciamo le mie
perplessità, io lavoro in un centro, dunque mi appoggio agli atti amministrativi di chi lo gestisce,
così in questo momento sto facendo con l'amministrazione giudiziaria, io non entro mai nei meriti
degli atti amministrativi a meno che non siano palesemente falsi." Io le ho solo chiesto, continua il
pm, se Aiello le ha spiegato perché si dovevano adottare i domicili sanitari. "No questo no, avevo
dei dubbi. Diciamo che il mio dubbio sul domicilio sanitario fu dissolto quando ho visto che
praticamente veniva citato nella procura speciale che il paziente firmava da un notaio per la
cessione di credito, dunque se il notaio al paziente questo si può fare per me diventava un atto
accettabile. Questo è stato il mio ragionamento". Gli viene però fatta una serie di contestazioni, in
particolare gli viene contestato dall'interrogatorio del 4 dicembre 2003. "A questo proposito
aggiungo che io mi meravigliai del fatto che da questo momento in poi vi fosse una pluralità di casi
di elezione di domicilio e chiesi spiegazione ad Aiello; costui mi disse che oramai c'era il sistema
sanitario nazionale, che il cittadino aveva il diritto di scegliere di farsi curare in qualsiasi parte di
Italia, che questo metodo era particolarmente diffuso in Lombardia, affermò poi di avere concordato
con la asl senza indicare alcun nome le modalità di rimborso con l'indicazione del domicilio
sanitario dicendo che in questo modo si sarebbe creato un unico centro di pagamento dei rimborsi
che sarebbero stati così più veloci. Aggiunse ancora che non c'era motivo di meravigliarsi tant'è che
i domicili sanitari erano oggetto di procure notarili.
E Oliveri a questa contestazione di quanto aveva dichiarato il 4 dicembre 2003 dice "Confermo
tutto quello che ho detto". A proposito proprio della condotta a lui contestata del resto lo stesso
Giambruno, tornando alla trattazione della posizione di questo imputato, nel suo interrogatorio del
23 maggio 2006 ha ammesso dopo un iniziale diniego che solo raramente si limitava a esprimere il
suo parere sulla base della documentazione esaminata nel suo ufficio e che invece nella
maggioranza dei casi si recava presso il Centro diagnostica per immagini di Aiello, esaminava la
documentazione proprio come ci hanno detto gli impiegati di Aiello e direttamente lì esprimeva il
suo parere utilizzando il ricettario che si portava dietro senza che fosse necessario procedere in
visita dei malati e va infine rilevato che come detto in precedenza Aiello in combutta con i suoi
referenti del distretto sanitario di Bagheria ha modificato proprio dalla seconda metà del 99 cioè
subito dopo l'arrivo di Iannì la prassi fino ad allora seguita relativa alle modalità di redazione degli
elenchi delle richieste di rimborso trasmessi al distretto sanitario di Bagheria e da lì agli uffici della
direzione generale dell'Asl, Aiello ha affermato che la nuova prassi gli fu suggerita, quasi imposta
dai funzionari Gianlombardo già da tempo deceduto e La Barbera. Quel che è certo è che se la

221
giustificazione addotta da Aiello, ovviare alle carenze di liquidazione dell'Asl è scarsamente
convincente, al contrario è certa ed evidente la finalità perseguita e realizzata, di evitare cioè che gli
uffici di Palermo preposti al controllo potessero notare con facilità il ripetersi dei nomi degli
assistiti dai quali ovviamente derivava un improvviso quanto ingiustificato aumento delle spese per
la asl per ogni assistito. Questa manovra veniva operata da Iannì a mezzo del frazionamento delle
richieste di rimborso a lui pervenute nell'arco di un mese in modo da diluire ma solo in maniera
apparente le somme pretese e ottenute dalle società di Aiello. I costi spropositati delle prestazioni
dovevano essere celati a eventuali sempre possibili controlli perché spropositati e appunto come
vedremo non giustificabili. Del resto Aiello ha riferito che le modalità di calcolo dei rimborsi da
chiedere sarebbero state elaborate sulla base dell'investimento finanziario sostenuto per l'acquisto
delle attrezzature e delle spese di gestione e allora vale la pena riportare quanto Michele Cartaino
suo ex dipendente ha dichiaratoha dichiarato nel suo esame del 5 aprile 2005 e cioè che nel suo
periodo di collaborazione con Aiello protrattosi fino al 98 i trattamenti avevano un costo che andava
da un minimo di 9 milioni a un massimo di 20-25 a seconda del tipo di trattamento e della durata,
cifre che riguardavano un intero ciclo di trattamento dove per ciclo si intende come ci ha
confermato Oliveri, tutto quanto compreso dall'inizio dello studio delle immagini fino all'ultima
irradiazione. Ha spiegato che il trattamento palliativo non necessitando di studi approfonditi aveva
un costo di 9 milioni di vecchie lire e aveva una durata di dieci sedute, il trattamento definito
adiuvante ad esempio di una mammella a tutto volume aveva un costo di 16 milioni con una durata
di 25-30 sedute, il trattamento radicale, ad esempio del polmone o della prostata un costo di 20-25
milioni con una durata non inferiore alle 30-35 sedute, ma soprattutto ha detto alla domanda "che è
che determinava le cifre?" "L'amministrazione, non me ne occupavo io Cartaino".
"L'amministrazione una persona specifica? Lei queste cifre chi gliele ha indicate?"
"Io le ho lette". "E chi determinava queste cifre?" "L'amministrazione" "E chi è
l'amministrazione?Ce la fa a dire il nome?". "Non no no no non è che non ce la faccio a dire il
nome, non lo so chi è." E allora gli viene contestato il verbale reso in sede di indagini preliminari il
12 gennaio 2004 perché in quel verbale il nome viene fatto. E Cartaino dice "Me lo ricordi perché
in questo momento io non me lo ricordo" Pm gli ricorda allora quanto ebbe a dire il 12 gennaio del
2004. Quindi "chi le ha riferito le cifre per ciclo?" la risposta "Le cifre per ciclo mi sono state dette
dall'ingegnere Aiello Michele". L'ingegnere Aiello poi determinava - dice dopo aver avuto la
contestazione - dico l'ingegnere Aiello nel senso che per l'ingegnere Aiello lavoravano tante
persone, io identificavo una parte amministrativa poi mi occupavo del disbrigo della pratica per cui
non era l'ingegnere Aiello che prendeva la fattura e che la emetteva, indubbiamente stabiliva lui o
probabilmente anziché ovviamente stabiliva lui il valore del costo del trattamento". Anche Iannì
non ha potuto non ammettere nel corso del suo esame del 16 maggio 2006 l'esistenza di numerose
anomalie delle pratiche che interessavano Aiello. Gli viene chiesto: "Questa documentazione per il
rimborso doveva essere predisposta meglio in originale o anche in copia?" "No in originale". E poi
gli viene chiesto "Quindi tutte le sue proposte di deliberazioni per il rimborsi sono state fondate su
documenti in originale?" "Sì, tranne che in qualche caso". E poi sta a spiegare quali sono i casi in
cui ciò non sarebbe avvenuto. Gli viene chiesto a che cosa servire la procura notarile. La procura
serviva a pagare direttamente la prestazione alla struttura che l'aveva fatta. Gli viene chiesto
"Quindi occorreva una procura speciale per ogni prestazione"Iannì "sì", il che significa che non era
concepibile l'ottenimento del rimborso ove non ci fosse l'originale della procura per ogni
prestazione e Iannì "No, noi la procura l'abbiamo accettata, l'abbiamo fatta fare la fotocopia e
siccome avevamo agli atti l'originale abbiamo fatto l'autentica dell'originale" E gli viene ancora
chiesto "Quindi dopo una prima prestazione rimborsata con l'originale della procura poteva
succedere che le successive prestazioni fossero rimborsate con una fotocopia della procura?" e Iannì
"Facendo l'autentica sì". E poi si innesta nel corso del suo interrogatorio il tema se potevano o no
essere in fotocopia queste procure e Iannì deve ammettere ad un certo punto che non era tutto in
originale, er in parte in originale e in parte in fotocopia. E poi ancora "tutti questi atti in originale o
in copia" dice Ianni "noi fino al 2001 li abbiamo mandati presso gli uffici della signora La Barbera"

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quindi in qualsiasi momento là si faceva un controllo amministrativo tecnico contabile avrebbero
potuto benissimo. Non è vero che avrebbero potuto benissimo perché quello che arrivava era
sostanzialmente ed esclusivamente quel tabulato di cui abbiamo parlato.
Non va dimenticato poi che è proprio Iannì la persona che avvisa Aiello dell'acquisizione da parte
dei carabinieri del Nas presso gli uffici della Asl della documentazione relativa ai rimborsi ottenuti
dalle sue società e consegnargli poi copia del verbale di acquisizione e successivamente di quello di
sequestro per facilitare le ricerche di Ciuro presso il registro informatico della Procura della
Repubblica, ed è ancora stato Iannì a concordare con Aiello la lettera di risposta alle contestazioni
della Asl e ancora Iannì a proposito appunto di quanto sono stretti i suoi rapporti con Michele
Aiello e di come certamente non ha adempiuto al ruolo di controllo al quale avrebbe dovuto, la
persona che avvisa Aiello della presenza a Bagheria di personale del Servizio centrale operativo
della Polizia di Stato.

