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Corso di

FILOSOFIA DELLA STORIA



Anno Accademico 2010-2011







Prof. Franco Biasutti


MODELLI DI FILOSOFIA
DELLA STORIA













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SOMMARIO




MODELLI DI FILOSOFIA DELLA STORIA



I - PER UNA DEFINIZIONE DEL CONCETTO DI STORIA
1.1 Aristotele e Tucidide
1.2 Res gestae e historia rerum gestarum
1.3 Interpretazione e tradizione
1.4 Il problema del classico

II - GIOVAN BATTISTA VICO: LA STORIA COME SCIENZA NUOVA
2.1 Metafisica come Scienza Nuova
2.2 La Storia come Scienza
2.3 Natura e Storia

III - GEORG WILHELM FRIEDRICH HEGEL: LIBERT E STORIA
3.1 La collocazione sistematica della storia
3.2 La natura della storia
3.3 Il soggetto della storia
3.4 Le epoche della storia

IV - WILHELM DILTHEY: SCIENZE DELLO SPIRITO E CRITICA DELLA RAGIONE STORICA
4.1 La distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito
4.2 Critica della ragione storica

V - JRGEN HABERMAS: LA MODERNIT COME PROGETTO INCOMPIUTO
5.1 Moderno e post-moderno
5.2 Il concetto hegeliano della modernit
5.3 Nietzsche e il post-moderno
5.4 Per una autentica critica alla filosofia del soggetto

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I

PER UNA DEFINIZIONE DEL CONCETTO DI STORIA



1.1 ARISTOTELE E TUCIDIDE

Il primo problema che si deve affrontare spiegare di che cosa si
tratta, quando si parla di modelli di filosofia della storia.
Aristotele nei Topici (1) dice che quando dobbiamo fare una
indagine, per scoprire la verit, possiamo cominciare a partire da quella
che l'opinione pi accreditata, l'opinione dei pi sapienti o di coloro
che sono reputati tali. Quindi per definire quello che l'oggetto della
filosofia della storia faremo riferimento ad alcuni autori tra i pi
sapienti nell'ambito della materia per cercare di capire che cosa la
filosofia della storia, per cercare di capire che cosa vuol dire mettere in
relazione il pensiero filosofico con il sapere storico. Con il termine
modelli si intende quindi fare riferimento ad alcune prospettive
filosofiche, che possono avere acquisito un valore emblematico
nell'ambito di quella che stata la filosofia della storia. Se possiamo
dare per il momento come non problematizzato che cosa sia filosofia,
resta tuttavia da precisare cosa si intende per storia. Non si tratta qui di
dare una valutazione metafisica del termine storia, ma semplicemente
spiegare il significato del vocabolo.
I termini greci hstor e histora derivano entrambi dalla radice Fid
del verbo oro = vedo, il cui perfetto oda significa ho visto e quindi so,
conosco. Il vocabolo hstor significa quindi in prima istanza colui che sa,
colui che conosce, nel senso di colui che ha visto: e quindi, in senso
derivato, hstor il giudice, l'arbitro o il testimone. Sotto questo profilo,
la parola histora viene ad assumere in primo luogo il significato di: a)
indagine, ricerca; in secondo luogo b) relazione verbale o scritta relativa
all'indagine fatta, e perci racconto, esposizione; in terzo luogo c) storia,
opera storica.
Il termine latino historia si presenta in tutto e per tutto come un
calco perfetto di quello greco, anche per quanto riguarda i suoi
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significati: indagine, conoscenza, notizia, racconto orale o scritto,
ricerca storica, storia, ecc.
Dall'originario termine greco derivato non soltanto il vocabolo
latino, ma anche quello in tutte le principali lingue europee moderne: ad
esempio l'italiano storia, il francese histoire, l'inglese history. Una
eccezione parziale offerta dalla lingua tedesca, la quale al calco greco-
latino Historie (storia, ma anche storiografia) affianca il termine
Geschichte.
Originariamente histora significa perci svolgere un'indagine, una
ricerca, analizzare osservando di persona determinate cose, determinati
fatti o avvenimenti e quindi presentare una relazione che pu essere
verbale o scritta. In questo senso il termine assume il significato di
racconto, di esposizione e soltanto in forma derivata significa storia od
opera storica. Il significato originario quindi molto diverso dal modo in
cui noi oggi usiamo correntemente questa parola: un lungo percorso
stato quindi compiuto e noi possiamo ancora rinvenire una traccia di
quello che era il significato originario non solo nella cultura antica, ad
esempio con la Naturalis historia di Plinio il Vecchio ma anche
all'interno della cultura moderna, ad esempio con l' Histoire naturelle
(1749) di Buffon: tanto nell'un caso come nell'altro historia/Histoire
significa esposizione di una ricerca fatta su vari aspetti delle cose
naturali.
Come si arriva a precisare la natura della storia come
comunemente la intendiamo oggi?
Probabilmente uno dei primi tentativi di sistematizzazione filosofica
del concetto della storia rinvenibile nella Poetica di Aristotele.
Aristotele prende le mosse da quello che il significato originario del
termine histora vale a dire racconto, narrazione: per ci sono molti tipi
di racconto. Da questo lato l histora nel senso peculiare di storia, si
presenta come una forma specifica di narrazione, che segna una
differenza nell'ambito del lgos. Nel caso della storia propriamente detta
con quale tipo di racconto, di discorso abbiamo a che fare? Aristotele
tenta una prima approssimazione della definizione della natura della
storia proprio attraverso la distinzione tra poesia e storia: "Da ci che si
detto chiaro che compito del poeta non dire le cose avvenute, ma
quali possono avvenire, cio quelle possibili secondo verisimiglianza o
necessit. Lo storico e il poeta non si distinguono nel dire in versi o
senza versi (si potrebbero mettere in versi gli scritti di Erodoto e
nondimeno sarebbe sempre una storia, con versi o senza versi); si
distinguono invece in questo: l'uno dice le cose avvenute, l'altro quali
possono avvenire. Perci la poesia cosa di maggior fondamento teorico
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(philosophteron) e pi importante della storia perch la poesia dice
piuttosto gli universali, la storia i particolari" (2).
Tanto la poesia quanto la storia sono assunte da Aristotele come
un modo del lghein, del dire o del raccontare, per sono due modi
differenti e opposti di racconto. Il problema cogliere questa differenza:
essa comunque non risiede nel diverso modo di esporre, ovvero nel fatto
che nel primo caso avviene in versi, nel secondo in prosa. Una
narrazione di Erodoto, anche se venisse trasposta in versi, resterebbe
sempre e comunque una narrazione storica e non diventerebbe mai
poesia. Quindi, dal punto di vista aristotelico, la forma dell'esposizione
indifferente a caratterizzare la natura della storia rispetto alla poesia. La
differenza soprattutto una questione di contenuto: la poesia, infatti,
racconta le cose quali possono avvenire, il terreno della poesia il
possibile, la storia invece racconta le cose che sono avvenute: ci che
gi avvenuto qualcosa di specifico, determinato e immodificabile.
Mentre tutto ci di cui la storia parla deve essersi realizzato, non tutto
ci di cui parla la poesia deve necessariamente realizzarsi. Incentrando
il discorso sul contenuto Aristotele trae delle conseguenze che non
possono essere considerate di poco conto. Dato che la sua sfera
d'azione coincide con il campo della possibilit, la poesia ha per oggetto
l'universale; la storia, muovendosi nell'ambito di ci che gi avvenuto,
ha per oggetto il particolare, nel senso del determinato. Ma questo a sua
volta significa che la poesia, proprio perch ha di mira ci che
universale, deve essere considerata pi filosofica e pi importante della
storia. Questo il paradosso del pensiero aristotelico Per noi naturale
parlare di scienze storiche, ma dal punto di vista aristotelico la storia
non scienza Se uniamo questo discorso al precedente che egli ha fatto,
e cio che la scienza solo dell'universale e mai del particolare (3), si
vede chiaramente che, dal punto di vista aristotelico, alla storia sembra
essere preclusa la possibilit di realizzarsi come scienza.
Dovendo affrontare il problema della natura della storia forse
opportuno, a questo punto, passare ad esaminare anche il punto di
vista degli storici: la figura di Tucidide, uno dei pi grandi storici
dell'antichit, pu costituire un buon punto di riferimento.
Per Tucidide la storia si qualifica in primo luogo a) come "ricerca
della verit (ztesis ts aletheas)"; in quanto ricerca della verit essa
possiede una caratteristica peculiare, nel senso che richiede b) "la
maggiore esattezza (akrbeia) possibile"; sulla base di queste premesse, il
contenuto della storia sono le opere, "i fatti (t rga)" (4).
Il termine greco rgon significa esecuzione, opera, fatto pratico,
concreto, e come tale si oppone ad esempio a mthos (racconto) o a
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lgos (parola). In quanto ricerca della verit attuata con la maggiore
esattezza e precisione possibile, la storia un discorso, una narrazione
orientata alla concretezza, ovvero alla realt effettuale.
Quello che innanzitutto interessante notare che anche Tucidide,
cos come Aristotele, tenta in prima istanza una definizione della storia
attraverso un confronto con la poesia. Anche per Tucidide la poesia si
contrappone alla storia: la poesia indirizzata al mito, che non ha la
pretesa di avere un aggancio con la realt; la storia, viceversa, ha come
obiettivo non le belle parole o i discorsi eleganti, ma il vero, la realt
concreta. Tucidide, tuttavia, capovolge la concezione aristotelica: per
Aristotele la differenza, come si visto, era data dalla natura
dell'oggetto; per Tucidide, invece, la differenza data dal fine
radicalmente diverso che i due tipi di narrazione si propongono.
Secondo lo storico ateniese, infatti, poesia e storia possono avere lo
stesso oggetto, raccontare gli stessi avvenimenti, ma lo scopo
totalmente diverso: la poesia una narrazione mitica, fantastica dei
fatti, la storia un racconto vero, preciso. Lo storico, secondo Tucidide,
non si preoccupa di abbellire il racconto, e non si prefigge di
impressionare i propri lettori.
Dal punto di vista di Tucidide, tuttavia, la storia anche una
ricerca difficile, problematica. Nel capitolo XXII del libro I della Guerra
del Peloponneso, Tucidide inserisce una specie di parentesi di tipo
metodologico, in cui spiega i criteri che hanno caratterizzato la sua
opera di storico: "I fatti concreti (t rga) degli avvenimenti di guerra
non ho considerato opportuno raccontarli informandomi dal primo che
capitava, n come pareva a me, ma ho raccontato quelli a cui io stesso
fui presente e su ciascuno dei quali mi informai dagli altri con la
maggior esattezza (akrbeia) possibile. Difficile era la ricerca, perch
quelli che avevano partecipato ai fatti non dicevano tutti le stesse cose
sugli stessi avvenimenti, ma parlavano a seconda del loro ricordo o della
loro simpatia per una delle due parti" (5).
Tucidide parla qui da vero hstor, da testimone, da colui che sa
perch ha visto e quindi pu essere giudice e valutare i fatti. La storia,
tuttavia, non il racconto delle cose secondo "opinione (dxa)": se la
storia non pu accontentarsi di semplici opinioni, allora essa contiene
al proprio interno anche l'opposizione tra dxa e verit. Al servizio della
verit sta, come si visto, la precisione del racconto: ma proprio qui
contenuto un problema, perch la precisione pu essere ottenuta
solamente "per quanto possibile", non c' mai una esattezza assoluta.
Se da un lato Tucidide racconta gli avvenimenti di cui stato
presente, ci non esclude, dall'altro, la necessit di informarsi anche da
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altri testimoni: proprio questo rende la ricerca difficile, perch, avverte
sempre Tucidide, coloro che sono stati presenti ai fatti possono non dire
tutti le stesse cose sugli stessi avvenimenti, in quanto ciascuno parla a
seconda del proprio ricordo, o della simpatia per l'una o l'altra delle
parti in conflitto. Questo significa che la storia s la ricostruzione dei
fatti cos come essi sono accaduti secondo verit, ma essa restituisce i
fatti attraverso:
a) la mediazione del testimone;
b) la mediazione della memoria;
c) la mediazione tra molti punti di vista.
Ci di cui Tucidide si fa interprete che il problema della verit
della storia nasce sempre e comunque attraverso una dialettica
dell'opinione. Il che vuol dire che per quanto lo storico operi con il
massimo di akrbeia, questa volont di precisione non pu mai essere
assoluta, perch comunque deve fare i conti con i propri limiti
strutturali, che sono dati dal problema delle testimonianze, dal
problema delle fonti e dal problema della loro credibilit.