E allora su questa procedura non vi è alcun dubbio che questa procedura serve appunto a occultare
dei costi e che questi costi sono abnormi e l'induzione in errore è dimostrata proprio dalle tecniche
di frammentazione della documentazione di rimborso poste in essere dagli imputati con lo scopo di
fare figurare il pagamento di una cosa, il ciclo terapeutico, che in realtà non veniva fornita dato che
la prestazione fornita aveva in oggetto solo una frazione di questo ciclo e la frammentazione, senza
dubbio, aveva lo scopo di eludere i controlli della P.A. Ma altri profili del reato di truffa risultano
pure provati; dalla documentazione in atti risulta infatti che tutte le richieste di rimborso presentate
dalle società di Aiello nel periodo per cui è mossa la contestazione hanno avuto per oggetto
prestazioni di terapia conformazionale.
Il processo dimostra che le cose non stanno in questo modo. E bene sottolineare che le radioterapie
di tipo tradizionale cui si riferiscono i primi due capi di imputazione relativi ai reati di truffa
rappresentano comunque una percentuale significativa del totale, dato che, come specificato dallo
stesso Oliveri, nel corso del suo interrogatorio già quelle relative al tumore alla mammella
costituiscono da sole un terzo del totale. Vediamo cosa ci ha dichiarato sul punto Oliveri. Ha
indicato un momento iniziale della terapia conformazionale, datandolo alla data di acquisto di un
micromultilift il 23/06/1999. Ha riferito che nel 2000, anche il secondo acceleratore di cui era
dotata la diagnostica di Aiello ha subito delle modifiche da un collimatore geometrico semplice si
applica un collimatore multilamellare. Ha spiegato che il con micromultilift si praticava già
radioterapia conformazionale, ma limitata, ci ha detto, perché essendo un collimatore di 10x12
quindi poteva essere utilizzato semplicemente per piccoli tumori, quindi prostata o rinofaringe, o
tutte le dinamiche a livello dei tumori celebrali. Poi gli è stato espressamente richiesto: "ma dopo
l'acquisto e le modifiche subite fra il 99 e il 2000 dei due acceleratori si è continuato a praticare
terapie tradizionali?" e Oliveri ha risposto "Certo", e ha indicato pure quali patologie. Le patologie
elettive in cui si fa la radio terapia tradizionale sono il carcinoma nella mammella che diciamo in un
centro assorbe quasi il 30/35% dei trattamenti, i tumori testacollo in cui è ancora [incomprensibile]
perché bisogna costituire delle schermature in lega basso fondente quindi ci sono dei vantaggi e a
proposito del tumore mammella-mammelle gli viene chiesto: "lei ha indicato il 30% di cosa come
percentuale?" Oliveri: "il 30-35% come valutazione complessiva"; "Dei trattamenti tumorali?";
"Sì"; "affrontati dalla vostra struttura?"; "Affrontati dalla nostra struttura". Poi gli viene chiesto dei
tumori testacollo, e "questi in che percentuali venivano affrontati o venivano affrontati dalla vostra
struttura?". E Oliveri ci dice: "un 10%. Perché facendo conformanzionale poi chiaramente noi
siamo specializzati a fare certi tipi di trattamento, cioè io vedo per esempio meno testacollo ma
vedo moltissimi, oramai il 50%, i tumori prostatici.
A proposito dei costi delle diverse terapie, pur non essendo un esperto dei costi delle macchine, ma
solo del loro impiego, Oliveri ci ha detto: "sicuramente sono più costose, perché chiaramente
l'ammortamento delle macchine, il maggior impegno del personale, la maggior accuratezza nei
piani e nelle radiazioni perché quando si fa conformazionale chiaramente il trattamento viene
limitato il massimo possibile sulla massa tumorale e allora a questo punto ci può essere il rischio di

223
quello che noi chiamiamo geographic missing, cioè che praticamente ci siano parti del tumore che
vadano fuori campo e questo viene compensato con controlli giornalieri più intensi. Quindi fare
conformazionale significa fare più verifiche giornaliere e più controlli giornalieri quindi questo ha
sicuramente un maggior costo. Oltretutto l'ammortamento delle macchine e tutta la tecnologia che
sta a monte però sicuramente c'è un grosso guadagno per il paziente".
Ma ci ha anche spiegato Oliveri che non tutti i tumori venivano aggrediti con radioterapia, perché
gli viene chiesto "all'interno dei casi in cui è possibile anzi opportuno utilizzare la radioterapia tutti i
tumori sono aggredibili con la radioterapia conformazionale?"
"Sì, dipende dalle condizioni";
"Cioè?"
"Dal tumore";
"Cioè?";
"Dipende dallo studio che noi facciamo";
gli viene chiesto "cioè per esempio se ci sono delle metastasi, la terapia conformazionale va bene o
no? fra i pazienti che venivano avviati per trattamento radioterapeutico percentuale, quanti venivano
avviati al trattamento della radioterapia conformazionale?"
"Come le ho detto un 40-45% sono tradizionali".
Quindi solo un 50-55% veniva avviato?
E Oliveri "60%"
"60% terapia conformazionale?"
e Oliveri "dipende, diciamo i pazienti oscillano, quindi non c'è sempre la una possibilità però
insomma le mammelle sono stabili: sono sempre un 30%".
E a proposito del tumore alla mammella, Oliveri ci ha detto: "non c'è un'indicazione, non si può fare
una conformazionale sulla mammella con le attuali macchine e tecnologie: ciò non è proprio
fattibile tecnicamente. E il presidente però gli chiede: "quindi ci sono una serie di indicazioni per
cui la conformazionale non solo non è preferibile, ma non è fattibile";
"Esatto", Olvieri.
E poi ancora Oliveri ha dato la sua versione del concetto di radioterapia tradizionale utilizzata
presso le cliniche di Aiello.
Allora dice Oliveri: "il problema qual è, noi partiamo da una radioterapia tradizionale poi nasce la
radioterapia conformazionale per cui in realtà là è rimasta una definizione un po'imprecisa di quello
che è una terapia tradizionale, che alla fine, definendosi prevalentemente quella non
conformazionale, però andando a fare una revisione confrontandosi anche con altri colleghi a livello
nazionale visto che il problema che si è posto in questo processo e che tutti quanti convergono sul
dire che la giusta definizione di radioterapia tradizionale è una radioterapia che si fa
bidimensionalmente quindi chi fa lo studio esclusivamente su un piano e non su un volume, quindi
noi continuamo a chiamare la nostra radioterapia tradizionale ma in realtà era una radioterapia
conformata".
La difesa di Aiello gli chiede: "Ci vuole spiegare che cosa intende dal momento che Villa santa
Teresa è sempre stata dotata di apparecchiature su tre dimensioni?".
E Oliveri: "Una terapia fatta con uno studio tridimensionale, quindi con acquisizione dei volumi
con simulatore Tac e ricostruzione tridimensionale del piano di trattamento e calcolo
tridimensionale della dose".
E quindi gli viene chiesto "questa tradizionale lei a che cosa la lega dal momento che vi erano
queste caratteristiche diverse?" e Oliveri: "è rimasta semplicemente come definizione in gergo,
orfana, in realtà è come dicevo una radioterapia conformata senza l'utilizzazione però di un sistema
multilamellare" e allora è Oliveri quello che ci parla di terapia tradizionale, di terapia tradizionale
conformata, di terapia conformazionale; che ci dice come dall'inizio dell'attività del centro della
diagnostica per immagini nel '97 fino all'acquisto (il 23/06/99) del macchinario per fare la
multilamellare, dunque in un lasso di tempo di circa due anni viene eseguita terapia tradizionale che
si basava però su una diagnosi però a tre dimensioni. Non si deve poi dimenticare che solo

224
successivamente anche il secondo acceleratore viene munito del multilift; gli viene chiesto infatti a
domanda presidenziale:
"Quindi è possibile fare, è stato fatto in quei due anni, una diagnosi, un accertamento, una
localizzazione del tumore, a tre dimensioni e poi un irradiamento tradizionale non multilamellare?"
Oliveri: "Sì è corretto parzialmente "
"E mi dica dove ho sbagliato",
"è sbagliato perché - chiaramente spiega Oliveri - avendo una visione tridimensionale del volume
tumorale io in corso di piano di trattamento simulo tridimensionalmente le porte e i campi
d'ingresso e questo mi permette una migliore radiazione del tumore e risparmio per gli organi
critici, cosa che non posso fare con la bidimensionale"
E quindi, viene chiesto a chiarimento, "è tradizionale, però con la particolarità che lei diceva
poc'anzi".
"Esatto"
"cioè con l'accertamento tridimensionale; allora tradizionale in senso pieno sarebbe un
accertamento su base lineare quindi bidimensionale e un irradiamento bidimensionale, quindi non
multilamellare. È giusto?"
"Sì".
Sulla terminologia che ha introdotto Oliveri, come anche in precedenza sul concetto di ciclo, si sono
impegnati tutti i periti e consulenti chiamati a deporre dalle parti e anche imminenti medici chiamati
pure a deporre fra gli altri il professore Cittadini che a deposto all'udienza del 19/05/2005 e il
consulente Dimarco all'udienza del 6/06/2006 che alla domanda, questi, il Dimarco:
"ma il trattamento radioterapeutico conformazionale è utile in tutte le patologie tumorali?" ha
risposto "No, il trattamento radioterapeutico conformazionale è una metodica che permette di
concentrare al massimo su alcune neoplasie che devono essere di piccola dimensione la quantità di
radiazione. Cioè per meglio spiegarmi le radiazioni sopportabili da un corpo, da un organismo
vivente, sono rispetto a quelle che sono le radiazioni che si somministrano in un programma
radioterapeutico abbastanza limitate, e quindi se io riesco a concentrare i raggi solo sull'organo
bersaglio, nel caso specifico sul tumore, do il massimo di danno al tessuto neoplastico,
risparmiando quello sano. La tecnica conformazionale per tumore non metastatici di piccole
dimensioni, come la prostata, permette posizionando e muovendo adeguatamente la forza di energia
di dare il massimo alla neoplasia".
Ci sono altri tumori, quello alla mammella può essere aggredito in questo modo? E il consulente:
"Diciamo che per quanto ne sappia io, non è una delle metodiche più usate, nel senso che sul
tumore alla mammella intanto è la chirurgia, l'atto terapeutico che è risolutivo quando riesce ad
eliminare la neoplasia. La radioterapia ecco è dopo la chirurgia ha un meccanismo coadiuvante
perché mi permette di essere più sicuro, di avere pulito il campo, e così come la radioterapia poi c'è
anche la radioterapia coadiuvante su un tumore alla mammella operata, diversa è la situazione se la
mammella è metastatico. S io ciò delle metastasi, linfonodi positivi e così via poi ci sono dei
protocolli di radiochemioterapia particolarmente aggressivi e indicati".
Gli viene chiesto "quindi laddove venga utilizzata la radioterapia conformazionale in patologie per
cui non è utilizzabile, qual è l'effetto dal p d v medico?"
Risposta: "data una dose massima su una zona piccola se c'è un grande tumore non capisco il senso,
quindi nel senso che non ha logica, la terapia e il trattamento conformazionale è quel trattamento
radioterapeutico delle neoplasie e quindi diciamo così per il 90% del trattamento non è un
trattamento utile per tutto". Anche il professore Orecchia, esaminato all'udienza del 17/10/2006, si è
soffermato su questo, ma in particolare si è soffermato anche su questo tema all'udienza del
20/03/2007 il professore Biti, si sono soffermati sugli stessi concetti e dall'analisi delle dichiarazioni
di Oliveri, dalla consulenza e dalla deposizione del professore Biti che pure è acquisita al processo
emerge nella maniera più chiara la problematica della definizione di radioterapia conformazionale e
dipende esclusivamente dal differente p d v espresso da ciascuno dei due.

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La definizione che ci dà il prof. Biti e quindi il discrimine fra radioterapia tradizionale e
radioterapia conformazionale si riferisce infatti alle modalità tecniche e di studio del trattamento
radioterapico. Mi riferisco in particolare a pag 8 della sua consulenza: "affinchè si abbia un
trattamento conformazionale è necessario che lo studio sia effettuato con tecnologia tridimensionale
che si basa su simulazione tac e su un software di tridimensionale.
Da qui anche l’affermazione che i trattamenti effettuati dalle strutture Atm e Villa Santa Teresa
erano da definirsi tutti conformazionali, atteso che, sin dall’inizio dell’attività, la tecnologia
disponibile era costituita unicamente da una tac di simulazione e da un software di ricostruzione
tridimensionale acquistato già nel ‘96. Non era invece disponibile alcun simulatore radiologico
ossia lo strumento che opera solamente con tecnologia cosiddetta “bidimensionale” e quindi
consente unicamente lo studio di trattamenti con la metodica tradizionale. Da qui la conclusione
allora da parte di Biti che la tecnologia presente in azienda consentiva solo lo studio di trattamenti
conformazionali non permettendo di converso l’effettuazione di trattamenti tradizionali per
mancanza di strumentazione. L’ottica utilizzata da Oliveri è completamente differente, in quanto il
momento di discrimine nella definizione del trattamento conformazionale e tradizionale non è
costituito dallo studio del trattamento stesso, ma dalla modalità tecnica di radiazione e di
schermatura del fascio e ciò risulta evidente dall’analisi delle dichiarazioni rese dal contenuto delle
relazioni tecniche effettuate dall’imputato. Un trattamento si può quindi definire conformazionale o
tradizionale in considerazione dell’utilizzo o meno nell’ambito della seduta dell’accessorio
collimatore multilamellare, il quale consente di conformare il fascio di radiazione al bersaglio
tumorale tramite una schermatura costituita da lamelle. Questa schermatura varia in ciascuno dei
campi di radiazione effettuati nell’ambito di una seduta giornaliera di radioterapia e permette una
migliore precisione del trattamento. Diversamente nel caso di terapia tradizionale l’eventuale
schermatura del fascio non viene fatta direttamente dall’acceleratore, ma effettuata tramite schermi
in piombo applicati direttamente sulla testata dell’acceleratore ovvero mediante cunei applicati sulla
parte da irradiare. Questa metodica non comporta quindi un’evoluzione tecnologica del macchinario
essendo costituita da schermature meccaniche e quindi in questo senso viene definita tradizionale da
Oliveri, poiché fattibile con qualunque tipo di acceleratore lineare, quindi anche con quelli di più
antica fabbricazione utilizzati dalle altre strutture presenti sul territorio nel ’99, seppure
probabilmente queste ultime presenti sul territorio utilizzassero ancora nello studio del trattamento
il simulatore radiologico bidimensionale e quindi meno preciso rispetto alla metodologia
tridimensionale utilizzata da Villa Santa Teresa.
Che tale sia la differenziazione tra trattamento tradizionale conformazionale, che Oliveri ha sempre
ritenuto corretta, risulta anche evidente dalla differente nomenclatura utilizzata nelle relazioni
tecniche rilasciate ai pazienti alla fine del trattamento radioterapeutico. Infatti, dal confronto tra le
relazioni standard utilizzate nel trattamento della mammella in cui non si utilizza il collimatore
multilamellare multirift (?), del rinofaringe in cui parimenti non si utilizza il collimatore
multilamellare multirif (?) e della prostata in cui invece tale accessorio viene sempre utilizzato
emerge che per la mammella troviamo scritto schema di trattamento con tecnica statica isocentrica
con fotoni X da 6mv è stata irradiata la mammella utilizzando due campi asimmetrici contrapposti e
tangenziali con schermi a cuneo. Rinofaringe: schema di trattamento con tecnica statica isocentrica
è fotone X da 6mv è stata irradiata la base cranica rinofaringe con le stazioni linfonodali
laterocervicali bilaterali comprese le spinali utilizzando due campi sagomati contrapposti
laterolaterali con un’immobilizzazione personalizzata mediante maschera termoplastica. Prostata,
invece, schema di trattamento con tecnica statica isocentrica conformazionale e fotoni da X da 10
mv etc
Il riferimento esplicito, dunque, al trattamento conformazionale lo troviamo soltanto nel terzo degli
schemi di trattamento che ho indicato e viene utilizzata, appunto, soltanto col riferimento al tumore
alla prostata che si contraddistingue per l’utilizzo del multilift (?) collimatore multilammelare
acquistato unicamente all’acceleratore lineare nell’aprile del 2000; nel ’99, infatti, la società aveva
acquistato un accessorio differente, il micromultilift, cioè un collimatore multilamellare con lamelle

226
di dimensioni inferiori utilizzabile solo su un ristretto numero di patologie: metastasi celebrali e
polmonari. È allora evidente dalle considerazioni che precedono che il responsabile medico della
società riteneva che solo a partire dal 2000, e in minima parte in data antecedente, nel 99, i
trattamenti svolti dall’Atm-Villa S. Teresa per mezzo del collimatore multilamellare si
caratterizzavano per una connotazione specialistica: la tecnica conformazionale non posseduta da
alcun atra struttura del territorio per mancanza delle tecnologie correlate. A fronte di ciò la società
sin dal 99 ha innalzato le tariffe dei trattamenti radioterapici, per altro in maniera generalizzata, cioè
per tutti i trattamenti e non solo quelli in cui si utilizzava dapprima il micromultilitf e poi dal
secondo semestre del 2000 il multilitf. Del resto Oliveri nel corso del suo esame ha ribadito i
concetti espressi, rinvenendo nelle patologie tumorali della mammella e del distretto testaXXcolon
trattamenti tradizionali e quantificandoli nella misura del 45% dell’attività della società a partire dal
2000 in poi, e correlandone la definizione dal mancato utilizzo del multilitf e del micromultilitf. Nel
corso dell’udienza Olivieri ha anche definito i riferiti trattamenti quali radioterapia tradizionale e
conformata, in cui l’aggettivo conformata si riferiva allo studio tridimensionale consentito dalla
simulazione Tac e dalla ricostruzione tridimensionale effettuata dal sistema di simulazione. Nella
sua interpretazione allora permane una differenza di tipo tecnologico legata alla schermatura del
fascio che contraddistingue i trattamenti tradizionali da quelli conformazionali diversamente
dall’opinione che abbiamo visto essere quella del prof Biti che invece collega questa differenza alla
simulazione, allo studio preliminare, e al trattamento, in cui assume rilevanza la bidimensionalità o
tridimensionalità dello studio medesimo. Ai fini allora che qui interessano rimane il fatto dell’aver
ottenuto il pagamento fuori nomenclatore, facendo apparire falsamente l’esecuzione di prestazioni
di alta specializzazione che di fatto non venivano eseguite.

Dicevo che il processo ha accertato anche un’altra diversa, articolata, manifestazione della stessa
fattispecie di truffa, che è quella a cui è a capo F1 dei reati contestati: infatti, dal 9 aprile al 30
giugno 2002, in Bagheria le due strutture sanitarie facenti capo all’Aiello hanno contestualmente
operato affiancandosi al Sistema sanitario pubblico: una in forma di preaccreditamento, la Villa
santa Teresa con la delibera 88 del 17 gennaio 2002, la Asl di Palermo… a fare data 9/02/2002 e
l’altra in forma indiretta, la Atm che analogo accreditamento otterrà in virtù del decreto
dell’assessore alla sanità del 17/06/2002 operativo a fare data dal primo luglio 2002.
Questo fatto che di per sé potrebbe apparire ordinario, assume invece connotazioni anomale e
aspetti di rilevanza penale, perché, malgrado come si è visto la legge regionale 40/84 consentisse il
ricorso all’assistenza sanitaria in forma indiretta solo in assenza di strutture pubbliche o
convenzionate presso la residenza o il domicilio dell’assistito, nel periodo indicato, cioè febbraio-
giugno 2002 i trattamenti radioterapici a taluno degli assistiti non erano praticati come sarebbe stato
normale dalla convenzionata villa S. Teresa, ma dalla non convenzionata Atm e dunque in regime
indiretto, in particolare come risulta dalla deposizione del teste Di Pasquale, alcuni assistiti in
trattamento con la Villa Santa Teresa dal 9/02/2002 hanno proseguito la terapia con l’Atm che ha
pertanto richiesto il rimborso delle prestazioni sanitarie erogate in forma indiretta, applicando così
tariffe nettamente superiori a quelle che invece Villa S. Teresa avrebbe potuto richiedere per
prestazioni in convenzione.
C’è poi un altro tema che è il tema del processo per le truffe, e cioè la questione dei costi perché i
costi non sono giustificabili. Sul punto sono state acquisite diverse valutazioni tecniche fornite dai
periti e consulenti indicati dalle parti e dal tribunale e a tale proposito rileva anche quanto riferito
dal dottor Dara che ha parlato degli sviluppi successivi all’arresto di Aiello del 5/11/2003 per
quanto concerne la gestione delle sue cliniche. Dara nel corso del suo esame del 27/06/2006 ha
riferito che a oggi le tariffe in termini di rendiconto vengono formulate sulla base del nomenclatore
che è risalente a dicembre del ‘97 e in una situazione tale da garantire l’equilibrio
economicofinanziario ovvero tale da remunerare i costi della produzione diretti e quindi fare in
modo che una struttura riesca a recuperare in termini reddituali i fattori di produzione che impiega,
quindi capitale, lavoro, manutenzione, i costi diretti, squisitamente e tipici dell’attività che svolge