1.2 RES GESTAE E HISTORIA RERUM GESTARUM

Le annotazioni metodologiche di Tucidide possono risultare utili
per focalizzare un aspetto specifico dellessere storico, quello per cui
questo presenta una sua natura particolare, di essere impastato di
interpretazioni: non pu essere sottaciuta la insopprimibile presenza
della soggettivit dello storico.
stato osservato che esiste una ambiguit di fondo, contenuta nel
termine storia, ambiguit che accomuna tutte le lingue europee
moderne, nel senso che il significato tende a sdoppiarsi lungo due
direzioni: a) la storia intesa come res gestae, le cose accadute, la realt
storica, cio i fatti (il senso oggettivo della storia); b) la storia intesa
come historia rerum gestarum, come narrazione delle cose che sono
accadute, come conoscenza storica, come scienza che regola la
conoscenza dei fatti, linterpretazione dei fatti (il senso soggettivo della
storia) (6). Il problema su cui opportuno ancora riflettere il rapporto
che esiste tra significato, valore oggettivo della storia (res gestae) e
quello che abbiamo definito come significato soggettivo della storia
(historia rerum gestarum).
Va in primo luogo osservato che i fatti lontani nel tempo noi li
possediamo soltanto attraverso il racconto, ed in questo caso un ruolo
essenziale giocato appunto dalla memoria. Il tempo, da questo lato,
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non significa soltanto lontananza: esso anche ci che rende presente,
la via attraverso a cui le cose non pi presenti giungono fino a noi. Per
i fatti non pi immediatamente presenti, quindi, la historia rerum
gestarum essenziale al costituirsi delle res gestae. Ma anche per i fatti
che costituiscono la nostra attualit storica avviene qualcosa di simile.
A causa infatti della sfera limitata della coscienza, la realt viene a noi
anche attraverso gli altri e ci viene data nel suo complesso grazie ad un
insieme di rapporti intersoggettivi: la nostra esperienza storica non
mai qualcosa di immediato, ma piuttosto qualcosa che dipende da un
flusso continuo di mediazioni: anche i fatti che compongono il nostro
presente ci sono dati attraverso il racconto ed in questo senso sono
storia.
Quella tra res gestae e historia rerum gestarum quindi una
distinzione che pu essere fatta solo a posteriori: nell'effettualit della
vita e dell'esperienza, il punto di vista oggettivo dell'evento, in quanto
un evento oggettivamente accaduto e non modificabile e unico nel suo
genere, si sintetizza necessariamente e in maniera indissolubile con
quello che il punto di vista della sua interpretazione, della sua
valutazione. La prospettiva autentica non che i fatti esistono, e solo
successivamente vengono rivestiti di interpretazioni. Il fatto storico si
presenta a noi come qualcosa di gi in s interpretato. Un primo,
elementare esempio di questo processo pu essere costituito dalla
selezione, che viene fatta gi a priori rispetto alla narrazione della
storia, tra ci che storico e ci che non lo , tra quei fatti che sono
"degni" di far parte della storia e quelli che non sono ritenuti tali da
diventare oggetto di considerazione storica. Questa selezione tra ci che
resta in quanto viene trattenuto dalla memoria e ci che viene lasciato
cadere, perso dalla memoria, gi frutto di una valutazione, di una
interpretazione. Si pu quindi parlare di una funzione ontologica
dell'interpretazione, in quanto questa assume un ineliminabile valore
costitutivo nei confronti dei fatti. Sulla base di queste considerazioni
appare evidente che quella tra res gestae e historia rerum gestarum
quindi una distinzione che pu essere fatta solo a posteriori: come
Tucidide ha mostrato, l'insopprimibile soggettivit dello storiografo fa s
che l'essere storico sempre l'essere in quanto interpretato. La storia,
certamente, non riducibile soltanto ad interpretazione, ma senza
interpretazione non ci possono essere accadimenti, fatti, e quindi
nemmeno storia.


1.3. INTERPRETAZIONE E TRADIZIONE
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All'interpretazione deve essere riconosciuta una valenza costitutiva,
produttiva nei confronti del manifestarsi di ogni fatto storico. In assenza
di interpretazione l'oggetto storico sarebbe per cos dire privato di una
parte di s, di qualcosa di essenziale al suo modo di essere. Tucidide ha
mostrato come vi sia un rapporto costitutivo tra storia e verit.
L'esattezza del racconto non un fine, ma piuttosto un mezzo, in
quanto il racconto storico, come si visto, aspira ad essere narrazione
di cose vere e quindi esso stesso un racconto vero. Ma la pretesa di
verit accampata dallo storico in rapporto ai fatti passa a sua volta
necessariamente attraverso l'interpretazione.
Il problema della verit si intreccia originariamente con quello del
costituirsi dell'oggetto storico: ogni interpretazione di fatti storici, in
quanto interpretazione, aspira alla verit, quindi ad essere
interpretazione vera. Questo pone l'ermeneutica storica di fronte ad una
aporia: da un lato, infatti, ogni interpretazione, in quanto pretende di
essere vera, tende per ci ad escludere tutte le altre; dall'altro lato, per,
l'esistenza di molte interpretazioni un fatto incontestabile, che deve
essere almeno in prima istanza accettato. Il diventare consapevoli di
questa aporia strutturale implica il riconoscimento di quella che,
preliminarmente, pu essere definita come una dialettica della verit
immanente ad ogni situazione ermeneutica. Il problema che a questo
punto si pone, non quello di esibire un criterio, individuare un
sistema di regole che permettano di riconoscere l'interpretazione vera e
di isolarla in questo modo dalle altre. Il problema originariamente
contenuto nella situazione ermeneutica piuttosto, in primo luogo,
quello di vedere in base a quale concetto di verit si debba pensare il
rapporto tra verit ed interpretazione. In relazione alla prima
determinazione dialettica della questione, lo spazio all'interno del quale
procedere alla identificazione del problema va ricercato operando
all'interno delle possibilit che si aprono dopo aver escluso i due
estremi: a) quello per cui una sola l'interpretazione vera; b) quello per
cui tutte le interpretazioni sono, indistintamente, vere. Deve essere
esclusa ogni forma di dogmatismo assoluto (una sola l'interpretazione
autentica), in quanto provoca, di fatto, l'annullamento, il soffocamento
dell'oggetto, poich gli si impedisce di parlare ulteriormente. Ma deve
essere del pari esclusa ogni forma opposta di relativismo assoluto (tutte
le interpretazioni, in quanto tali, sono vere), poich in questo modo
l'oggetto viene annullato egualmente, polverizzandolo nella molteplicit
indefinita delle interpretazioni stesse.
12

Adattando a questa situazione una nota espressione kantiana, si
potrebbe arrivare a dire che questo il factum della ragione
ermeneutica. Dato che si deve escludere sia il relativismo assoluto, sia
il dogmatismo assoluto, ogni interpretazione presuppone altre
interpretazioni, che si distendono non solo parallelamente, in modo
sincronico, ma anche in serie, diacronicamente. Ogni interpretazione
non solo nasce in un costitutivo rapporto con le interpretazioni passate,
che la hanno preceduta, ma si proietta in un implicito ed altrettanto
costitutivo rapporto anche con le interpretazioni che la seguiranno.
Diventa legittimo parlare di verit dialogica proprio in quanto ogni
pretesa di verit avanzata dall'interpretazione deve saper convivere,
nell'ambito di un dialogo/confronto, con altre pretese di verit. Nasce da
qui, proprio all'interno dell'interpretazione, il concetto di tradizione. In
base a questa prospettiva, la tradizione non semplicemente il
presupposto della interpretazione, nel senso di ci che precede: prima
viene la tradizione, e poi la si interpreta. Si deve piuttosto ammettere
che c' tradizione solo nell'interpretazione e per l'interpretazione. La
tradizione non la cosa che deve essere interpretata, quanto piuttosto
da un lato il luogo in cui si realizza, scorre il processo
dell'interpretazione, e dall'altro questo processo stesso, considerato nel
suo accumularsi e consolidarsi in risultati. Cos come la tradizione non
una cosa gi costituita prima dell'interpretazione, altrettanto la verit,
in rapporto a cui l'interpretazione stessa viene pensata, non si
costituisce come una cosa, ma come processo, all'interno del quale i
termini di essenza, di manifestarsi e di verit stessa diventano concetti
equivalenti. Dato che qui fenomeno non la rivelazione parziale,
imperfetta di una fantomatica cosa, ma piuttosto, colto nel suo darsi
storico, il mostrarsi della cosa cos come essa (in questo senso quindi
la sua verit), si viene ad accettare implicitamente che ci che non
giunge a manifestarsi appunto il non-vero: il mistero, ci che program-
maticamente si sottrae alla manifestazione, diventa il principio del falso.
Alla luce di queste considerazioni, diventa evidente che l'interpretazione
destinata ad assumere un ruolo costitutivo/produttivo tanto nel
costituirsi della tradizione, quanto nel manifestarsi della verit: non c'
tradizione senza interpretazione, cos come senza interpretazione non
c' nemmeno verit. In questa ottica, il concetto di classico si presta in
modo opportuno ad illustrare e chiarire proprio quello che deve essere
considerato come una delle basi, dei fondamenti di quella che potrebbe
essere definita come la ragione ermeneutica, vale a dire appunto il ruolo
costitutivo/produttivo dell'interpretazione nei confronti della verit e
della tradizione.
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1.4 IL PROBLEMA DEL CLASSICO

Nel "Poscritto" alla terza edizione di Verit e metodo Gadamer
sottolinea la rilevanza del concetto di classico, definendolo come "la
categoria par excellence" della coscienza ermeneutica intesa come
coscienza storica (7). Nell'ambito di questa prospettiva si deve perci
pensare che il concetto di classico assuma valore esemplare in relazione
all'ermeneutica storica proprio perch certi determinati aspetti
dell'interpretazione sono in esso evidenziati, diventando cos pi visibili.
Giova probabilmente a questo punto ripercorrere brevemente la storia
della parola. Nella lingua latina, come noto, classicus era un termine
che riguardava le "classi" dei cittadini romani, ed indicava appunto un
"cittadino della prima classe"; con la tarda latinit il termine ha
acquisito un significato traslato, venendo a designare ci che
eccellente nella sua classe o ci che in generale appartiene ad una
classe eccellente: classicus scriptor significa quindi scrittore di
prim'ordine, scrittore esemplare, e quindi infine classico semplicemente,
nel senso di autore tenuto come modello. Il termine classico ha avuto
perci sin dalle origini una applicazione problematica ed in un certo
senso ambigua, in quanto pu designare: a) un'opera o un autore
appartenente ad una cultura superiore, venendo cos ad esprimere un
giudizio di valore; b) un ideale di perfezione, espressione di un mondo,
l'antichit greca e romana, da cui il presente si allontanato,
esprimendo in questo modo un giudizio storico di valore; c) un concetto
stilistico, designando ci che dotato di determinate caratteristiche,
quali l'armonia, la compostezza, l'equilibrio formale, esprimendo in
questo caso un valore assoluto di perfezione. Da classico deriva
ovviamente classicismo, con cui si intende un movimento, un
atteggiamento culturale che attribuisce valore esemplare ai modelli di
arte e di pensiero dell'antichit classica. Corrispondentemente alla
pluralit di significati impliciti nel termine classico, anche il concetto di
classicismo ha potuto designare una molteplicit di atteggiamenti
culturali: per il passato, comunque, classico e classicismo, hanno
potuto conservare un significato sostanzialmente equivalente, in quanto
mantenevano come punto di riferimento un quadro omogeneo di
contenuti e di valori, vale a dire la classicit o antichit greca e romana.
Occorre tuttavia riconoscere che attualmente, considerato come
categoria storiografica, il concetto di classico trova un uso pi ampio
rispetto a quello che un tempo veniva definito dal riferimento ai
contenuti del classicismo ovvero dell'antichit classica: il concetto di
classico non pi espressione di una determinata esperienza storica e
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quindi, di conseguenza, non definisce pi un concetto stilistico univoco.
Si parla infatti, indifferentemente, di "classici del pensiero medievale" e
di "classici del pensiero contemporaneo", oppure di "classici della
letteratura inglese" accanto ai "classici della letteratura italiana", in
riferimento perci sia ad epoche storiche diverse come a situazioni
culturali geograficamente diversificate. In questo modo Dante,
Shakespeare, Kant, Hegel, Leopardi, Heidegger, cos come i molti altri
esempi che potrebbero essere ancora enumerati, sono tutti a pari titolo
e motivatamente considerati dei "classici", in relazione tuttavia ad una
molteplicit di esperienze storico-culturali e quindi come espressione di
una molteplicit di stili. In questo modo il concetto di classico non solo
pi esteso in senso quantitativo, occupa, per cos dire, pi spazio
rispetto al passato, ma si anche arricchito di contenuto: esso va
quindi ripensato a partire da questo suo nuovo uso. Il problema che si
pone a questo punto non , ovviamente, quello relativo a chi siano i
classici, ma piuttosto quello relativo a che cosa, in un'opera, la renda
effettivamente un classico.
In Verit e metodo Gadamer comincia con l'osservare che il concetto
di "classico", usato in riferimento all'antichit classica e quindi agli
autori canonici della "scuola", indica in prima istanza soprattutto
un'epoca ed uno stile; dato per che viene usato in connessione con
l'idea di un nuovo umanesimo, classico non indica semplicemente
un'epoca od uno stile, ma qualcosa di diverso che nello stesso tempo
anche qualcosa di pi di tutto questo: nella misura in cui il concetto di
classico opera come categoria storica, non pu costituire l'idea di un
valore soprastorico (8). Di esso si pu dire piuttosto che si tratta di una
categoria storica che opera in modo particolare. Secondo questa
prospettiva, possiamo allora considerare il classico come "una specie di
presente fuori del tempo, che contemporaneo ad ogni presente": in
questo senso si potrebbe dire che classico bens ci che si trova "fuori
del tempo, ma in modo tale che questa sua eternit un modo proprio
dell'essere storico, quindi, di nuovo, un modo di essere nel tempo;
possiamo dire allora che, come carattere generale, nel classico si
esprime quell'aspetto per cui l'essere storico " conservazione nel
trascorrere distruttivo del tempo" (9). A partire da questo punto di vista,
Gadamer pu affermare che in ogni opera (ed in questo caso si pu
parlare di ogni forma di espressione, sia essa linguistica oppure no)
sono implicati "tutti i possibili destinatari di oggi e di domani" (10). Una
tale condizione osservabile ad ogni modo in maniera pi macroscopica
nel caso delle arti figurative. L'oggetto artistico, in quanto oggetto
storico, anche in virt della sua pregnanza fisica (una statua, un
16