227
quella società. Pur nella situazione data, ci ha detto Dara, nella quale le tariffe di cui al
nomenclatore del ‘97 sono di fatto da aggiornare con una sana politica industriale l’amministratore
ha mantenuto inalterati i livelli occupazionali e di efficienza delle strutture e ci ha riferito che fino
al 31/12/2003 un tumore alla prostata con terapia conformazionale statica a sei campi, che è una
delle tipologie che come sappiamo vengono eseguite dalle strutture in sequestro, dalla namnesi, cioè
dalla visita fino a quella finale veniva valorizzata, a termine che ha usato lui, 136mila euro. Dal
2004 con le tariffe ora in vigore cioè quelle formulate avendo come riferimento il nomenclatore del
’97, l'importo si riduce a 8.093 euro per la stessa terapia; questa riduzione delle tariffe –
assolutamente significativa - è avvenuta, ci ha detto l’amministratore che gestisce le strutture di
Aiello, abbiamo detto al 2004, senza che qualità e numero delle prestazioni subissero diminuzioni
salve naturalmente quelle derivanti dal calo fisiologico derivante a sua volta dalla diffusione delle
notizie che hanno riguardato Aiello. Il ritorno alla normalità dei costi non ha influito sulle
prestazioni, proprio con specifico riferimento al tumore alla prostata, che era compensato abbiamo
detto a 136mila euro con una riduzione della prestazione a 8mila e 93. Del resto è agli atti una
lettera dell’amm. giudiziario in cui comunica che il nuovo accordo con la regione per i cittadini
prevede tariffe ridotte mediamente del 70% rispetto a quelle praticate dalla gestione di Aiello e dai
suoi sodali. L’abnormità dei guadagni per le strutture derivante dal meccanismo posto in essere che
di fatto impediva alla pubblica amministrazione di rendersi conto degli effettivi costi e questo ci è
testimoniato anche da quanto ci ha detto Oliveri, lui stesso nel corso del suo esame ha parlato di
compensi tra il corso del ‘99 e il 2000 per circa 900 milioni di vecchie lire e poi ha chiarito,
riferendo gli importi per circa 80mila euro al mese e oggi Oliveri ci ha detto di guadagnare dopo
l’accordo con l’amministrazione giudiziaria 9mila euro al mese. Sullo stesso punto rilevano i dati
tratti dalla perizia Glorioso-Rebolla, il grafico riportato a pagina 41 dell’elaborato peritale,
acquisito al fascicolo per il dibattimento, è assolutamente significativo circa l’impennata dei ricavi
di Aiello dal momento in cui comincia a frammentare le richieste di rimborso che coincide con
l’arrivo di Iannì alla direzione del distretto sanitario di Bagheria. Ci dicono i periti che la
comparazione dei costi e dei ricavi del triennio 98-2000 ha evidenziato un incremento di questi
ultimi in misura più che proporzionale rispetto ai costi che assume valori ancora più significativi se
si considera che tra il 98 e il 2000 l’incremento dei costi comprensivi di rettifiche è salito del 174%
circa, mentre quello dei ricavi è stato 780% circa, in particolare la perizia ha accertato che per
quanto attiene la tariffa media per paziente, gli incrementi verificati sono stati da un minino del
108% a un massimo del 527% ed è proprio questo fenomeno a causare l’incremento più che
proporzionale dei ricavi rispetto ai costi nel periodo esaminato.
E allora possibile affermare che l’evoluzione delle tariffe applicate non ha trovato corrispondenza
nell’evoluzione dei costi sostenuti da Villa S. Teresa rilevati dai bilanci o dalle scritture contabili
del triennio esaminato; Aiello ha invece sempre escluso di avere ottenuto illecitamente dalla Asl 6
pagamenti di somme non dovute per le attività delle società a lui facenti capo e ha giustificato il
vertiginoso aumento dei rimborsi a partire dalla seconda metà del ‘99 con la diversa e più elevata
qualità delle prestazioni specialistiche fornite; questa prospettiva è smentita proprio dalle perizie
che ho citato dalla documentazione acquisita agli atti del processo, dalle dichiarazioni rese dallo
stesso radioterapista del centro clinico di Aiello, Oliveri, che ha contraddetto le affermazioni di
Aiello, riconoscendo così, quanto meno per le radioterapie di tipo tradizionale, la famosa questione
della tradizionale conformata, la validità della tesi accusatoria, del resto evidenziata appunto in
modo clamoroso dal diverso costo preteso per lo stesso malato e per lo stesso numero di sedute a
seconda che la richiesta di rimborso fosse diretta alla Asl di provenienza, alla quale si chiedeva il
pagamento di somme regolari e sostanzialmente uguali a quelle vantate da altri centri siciliani e
italiani per questo tipo di patologie, ovvero alla Asl 6 a cui si richiedevano più pagamenti e per cifre
di molto maggiori.
Ulteriori elementi che dimostrano l’esistenza dei reati di truffa contestati si traggono da alcune
conversazioni intercettate dalle quali emerge, come detto emerge, la significativa reazione
dell’enorme preoccupazione di Aiello in evidente stato di fibrillazione dei suoi accoliti alle notizie

228
di indagine dei Cc del Nas, iniziate su delega del pm con l’acquisizione di atti presso la Asl 6 e in
particolare presso il distretto di Bagheria, cui era preposto Iannì. Da quelle originarie acquisizioni
oltre che dal suo esame e da quello di Aiello all’udienza del 14/02/2006 emerge che era stato
proprio Iannì, lo abbiamo già detto, a informare Aiello delle indagini in corso e successivamente a
consegnargli copia del decreto di sequestro notificato dalla Asl all’evidente fine di consentirgli di
adottare le opportune contromisure. E ancora è provata l’attività di Manenti, un altro personaggio
che secondo le dichiarazioni di Aiello, ebbe da accelerare in cambio di uno dei prestiti XXXXX che
Aiello era solito fare le sue pratiche.
Ora tutta tale attività, quella di Manenti, è oggetto di un altro processo e noi ci guardiamo bene in
questa sede da fare alcun riferimento ad altro processo che non sia questo, ma non può non rilevare
anche in questa sede, sul piano generale del dolo, l’attività posta in essere per proseguire a
procurare all’associazione in contestazione ingenti profitti. In proposito è stata acquisita e rileva con
specifico riferimento a Iannì la seguente documentazione, la nota del 31/01/2002 indirizzata da
Giuffrè Francesco, legale rappresentante di Villa S. Teresa, al direttore generale della Asl 6, in
calce alla quale con propria grafia costui, cioè Giancarlo Manenti, delegava il direttore del distretto
di Bagheria a concordare le tariffe per le prestazioni da accreditare in regime di convenzionamento
diretto. La nota 8/02/2002, con cui il direttore del distretto sanitario 4 di Bagheria, Iannì, appena 8
giorni dopo la delega di Manenti, nonostante la particolare complessità della materia dal p d v
medico che economico, dichiarava appropriati i valori tariffari prospettati dalla società di Aiello; la
relazione 17/12/2002 dell’Airo (?), con cui il professore Orecchia, pur esprimendo un parere
favorevole sull’efficacia terapeutica delle metodiche per la diagnostica per immagini si proponeva
di effettuare con le nuove attrezzature, sottolineava come l’Airo non era in grado di esprimere un
parere sulla congruità dei prezzi proposti che per altro era invece l’unico oggetto della richiesta
formulata l’16/12/2002 cioè appena 24 ore prima da Iannì e la nota 3/12/2003 protocollo 13-762-04
del direttore generale dell’Asl del tempo, l’ing, Catalano, che ha precisato che il protocollo per
l’individuazione di tariffe per prestazioni non inserite nel tariffario regionale non risulta essere stato
recepito in alcuna deliberazione dell’Amministrazione. Da questa documentazione è possibile
cogliere interessanti spunti.
La relazione dell’Airo, su cui Aiello fa grande affidamento nel dichiarare la propria buona fede e
quella dei suoi complici, non ha per oggetto però la congruità dei prezzi, ma solo la idoneità della
metodica delle apparecchiature e inoltre interviene a distanza di quasi un anno dalla fissazione dei
compensi da parte di Iannì e del resto è stato esaminato il prof. Orecchia nel corso dell’udienza del
17/12/2006 e questi sul punto ha reso dichiarazioni su cui accanto a una sua certa competenza
medica emerge per espressa sua ammissione l’incompetenza nella valutazione dei costi e ancora
più significativa e a fronte di questa risultanza è la motivazione da Iannì nella sua nota dell’
8/02/2002, che testualmente è “operate le valutazioni del caso sui tariffari di cui trattasi, così come
illustrati dagli allegati e in particolare dai riscontri e le comparazioni elaborate alternativamente con
parametri di rimando generalmente condivisi”. Quali siano questi parametri di rimando
generalmente condivisi e ancora quali riscontri e le comparazioni elaborate in particolare valutate
da Iannì nell’arco temporale di 8 giorni e con i titoli professionali di Iannì, non è dato sapere.
Mentre, ed al contrario, alcuni dei più qualificati specialisti non sono riusciti a giungere a una
decisione nell’arco di alcuni mesi, si vedano sul punto le dichiarazioni dell’Assessore regionale alla
Sanità dell’epoca, Cittadini, e dell’ing. Catalano, e tutte le conversazioni dedicate alla vicenda del
tariffario. Eppure è proprio con questa delibera, così motivata, adottata su delega manoscritta da
Mamenti e sulla lettera di offerta portatagli a mano da Aiello e mai, come si è visto, trasfusa in una
delibera formale della Asl 6 che questa Asl 6 si è obbligata al pagamento di somme ingentissime e
si è creato senz’altro uno dei maggiori impegni di spesa della più grande azienda sanitaria della
Sicilia.
Che Aiello e i suoi accoliti fossero poi ben consapevoli della normalità della vicenda e del clamore
che attorno alla stessa si era acceso si desume proprio dalle intercettazioni telefoniche della
cosiddetta “rete riservata”, in particolare da quella 26/09/2003 fra Ciuro e Aiello; in cui è Aiello a