monumento, un edificio), continua anche al di l delle intenzioni
dell'autore: l'opera dura nel tempo e viene cos "letta", interpretata da
pi soggetti, diacronicamente. Si potrebbe ricavare da qui il principio
generale per cui le possibilit dell'interpretazione non sono mai
completamente disgiunte dai mezzi materiali a cui una cultura ha
affidato la propria sopravvivenza.
Finora, tuttavia, sono state evidenziate certamente delle propriet
fondamentali, ma non ancora l'essenza. Infatti, non tutto ci che si
conserva un classico. Classico semmai ci che si conserva in un
certo modo e questo concerne non solo un problema di trasmissione nel
tempo (conservazione), ma anche di comunicazione. Classico allora
potrebbe essere definito ci che sempre immediatamente accessibile
ed quindi sottratto non solo alla mutevolezza dello scorrere del tempo,
ma anche al variare del gusto: in quanto tale, esso possiede una forza
comunicativa immediata ed in linea di principio illimitata (11). Da
questo lato Gadamer si trova a condividere in pieno una affermazione di
F. Schlegel: "Una scrittura classica non deve mai essere intesa
appieno"(12). tuttavia possibile obiettare che non cos semplice
riuscire a vedere nel classico un serbatoio illimitato di senso. Se si
ammette, infatti, che la dimensione del classico un carattere dell'esse-
re storico, ne consegue allora che, proprio in quanto legato ad una
precisa epoca storica, il classico possiede comunque un contenuto
storicamente determinato e quindi di per s limitato. Resta a questo
punto ancora insoluta la domanda: da dove proviene il conferimento di
senso?
Gadamer osserva che nel concetto di classico confluiscono, per
riunirsi, un aspetto storico da un lato, ed un aspetto normativo (che
coincide con il significato originario di classico) dall'altro: ci significa
che una determinata fase dello sviluppo storico dell'uomo viene
considerata anche come configurazione matura e completa dell'umano
(13) e quindi, in questo senso, anche come valore. Classico perci la
trasmissione/conservazione (aspetto storico) di un contenuto
normativo: ci che mantenuto, deve essere sentito in pi come norma
o valore. Sotto questo profilo il problema del classico coincide, almeno
per il suo aspetto formale, con quello del valore; a questo punto,
tuttavia si pone il problema: i valori (il significato normativo del classico)
sono voluti in quanto valgono, oppure essi valgono in quanto sono
voluti? Gadamer, per parte sua, sembra propendere per la prima
ipotesi. Classico ci che non richiede innanzitutto il superamento
della distanza storica, poich esso stesso compie, attraverso una
mediazione costante, tale superamento (14). Questo per quanto
17

riguarda l'aspetto storico: ma una analoga autosufficienza sembra vada
riconosciuta, secondo Gadamer, anche per quanto concerne l'aspetto
pi propriamente normativo. Classico, da questo lato, ci che si
mantiene valido di fronte alla critica storica (di fronte
all'interpretazione), in quanto la "potenza obbligante della sua validit
che dura e si tramanda, precede ogni riflessione storica e si fa valere in
essa" (15). Rispetto al punto di vista gadameriano va comunque
osservato che indubbiamente nel concetto di classico si esprime un
valore oggettivo: il problema reale, che Gadamer per non affronta,
piuttosto riuscire a comprendere come ci avvenga, ossia in quale modo
il contenuto storico, che si esprime nel classico, possa essere elevato a
norma; ma anche come tale contenuto possa acquistare prima e
mantenere poi il proprio valore oggettivo in senso diacronico.
Per quanto concerne le tematiche fin qui discusse, in Verit e
metodo si fa riferimento al Congresso dedicato al concetto di classico,
tenutosi a Naumburg nel 1930 e che fu dominato dalla personalit di
Werner Jaeger (16). L'avvenimento del Congresso ricordato da
Gadamer anche nella sua autobiografia (17) come un episodio cultural-
mente importante ed in quella sede viene tributato un ulteriore omaggio
a quello che pu essere considerato come il padre spirituale del "neo-
umanesimo". Proprio a partire dalle pagine di Paideia, sicuramente la
pi celebre delle opere di W. Jaeger, che costituisce ancora oggi una
delle testimonianze pi lucide e letterariamente pi efficaci per quanto
concerne il significato della cultura antica nel nostro secolo, pu
cominciare un approfondimento della problematica relativa al significato
del classico.
Nella "Prefazione" alla prima edizione del volume primo di Paideia,
che porta la data significativa dell'ottobre 1933, W. Jaeger chiarisce che
scopo del suo libro innanzitutto quello di "esporre il processo
formativo storico dell'uomo greco", vale a dire, come viene precisato pi
avanti, "la paideia, nella sua peculiarit e nel suo sviluppo storico
inconfondibili" (18). Il fine che l'opera si propone quindi, in primo
luogo, quello di una precisa ricostruzione storica, che trova tuttavia la
sua giustificazione da un lato nella "importanza storica dei Greci quali
educatori", dall'altro nella loro "influenza imperitura" (19).
Coerentemente con questa prospettiva, il processo di formazione
dell'uomo greco non rappresenta un "mero complesso di idee astratte",
ma deve essere assunto come espressione della "storia stessa della
Grecia nella concreta realt delle vicende vissute" (20). Proprio perch,
ai suoi occhi, l'ideale umano dei Greci non costituisce un vuoto schema,
collocato fuori dello spazio e del tempo, Jaeger pu sviluppare una
18

critica decisa del classicismo ed umanismo antistorico che ha dominato
il campo in epoche passate, ed il cui errore fondamentale stato proprio
quello di concepire l'antichit classica "quale espressione di un'umanit
assoluta, fuori del tempo": ogni volta che questo accade ci si trova di
fronte a quella che potrebbe essere definita una "teologia classicista
dello spirito". Anche se, nella situazione del presente, il pericolo pu
provenire da una direzione opposta, quella cio di "uno storicismo senza
limiti e senza meta", risulta evidente, che i "valori permanenti dell'an-
tichit classica" e in modo particolare "la loro virt formativa" possono
essere scoperti e rivelati soltanto come forze operanti nella vita storica,
a quel modo in cui sorsero ed agirono nel loro tempo (21). Come si pu
vedere, secondo Jaeger, il contenuto ed il significato normativo del
classico non possono essere colti al di fuori di un momento storico
specifico, quindi soltanto come contenuto storicamente determinato,
compiuto e quindi limitato. Ci che vi di peculiare nell'esperienza dei
Greci costituito dal fatto che quella storia vissuta diventata per s
una "forma eterna" (22). Spiegare il concetto di classico significa
spiegare, rendere ragione di questo passaggio, di questa trasformazione,
per cui qualcosa, non di illimitato, ma di finito e di intrinsecamente
determinato, ha acquisito un significato universale.
Come noto, Jaeger guarda ai principi informatori del mondo
classico come ai valori permanenti in vista di un "futuro umanismo": ci
non vuol dire appunto innalzare i Greci a "idolo extratemporale", ma
all'opposto che la loro importanza storica data dal fatto che essi
"sembrano fondersi in un'unit col mondo europeo dell'et moderna",
alla luce di una "affinit spirituale fissata dal destino, ancor viva e
operante in noi"; da questo punto di vista, occorre riconoscere che in
realt compiono uno spostamento antistorico di prospettiva proprio
coloro che si adoperano per separare il mondo dell'antichit classica da
quello delle nazioni occidentali (23). Nella prospettiva di Jaeger signifi-
cato normativo e significato storico del classico si fondono insieme, nel
senso che la possibilit di riconoscere l'antichit come valore ha il suo
fondamento in un atto di consapevolezza storica, ossia nel prendere
coscienza che "la nostra storia non comincia propriamente che con
l'Ellade". tuttavia importante notare che qui cominciamento non
significa soltanto "inizio temporale", ma vera e propria "arch", ovvero
fondamento, "origine spirituale, cui si risale da ogni gradino per trarne
orientamento" (24). Si pu comprendere appieno il significato
dell'atteggiamento di W. Jaeger se si tiene ben presente il contesto
storico immediato in cui egli si trovava ad operare: dalle pagine di
Paideia, infatti, emerge con viva drammaticit la preoccupazione per
19

"l'ora presente", in cui una intera cultura, "sconvolta da un'immane
esperienza storica propria", ha avvertito la necessit di iniziare una
"revisione dei propri fondamenti" (25). In questo senso, perci,
diventano pienamente evidenti le ragioni per cui possibile affermare
che nel nostro atteggiamento di fronte all'umanesimo del passato si
tratta, in realt, di noi medesimi e non semplicemente solo dei Greci: il
riaccostarsi alla grecit, infatti, ha come fine di conservare non i Greci,
quanto piuttosto la nostra civilt (26).
Sulla base delle precedenti osservazioni, siamo probabilmente pi
prossimi alla soluzione del problema da cui erano state prese le mosse.
Appare innanzitutto l'insufficienza della posizione gadameriana,
secondo cui il classico , di per s, immediatamente in grado di colmare
la distanza storica, e come tale il suo valore normativo viene accettato
perch si pone appunto come norma prima di ogni riflessione storica.
Classico viceversa ci che il presente riconosce sia come proprio inizio,
stabilendo una unit di passato e di presente, sia come proprio
fondamento, quindi come valore. Ci che viene definito come classico
rappresenta, sia nel suo aspetto di conservazione, di continuit storica,
sia nel suo aspetto normativo, un momento in cui il presente inizia una
revisione dei propri fondamenti e come tale quindi sempre il risultato
di un nostro atteggiamento nei confronti del passato. Senza una
coscienza storica che interpreta, ossia che conserva come memoria ed
unifica nella continuit, non vi sarebbe inizio, n fondamento, e quindi
non vi sarebbe classico. La memoria opera in modo selettivo. In
relazione a questo fatto si pu probabilmente parlare di qualcosa come
l'inconscio storico, da intendersi come una sorta di serbatoio che
contiene in modo uniforme la storia, concepita appunto come "il
passato" in generale. In virt dell'operazione di selezione messa in atto
dalla memoria, certe cose emergono, in quanto sono selezionate e
portate a consapevolezza. Certamente il "classico" qualcosa che
emerge dall'inconscio storico, ma c' bisogno di qualcosa che
continuamente lo richiami alla consapevolezza: questa funzione svolta
dal presente, che si impone a sua volta come inizio e fondamento di ci
che classico. Il presente qualcosa di storicamente determinato, cos
come la stessa coscienza storica del presente un qualcosa di limitato e
di finito. Il classico, quindi, non solo inizio in rapporto a qualcosa di
determinato e di limitato, ma esso stesso ha un fondamento limitato e
determinato. Perdurare nel tempo da parte del classico significa aver
dato luogo a molti inizi e fondamenti, ossia a molti "presenti": nessuno
di essi tuttavia determinabile a-priori, nel senso che esso sia
analiticamente per cos dire gi contenuto nel classico fin da principio.
20

Ciascun cominciamento si aggiunge sinteticamente al contenuto
originario, a quella specifica esperienza storico-culturale che il classico
in s stato. Ci che assume valore di classico rappresenta un inizio
diverso in relazione ad epoche storiche diverse e ci significa che esso
veicola un significato sempre differente. In s, il classico non soltanto
ci che ha la capacit di mantenersi nel senso della conservazione di
fronte alla coscienza storica, ma anche di diversificarsi in se stesso: in
quanto dice cose sempre diverse, continuamente si trasforma. Questo
diversificarsi frutto dell'interpretazione come tale. Un classico diventa
tale vivendo dentro la molteplicit delle sue interpretazioni, che
aggiungono ad esso sempre nuova verit, cio nuova essenza, in quanto
portano a manifestazione sempre nuovi significati. In questo senso il
classico uno dei segni pi visibili del ruolo costitutivo
dell'interpretazione nei confronti dell'essere storico.


* * *


A partire dalle precedenti osservazioni possibile prendere in
considerazione alcune prospettive ovvero alcuni modelli di filosofia della
storia, intendendo quest'ultima come punto di contatto tra progetto
filosofico e fatti storici. Esaminando in successione le prospettive
assunte da G. B. Vico, G. W. F. Hegel, W. Dilthey e J. Habermas si
cercher di portare alla luce le modalit attraverso cui possibile
l'approccio tra filosofia e sapere storico. Questi autori sono
rappresentativi sia in rapporto a se stessi, ossia per il valore intrinseco
della loro proposta filosofica, sia in rapporto a paradigmi pi generali,
ovvero per il significato storico assunto dal loro pensiero.
Vico rappresenta indubbiamente una delle prime prese di posizione
consapevoli della modernit nei confronti del tema della storia.
Le Lezioni di filosofia della storia tenute da Hegel quando era
docente a Berlino rappresentano un modello ancora non superato per
quanto riguarda le ambizioni e l'ampiezza del progetto. Nell'ambito del
rapporto tra filosofia e storia il pensiero di Hegel, in positivo o in
negativo, un punto di riferimento, un passaggio obbligato da cui non
si pu prescindere.
Dilthey rappresenta da un lato la reazione allo storicismo di tipo
idealistico e dall'altro uno dei primi atti di fondazione dell'ermeneutica
contemporanea, intesa come metodologia e scienza dell'interpretazione.
21

Habermas, per parte sua, tenta di formulare una teoria organica
della razionalit alla luce di quello che viene considerato un mutamento
di paradigma fondamentale nello sviluppo storico della cultura filosofica
della Modernit, ovvero il passaggio a quella che viene definita come la
filosofia del soggetto.


NOTE

1) Cfr. Aristot. Top., 100 b 22-23.

2) Cfr. Aristot. Poet., 51 a 36 - 51 b 19.

3) Cfr. Aristot. De an., 417 b 23.

4) Cfr. Thucid., I, 20, 3, 21, 1 (cfr. trad. it. La guerra del Peloponneso,
con testo greco a fronte, a cura di F. Ferrari, Rizzoli, Milano 1985, I, p.
107).

5) Ivi, p. 109.

6) Cfr. H.I. Marrou, De la connaissance historique, ditions du Seuil,
Paris 1954, pp. 38-39.

7) H.-G. Gadamer, Gesammelte Werke, Band 2, Mohr, Tbingen 1986,
p. 476 (H.-G. Gadamer, Verit e metodo 2. Integrazioni, trad. it. di R.
Dottori, Bompiani, Milano 1996, p. 29).

8) Cfr. H.-G. Gadamer, Wahrheit und Methode. Grundzge einer
philosophischen Hermeneutik, in H.-G. Gadamer, Gesammelte Werke,
Band 1, Mohr, Tbingen 1986, pp. 292-293 (H.-G. Gadamer, Verit e
metodo, trad. it. di G. Vattimo, Bompiani, Milano 1988, pp. 336-337).

9) Ivi, pp. 293-295 (pp. 337-339).

10) Gadamer, Gesammelte Werke, Band 2 cit., p. 476 (p. 29).

11) Gadamer, Wahrheit und Methode cit., p. 293 e p. 295 (p. 337 e
p. 339).

22

12) Cfr. F. Schlegel, Frammenti critici e scritti di estetica, trad. it. di V.
Santoli, Sansoni, Firenze 1967, p. 21.

13) Gadamer, Wahrheit und Methode cit., p. 291 (p. 335).

14) Ivi, p. 295 (p. 339).

15) Ivi, p. 292 (p. 336, corsivo mio).

16) Ivi, p. 291 (p. 335).

17) Cfr. H.-G. Gadamer, Maestri e compagni nel cammino del pensiero.
Uno sguardo retrospettivo, trad. it. di G. Moretto, Queriniana, Brescia
1980, pp. 39-40.

18) Cfr. W. Jaeger, Paideia. Die Formung des griechischen Menschen,
Erster Band, De Gruyter & Co., Berlin und Leipzig 1936
2
, p. V e p. 5
(W. Jaeger, Paideia. La formazione dell'uomo greco, Volume I, trad. it. di
L. Emery e A. Setti, La Nuova Italia, Firenze 1967, p. IX e p. 6).

19) Ivi, p. 8 e p. V (p. 9 e p. IX).

20) Ivi, p. 5 (p. 6).

21) Ivi, pp. 14-16 (pp. 16-17).

22) Ivi, p. 5 (p. 6).

23) Ivi, p. 15, p. 8 e p. 4 (p. 17, p. 9 e pp. 4-5).

24) Ivi, pp. 3-4 (pp. 4-5).

25) Ivi, p. 19 (p. 22).

26) Ivi, pp. V-VI (pp. X-XI).





23



24


II

G. B. VICO: LA STORIA COME SCIENZA NUOVA



G. B. Vico nasce a Napoli nel 1668, e muore sempre a Napoli nel
1744. La vita di Vico si distribuisce in mezzo a due generazioni di
filosofi moderni, da una parte quella rappresentata ad esempio da Locke
(1632-1704), Newton (1642-1727) e Liebniz (1646-1716) e dall'altra
quella costituita ad esempio da Voltaire (1694-1778), Hume (1711-
1776) e Rousseau (1712-1778). La sua opera fondamentale la Scienza
Nuova, di cui abbiamo a disposizione tre edizioni che corrispondono ad
altrettante stratificazioni dell'opera stessa: 1725, 1730 e quella postuma
del 1744.


2.1 METAFISICA COME SCIENZA NUOVA

Le opere di filosofia a volte hanno un titolo che non stato
attribuito dal loro autore: ad esempio Metafisica o Etica nicomachea, non
sono stati scelti da Aristotele. Laddove sia l'autore a scegliere il titolo,
questo non ha il valore di semplice etichetta e nemmeno quello di uno
slogan concepito per accattivare il pubblico: esso dice sempre qualcosa
di specifico in relazione al contenuto speculativo di cui l'opera parla. E'
legittimo pensare che Vico avesse piena consapevolezza storica del fatto
che la propria proposta filosofica, in virt del suo statuto scientifico,
costituisse un progetto nuovo rispetto al passato.
Nel caso vichiano, gi il fatto che troviamo in un'opera di filosofia il
termine scienza pu costituire un elemento in controtendenza, rispetto
a quelle che sono le abitudini del pensiero contemporaneo, nel senso
che oggi si tende a distinguere in maniera a volte molto radicale ci
che scientifico da ci che filosofico. Molti settori della filosofia
contemporanea si fanno un onore di essere appunto non scientifici. Vico
invece chiama Scienza nuova la sua opera filosofica fondamentale. Non
c' assolutamente niente di strano, rispetto a quanto avveniva nel
passato, prima e dopo Vico, in quanto anche Fichte, ad esempio, scrive
(e riscrive con atteggiamento quasi vichiano) la Dottrina della scienza,
Hegel pubblica l'Enciclopedia delle scienze filosofiche, e nella tradizione
precedente a Vico autori come Cartesio, Hobbes o Spinoza non avevano
25

dubbi sul fatto che la filosofia fosse una scienza. Una prima cosa da
capire quindi il titolo dell'opera, in quanto, rapportata ai parametri
odierni, la Scienza nuova contiene poco di propriamente scientifico. Si
tratta allora di capire in che senso essa possa fregiarsi del titolo di
scienza. Ma prima ancora opportuno soffermarsi sull'altro termine, e
chiedersi: perch nuova? Questa parte del titolo qualcosa che nasce
anche da una precisa presa di coscienza sul piano storico:
consapevolmente Vico offre il suo progetto filosofico come qualcosa di
diverso rispetto al passato, e a questo proposito si tratta di mettere in
luce non tanto quello che noi potremmo trovare di nuovo leggendo il
testo vichiano, ma piuttosto quello che Vico considerava da parte sua
come nuovo nella propria opera.
A questo punto ci troviamo di fronte a quello che possiamo definire
come un paradosso, perch proprio nella introduzione che serve a
spiegare l'idea dell'opera, viene ricordato che "questa Nuova Scienza"
altro non che "la metafisica" (1). Il paradosso sta nel fatto che Vico
propone il suo progetto sotto una veste che, almeno a prima vista, si
propone come ci che pi di tradizionale possibile trovare in campo
filosofico. La Scienza nuova, proprio in quanto nuova, si presenta come
metafisica e da questo lato rientra apparentemente dentro la tradizione.
Bisogna cercare di capire allora cosa significa metafisica per Vico.
Come noto, l'idea dell'opera vichiana illustrata in modo figurato
dalla cosiddetta "dipintura", il cui contenuto spiegato e commentato
da Vico stesso: qui la metafisica ritratta nell'aspetto di una "donna
con le tempie alate che sovrasta al globo mondano, o sia al mondo della
natura" (2). Vico definisce quindi la metafisica secondo il significato
letterale del termine (t met t physik), accettandone quindi il
concetto pi tradizionale: il sapere che ha come oggetto ci che va oltre
la fisica. Le analogie con la tradizione per finiscono qui. Per Vico,
infatti, il mondo metafisico rappresenta certamente l'aldil della fisica,
ma non nel senso del passaggio al sovrasensibile, ovvero dalla physis a
Dio. La metafisica si innalza "sopra l'ordine delle cose naturali, per lo
quale finora l'hanno contemplato i filosofi", per risalire fino al "mondo
delle menti umane": il vero "mondo metafisico" costituito quindi dal
"mondo degli animi umani, ch''l mondo civile, o sia il mondo delle
nazioni" (3). Il compito della metafisica quello di studiare le menti
umane, ovvero la natura dell'uomo dal punto di vista del suo
comportamento come essere sociale; in questo senso l'oggetto della
metafisica il mondo costituito dalle nazioni, che rappresenta da un
lato il vertice e dall'altro il punto di massima concretizzazione dell'agire
dell'uomo. L'idea che la metafisica quella forma di sapere che si
26

sviluppa al di sopra del mondo della natura assume per Vico un
significato tutto particolare, perch oltre la fisica si colloca appunto
tutta quella parte di realt che costituita dalle azioni dell'uomo. La
critica che muove alla tradizione quella di avere svolto
sostanzialmente una indagine di tipo parziale, "perch i filosofi, infin ad
ora, avendo contemplato la divina provvedenza per lo sol ordine
naturale, ne hanno solamente dimostrato una parte, per la quale a Dio,
come a Mente signora libera ed assoluta della natura (perocch, col suo
eterno consiglio, ci ha dato naturalmente l'essere, e naturalmente lo ci
conserva), si danno dagli uomini l'adorazioni co' sacrifici ed altri divini
onori; ma nol contemplarono gi per la parte ch'era pi propria degli
uomini, la natura de' quali ha questa principale propiet: d'essere
socievoli" (4). Secondo Vico, quindi, proprio quel campo sconfinato e
finora totalmente inesplorato che costituito dalla "vera civil natura
dell'uomo" (5) ad avere bisogno di un attento ed accurato studio
sistematico. Da questo lato la scienza di Vico nuova proprio perch
metafisica ed effettivamente meta-fisica perch il mondo delle nazioni,
lo sviluppo degli stati e quindi le varie forme di costituzione, le varie
epoche dell'umanit osservate dal punto di vista della loro
organizzazione politica, sono l'oggetto fondamentale della sua indagine.
Quindi Vico pubblicando la Scienza nuova espone in modo consapevole
un concetto storicamente nuovo di metafisica, perlomeno totalmente
rinnovato rispetto ai suoi tempi. Sotto questo aspetto, l'innovazione che
Vico propone la trasformazione della metafisica da teologia naturale a
teologia civile: "Perci questa Scienza, per uno de' suoi principali aspetti,
dev'essere una teologia civile ragionata della provvedenza divina. La
quale sembra aver mancato finora, perch i filosofi o l'hanno
sconosciuta affatto, come gli stoici e gli epicurei, de' quali questi dicono
che un concorso cieco d'atomi agita, quelli che una sorda catena di
cagioni e d'effetti strascina le faccende degli uomini; o l'hanno
considerata solamente sull'ordine delle naturali cose, onde teologia
naturale essi chiamano la metafisica, nella quale contemplano questo
attributo di Dio, e'l confermano con l'ordine fisico che si osserva ne'
moti de' corpi, come delle sfere, degli elementi, e nella cagion finale
sopra l'altre naturali cose minori osservata" (6). Il passaggio dalla
teologia naturale alla teologia civile comporta anche la distinzione tra
quella metafisica che ha "il cuor terso e puro... non lordo n sporcato
da superbia di spirito o da vilt di corporali piaceri" (7) e la metafisica
falsa, che assume una prospettiva di tipo materialistico e che in un
passo della edizione del 1730 della Scienza Nuova viene descritta nei
seguenti termini: "La falsa e quindi rea metafisica abbia l'ale delle
27

tempie inchiovate al globo dalla parte opposta coverta d'ombre, perch
non possa (e non pu), perch non voglia (n sa perch non vuole)
alzarsi sopra il mondo della natura; onde, dentro quelle sue tenebre,
insegni o 'l cieco caso d'Epicuro o 'l sordo fato degli stoici, ed
empiamente oppini che esso mondo sia Dio, o operante per necessit
(quale, con gli stoici, il vuole Benedetto Spinosa), ovvero operante a caso
(che va di seguito alla metafisica che Giovanni Locke fa d'Epicuro), e
(con entrambi), avendo tolto all'uomo ogni elezione e consiglio, avendo
tolta a Dio ogni provvedenza, insegni che dapperutto debbe regnar il
capriccio, per incontrare o 'l caso o 'l fato che si desidera. Ella con la
sinistra tenga la borsa, perch tali venenose dottrine non son insegnate
che da uomini disperati, i quali o, vili, non ebbero mai parte allo Stato
o, superbi, tenuti bassi o non promossi agli onori de' quali per la lor
boria si credon degni, sono malcontenti dello Stato; siccome Benedetto
Spinosa, il quale, perch ebreo, non aveva niuna repubblica, truov la
metafisica da rovinare tutte le repubbliche del mondo" (8). Dentro la
falsa metafisica, come si vede, sono implicati secondo Vico anche nomi
significativi della modernit; esempio di "sublime metafisica" piuttosto
il pensiero del "divino filosofo", cio di Platone: cos come sono da
rifiutare tutte le metafisiche "che tengono diverso cammino dalla
platonica", altrettanto i "platonici" sono gli autentici "filosofi politici" (9).
La Scienza Nuova si qualifica perci come una "metafisica della mente
umana" che si deve risolvere in "una storia dell'umane idee": in quanto
tale essa "viene nello stesso tempo a descrivere una storia ideal eterna,
sopra la quale corrono in tempo le storie di tutte le nazioni ne' loro
sorgimenti, progressi, stati, decadenze e fini" (10).
Considerando le cose secondo un simile punto di vista, si potrebbe
dire che, se in Vico troviamo una filosofia della storia, si tratta in primo
luogo di una filosofia politica della storia ovvero di una filosofia della
storia politica.


2.2 LA STORIA COME SCIENZA

Resta a questo punto da rispondere alla seconda parte della
domanda rivolta alla Scienza nuova: perch scienza? Questa domanda
rimanda al rapporto tra filosofia e scienza: in che senso possiamo
parlare di scienza in Vico? Il rapporto tra le varie scienze e la filosofia
un problema che si sviluppato soprattutto ai nostri giorni: si potrebbe
quasi dire che si tratta di uno dei conflitti speculativi del '900, rispetto
al quale si sono sviluppate due orientamenti di pensiero. Da un lato
28

stanno quanti vorrebbero ricondurre la filosofia sul terreno della scienza
e questo significa innanzitutto far accettare alla filosofia le regole, i
canoni che stabiliscono la scientificit nell'ambito delle singole scienze
positive; dall'altro lato stanno invece quanti sostengono lestraneit e
lindipendenza della filosofia dalle scienze positive. Almeno una parte
del dibattito filosofico del '900 si focalizzata su questa questione: se la
filosofia deve essere scienza e a quali condizioni lo deve essere.
Un simile dibattito presuppone tuttavia che vi sia gi una
spaccatura tra scienza e filosofia. Il fatto che Vico parli senza remore
della sua opera come di una nuova scienza significa che al suo tempo
questa spaccatura non si era ancora consumata. Anzi il problema
fondamentale da cui era nato il pensiero moderno era quello di vedere in
che maniera la filosofia potesse riappropriarsi della sua dignit di
scienza. Ad esempio, per Galilei, Bacone, Cartesio, Spinoza, Leibniz, per
fare riferimento ad alcuni degli autori che Vico cita nelle proprie opere,
il problema non era tanto di accertare se la filosofia fosse o no una
scienza, ma importante era soprattutto determinare le condizioni a
partire dalle quali la filosofia poteva effettivamente realizzarsi come una
forma di sapere che fosse al tempo stesso scientifico.
La risposta generale che la modernit d a questo quesito che la
filosofia potr riappropriarsi della sua dignit di scienza se sapr darsi il
giusto metodo e il problema del metodo scientifico passa attraverso
l'accoglimento dei criteri stabiliti dal metodo matematico. Galilei parla
della natura come di un libro, ma di un libro il cui linguaggio pu
essere inteso soltanto se noi ci abituiamo a ragionare matematicamente.
E questo perch il libro della natura composto da caratteri che sono
figure geometriche.
Da questo punto di vista Vico intende collocarsi lungo la direzione
segnata dalla modernit; nella Scienza nuova la Sezione quarta del Libro
Primo dedicata appunto alle questioni di tipo metodologico ed a questo
specifico problema la risposta la seguente: il contenuto dell'opera
stato "meditato in idea, giusta il metodo di filosofare pi accertato di
Francesco Bacone, signor di Verulamio, dalle naturali, sulle quali esso
lavor il libro Cogitata et visa, trasportato all'umane cose civili" (11).
Non forse un caso, da questo lato, che il nome del "Verulamio, gran
filosofo egualmente e politico" (12) sia associato non una sola volta a
quello di Platone (13). L'essenza del metodo baconiano tradotta da
Vico nei due principi del cogitare (il ragionare e la razionalizzazione dei
dati) e del videre (i dati raccolti dall'esperienza) (14). Se Bacone aveva
applicato tale metodo alle cose naturali, Vico intende applicarlo o alle
"umane cose civili": in questo modo con la Scienza nuova egli intende
29