229
dire a Ciuro “e siccome fingevano che non c’erano, apriti cielo ora, c’è un bordello, il direttore
contro Iannì. Lettera di fuoco vuol essere relazione come lo è stato a gennaio con l’ispezione,
l’assessore si è riunito e tutti compreso l’ispettorato vuole dire come mai queste tariffe spuntarono
fuori e ora vogliono sapere di chi è la colpa delle tariffe. Vuoi vedere che se la scortano, che se la
prendono evidentemente con Manenti? Perché ora vogliono sapere quel è il protocollo di intesa e
alla fine si doveva chiudere tutto con un atto deliberativo oltre alla convenzione”.
Insomma è sostanzialmente anche da questi atti che emerge la piena responsabilità e la prova del
delitto di truffa per tutte le condotte contestate, la ripartizione dei ruoli e la durata nel tempo delle
condotte, fatti questi che impongono di ritenere ampiamente provata la contestazione relativa al
delitto associativo finalizzato alla loro commissione. Ma un’ulteriore chiave di lettura anche questa
utile per la migliore comprensione delle vicende connesse alla attività di Aiello nel settore della
sanità è costituita dalle risultanze dibattimentali relative alle altre contestazione che gli sono
formulate collaterali a quella principale. Contestazioni di reato di corruzione propria e impropria
contestata a lui ed ad alcuni funzionari della Asl 6. Abbiamo già affrontato il tema con riferimento a
Gianbruno sono i capi G1 per Aiello e H1 per Michele Gianbruno, relativi appunto a quelle
costruzioni, ristrutturazioni, fatte per la villa di Altavilla del Gianbruno su cui già ci siamo
soffermati.
Aiello è autore di altri delitti commessi con l’uso del denaro e procurati a suo vantaggio attraverso
la prospettazione di vantaggi per altri. Mi riferisco in particolare ai casi relativi alla signora Adriana
La Barbera e suo marito Angelo Calaciura sono i capi di imputazione N1 e il capo di imputazione
N1 della rubrica con riferimento alla posizione di questi due imputati.
Abbiamo già visto che il sistema Aiello non ha mai disdegnato di comprare pubblici funzionari per
ottenere da essi trattamenti di favore. Lo abbiamo visto quando abbiamo analizzato i suoi rapporti
con uomini delle istituzioni di polizia; lo vediamo anche quando affronta le problematiche che gli
interessano proprio nel tema delle attività sanitarie. Ora, tra queste persone vi è Adriana La
Barbera, per la quale le acquisizioni probatorie hanno evidenziato la realizzazione di tutti gli
elementi costitutivi previsti dalla fattispecie di quell’art 318 alla stessa contestata in concorso col
marito. In particolare si è perfezionato il pactum sceleris tra il pubblico ufficiale, La Barbera, e il
privato, Aiello, che ha ad oggetto la promessa acettata di una retribuzione non dovuta per il
compimento di atti del proprio ufficio cui poi è conseguita la puntuale esecuzione degli stessi. Il
tutto qualificato dal p d v psicologico dalla consapevolezza che la suddetta retribuzione non è
dovuta e che la stessa è prestata proprio per il compimento di atti d’ufficio. In ordine al
perfezionamento dell’accordo criminoso tra la La Barbera ed Aiello, avente ad oggetto il
mercimonio di pubbliche funzioni, è necessario fare riferimento innanzitutto a quanto ci ha detto lo
stesso Aiello nel corso del suo esame il 14/02/2006. Ci ha raccontato della conoscenza venuta con
la signora La Barbera, conoscenza operata per il tramite del maresciallo Borzacchelli, del primo
favore fatto alla signora La Barbera che è l’assunzione della figlia presso le strutture di Aiello, del
ruolo che la signora La Barbera aveva presso la Asl 6, ruolo che è confermato anche da altre
dichiarazioni di funzionari, il dott. Scimemi, della stessa Asl 6, dei compiti che aveva, degli ostacoli
che in qualche modo frapponeva al rapido e celere svolgimento delle pratiche relative ai rimborsi
che l’Aiello faceva pervenire attraverso il distretto sanitario di Bagheria alla Asl 6, in particolare,
fra le altre cose, la signora La Barbera era quella che decideva il modello ci dice Aiello, il modello
sul quale andavano predisposti questi moduli di rimborso e aveva la facoltà in sostanza di accelerare
o rallentare nei suoi poteri discrezionali la capacità di distribuzione più celere o meno delle pratiche
di rimborso. Tutto questo viene in qualche misura agevolato da Aiello col solito sistema, ci parla di
retribuzione in contante per somme pari a circa 200-250 milioni in un periodo di tempo che va dal
1997 al 2002 soprattutto ci parla di un’adozione (di 50 milioni) che trova ampio riscontro in una
serie di atti che sono una fattura che emessa dal marito a fronte di operazioni inesistenti in quanto
mai eseguite di ciò vi è prova perchè dovevano riguardare appunto la collocazione di impianti di
areazione all’interno delle strutture dell’Aiello il che non avviene, ma questi soldi appunto hanno
una giustificazione perché viene emesso un assegno del valore di 50 milioni e questo assegno viene

230
trattato dal ragioniere D’Amico. Noi abbiamo acquisito agli atti le dichiarazioni del povero
ragioniere D’Amico che è deceduto, quindi sono dichiarazioni che valgono ai sensi dell’art. 512 del
codice di procedura penale e che confermano, in uno alle acquisizioni documentali perché
l’assegno è in atti, la responsabilità della signora La Barbera e di suo marito, che quella fattura
aveva emesso, ma c’è di più perché vi sono anche le dichiarazioni rese il 6/08/2004 prima dalla
signora La Barbera poi dal marito, i quali sono sostanzialmente confessi di questo delitto. La sig.ra
La Barbera ha dichiarato al pm con dichiarazioni che sono state acquisite al fascicolo per il
dibattimento e che hanno valore di prova nei suoi confronti, atteso che la stessa non si è sottoposta
all’esame. “Ho chiesto di essere esamina – ci disse – per dire che effettivamente l’ing Aiello mi ha
versato 50 milioni dei quali avevo bisogno per l’attività lavorativa di mio marito. A fronte del
versamento dei soldi che io chiesi ad Aiello questi mi richiese un documento contabile che gli
consentisse di giustificare l’uscita del denaro dalle sue società, per tale motivo mio marito fece la
fattura a fronte dell’installazione di macchinari che non è mai avvenuta, anche se Aiello mi disse
che quanto i macchinari sarebbero arrivati, egli mi avrebbe chiamato perché io lo dicessi a mio
marito che avrebbe effettuato il montaggio. Escludo di avere fatto alcunché a favore di Aiello a
seguito di tali donazioni di denaro anche perché all’epoca non mi occupavo più Bagheria da circa 2
anni e neppure Aiello mi chiese però nulla in cambio del denaro”.
Questa è la dichiarazione e analoga è quella del marito. “Nessuna rilevanza può aver in ordine
all’accordo transattivo con cui formalmente l’amministratore giudiziario ha riconosciuto un debito
del tutto inesistente della società di Aiello con Calaciura, non forma la cosa giudicata l’atto prodotto
soprattutto è frutto di una valutazione solo formale da parte dell’amministrazione giudiziaria
subentrata solo in un secondo momento da Aiello e non al corrente dei fatti .
Tra gli altri soggetti che devono rispondere di contestazioni formulate in questo processo, c’è
Salvatore Prestigiacomo. Abbiamo già visto che è uno dei dipendenti del distretto sanitario di
Bagheria che era incaricato sostanzialmente anche lui di occuparsi delle pratiche di rimborso che
venivano richieste da Aiello per le sue imprese. Ed è proprio Aiello il 14/02/2006 nel suo
interrogatorio che ci parla del ruolo di Prestigiacomo che ammette di avergli fatto una serie nel
tempo di dazioni di danaro, per un valore complessivo che lui calcola nell’ordine dei 15 milioni di
vecchie lire.
Nel corso del suo esame del 16/05/2006 anche Iannì ha riferito del ruolo di Prestigiacomo,
indicandolo come il coauditore amministrativo, che si occupava di tutta la parte amministrativa
delle pratiche di rimborso. Ci ha indicato, pur non esplicitamente, uno degli ulteriori e reali motivi
delle regalie di Aiello, e cioè che Prestigiacomo aveva il compito di controllo non solo formale, ma
anche sostanziale delle pratiche, ci dice Iannì: “a un certo punto abbiamo intensificato i controlli
con la presenza periodica del sig. Presitgiacomo presso la struttura e anche da parte mia la presenza.
Disponevo il controllo periodico della struttura Villa S. Teresa in relazione dell’attività di assistenza
indiretta”. E a questo compito era appunto delegato Prestigiacomo. A proposito delle regalie che
Prestigiacomo riceveva da Aiello, ha riferito di esserne a conoscenza sia pure in modo molto
generico, indicando quale sua fonte il dott. Scaduto, che si è ben guardato dal confermare le
dichiarazioni di Iannì, quando è stato esaminato sul punto. La conferma delle dichiarazioni di Aiello
e il fatto che anche Iannì su questo punto non ha mentito è però fornita da due diversi ulteriori
elementi. Il ruolo che effettivamente Prestigiacomo ha coperto, che rende plausibile il pagamento
effettuato da Aiello, e soprattutto le stesse dichiarazioni di Prestigiacomo che, in sede di spontanee
dichiarazioni, ha ammesso di aver ricevuto le dazioni.
Ancora, connesso alle imputazioni in tema di truffa e a quello relativo ai pagamenti corruttivi
operati da Aiello è un altro tema che è quello della responsabilità degli enti, come sappiamo si tratta
di una normativa sostanzialmente nuova, in esecuzione del D. lgs 231/2001 sono state conteste alla
società diagnostica per immagini Villa S. Teresa e Atm (alte tecnologie medicali) i due capi di
imputazione O1 e +1. È normativa nuova e infatti e correttamente il Gup presso il Trib. di Palermo,
sentenza che è acquisita sotto questo profilo agli atti del fascicolo, ha prosciolto gli enti per il
periodo antecedente a quello di entrata in vigore della legge in base al principio naturalmente nulla