compiere una doppia operazione: da un lato spostare l'asse
dell'interesse dalla natura al mondo dell'uomo; dall'altro applicare al
mondo delle umane cose civili quella metodologia che il pensiero
moderno si era limitato ad applicare al solo mondo della natura.
Vico per non sembra essere perfettamente coerente con se stesso,
perch proprio mentre fa professione di fede baconiana in realt
aggiunge anche un'altra annotazione: egli infatti che la sua scienza
"procede appunto come la geometria, che, mentre sopra i suoi elementi
il costruisce o 'l contempla, essa stessa si faccia il mondo delle
grandezze; ma con tanto pi di realit quanta pi ne hanno gli ordini
d'intorno alle faccende degli uomini, che non ne hanno punti, linee,
superficie e figure" (15). Quando ci si riferisce al problema del metodo,
si parla della via che una determinata forma di sapere deve percorrere
per raggiungere i propri scopi, seguendo determinati punti di
orientamento e sviluppandosi secondo determinate successioni. La
scienza vichiana intende procedere metodologicamente e svilupparsi
come la geometria. L'oggetto della geometria il mondo delle grandezze
e la sua caratteristica epistemologica pi rilevante costituita dal fatto
che l'oggetto che essa tematizza, un mondo che essa stessa costruisce.
La Scienza nuova procede allo stesso modo, seguendo cio lo stesso
metodo, con questa unica differenza: mentre la geometria si occupa di
grandezze astratte, la Scienza nuova si occupa di cose concrete, in
quanto tratta le faccende degli uomini. Se guardiamo le cose da questo
punto di vista, allora il termine di riferimento non tanto la filosofia di
Bacone, quanto piuttosto la filosofia di Hobbes.
Hobbes un autore che Vico conosceva sicuramente: nei suoi
scritti ne parla, al pari di Machiavelli, come un seguace di Epicuro e
perci come un esempio di quella metafisica materialistica, "falsa e
quindi rea" che sosteneva un determinismo meccanicistico, negatore
"della libert dell'umano arbitrio" e quindi di ogni possibile virt (16). Il
discorso vichiano relativo al metodo ed all'oggetto specifico della Scienza
nuova presenta delle notevoli analogie con le considerazioni sviluppate
da Hobbes nel Capitolo decimo del De homine, dove viene affrontato il
problema della struttura epistemica del discorso scientifico. A questo
riguardo Hobbes inizia col distinguere innanzitutto tra scienza e
cognizione: "Per scienza si intende la verit dei teoremi, cio delle
proposizioni generali, vale a dire la verit delle conseguenze. Quando
invece si tratta di verit di fatto, si dice non propriamente scienza, ma
semplicemente cognizione. Quindi la scienza grazie alla quale sappiamo
che un teorema proposto vero, una conoscenza a partire dalle cause,
30

cio dalla generazione dell'oggetto, derivata mediante un retto
raziocinio" (17).
Se la dimostrazione a priori, cio l'autentico metodo scientifico,
quella che procede dalle cause e si sviluppa fino agli effetti e per causa
si deve intendere il processo di generazione della cosa. Se io conosco i
processi che generano la cosa, ne consegue allora che "agli uomini
stata concessa una scienza con quel tipo di dimostrazione a priori solo
nel caso di quegli oggetti, la cui generazione dipende dall'arbitrio degli
uomini stessi" (18). A partire da questi principi metodologici pi
generali, Hobbes ricava delle distinzioni pi specifiche, in relazione alla
qualit epistemologica delle diverse discipline: infatti "dimostrabili
sono... molti teoremi circa la quantit, la cui scienza si chiama
geometria. Poich infatti le cause delle propriet che le singole figure
hanno risiedono nelle linee che noi stessi tracciamo, e le generazioni
delle figure dipendono dal nostro arbitrio, non si richiede, alla
conoscenza di qualsiasi propriet di una figura, nulla pi della
considerazione di tutti gli elementi che conseguono alla costruzione che
noi stessi facciamo delineando la figura. Quindi, che la geometria sia
ritenuta e sia dimostrabile dipende dal fatto che noi stessi creiamo le
figure" (19). Ci che possibile nel campo della matematica pura non
accade invece nell'ambito delle discipline che studiano i fenomeni della
natura: "Di contro, poich le cause delle cose naturali non sono in
nostro potere, bens della volont divina, e poich la loro massima
parte, cio l'etere invisibile, non possiamo dedurre le loro propriet
dalle loro cause, dato che noi non le vediamo. Ci invece concesso
procedere deducendo le conseguenze da quelle stesse propriet che
vediamo, fino a poter dimostrare che le loro cause abbiano potuto
essere tali o talaltre. E questa dimostrazione si chiama a posteriori, e la
scienza stessa, fisica" (20). Se nel campo delle cose della natura l'uomo
in grado di costruire soltanto una conoscenza che si sviluppa a
posteriori, ossia che dagli effetti risale alle possibili cause, vi sono
tuttavia altre scienze, oltre alla geometria, capaci di dimostrazioni a
priori, ossia di un sapere genetico-sintetico: "Anche l'etica e la politica
d'altronde, cio la scienza del giusto e dell'ingiusto, dell'equo e
dell'iniquo, si possono dimostrare a priori; in quanto che i principi grazie
ai quali si conosce cosa siano il giusto e l'equo, e per contro l'ingiusto e
l'iniquo, cio le cause della giustizia, e precisamente le leggi e i patti, li
abbiamo fatti noi. Infatti, prima della istituzione dei patti e delle leggi,
non vi era alcuna giustizia n ingiustizia, n alcun genere di bene o di
male pubblico tra gli uomini, pi che tra le bestie" (21). Geometria, etica
e politica presentano delle evidenti analogie di struttura dal punto di
31

vista del loro statuto epistemologico perch tanto l'oggetto dell'una,
quanto l'oggetto delle altre qualcosa di prodotto, di costruito
dall'uomo.
Vico individua la stessa analogia strutturale tra la geometria,
intesa come scienza della grandezze, e la Scienza nuova come scienza
delle "cose morali pubbliche" ovvero dei "costumi civili, co' quali sono
provenute al mondo e si conservan le nazioni" (22). Il principio basilare
da cui si sviluppa la metafisica vichiana sostanzialmente contenuto in
"questa verit, la quale non si pu a patto alcuno chiamar in dubbio:
che questo mondo civile egli certamente stato fatto dagli uomini, onde se
ne possono, perch se ne debbono, ritruovare i principi dentro le
modificazioni della nostra medesima mente umana. Lo che a chiunque vi
rifletta, dee recar maraviglia come tutti i filosofi seriosamente si
studiarono di conseguire la scienza di questo mondo naturale, del
quale, perch Iddio egli il fece, esso solo ne ha la scienza; e
traccurarono di meditare su questo mondo delle nazioni, o sia mondo
civile, del quale, perch l'avevano fatto gli uomini, ne potevano
conseguire la scienza gli uomini" (23). Come si visto, la novit della
filosofia vichiana costituita dalla trasformazione della metafisica da
teologia naturale a teologia civile: questo spostamento di prospettiva
anche il luogo su cui Vico costruisce la scientificit del suo progetto. La
Scienza nuova, quindi, "ragione con uno stretto metodo geometrico, con
cui da vero passa ad immediato vero", per cui, al fine di comprenderne il
contenuto, " bisogno di aver fatto l'abito di ragionar geometricamente"
(23).


2.3 NATURA E STORIA

Il progetto della Scienza nuova costruito attraverso una serie di
coppie concettuali, che di volta in volta possono essere viste come dei
binomi o come delle opposizioni: mondo della natura/mondo delle
nazioni; teologia naturale/teologia civile; anima (mente)/corpo. Con il
pensiero di Vico si ripropone il problema del rapporto tra natura e
storia, che si esprime sia nella forma della differenza che della
somiglianza. La prima differenza riguarda lorigine del mondo della
natura e del mondo della storia. Dio ha creato la natura; se noi
svestiamo questa affermazione dagli echi teologici abbiamo il seguente
significato: il mondo della natura per l'uomo un mondo trovato, gi
dato, nei cui confronti si pongono problemi di adattamento per potervi
sopravvivere. La prima determinazione con cui il mondo della natura si
32

atteggia nei confronti dell'uomo in generale quello dell'estraneit, una
estraneit che ad esempio il Cristianesimo, proprio svolgendo ed
accentuando il dualismo neo-platonico di anima e corpo, ha
tendenzialmente sviluppato e approfondito. Viceversa il mondo della
storia quello che l'uomo contribuisce a produrre con le sue azioni: il
mondo delle nazioni il mondo fatto dall'uomo e questa la prospettiva
di base attraverso cui guardare all'universo della realt storica.
Questa divaricazione tra natura e storia non senza un rapporto di
analogia. Per certi aspetti anche il mondo della storia qualcosa di gi
dato, che ciascuno di noi trova gi fatto. Noi non scegliamo il mondo
storico in cui nascere ma entriamo nel tempo e nella storia trovando
una realt gi costituita e nei confronti della quale dobbiamo adattarci.
Per molti aspetti il problema di un adattamento nei confronti della
natura gi risolto all'interno di quella che la compagine civile in cui
ciascuno si trova a vivere. Il rapporto con la natura mediato dal
rapporto con la societ: la societ, intesa anche nel senso di cultura e
storia, che tendenzialmente sceglie il tipo di rapporto che ciascuno di
noi deve di fatto avere con la natura.
Per quanto Vico possa parlare di una provvidenza divina che regge
il fondo del divenire storico, non di meno chiara in lui la
rivendicazione che la storia fondamentalmente storia dell'uomo e
questo suo essere un prodotto dell'uomo ci che differenzia il mondo
della storia dal mondo della natura. Il significato originario che il
concetto di storia viene progressivamente ad assumere nell'ambito della
modernit appunto questo, la storia rappresenta la sintesi dei
comportamenti socializzati degli uomini, delle varie individualit
interagenti le une nei confronti delle altre e di quelle ulteriori
individualit che sono le nazioni.


NOTE

1) Cfr. G.B. Vico, La Scienza Nuova Seconda giusta l'edizione del 1744
con le varianti del 1730 e di due redazioni intermedie inedite, a cura di
F. Nicolini, Laterza, Bari 1942
3
, Parte prima, p. 26.

2) Ivi, I, p. 5.

3) Ivi, I, p. 5.

4) Ivi, I, pp. 5-6.
33


5) Ivi, I, p. 6.

6) Ivi, I, p. 125.

7) Ivi, II, pp. 171-172.

8) Ivi, I, p. 8.

9) Ivi, II, pp. 35, 149, 173, 199, 265 e I, p. 75.

10) Ivi, I, pp. 127-128.

11) Ivi, I, p. 131.

12) Ivi, I, p. 214.

13) Ivi, I, pp. 55, 151.

14) Ivi, I, p. 131.

15) Ivi, I, p. 129.

16) Ivi, I, pp. 85, 124 e II, p. 164.

17) Cfr. T. Hobbes, De Homine. Sezione seconda degli Elementi di
Filosofia, trad. it. di A. Pacchi, Laterza, Bari 1972
2
, p. 143.

18) Ivi, pp. 143-144.

19) Ivi, p. 144.

20) Ivi, p. 144.

21) Ivi, p. 145.

22) Cfr. Vico, La Scienza Nuova Seconda giusta l'edizione del 1744 cit.,
I, p. 8.

23) Ivi, I, pp. 116-118.

34

24) Ivi, II, p. 173.




35


III

G. W. F. HEGEL: LIBERT E STORIA



Hegel nasce nel 1770 e muore durante una epidemia di colera nel
1831: la morte lo raggiunge nel pieno della sua attivit filosofica.
L'epoca di Hegel quella di Beethoven (1770-1827) e di Hlderlin (1770-
1853), suoi contemporanei. I compagni di strada di Hegel sono Kant
(1724-1804), Fichte (1762-1814) e Schelling (1775-1854). Schelling
stato anche compagno di universt di Hegel a Tubinga insieme a
Hlderlin. La filosofia hegeliana trova in Kant uno dei suoi fondamentali
interlocutori.
Le opere di Hegel possono essere suddivise in due grossi gruppi: le
opere pubblicate da Hegel (Fenomenologia dello spirito, Scienza della
logica, Enciclopedia delle scienze filosofiche, Lineamenti di filosofia del
diritto); e le sue lezioni universitarie, trascritte dai suoi studenti e poi
raccolte e pubblicate: le Lezioni sulla Filosofia della storia, unitamente a
quelle sulla Estetica, sulla Filosofia della religione e sulla Storia della
Filosofia, appartengono a quest'ultimo gruppo.
Quando si parla della filosofia della storia in Hegel ci si riferisce ad
uno degli aspetti, ad una parte della sua filosofia. Generalmente per i
filosofi vale il principio che partendo da un punto specifico possibile
ricostruire tutto il pensiero ed a maggior ragione per un filosofo
dichiaratamente sistematico come Hegel questa operazione diventa
ancora pi naturale.
Dal punto di vista hegeliano quattro punti sono da mettere in luce:
1. la collocazione sistematica della storia;
2. la natura della storia;
3. il soggetto della storia;
4. le epoche della storia.
Con questi punti non si mettono a fuoco la totalit delle
problematiche sviluppate da Hegel nella filosofia della storia ma se ne
evidenziano alcuni nodi fondamentali.




36

3.1 LA COLLOCAZIONE SISTEMATICA DELLA STORIA

Le Lezioni sulla filosofia della storia non danno una risposta alla
domanda su quale sia la collocazione sistematica della storia in Hegel.
Occorre innanzitutto osservare che all'interno del pensiero hegeliano la
filosofia si colloca in un rapporto costitutivo con la storicit e che a sua
volta questo rapporto si sviluppa lungo una molteplicit di percorsi.
Una prima forma in cui si configura il rapporto tra pensiero
speculativo e mondo storico quella che corrisponde alla celebre
definizione contenuta nella Filosofia del diritto, secondo cui la filosofia " il
proprio tempo appreso in pensieri". Secondo questa prospettiva, allora,
"compito della filosofia" diventa "comprendere (begreifen) ci che ", e "ci
che ", a sua volta, appunto "la ragione". La traduzione in termini
razionali-concettuali di ci che , inteso nel senso di ci che accade nel
tempo, presuppone l'identit tra essere e ragione, ovvero si fonda sul
celebre principio secondo cui "ci che razionale reale; e ci che reale
razionale" (1).
E' nota anche la tesi hegeliana secondo cui "la storia della filosofia
la filosofia stessa" (2). Sulla base di questa reciproca coincidenza
possibile delineare una seconda forma di rapporto tra la filosofia ed il
tempo storico, che procede per seguendo un movimento inverso rispetto
a quello precedentemente esaminato, in quanto si sviluppa, per cos dire,
dal basso. Da questo lato possibile osservare un duplice svolgimento
(Entwicklung) della filosofia. Il primo quello che si d nella "forma del
puro pensiero": in questo caso ci troviamo di fronte ad una forma di
sviluppo che cade certamente "anche nel tempo, ma non ancora nella
esteriorit storica", quanto piuttosto "nella interna coscienza di singoli
individui". La seconda forma di svolgimento quella in cui la "condizione
(Zustand) di un intero popolo viene presentata come momento della
filosofia. Questa necessit ha innanzitutto la forma che il pensiero deve
(muss) cadere nel tempo" (3). E' quindi anche lungo questa seconda
prospettiva che si apre la strada per la considerazione storica della
filosofia. In tal modo si configura ancora una volta una relazione di
unit/identit tra pensiero e mondo storico, al cui interno per
quest'ultimo ad avere innanzitutto un potere di determinazione nei
confronti del pensiero filosofico: ogni filosofia appartiene infatti al suo
tempo e pu esprimersi soltanto nei limiti del linguaggio della sua propria
epoca (4).
Le due definizioni della filosofia fin qui prese in considerazione
fanno entrambe riferimento alla storicit, per non aprono ancora uno
spiraglio in direzione della collocazione sistematica della storia, semmai
37

la presuppongono. Per affrontare effettivamente un tale problema
opportuno rifarsi innanzitutto alla Enciclopedia delle scienze filosofiche
in compendio. A questo riguardo, l'Enciclopedia del 1817 sembra
presentare delle peculiarit proprio per quanto riguarda la
determinazione dell'essenza della filosofia. Qui infatti si possono mettere
in primo luogo in evidenza due definizioni complementari di filosofia:
l'una secondo cui la filosofia " essenzialmente enciclopedia"; l'altra
secondo cui essa "necessariamente sistema" (5). In questo modo
l'equivalenza filosofia/enciclopedia/sistema risulta pi chiara che non
nelle successive edizioni del 1827 e del 1830, dove essa appare
enunciata in modo meno evidente (6).
Ci che innanzitutto importante capire che la struttura
sistematica non semplicemente una sorta di rivestimento, un abito
che la filosofia indossa saltuariamente, ma qualcosa che inerisce
all'essenza stessa del filosofare: per Hegel sussiste una relazione
necessaria tra lo svilupparsi del pensiero filosofico ed il suo strutturarsi
come sistema. Ponendoci quindi il problema della filosofia della storia di
Hegel, uno degli aspetti da considerare la collocazione della storia e
della sua problematica a livello di sistema. E' a partire da qui che si
svilupperanno gli altri aspetti che sono stati precedentemente
individuati: a partire dalla collocazione sistematica possibile
analizzare la natura della storia, capire quale sia il suo soggetto ed
infine determinare le epoche della storia stessa: questa partizione,
infatti, a sua volta in stretta connessione con quello che l'originario
ruolo sistematico assegnato al sapere storico.
Dal punto di vista hegeliano la filosofia essenzialmente sistema e
il sistema si sviluppa a sua volta come enciclopedia delle scienze
filosofiche. Il sistema della Enciclopedia si struttura in una prima grande
tripartizione: A. Logica; B. Natura; C. Spirito. La Logica rappresenta il
regno del puro pensiero speculativo: in quanto fondamento assoluto del
reale essa deve essere intesa come l'ossatura del mondo esistente, nella
quale si raccolgono le nervature portanti su cui sono destinati a
scorrere il mondo della Natura e il mondo dello Spirito. La realt
effettuale costituita quindi dalla Natura intesa come physis, come
regno della necessit e dell'accidentalit, e dallo Spirito, che racchiude il
mondo umano, conosciuto nella sua universalit e verit.
A sua volta lo Spirito si suddivide in: a. Spirito soggettivo; b. Spirito
oggettivo; c. Spirito assoluto. La sezione dello Spirito oggettivo il luogo
sistematico in cui vengono analizzate "tutte le determinazioni della
libert", in relazione sia con il volere soggettivo che oggettivo, vale a dire
i diritti, i doveri, le abitudini, i modi di sentire, i costumi, i
38

comportamenti (7): entra qui in gioco il problema della vita dell'uomo
intesa non pi come semplice vita biologica, ma pensata nel suo senso
pi pieno.
Lo Spirito oggettivo si suddivide ancora in: a. Diritto; b. Moralit; c.
Eticit. Il Diritto costituisce la sfera che racchiude i rapporti giuridici fra
i singoli individui intesi come persone private: si tratta quindi del diritto
formale ed astratto, che comprende le figure della propriet e del
contratto (8). La Moralit la sfera della coscienza intesa come "certezza
astratta di se stesso", della "libert soggettiva" che agisce come volont
particolare": in questo senso al contempo il luogo del "dover essere" e
dove operano i concetti di bene e di male (9). L'Eticit costituisce il
"compimento dello spirito oggettivo, la verit dello stesso spirito
soggettivo e oggettivo": in questo senso essa rappresenta "il volere
razionale universale in s e per s", che ha "la sua realt come spirito di
un popolo"; essendo il luogo dei rapporti intersoggettivi, ovvero dei
rapporti sociali intesi come "costume", l'eticit definita da Hegel "la
libert consapevole di s, diventata natura" (10).
L'Eticit, intesa come sfera in cui lo spirito si oggettivizza in
qualcosa di concreto e visibile che sono le sue azioni, si suddivide a sua
volta in quelli che sono i tre tipi del vivere socializzato che Hegel prende
in esame: a. La Famiglia; b. La Societ civile; c. Lo Stato. La Famiglia
rappresenta il modello della societ naturale, fondata sulla distinzione
dei sessi (11). La Societ civile, definita da Hegel come "il sistema
dell'atomistica", costituisce il luogo dei rapporti economici, in cui
operante la divisione del lavoro e la differenza dei vari ceti sociali (12).
La forma pi complessa ma al tempo stesso anche pi concreta di
struttura sociale lo Stato, a sua volta definito come "la sostanza etica
consapevole di s, -la riunione del principio della famiglia e della societ
civile". In quanto luogo dei rapporti politici, lo Stato si pone come
"spirito vivente" e come "totalit organizzata", la cui essenza l'
"universale in s e per s, la razionalit del volere" (13). La vita dello
Stato si sviluppa tendenzialmente lungo due direzioni: a) una direzione
centripeta, rappresentata dal diritto interno dello Stato, con cui viene
regolata la dialettica che anima i rapporti che intercorrono tra i vari
soggetti della vita politica; e b) una direzione centrifuga, rappresentata
dalla politica estera, ovvero dall'interagire all'esterno o con una pluralit
di soggetti, che sono gli altri stati attorno a lui, sottoposti a quella forma
di diritto che il diritto internazionale.
Hegel colloca la Storia come il momento conclusivo dell'Eticit e la
fa coincidere con la sfera dei rapporto dello stato con gli altri stati: sotto
questo profilo le "vicende della storia" rappresentano "la via per la
39

liberazione della sostanza spirituale" (14). Dal punto di vista hegeliano
esiste una storia perch esistono degli stati. Il presupposto sistematico
della storia dato dall'esistenza dello Stato, per cui vengono ad
assumere la denominazione di Storia le azioni compiute dagli stati, o le
azioni di quei singoli individui che agiscono in nome degli stati.
La specifica direzione presa dal discorso hegeliano spinge a questo
punto ad affrontare il problema del rapporto tra moralit e storia. Se si
tiene presente che in Hegel il rapporto tra storia e politica molto
stretto, discutere il rapporto tra moralit e storia significa anche toccare
il problema del rapporto tra moralit e politica. Il discorso hegeliano
diventa inoltre unoccasione per analizzare queste problematiche in
quella che la loro portata pi generale. Come si gi ricordato, le
articolazioni del sistema sono funzionali all'organizzazione dei rapporti
fra le diverse sfere della vita umana. Hegel colloca Moralit e Storia in
due sfere nettamente distinte, separate da un notevole spazio
sistematico: non si tratta, tuttavia, solo di una distanza logica. Quello
che importante da rilevare che nel passaggio dalla moralit alla
storia cambia in modo sostanziale anche il soggetto: il soggetto dell'agire
morale la coscienza singola, individuale, quello della Storia viceversa
lo Stato. Dal punto di vista di Hegel attraverso lo Stato, cio attraverso
la mediazione della societ politica, che le singole persone entrano come
soggetti nella storia. Il soggetto della storia un soggetto collettivo,
perch chi agisce nella concretezza storica sono i vari popoli in quanto
organizzati in quella comunit politica che si costituisce come Stato.
La Moralit rappresenta la sfera dei comportamenti soggettivi, di
quello che uno fa secondo coscienza, ma anche il comportamento della
coscienza sottoposto alle condizioni storiche all'interno delle quali la
coscienza vive: l'agire nostro come singoli, l'agire morale un qualcosa
che accade necessariamente all'interno di una sfera pi ampia. Sotto
questo profilo non si tratta tanto di vedere se morale e storia sono in
conflitto tra loro, ma piuttosto di capire quanta parte dellagire morale
di un soggetto entra effettivamente nella storia e in che misura questo
agire morale pu condizionare ci che accade a livello di storia.
La Storia l'ultima figura dello Spirito oggettivo nel senso che la
realt in cui vanno a confluire tutte le determinazioni precedenti. In
questo senso la Storia il luogo della massima concretezza, all'interno
della quale agiscono e si trovano concretamente operanti tutte le sfere
precedenti, quindi anche quella costituita dalla moralit. La coscienza
morale, anche se quando agisce astrae da qualsiasi altro tipo di
rapporto, non pu escludere il fatto di essere pur sempre membro di
una famiglia, di essere comunque parte della societ civile e comunque
40

cittadino di uno stato, cio parte integrante di una comunit politica:
l'agire morale quindi sempre collocato in una situazione.


3.2 LA NATURA DELLA STORIA.

Abbiamo analizzato quella che la collocazione sistematica della
storia in Hegel e le conseguenze che derivano dal fatto che la storia
appartenga ad una determinata sfera di vita. Si tratta ora di
determinare la natura specifica della Storia come tale: a questo riguardo
c' un possibile equivoco da eliminare. In quanto entra a far parte della
enciclopedia delle scienze filosofiche e quindi del sistema, la storia
riceve una precisa collocazione sistematica e diventa per questa via un
momento determinato dello sviluppo dell'idea della filosofia. L'essenza
filosofica della storia, vale a dire l'essenza della storia colta dal punto di
vista filosofico, diventa pienamente comprensibile soltanto a partire da
tale collocazione sistematica. Abbiamo visto la tripartizione della
Filosofia dello Spirito in Spirito soggettivo, Spirito oggettivo e Spirito
assoluto. A questo riguardo la storia l'ultima e quindi conclusiva figura
dello Spirito oggettivo, al di l della quale inizia una ulteriore sfera dello
spirito, lo Spirito assoluto. La Storia si colloca quindi in una posizione
cruciale, in un momento di passaggio tra due fasi ben distinte. Questa
collocazione ha spinto certi interpreti a vedere nella filosofia hegeliana
della storia una sorta di metafisica dell'assoluto. In realt l'Enciclopedia
colloca la Storia in una dimensione specifica ben diversa.
Considerata alla luce del sistema, la storia, che per Hegel
essenzialmente "Weltgeschichte", cio storia universale, forma, come si
visto, la figura conclusiva dello "Spirito oggettivo": di conseguenza le sue
determinazioni essenziali pi generali saranno desumibili dalle
determinazioni della sfera cui appartiene. La "Filosofia dello spirito",
considerata come terza parte del sistema, nella sua tripartizione in
Spirito soggettivo, oggettivo ed assoluto, si pone complessivamente
come "la conoscenza di ci che la verit dell'uomo" (15). Pi
determinatamente la sua seconda sezione, lo "Spirito oggettivo"
costituisce quel grado dello sviluppo dello spirito in cui questo si trova
nella "forma della realt (Realitt), come di un mondo da produrre e
prodotto da esso" (16). All'interno della tripartizione sopra accennata
pu essere rilevato che la "Filosofia dello spirito" lascia intravedere una
ulteriore suddivisione, in due parti, che si rivela della massima
importanza per il tema qui trattato. Hegel avverte infatti che "le prime
due parti della dottrina dello spirito trattano dello spirito finito": lo
41