231
pena sine lege. Si tratta di vedere allora se trovano applicazione in questo caso i criteri di
attribuzione delle responsabilità rispecchianti le patologie che si annidano colpevolmente
nell’impresa come organizzazione. Vale a dire, la colpa d’organizzazione e la politica criminale
d’impresa: questo richiede la legge. Ebbene, si è realizzato senz’altro, quanto richiesto
dall’ordinamento sotto il profilo dei criteri di attribuzione della responsabilità del XXXx atteso che
il reato di truffa aggravata è stato nell’interesse dell’ente a suo vantaggio e soprattutto da un
soggetto, Aiello, certamente collocato in posizione apicale, come vuole art. 5 comma 1 lettera b, del
d. lgs. che ho citato. Non c’è dubbio che Aiello era in posizione apicale rispetto alle imprese poiché
a prescindere anche se si vuole dalla funzione di rappresentanza di amministrazione di direzione
dell’ente ha esercitato di fatto la gestione e il controllo dell’ente stesso come vuole l’art 5 comma 1
lettera A, del decreto di cui ci stiamo occupando, non vi è del pari alcun dubbio che gli enti imputati
non hanno mai adottato – del resto come avrebbero potuto?- un modello di organizzazione di
gestione idoneo a prevenire il reato di truffa che è a monte della responsabilità. Sussiste allora
pienamente il dolo dell’ente perché il reato come emerge da tutto il dibattimento è espressione di
una politica di impresa finalizzata alla sua commissione, non vi è dubbio infatti che tra gli scopi
delle imprese di Aiello, vi sia stato quello di lucrare con gli artifici e nei raggiri indicati
ingentissime somme di denaro.
Rimane da ultimo il ruolo di un altro imputato che è Giacomo Venezia. Gli interessi imprenditoriali
di Aiello hanno trovato illecita tutela e garanzia anche da parte di questo funzionario pubblico,
appartenente non all’amministrazione regionale, come gli altri dei quali ci siamo occupati in tema di
sanità, ma alla polizia di Stato. All’epoca era il dirigente della divisione anticrimine della Questura
di Palermo. È chiamato a rispondere di due delitti, il delitto di favoreggiamento ex art.378, con
l’aggravante di cui all’art. 61 n.9 del codice penale e il delitto di cui all’aticolo 479 del codice
penale. Vediamo le condotte. Aiello ha instaurato e mantenuto rapporti con Venezia grazie all’opera
di Giuseppe Ciuro, buon amico di entrambi, e al funzionario ha tra l’altro promesso il suo
interessamento per l’assunzione in banca della figlia afflitta da gravi problemi di salute. Venezia da
parte sua, pur essendo per sua stessa ammissione perfettamente a conoscenza dell’esistenza di
indagine a carico di Aiello e altresì della creazione della rete riservata per eludere le intercettazioni
da parte della polizia giudiziaria, invece di informare le autorità giudiziarie e il suo ufficio si è
messo a completa disposizione di Aiello, chiedendogli anzi un cellulare della rete per potere meglio
soddisfare le sue esigenze. Di fatto Venezia, violando i suoi doveri di ufficio, quale responsabile
della divisione anticrimine della Questura di Palermo, è intervenuto proprio nelle ultime settimane
prima dell’arresto di Aiello e dei suoi complici, in due settori diversi ma egualmente importanti. Da
un lato, Venezia al fine di far ottenere a una società di Aiello, la Ati group, la certificazione
antimafia necessaria per la partecipazione ad un appalto concorso per la fornitura di appalti
radiologici di ingente valore all’ospedale Villa Sofia e al policlinico di Palermo ha contattato i
funzionari della prefettura di Palermo che avevano bloccato il rilascio del certificato e ha trasmetto
a tali uffici una nota a sua firma in cui si attestava che “non si rilevano elementi da cui poter
desumere tentavi di infiltrazione mafiosa attendenti a condizionare e indirizzi della società”. E
dall’altro lato al fine di far ottenere alla società di Aiello il nulla osta di sicurezza, necessario per
partecipare alle gare per particolari categorie di opere ha trasmesso alla segreteria di sicurezza della
questura, che ha sua volta doveva riferire al Cesis, una nota a sua firma in cui affermava l’assenza
di elementi ostativi per il rilascio del nulla osta, pur essendo perfettamente consapevole
dell’esistenza di indagini nei confronti di Aiello.
Ora non può esservi dubbio alcuno sul fatto che un qualificato funzionario della polizia di stato ha
taciuto in ordine all’esistenza della cosiddetta rete riservata alle autorità cui avrebbe invece dovuto
in quanto funzionario di polizia, e non privato cittadino, riferire. E che Venezia avesse saputo
dell’esistenza della rete riservata emerge in maniera assolutamente certa dalla conversazione
intercettata tra Ciuro e Aiello il 3/10/2003. In particolare nel corso della conversazione Ciuro:
“Senti, un’altra cosa, altre due cose. Vedi se riesci anche per Giacomo perché ‘sta mattina glielo ho

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dovuto passare e glielo ho detto, gli ho detto guarda abbiamo e così così. Abbiamo così e così”.
Ovvero abbiamo una rete riservata.
Ciuro prosegue “quindi dico, per questo o gliela fai avere una scheda o un telefonin e come pure
Giacomo sì, così se abbiamo bisogno abbiamo tutti i numeri e pensaci un attimo” e Aiello
risponde: “Vabbene, certo, potrebbe tornarci utile, certo, un istante ci penso sulla cosa”.
Noi sappiamo che la rete riservata riguarda i fidatissimi di Aiello, 7 persone ce l’avevano, sappiamo
che Aiello giustifica la richiesta con il fatto che Venezia lo cercava e non lo trovava e per
risolvere il problema, Ciuro gli avrebbe fatto la proposta, ma Venezia ha detto invece che lui è un
appassionato di cellulari e quindi mirava soltanto al particolare pregio del modello di cellulare di
cui disponeva Aiello, non ad entrare nella rete.
E anche se la richiesta non sarà soddisfatta la risposta di Aiello alla richiesta di Ciuro nella
conversazione intercettata non è in termini negativi: ma cosa dici, diamo un altro telefonino a un
altro funz. di polizia? Ma è in termini positivi: “un istante, ci penso sulla cosa”. Sappiamo poi che
Venezia è il dirigente della sezione anticrimine della Quest. di palermo e in tale veste si occupa di
molte cose. Tra queste le informative antimafia e l’ufficio protocollo legalità, ciascuna rette da un
funzionario però subordinato al Venezia, dirigente dell’Ufficio. E in quest’ufficio il cosiddetto
potere di firma era nella esclusiva attribuzione del dirigente, ce lo ha confermato lo stesso Venezia.
E inoltre la sua attività di controllo si espletava anche attraverso la visione della corrispondenza in
entrata, al meno quella urgente e speciale e attraverso l’assegnazione per la trattazione dei singoli
uffici. Venezia nel corso del suo interrogatorio ha ricostruito come il rapporto tra lui e Aiello si sia
sviluppato e di come egli ne richiese l’interessamento per l’assunzione della figlia, prima in banca,
poi essendo venuto meno a tale obbiettivo, presso le stesse aziende di Aiello. Ancora Venezia pur
avendo negato in aula di avere appreso prima del 5 nov che nei cfr di Aiello era in corso
un’indagine penale ha ammesso di avere saputo dell’intervento del Nas con ciò contraddicendosi
rispetto a quanto dichiarato nel corso dell’interrogatorio reso al pm il 5/11/2003. Gli è stato
contestato integralmente, il pm gli si ricorda gli chiedeva: “Il succo della questione è questo. È al
corrente che Aiello e Ciuro avessero quella che noi nell’ordinanza abbiamo chiamato una rete? Cioè
una serie di telefoni riservati che usavano solo tra loro con lo specifico fine di non poter essere
intercettati?” E lei rispondeva, “scusi io non voglio andare oltre questo fatto qua, io so che c’è
un’indagine in corso pure sull’ing. Aiello”
Pm: “E da quando?”
Venezia: “da un po’ di tempo. Me lo ha detto anche lui, tra l’altro”
Pm: “quando”
Venezia: quest’anno
Pm: e che cosa le ha detto?
Venezia: “che c’era un’indagine in corso su di lui e sulle sue imprese. Fra le altre cose anche i Nas
che sono andati là a sequestrare qualche cosa”. Mi scusi dott. Pignatone io faccio questo mestiere,
in questo tribunale c’è un magistrato amico mio che è stato indagato per associazione mafiosa, che
faccio, non lo chiamo più?”
E ancora, pag 37, Venezia: “le ribadisco che io lo sapevo, me lo ha detto riferito lui, ing Aiello che
c’erano delle indagini in corso su di lui”. Su questa contestazione, Venezia ha dichiarato nel corso
del suo esame dibattimentale “il 5 novembre di mattina presto vengo raggiunto da una telefonata di
un mio collega che mi dice di rientrare subito a Palermo, ero in ferie in quel periodo, arrivo a
Palermo e il collega mi notifica questo avviso di garanzia. Da quel momento in poi non ho capito
più niente. Non posso più andare da nessuna parte, il mio ufficio, il mio alloggetto, alla caserma
sono piantonato, rimango in quella situazione fino a pomeriggio inoltrato. Subisco due perquisizioni
in questura negli uffici. La sera inizia l’interrogatorio. A un certo punto la sera dopo quelle ore
passate fra perquisizioni etc, a un certo punto non ho capito più niente sono andato nel pallone”.
Come tutti quando sono stati interrogati per la prima volta in questa vicenda. “Ho confuso realtà
con fantasia i pensieri con altre cose non ho capito più niente e sono andato nel pallone, non ho
capito più niente, ero così stanco, credo che anche i magistrati che mi interrogavano erano stanchi

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così stanco che non riuscivo… penso che in quel momento, in quella circostanza forse anche
balbettavo.
E alla domanda del pm: “lei sapeva che Aiello, Ciuro e altri oggetti utilizzavano un sistema di
comunicazione con telefoni cellulari, che utilizzavano schede non a loro intestate e che si
chiamavano esclusivamente attraverso queste persone?”
Venezia, nel corso dell’interrogatorio dibattimentale: “No”. Una risposta incredibile se si guarda
alla contestazione che gli è stata mossa e che riguarda pag 36 della trascrizione del suo
interrogatorio del 5/11/2003, perché qui il pm gli chiede: “lei era al corrente che Aiello al fine di
non essere intercettato e Ciuro con lui, utilizzavano una serie di apparecchi con un uso riservato,
chiamandosi tra loro? ”; “Sì, sì”; “lei lo sapeva, questo?”; “Sì signore”. Non solo, ma in
quell’interrogatorio spontaneamente aggiunge: “ma guardi che io ho telefonato anche col telefono
di Ciuro, tra l’altro glielo ho anche confermato”
Pm: e allora non si poneva la domanda del perché l’ing Aiello aveva la necessità di ricorrere a
questa precauzione?
Venezia: Scusi le ribadisco che io sapevo, l’ha riferito lui, l’ing Aiello che c’era un’indagine in
corso su di lui.
Pm: ma scusi, l’ing Aiello le riferisce che c’è un’indagine su di lui, va bene, lei sa che utilizzavano i
telefonini per non essere intercettati, e lei ci parla su quel telefonino?
E Venezia nel corso dell’interrogatorio contestato del 5 novembre: “ma perché non avevo niente da
nascondere, scusi. Per quel che mi riguarda, io non so niente”. E invece nel corso dell’esame
dibattimentale “io all’ing Aiello l’ho sempre chiamato alle utenze in cui l’ho trovato solo nel
periodo dopo l’estate intorno al mese di ottobre non riuscivo più a trovarlo e capii che Ciuro
riusciva a contattare Aiello e ogni volta che avevo bisogno di parlare con l’ing Aiello dicevo non
riesco a trovare a Ciuro, lo chiamo telefonicamente a Ciuro, non riesco a trovare Aiello, se per
favore puoi dire che si fa sentire. Questa serie di chiamate mi ha fatto pensare, ma nell’ultimo
periodo che era ottobre, fra sett-ottobre, mi ha fatto pensare che Aiello avesse un numero che non
conoscevo, che poi l’abbia potuto confondere in quel momento dell’interrogatorio sono andato nel
pallone fra un’utenza riservata e un numero che non conoscevo, quello può essere”.
E il resto ci si deve chiedere, i termini che l’ufficiale di polizia giudiziaria usa nel corso del suo
primo interrogatorio “intercettazioni, utenze riservate, sequestri, indagine”. Nel corso del contestato
interrogatorio del 5/11, Venezia ha dichiarato di avere saputo da Aiello che “c’era un’indagine in
corso su di lui e sulle sue imprese. Fra le altre cose anche i Nas che sono andati lì a sequestrare
qualcosa. Mi scusi, dott. Pignatone io faccio questo mestiere, in questo tribunale etc…”. Davanti a
queste contestazioni è rimasto su posizioni assolutamente incredibili “che io non ho avuto mai
cognizioni di reti riservate”, ci ha detto nel corso del suo esame “di personaggi che stavano dietro a
questa rete e che sulla rete ho avuto notizia dopo i fatti noti principalmente dalla stampa. Io so
semplicemente che per poter contattare Aiello, ero costretto a rivolgermi a Ciuro, tanto è vero che
questa cosa mi aveva anche un po’ infastidito da questo p d v”.
A Venezia è contestato anche il delitto di cui all’articolo 479, e anche questo delitto è provato. A
raccontato Venezia, che Aiello gli riferì di problemi originati dalla prefettura che aveva inviato alla
struttura di Villa Santa Sofia che doveva procedere all’aggiudicazione di un importante appalto una
nota in cui si paventavano tentativi di infiltrazione mafiosa proprio attraverso le società di Aiello.
Lo stesso Venezia si propone, ci ha detto di incontrare Manenti per capire di cosa si trattava.
Ovviamente era stato lo stesso Aiello ad essere informato da Manenti della nota della prefettura, ci
dice Venezia. E Venezia individua il problema nella presenza dei sindaci della società di Aiello e di
sindaci di altre società in odore di mafie. Ma quello che conta sono le nuove informazioni che aveva
stimolato la prefettura e che poi a sua stessa firma rinvia alla prefettura. Sono note, con la firma di
Venezia del 16/10/2003, inoltrate alla prefettura con le conclusioni che allo stato degli atti in
possesso di questo ufficio non si rilavano elementi da cui poter desumere tentativi di infiltrazione
mafiosa tendenti a condizionare scelte e indirizzi sulla società in questione. Nella stessa data la
divisione polizia anticrimine, 16/10/2003, elabora un’altra nota protocollo 90-31-29 oggetto “Aiello