"spirito oggettivo" nel suo complesso deve quindi essere inteso in tutta
l'estensione dei suoi momenti essenzialmente come "spirito finito", dove
la finit va intesa secondo "il suo significato proprio, dell'inadeguatezza
tra concetto e realt" (17). Da questo lato il discorso hegeliano molto
chiaro: l'oggetto della storia non lo Spirito assoluto, ma lo spirito che si
mostra nella sua finitezza.
Se, in base alle precedenti osservazioni, si deve concludere che la
storia stessa, proprio in quanto figura dello Spirito oggettivo partecipa
costitutivamente della finitezza di questa sfera, resta tuttavia ancora da
determinare in che modo si caratterizzi questa finit della storia.
Introducendo la seconda sezione della "Filosofia dello spirito",
Hegel ricorda che lo "Spirito oggettivo" s "l'idea assoluta", ma soltanto
"come idea che in s": in questo senso esso si mantiene ancora "sul
terreno della finit" in quanto risulta essere "in relazione con una
oggettivit esternamente data"; il significato pi determinato di tale
oggettivit a sua volta individuabile "nei dati antropologici dei bisogni
particolari, nelle cose naturali esterne, che sono per la coscienza; e nella
relazione dei voleri singoli ai singoli, i quali hanno l'autocoscienza della
loro diversit e particolarit" (18). Anche la storia, quindi, in quanto
appartenente allo "Spirito oggettivo", ha sempre a che fare con una
oggettivit esternamente data, per cui la considerazione filosofica del
mondo storico deve costitutivamente tenere conto dei condizionamenti
di tipo antropologico, dei bisogni particolari, degli elementi di tipo
naturale, cos come delle volont singole. Gi a livello di "Antropologia"
Hegel aveva parlato della "vita naturale" dello spirito, che si svolge in
maniera ancora confusa (19). A questo proposito veniva osservato che
mentre l'animale vive essenzialmente in "simpatia" con il proprio
ambiente e rimane quindi, cos come la pianta, sostanzialmente
sottoposto alla natura, nell'uomo, viceversa, con il procedere della
cultura, un simile legame di dipendenza dall'ambiente perde
progressivamente di importanza (20). La storia, intesa come
Weltgeschichte, consiste proprio nella presentazione di questa graduale
liberazione dalla natura (21). La dipendenza non tuttavia eliminabile
in modo totale. Le distinzioni dei climi, la diversa natura delle parti
geografiche del mondo, le differenze di razza, sono tutti elementi che
determinano la formazione di "particolari spiriti naturali", ovvero di
"spiriti locali", le cui differenze non solo si "mostrano nella maniera della
vita esteriore, occupazione, struttura e disposizione corporale", ma
anche influenzano in modo determinante le tendenze del carattere
intellettuale ed etico dei singoli popoli (22). Nella storia perci
destinato a manifestarsi anche tutto questo.
42




3.3 IL SOGGETTO DELLA STORIA.

Se tuttavia si domandasse quale , dal punto di vista hegeliano, il
soggetto della storia, vale a dire di chi in essa si parla, proprio perch ne
l'autore, la risposta pi frequente sarebbe con tutta probabilit la
seguente: soggetto della storia lo Spirito del mondo. Per quanto una
simile risposta possa a prima vista apparire come la pi attendibile,
occorre tuttavia riconoscere che il concetto di Weltgeist esprime
piuttosto soprattutto un genere; viceversa, dato che essere nella storia
significa essere "nell'esistenza (Dasein)" (23), bisogna ammettere che la
storia, in quanto svolgimento determinato dello spirito, esige un soggetto
altrettanto determinato. Lo Spirito del mondo una specie di ipostasi,
mentre ci che esiste concretamente nella storia sono le vicende dei
singoli popoli concretamente esistenti. In questo modo, il concetto di
Weltgeist rinvia a quello di Wolksgeist, in quanto ci che
determinatamente esiste nella storia sono gli spiriti dei vari popoli.
L'effettivo problema quindi piuttosto quello di individuare su quali
basi si definisce lo spirito di un popolo.
Si pu considerare come caratterizzante la prospettiva hegeliana
l'osservazione che "nell'esistenza di un popolo lo scopo sostanziale di
essere uno Stato e di mantenersi come tale: un popolo senza formazione
politica (una nazione come tale) non ha propriamente storia; senza
storia esistevano i popoli prima della formazione dello Stato, e altri
anche ora esistono, come nazioni selvagge" (24). Lo spirito di un popolo
si definisce in chiave fondamentalmente politica: la sua essenza
espressa dalla organizzazione che esso si d in quanto Stato. Ci che
quindi propriamente esiste ed agisce nella storia un popolo concepito
quale organismo politico: proprio in quanto "ci che accade ad un
popolo ed ha luogo entro di esso, ha il suo significato essenziale nella
relazione verso lo Stato" Hegel pu affermare che "le mere particolarit
degli individui sono massimamente lontane da quell'oggetto, che di
pertinenza della storia" (25). Gli stessi individui cosmico-storici, vale a
dire hegelianamente i grandi personaggi come Giulio Cesare, Alessandro
Magno, Napoleone, ecc., hanno fortemente caratterizzato alcune epoche
della storia, ma la loro azione non si sviluppata in assoluto a partire
della loro individualit singola, ma a partire dal popolo e dallo stato a
cui essi appartenevano. Va riconosciuta dunque una duplice e reciproca
implicazione, in quanto il nesso tra spirito del popolo e storia passa
43

attraverso il concetto di Stato, mentre il nesso tra spirito del popolo e
Stato apre le porte alla considerazione della storia. Il presupposto
comunque lo Stato, in quanto possiamo parlare di storia solo dopo che
si sviluppato il concetto di Stato. E' evidente in questo modo che la
filosofia hegeliana della storia riceve un ben preciso orientamento: sono
soggetti della storia, della Weltgeschichte, quei popoli che giungono a
costituirsi come Stati, cio a porsi come organismi politici.
Se lo spirito di un popolo, in quanto soggetto della storia, si
caratterizza non in termini antropologici ma in termini politici, si rende
allora a questo punto necessaria una ulteriore domanda: su quali basi
si definisce l'essenza dello Stato? Nella Enciclopedia delle scienze
filosofiche si possono trovare molteplici definizioni dello Stato. Cos ad
esempio esso definito come "la realt immediata di un popolo singolo e
naturalmente determinato" (26); oppure, nel momento in cui introdotto
quale terza e conclusiva sezione della "Eticit", presentato come "la
sostanza etica consapevole di s" (27); poco pi oltre l'essenza dello
Stato definita come "l'universale in s e per s, la razionalit del
volere" (28). Infine lo Stato si pone come "spirito vivente", il quale
sussiste soltanto "come una totalit organizzata". Proprio la definizione
dello Stato quale organismo pu risultare la pi produttiva in relazione
alle tematiche qui analizzate. In quanto organismo, quello che si
potrebbe definire il codice genetico dello Stato indubbiamente
rappresentato dalla costituzione: essa si pone come la "articolazione
(Gliederung) del potere dello Stato" ed perci la via attraverso cui il
volere razionale giunge alla propria consapevolezza ed posto nella
realt effettuale (29). Hegel sottolinea in maniera molto evidente la
corrispondenza tra Volksgeist e Verfassung: la costituzione presuppone
lo spirito di tutto il popolo e quest'ultimo a sua volta presuppone la
costituzione (30). L'una e l'altro formano cos due realt assolutamente
inscindibili, al punto che si pu sostenere che "la questione, a chi, e a
quale autorit e come organizzata, spetti di fare una costituzione, la
medesima che se si domandasse, chi abbia da fare lo spirito di un
popolo. Il separare la rappresentazione di una costituzione da quella
dello spirito, come se questo esista, o sia esistito una volta, senza
possedere una costituzione a s conforme, un'opinione che dimostra
soltanto la superficialit con cui stata pensata la connessione dello
spirito, della sua autocoscienza e della sua realt" (31). Alla luce di
questa prospettiva si pu affermare che ci che Hegel costruisce una
filosofia politica della storia, ovvero una filosofia della storia politica: in
questo senso, la Filosofia del diritto, per quanto riguarda l'epoca
moderna, individua "l'argomento della storia universale del mondo"
44

proprio nella storia della "verace configurazione della vita etica", vale a
dire nel processo di perfezionamento dello Stato (32). Proprio perch il
concetto di popolo dal punto di vista hegeliano si definisce in termini
politici, anche la storia nel suo complesso riceve una connotazione
fortemente politica: lo spettacolo della storia lo spettacolo costituito
dall'azione di diverse (e anche contrastanti) concezioni politiche, di
diversi modi di organizzare la convivenza sociale degli uomini. Tutto ci
che di altro si pu dire della storia qualcosa di subordinato rispetto a
questo principio.
In virt di questo costitutivo ed originario nesso di storia e politica
si pu forse affermare che la filosofia della storia costituisce in Hegel il
luogo in cui la politica raggiunge la sua massima consapevolezza
filosofica.
La storia rappresenta il divenire dello spirito nel tempo e, come
tutto ci che diviene nel tempo, rappresenta il divenire della finitezza. E'
possibile chiedere quale qui il significato specifico di finitezza. E' molto
nota quella lettera, scritta pochi giorni dopo la battaglia di Jena, in cui
Hegel afferma di aver visto Napoleone, ed era come se si potesse vedere
"lo spirito del mondo" che entrava a cavallo in citt (33). Questa
espressione indica che Hegel si trova davanti allo spirito del mondo
sotto forma di immagine, di rappresentazione, era lo spirito del mondo
in una manifestazione sensibile, finita. E proprio di ogni cosa finita il
non essere adeguata al suo concetto. Potremmo tradurre questa
affermazione dicendo che non essere adeguato al proprio concetto
significa avere dentro di se qualcosa di non compiuto, e le cose finite
non sono come dovrebbero essere, sono altro rispetto a ci che
dovrebbero essere. Qui sta il germe della loro imperfezione, qui sta
l'inizio della loro fine.
Hegel afferma che tutto ci che accade nel tempo, e quindi ci che
accade nella storia, non mai adeguato al suo concetto: ci significa
che nell'ambito della storia nessuno Stato, in quanto concretamente
esistente nella storia, adeguer, realizzandola compiutamente, quella
che l'idea, ovvero il concetto dello stato.
In ogni realizzazione storica sar sempre contenuto un margine di
inadeguatezza, di imperfezione, che in relazione a quella specifica
realizzazione rappresenta il suo difetto, ci per cui necessariamente
questa formazione concreta ad un certo punto si esaurir,
scomparendo. Questo margine di inadeguatezza, o di imperfezione,
anche l'effettivo motore del divenire storico, ci che garantisce e
assicura una molteplicit di esperienze. La ricerca dello Stato perfetto
assolutamente priva di senso, perch ogni stato esistente sar sempre
45

qualcosa di relativo alla realt storica in cui si trova a sussistere.
Potremmo parlare dal punto di vista di Hegel di inadeguatezza reciproca
tra concetto e realt: non soltanto la realt storica ad essere
inadeguata al concetto, ma vi possono pure essere dei concetti
inadeguati alla propria realt, per cui certi progetti di tipo storico-
politico sono falliti per un eccesso di perfezione delle idee. Ci che opera
nella storia sempre qualcosa di finito e quindi ci che trova
realizzazione conterr sempre in se stesso un margine di inadeguatezza
rispetto al suo concetto. La storia il punto di massima maturazione a
cui pu arrivare la finitezza come tale. Da quanto abbiamo detto
consegue che il soggetto della storia non potr che essere un soggetto
finito.


3.4 LE EPOCHE DELLA STORIA.

Le epoche della storia, cos come vengono definite dalla tradizione
storiografica ricevono una partizione per certi aspetti arbitraria (storia
antica, medievale, moderna, ecc.), la cui scansione avviene in maniera
convenzionale (la caduta dell'impero romano, la scoperta dell'America,
ecc.). Rispetto alla tradizione Hegel segue un'altra strada nella
periodizzazione della storia, in quanto la fa dipendere dalla
consapevolezza filosofica di ci che la storia . Sotto questo aspetto, un
itinerario comune porta dalla collocazione sistematica della storia alla
determinazione delle epoche storiche e quindi al concreto del vissuto
storico.
Come noto, nel Libro primo della Metafisica si afferma che "ora
cos come nel passato, gli uomini hanno cominciato a filosofare in virt
della meraviglia". Dato che gli uomini "hanno filosofato per fuggire
l'ignoranza" (34), Aristotele sembra svolgere un discorso che potrebbe
essere definito di tipo storico-sociologico. Essendo di fatto il segno di
una ignoranza, la meraviglia si presenta come qualcosa che destinato
a diminuire sempre pi: se infatti si rimane meravigliati quando per la
prima volta si assiste ad una eclissi di luna, quando se ne sono
indagate e scoperte le cause il ripetersi dello stesso fenomeno non
stupir pi. Ci significa che non soltanto il progredire nella scienza da
parte del singolo soggetto, ma lo stesso accumulo sociale di conoscenza
lascer sempre meno spazio alla meraviglia, che quindi tender
progressivamente a scomparire. Individuando nella meraviglia l'atto
fondativo del filosofare Aristotele parlava certamente dell'inizio della
filosofia, ma indicava soprattutto le condizioni trascendentali di
46