234
Michele nulla osta sicurezza”. Il documento si conclude con la stessa dizione “alla luce di quanto
sopra questo ufficio non rileva elementi ostativi per il rilascio di quanto in oggetto”.
Ora, in quella data Venezia sapeva che c’era un’indagine su Aiello, che Aiello utilizzava dei
telefoni particolari per non essere intercettato e anche secondo quanto ci ha riferito il 18/05/2006
sapeva quanto meno che Aiello aveva avuto dei problemi con delle perquisizioni da parte del Nas.
Senza dire delle anomalie di cui ci ha riferito il teste, dottor Marino, esaminato all’udienza del
15/11/2005 sulle modalità anomale con le quali si è esercitata l’attività di Venezia in ordine al
rilascio di queste certificazioni antimafia che è stato oggetto di attività ispettiva del ministero degli
interni pure depositata in atti. E allora anche sulla base di questi elementi per Giacomo Venezia
deve essere affermata la responsabilità penale.
A noi rimangono poche battute conclusive, affidate al procuratore aggiunto.

Richieste della pubblica accusa

Pm, Giuseppe Pignatone


Prendo la parola per poche battute conclusive, perché, ovviamente, arrivo dopo l’ampia e articolata
esposizione fatta dai miei colleghi, che stata basata io credo su una rigorosa valutazione in fatto e in
diritto delle risultanze processuali. In quest’intervento finale credo di potere ripartire dalla
considerazione con cui abbiamo iniziato questa requisitoria. Questo processo ha continuato e
continua ad essere definito nelle cronache giornalistiche come il “processo delle talpe”. Ma la
definizione è riduttiva, perché in realtà esso ha per oggetto alcuni aspetti strategici e assolutamente
vitali di Cosa nostra.
Per prima cosa non va dimenticato che dello stesso reato di associazione per delinquere di tipo
mafioso ascritto a Michele Aiello e a titolo di concorso a Giorgio Riolo e che viene in rilievo sotto
il profilo della circostanza aggravante anche per la posizione di Salvatore Cuffaro rispondono altri
soggetti, alcuni dei quali originariamente imputati in questo stesso procedimento, e che sono stati
poi giudicati separatamente per la scelta di diversi riti processuali. Intendo alludere a N. Eucaliptus,
a Leonardo Greco, a Gargano Antonino, a Matteo M. Denaro, già tutti condannati all’ergastolo in
altri processi, a Guttadauro Giuseppe, a Guttadauro Filippo, Aragona Salvatore, condannati per
associazione mafiosa e i primi due anche per estorsione pluriaggravata, a Giuffrè Antonino, a
Brusca Giovanni, condannati all’ergastolo e poi collaboratori di giustizia. E intendo naturalmente
fare riferimento prima di tutti a Provenzano B, questa è per così dire la faccia nascosta, ma non per
questo meno reale e presente di questo processo.
L’altra faccia, quella a cui si riferiscono le condotte a oggetto di contestazione e come abbiamo
detto il primo giorno un coacervo di interessi illeciti di eccezionale rilevanza, anche economica e
che hanno accomunato mafiosi, imprenditori, professionisti e appartenenti alle istituzioni, comprese
quelle della rappresentanza politica. Del resto questo giudizio oramai consolidato è la specifica
peculiarità di Cosa nostra e la ragione prima della sua pericolosità. Nella memoria che avevamo
depositato all’udienza preliminare e che già è stata ricordata in altra occasione avevamo riportato a
questo proposito le analisi compiute dal ‘77 in poi dalle diverse Comm. Parlm. Antimafia.
Oggi mi limito a citare due passaggi brevissimi del 2001 e del 2002.
Il primo, la relazione della 13ma legislatura del 2001 affermava storicamente “la capacità delle
mafie di insidiare la vita democratica di un paese risiede nella connessione con i poteri economici e
istituzionali attraverso la quale si raggiunge col tempo una massiccia penetrazione nel tessuto
sociale”.
La seconda, la relazione della 14ma leg nel 2002 aggiungeva “ogni mafia per vivere e proliferare
non può non collegarsi alle istituzioni e ai suoi rappresentanti a qualsiasi livello e di qualsivoglia
funzione. Diversamente non potrebbe svolgere i traffici illeciti o fare i propri affari”. Di questi
interessi illeciti funzionali all’attività di Cosa nostra talvolta in forma diretta e talvolta in forma
mediata ma non per questo meno pericolosa, l’epicentro è costuito in questo processo ovviamente
da Michele Aiello.

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Aiello è per noi e per le ragioni che sono state ampiamente esposte un vero e proprio protagonista
organico a Cosa nostra che svolge la sua attività imprenditoriale nel rispetto del patto di protezione
contratto con l’organizzazione, ricevendone precisi vantaggi e adempiendo da parte precisi obblighi
di assunzione di personale soprattutto di finanziamento. E questi finanziamenti a Cosa nostra
diventano sempre più consistenti a mano a mano che Aiello riesca a costruire un vero e proprio
impero economico, basato da un lato dalla realizzazione delle stradelle poderali e non
dimentichiamo che come ci ha spiegato il ragionier D’Amico, per ogni stradella l’Aiello entrava in
possesso di alcune decine di milioni di lire, in contanti fuori da ogni contabilità, per un insieme di
alcuni miliardi. E dall’altro lato, ragionando sempre in vecchie lire, sull’attività sanitaria,
certamente di eccellenza sotto il profilo qualitativo ma strapagata dalle casse regionali.
Peggio ancora, quell’attività del sistema sanitario era fin nel profondo intrisa di liceità, una truffa di
proporzioni colossali, 80 milioni di euro in poco più di due anni è la contestazione ai danni della
Asl 6, realizzata con la complicità di funzionari compiacenti o corrotti. In questo senso si può dire
che Aiello è un esempio emblematico della strategia mafiosa di inserimento diretto nel sistema
produttivo siciliano, anche in settori di alto livello tecnologico che si può sintetizzare con le parole
di Provenzano, riferite da Francesco Campanella “ora dobbiamo fare impresa”

In questo senso si può dire che Aiello è un esempio emblematico … Ora dobbiamo fare impresa.
Ma la data in cui Aiello aveva costruito il suo impero nel settore della sanità, la sua partecipazione a
Cosa nostra durava già da molti anni, e si possono solo rimpiangere le occasioni perdute per la
mancata comprensione e il tempestivo approfondimento del significato del pizzino rinvenuto e
sequestrato a Toto Riina nel ‘93, e dei pizzini di B Provenzano consegnati da Luigi Ilardo (?) al
colonnello Riccio nel ‘95. Ma vi è anche un'altra considerazione da fare, Michele Aiello è ancora un
esempio emblematico di imprenditore che costituisce un tramite, attraverso il quale Cosa nostra
riesce a intessere una rete di rapporti con altri settori della società e a creare così un sistema
relazionale che consente a chi è mafioso di raggiungere chi mafioso non è, ma che, lungi dal
mantenere le distanze, è disposto per ragioni di convenienza o per altri motivi ad accettare questa
strana forma di dialogo. Tutto questo avviene nel caso di Riello, grazie anche a quella che è la
peculiarità della sua posizione processuale e cioè la sua attività di acquisizione di notizie
riservate,coperte dal segreto investigativo e relative ad alcune delle indagini più importanti
nell’azione di contrasto a Cosa nostra. Anche su questo fronte, si potrebbe dire, nulla di nuovo. Già
il rapporto Franchetti nella sua indagine sulla Sicilia del 1876 aveva evidenziato : “fra gli uffici di
pubblica sicurezza, gli stessi uffici giudiziari, da un lat,o e il pubblico, dall’altro, da una corrente di
relazioni continue e misteriose contro le quali è vano il segreto più rigoroso”. Aveva detto ancora,
“nelle carceri esiste una comunicazione continua fra i carcerati e quelli di fuori , per concludere,
amaramente, che la segretezza delle istruzioni penali non esiste che di nome, pur essendo essa
indispensabile in Sicilia, più che altrove”. E però credo io che mai come in questo processo il
fenomeno della fuga di notizie sia stato accertato in modo così eclatante per numero e gravità dei
casi. Un panorama desolante di sistematico tradimento, come abbiamo detto e ripetiamo,del
giuramento che ogni servitore dello stato fa all’inizio della sua attività. Le indagini delle fughe di
notizie, sul procedimento a carico dello stesso Aiello, sono state infatti come vi hanno illustrato in
miei colleghi il punto di partenza per accertare una sistematica rivelazione di notizie sulle indagini
del Ros dei Cc, ma anche di altre forze di polizia,volta alla cattura di B Provenzano e nei primi
anni anche di Matteo M Denaro. È stato fatto un tentativo di ridurre le notizie che Aiello riceveva
da Ciuro, da Borzacchelli, dalla Butitta da Carcione e soprattutto da Riolo a chiacchere da bar, a
inoffensivo passatempo fra amici. Il tentavo è stato fatto fuori dal processo, e questo non è oggetto
di analisi in questa sede, ma sennai altrove. Ma lo stesso tentativo è stato fatto nel processo, con
particolare abilità e lucidità dall’imputato Aielloche ha ritrattato tutte le specifiche e articolate
ammissioni che aveva fatto nella fase delle indagini e che gli sono state puntualmente contestate,
mentre Riolo ha, se pur a fatica, sostanzialmente confermato le sue dichiarazioni. Questo tentativo
non è - a nostro giudizio - riuscito e siamo convinti di averne dimostrato l’infondatezza e la

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strumentalità. Del resto alla rivelazione della notizia è anche seguito il sabotaggio delle indagini.
Addirittura eclatante è la sequenza che vi è stata illustrata nel dettaglio costituita dalla rivelazione
che Riolo fa ad Aiello dell’intercettazione nell’auto di Eucaliptus Salvatore, dalla immediata
cessazione delle conversazioni utili e dalla successiva rimozione della microspia. Le sistematiche
rivelazioni delle notizie hanno così vanificato anni e anni di indagini e senza voler adoperare
argomenti suggestivi e però un fatto dimostrato anche questo nel processo, che è solo dopo l’inzio
del 2004 cioè dopo l’arrestoo di Aiello, Ciura e Rioloe la neutralizzazione di quella che era una
vera attività di intelligence a favore di Cosa nostra, che l’indagine sul latitante Provenzano dà i suoi
migliori risultati. E vengono raccolti finalmente anche dal Ros importantissimi elementi di prova,
che consentono con l’operazione cosiddetta “grande mandamento” di fare terra bruciata, già a
gennaio 2005, intorno al latitante, di ricostruire i suoi viaggi in Francia, di distruggere la sua rete di
protezione fra Ficarrazzi, Bagheria e Villabate e infine di arrestare il capo di Cosa nostra, poco più
dell’anno dopo, l’ 11 aprile a Corleone. Ma non c’è solo questo, le indagini su Aiello scaturite dalle
dichiarazioni di Antonino Giuffrè , culminate nella scoperta della rete riservata e nelle successive
ammissioni fatte da Riolo hanno consentito di provare la responsabilità di Cuffaro, Riolo, e
Borzacchelli, oltre che di Miceli Domenico e Salvatore Aragona giudicati in altri provvedimenti
nelle rivelazioni di notizie che nel giugno del 2001 aveva portato al rinvenimento delle microspia
collocata dal Ros a casa di G Guttadauro e alla conseguente interruzione del flusso di informazioni
che aveva costituito la parte essenziale dell’indagine cosiddetta “ghiaccio”. Non è nemmeno il caso
di ripetere ancora una volta la gravità del danno arrecato a una delle indagini più importanti di Cosa
nostra e di sottolineare la particolare gravità della condotta di Salvatore Cuffaro, che proprio in quei
giorni veniva eletto presidente della Regione di cui era da molti anni esponente autorevole e che
faceva eleggere all’assemblea l’allora maresciallo dei Carabinieri Antonio Borzacchelli, segnalato e
sostenuto dagli amici di Bagheria, proprio perché come ci ha detto Francesco Campanella: “ci
protegge dalle indagini”.
Resta anche in questo caso il rammarico che le intercettazioni delle utenze telefoniche di Domenico
Miceli siano state richieste e disposte rispettivamente solo il 6 e il 7 giugno 2001, nonostante i
carabinieri del Ros avessero già riferito con nota dell’8 maggio il contento delle conversazioni
intercettate a casa di Guttadauro, fra lo stesso Guttadauro , Vincenzo Greco , Salvatore Aragona e
D. Miceli e che avevano ad oggetto fra l’altro le imminenti elezioni regionali e i contatti con
l’avvocato Briola e con l’onorevole Cuffaro.
Le intercettazioni telefoniche su Miceli ebbero dunque inizio solo pochi giorni prima dell’allarme
dato il 12/06/2001 dallo stesso Miceli ad Aragona e furono poi ben presto interrotte perchè
naturalmente risultavano del tutto inutili.
Da ultimo una considerazione, che ha per oggetto anche il comportamento processuale degli
imputati, ovviamente del tutto legittimo, ma da valutre ai sensi dell’art 133 del codice penale sulle
rivelazioni poste in essere a partire dal dicembre 2002 e relative ai procedimento a carico dello
stesso Aiello. Sono le ultime queste rivelazioni in senso cronologico, ma sono le prime dal punto di
vista dello sviluppo delle indagini perché come abbiamo visto la scoperta della rete riservata è stata
il punto di partenza che ha consentito la ricostruzione a ritroso di tutte le altre rivelazioni notizie di
questo processo.
Va detto a questo proposito proprio per quel rigore nella valutazione delle risultanze processuali e
che noi ci siamo ripromessi che non è stato possibile ricostruire l’intera catena degli autori delle
rivelazioni. In particolar non è stato possibile per l’atteggiamento processuale assolutamente
negativo pur se in forme diverse degli imputati Carcione Aiello e Cuffaro, accertare se vi era una
fonte in procura e in caso affermativo chi era, e non è stato possibile accertare chi fosse, a parte
oltre Borzacchelli, la fonte che ha rivelato a Salvatore Cuffaro l’esistenza dell’attività di indagine e
di intercettazione a carico di Ciuro e Riolo e chi era quella persona in diretto collegamento con
Roma, testuale dalla telefonata, con cui il Cuffaro aveva commentato l’andamento delle indagini
come risulta appunto dalla telefonata delle 20:14 del 31/10/2003 con cui Aiello ha informato Aldo
Carcionedell’esito del suo colloquio col presidente della regione nel negozio di abbigliamento di

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Bagheria. Pur tuttavia vi è a questo proposito un aspetto paradossale che va sottolineato. Le
rivelazioni delle notizie sulle dichiarazioni di Giuffrè hanno certamente pregiudicato al prima fase
delle indagini su Aiello, vanificando in particolare, vi è stato ampiamente dimostrato, l’attività di
intercettazione fino all’estate 2003, cioè fino al momento in cui magistrati e carabinieri hanno
adottato misure straordinarie di secretazione e di cautela che hanno neutralizzato l’azione delle talpe
romane o palermitane che fossero tanto che ancora la sera del 4/11/2003, poche ora prima del suo
arresto, Ciuro poteva dire, parlando con una collega della Dia: “allora posso andare a mangiare
tranquillo, per stasera non ci arrestano”. E proprio sulla rete riservata sono state intercettate
telefonate che gli imputati altrimenti non avrebbero mai fatto e che insieme alle dichiarazioni di
Giuffrè e degli altri collaboratori di giustizia al lavoro di indagine insieme meticoloso e brillante dei
carabinieri e tutte alle altre prove che sono state acquisite nel dibattimento, ci hanno consentito di
ricostruire come abbiamo detto all’inizio di questa requisitoria una fotografia di rara nitidezza e di
altrettanto rara concretezza del particolar fenomeno criminale che viene comunemente indicato con
l’espressione intreccio mafia-politica-affari-coperture istituzionali.
Per questi motivi, conclusivamente, chiediamo che sia affermata la penale responsabilità di tutti gli
imputati, nonché delle società, società diagnostica per immagini Villa santa Teresa,e società Atm
alta tecnologia medicale srl per il reati loro ascritti; con l’esclusione dalle condotte contestare per
Aiello Michele del capo A della raccolta di informazione di pubblici ufficiali concernenti la
collocazione da parte di Riolo Giorgio di microspie presso la casa circondariale di Ascoli Piceno
finalizzata all’intercettazione dei colloqui periodici effettuati da Guttadauo Giuseppe dopo il suo
arresto (interruzione Presidente che gli dice che le allegherà tutte a verbale); le attività di
intercettazione svolte dal Ros nei confronti di Lombardo Giuseppe all’epoca detenuto presso il
centro clinico di Pisa; l’esistenza e il contenuto delle dichiarazioni rese in fase di indagini
preliminari dal collaboratore di giustizia Barbagallo Salvatore relative allo stesso Aiello; con
esclusione altresì dalle condotte contestate da Riolo Giorgio al capo C dell’avere fornito
informazioni ricoperte da segreto informativo relativo alla collocazione da parte dello stesso Riolo
Giorgio di microspie presso la casa circondariale di Ascoli Piceno, dall’attività di intercettazione
svolta dal Ros nei confronti di Lombardo Giuseppe, alle indagini condotte dal Nas dei carabinieri
avente ad oggetto l’attività le società di Aiello nel settore della sanità.
Esclusa dalla condotta per M Aiello e Riolo G al capo G la rivelazione dei segreti concernenti
queste stesse condotte. Appare altresì evidente che stante l’unicità del disegno criminoso debbono
essere unificati sotto il vincolo della continuazione i reati contestati in questo stesso processo ad
Aiello Michele, a Riolo Giorgio, a Butitta Giuseppa Antonella, Venezia Giacomo, Gianbruno
Michele, Oliveri Domenico, Iannì Lorenzo e Cuffaro Salvatore. Valutati gli elementi di cui
all’articolo 133 cod pen. tenuto conto della continuazione così ritenuta concesse le attenuanti
generiche a Rotondo Roberto, applicata la diminuente per richiesta di rito abbreviato formulata
all’udienza preliminare dall’imputato Riolo Giorgio si chiede che sia pronunciata la condanna nei
seguenti termini:
per Aiello Michele alla pena di anni 18 di reclusione;
per Riolo Giorgio alla pena di anni 9 di reclusione,
per Carcione Aldo alla pena di anni 5 di reclusione,
per ButittaGiuseppa Antonella alla pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione,
per Rotondo Roberto alla pena di anno 1 mesi 4 di reclusione,
per Cuffaro Salvatore alla pena di anni 8 di reclusione,
per Venezia Giacomo alla pena di anni 3 mesi 6
di reclusione,
per Gianbruno Michele alla pena di anni 5 di reclusione ed euro 1000 di multa,
Oliveri Domenico alla pena di anni 4 mesi 6 di reclusione ed euro 1000 di multa ,
Iannì Lorenzo alla pena di anni 5 di reclusione ed euro 1000 di multa,
Prestigiacomo Salvatore alla pena di mesi 9 di reclusione,

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La Barbera Adriana alla pena di anni 2 di reclusione,
Laciura Angelo alla pena di anni 2 di reclusione,
per la società diagnostica per immagini, Villa s
Teresa, alla sanzione pecuniaria di euro un
milione e 549 mila,
per la società Atm alte tecnologie medicali srl alla sanzione pecuniaria di euro 1 milione
con ogni consequenziale estradizione e pene accessorie, alle spese del processo e a quelle di
mantenimento in carcere durante la custodia cautelare.
Si chiede infine che sia dispostala confisca di quanto in giudiziale sequestro. Grazie

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