possibilit della filosofia come tale. Oltre a tali condizioni trascendentali,
esiste anche il problema di individuare il quando, perch anche il
filosofare cade nel tempo: sappiamo infatti che la filosofia cominciata
in un determinato punto, in un determinato momento del tempo e dello
spazio. Storicamente quali sono le condizioni concrete che hanno reso
possibile il filosofare? Hegel si posto questo problema. Non si tratta di
isolare un fatto accidentale: chiedere quando significa anche indicare
dove.
Se si dovesse chiedere "dove comincia la filosofia?", la risposta dal
punto di vista hegeliano : "l, dove il pensiero si espande nell'elemento
della sua libert" (35). Il determinarsi di questo "dove" non tuttavia un
evento puramente speculativo, in quanto esige il realizzarsi di precise
condizioni sul piano storico, ossia che sia innanzitutto presente "un
certo grado della cultura spirituale" (36). Nelle Lezioni sulla storia della
filosofia Hegel accoglie e sviluppa la nota affermazione di Aristotele,
secondo cui gli uomini "hanno cominciato a filosofare dopo che si
provveduto alle necessit della vita" (37): questo fa della "filosofia un
operare (Tun) libero, non egoistico... un libero rinvigorirsi, sollevarsi,
consolidarsi dello spirito in s", che possibile solo dopo che "l'ansia del
desiderio si dissolta" (38). Ci comporta che la filosofia, sotto un certo
punto di vista, si presenti effettivamente come un "lusso", ma tuttavia
un lusso che "indica quei godimenti ed occupazioni che non appar-
tengono alla necessit esteriore come tale" (39). Hegel cerca di spingere
questo discorso pi avanti e rendere pi determinata la risposta alla
domanda su quando e dove di fatto, nella storia cominciata la filosofia.
La risposta che egli d a questo problema riconduce al nocciolo delle
questioni che sono state affrontate precedentemente. Il discorso
hegeliano, infatti, acquista a questo punto anche una valenza sociale, in
quanto ci che viene chiamato in causa non il semplice operare del
singolo come tale, quanto piuttosto lo "spirito di un popolo" ad essersi
"tratto di impiccio dalla indifferente opacit (Dumpfheit) del primo vivere
naturale, cos come dagli interessi passionali" (40). La filosofia inizia
quindi l dove il pensiero presso di s e si distacca dalla naturalit:
che il pensiero sia libero significa innanzitutto che " posta in generale
una esistenza tale, una tale coscienza, da essere una coscienza della
libert" (41). Il cominciamento della filosofia fa cos tutt'uno con il
"cominciamento storico della filosofia", e perci con l'inizio stesso della
storia della filosofia: tutto questo mantiene una immanente relazione
con "la forma concreta" della vita di un popolo, "il cui principio esprime
la coscienza della libert", cos come essa si realizza all'interno della sua
propria "costituzione" (42). Sotto questo profilo "la filosofia compare
47

nella storia soltanto l dove ed in quanto si formano libere costituzioni":
ci comporta una stretta "connessione della libert politica con il farsi
avanti della libert di pensiero" (43). Nel concetto del pensiero libero, del
"pensiero che va in s, che presso di s", implicato anche un
essenziale "lato pratico", ossia il fiorire della "libert effettuale", reale
cio nel senso della "libert politica" (44). Lungo questa strada il sorgere
della filosofia riceve ulteriori determinazioni dal punto di vista storico-
concreto: se la "coscienza della libert" implica il necessario riferimento
alla "libert civile (brgerliche)", a "leggi razionali", ad una
"costituzione", un simile "concetto della libert noi lo vediamo farsi
avanti innanzitutto nel popolo greco, e qui perci comincia la filosofia"
(45). Il cominciamento della filosofia esige come sua condizione necessa-
ria il realizzarsi nella storia concreta del suo fondamento: in tal modo,
"con questa determinazione di ci che filosofia, noi guadagniamo
anche il punto d'inizio della sua storia" (46).
La libert stata la condizione storica di possibilit della nascita di
quella forma di sapere che noi chiamiamo filosofia: non la libert in
senso astratto o la libert interiore della coscienza, ma qualcosa di
molto concreto che coincide con la libert politica. La filosofia nasce in
Grecia, ma questo fatto, cos importante per tutto il successivo destino
del mondo occidentale, non dovuto ad un bizzarro gioco del caso: la
condizione di possibilit perch si realizzasse questo amore per la
sapienza dovuto al fatto che in Grecia per la prima volta nel mondo
sono nati degli stati fondati su libere costituzioni, ovvero sulla libert
dei loro cittadini. Qui si tocca qualcosa di speculativamente profondo
dentro l'architettura del discorso hegeliano, poich diventa palese un
nesso costitutivo tra storia da un lato e filosofia dall'altro. Si potuto
vedere che uno dei presupposti della storia in quanto tale l'esistenza
di popoli che si organizzano in una societ politica: c' quindi un nesso
costitutivo tra realt politica e realt storica. Per esiste un legame
altrettanto stretto tra il sorgere della filosofia e la presenza di
determinate strutture politiche: questo comune punto di riferimento
dato dalla libert.
Nelle Lezioni sulla filosofia della storia contenuta una definizione
di ci che la storia: "la storia del mondo [la storia universale] il
progresso nella coscienza della libert" (47); da questo lato sussiste
quindi un nesso molto stretto ed evidente tra il contenuto della storia e il
problema della libert. Ci che in gioco una libert cosciente,
pienamente vissuta, non una libert inconsapevole. Questa coscienza
della libert si dispiega nell'ambito di uno sviluppo, il che vuol dire che
la libert ed il grado di consapevolezza della libert non rimangono mai
48

uguali a se stessi. Quali saranno allora dal punto di vista hegeliano le
epoche della storia? Le epoche della storia sono i gradi che
contrassegnano delle fasi omogenee nell'ambito di uno sviluppo della
coscienza della libert. Il passaggio da un'epoca storica all'altra segna
un cambio di marcia, un ulteriore livello nella realizzazione della libert.
A questo proposito Hegel scrive: "Si pu dire della storia universale che
essa la raffigurazione del modo in cui lo spirito si sforza di giungere
alla cognizione di ci che esso in s. Gli Orientali non sanno ancora che
lo spirito, o l'uomo come tale, libero in s. Non sapendolo, non lo sono.
Essi sanno solo che uno libero; ma appunto perci questa libert
arbitrio, barbarie, gravezza della passione, o magari anche mitezza e
mansuetudine della passione stessa, che anche essa solo un caso di
natura o un arbitrio. Quest'uno perci solo un despota, non un uomo
libero, un uomo. Presso i Greci, per primi, sorta la coscienza della
libert, e perci essi sono stati liberi; ma essi, come anche i Romani,
sapevano solo che alcuni sono liberi, non l'uomo come tale. Ci non
seppero n Platone n Aristotele; e perci non solo i Greci ebbero
schiavi, e la loro vita e il sussistere della loro bella libert fu vincolata a
tale condizione, ma anche la loro libert non fu in parte che una
fioritura accidentale, elementare, transitoria e ristretta, e in parte,
insieme, una dura schiavit dell'umano. Solo le nazioni germaniche
sono giunte nel cristianesimo alla coscienza che l'uomo come uomo
libero, che la libert dello spirito costituisce la sua pi propria natura.
Questa coscienza nacque dapprima nella religione, nella regione pi
interiore dello spirito; ma permeare di questo principio anche la natura
del mondo era compito ulteriore, per assolvere pienamente il quale
occorreva una lunga e difficile opera di educazione" (48).
Hegel individua quindi una tripartizione nella suddivisione delle
epoche della storia: esse sono definibili come la libert di uno solo, la
libert di alcuni e la libert di tutti. Soltanto apparentemente abbiamo
una determinazione di tipo quantitativo, come se si alludesse ad una
sorta di maggiore diffusione della libert, perch questa progressione -
uno, alcuni, tutti- in realt una gradazione di tipo qualitativo. Questa
periodizzazione, effettivamente, non molto utilizzabile dal punto di
vista della storiografia, anche perch si dispiega in forma diseguale, non
perfettamente omogenea rispetto alla successione cronologica del
tempo. E' ovvio che qui in gioco la libert politica, quindi lo sviluppo
della storia anche caratterizzato dalla successione di differenti
organizzazioni politiche.
Filosoficamente la storia riceve un senso, una direttrice di sviluppo
determinata, a partire dalla libert, che viene cos a svolgere un duplice,
49

importate ruolo: essa infatti segna, da un lato, la direzione dello
sviluppo del mondo storico ma anche, dall'altro lato, l'atto di nascita
della filosofia. Il problema del senso della storia si connette in maniera
molto stretta con il problema della nascita della filosofia, quindi la
filosofia hegeliana della storia procede anche in evidente connessione
con quelle che sono le tematiche proprie della filosofia in quanto tale. Il
problema del senso della storia comunque qualcosa che pu essere
determinato solo a posteriori. In una nota pagina della Prefazione della
Filosofia del diritto Hegel scrive: "per dire ancora una parola al proposito
del dare insegnamenti su come dev essere il mondo, ebbene per tali
insegnamenti in ogni caso la filosofia giunge sempre troppo tardi. In
quanto pensiero del mondo essa appare soltanto dopo che la realt ha
compiuto il suo processo di formazione e s bell e assestata" (49). Dal
punto di vista hegeliano la filosofia non potr mai, pena il venir meno
alla sua propria natura, avventurarsi in previsioni su quali ulteriori
progressi avr il principio della libert, quali nuove strutture politiche e
quali popoli potranno giocare un ruolo preminente nelle vicende
storiche. La filosofia potr analizzare lo sviluppo della storia, dare un
senso a questo sviluppo, attraverso la determinazione delle epoche, per
solo a posteriori: lo sguardo speculativo del pensiero sempre uno
sguardo retrospettivo.
In questo succedersi delle libert di uno, alcuni, tutti, possiamo
trovare dispiegata una questione gi affrontata in uno dei precedenti
paragrafi: quella relativa alla natura della storia. Il mondo storico il
mondo della finitezza e quindi la filosofia della storia da luogo in Hegel
ad una metafisica del finito e non ad una metafisica dell'assoluto.
Abbiamo visto che dal punto di vista di Hegel finitezza significa
inadeguatezza tra concetto e realt. Tutto ci che trova realizzazione
nell'ambito della finitezza patisce di una sorta di squilibrio tra il
concetto della cosa e la cosa cos come si presenta effettivamente.
Indubbiamente i gradi di realizzazione della libert possono fornire una
esemplificazione di cosa si deve intendere per inadeguatezza tra
concetto e realt e di cosa si deve intendere per regno della finitezza da
un punto di vista filosofico.
La libert di alcuni qualcosa di qualitativamente pi elevato della
libert di uno solo, e la libert di tutti qualitativamente pi elevata
della libert di alcuni. Questa progressione uno-alcuni-tutti non si deve
intendere come progresso in senso quantitativo come una sorta di
maggiore diffusione della libert, ma come un passaggio di tipo
qualitativo.
50

Nel caratterizzare la prima epoca della storia, Hegel ha sicuramente
in mente il mondo orientale, in quanto rappresentato dall'impero
persiano, e ci che lo caratterizza unorganizzazione politica che ha
come punto di riferimento il re, signore assoluto di tutto. Nella
effettualit la libert di uno equivale alla libert di nessuno e quindi
all'assenza di autentica libert. Laddove uno solo libero, dove solo il
despota pu considerarsi tale, non solo non esiste libert per tutti gli
altri, in quanto sono sottoposti ad una volont che arbitrio, ma
nemmeno quell'uno in realt libero, perch questo uno singolo, che si
pone come arbitrio assoluto, non ha la possibilit di riconoscersi come
libero in nessun altro intorno a lui. Questo un primo livello di
inadeguatezza tra concetto e realt, perch la libert di uno in realt
appunto una non libert. L'inadeguatezza secondo il concetto della
libert di alcuni forse pi facilmente comprensibile. La libert di
alcuni rappresenta, sul piano della effettualit storica, il mondo greco-
romano ed l'esistenza di quella libert che ha reso possibile la
filosofia. Il limite pi evidente di questa idea di libert dato dalla
presenza della schiavit, che probabilmente si pu considerare come
una delle condizioni di possibilit dell'esistenza stessa del mondo
antico. Secondo Hegel la libert di tutti il principio attorno a cui nasce
e progressivamente viene costruito il mondo moderno. Anche in questo
caso il discorso non solo di tipo quantitativo. La modernit l'epoca
della libert di tutti, nel senso che quella epoca in cui per la prima
volta, nello sviluppo storico dell'umanit, si fatto strada il principio
che l'uomo libero per natura e da questo consegue che tutti i singoli
uomini sono, e quindi devono essere liberi. Anche qui dobbiamo fare i
conti con la finitezza, l'inadeguatezza tra concetto e realt. Se il concetto
della modernit prevede che l'uomo, in quanto uomo, sia libero, questo
concetto trova di fatto una inadeguatezza in quella che la sua
realizzazione. Che l'uomo sia libero per natura, dice Hegel, non
originariamente un concetto politico e nemmeno un principio filosofico,
una idea che entra nella realt storica attraverso la religione: il
cristianesimo, sostenendo che ogni uomo figlio di Dio, sancisce il fatto
che ogni uomo in quanto uomo libero. L'eguaglianza di tutti gli uomini
viene interpretata da Hegel in tema di libert: tutti gli uomini sono
uguali perch tutti gli uomini originariamente vanno concepiti come
liberi. Da un lato con il cristianesimo entrata nel mondo l'idea che
tutti gli uomini sono figli di Dio e quindi questo significa che tutti gli
uomini sono uguali tra loro, ovvero che tutti sono uguali tra loro in
termini di libert. Ma se il principio della libert di tutti entrato nella
realt storica con il cristianesimo, molto tempo dovuto trascorrere
51

perch fosse riconosciuto. Secondo Hegel questo riconoscimento
avvenuto con la Riforma protestante, attraverso una rivoluzione
all'interno del cristianesimo stesso, e il principio della libert di tutti si
affermato come principio politico soprattutto a partire dalla Rivoluzione
francese: la prima parola della rivoluzione libert, tutti i cittadini sono
eguali di fronte alla legge senza distinzioni di casta, religione e razza.
Ora sarebbe altrettanto facile mostrare che il principio dell'eguaglianza
politica di tutti gli uomini ha potuto trovare solo in parte la sua
realizzazione. Hegel implicitamente ci avverte che noi non possiamo
chiedere alla storia, in quanto mondo della finitezza, la piena
realizzazione di nessuna idea. Essere nella storia significa avere
consapevolezza di vivere nell'ambito di un paradosso, quello che ci
costringe a cercare la migliore delle condizioni possibili di vita, sapendo
che comunque le condizioni concrete ed empiriche non consentiranno la
sua completa realizzazione. Il mondo della storia effettivamente il
mondo della finitezza proprio perch variabile e contraddittorio: esso
quel mondo in cui non ci si accontenta di una libert puramente
teorica, ma si vuole una libert nella quale vivere concretamente la
nostra vita di persone morali e di cittadini. Questa possibilit, il diritto
di pretendere la realizzazione di quella che la nostra libert nel tempo,
ha un prezzo nel fatto che noi sappiamo di doverla vivere nella
consapevolezza che ci sar sempre qualcosa di inadeguato tra
l'elaborazione teorica che noi possiamo produrre (i concetti etici e
politici) e quello che sar la loro realizzazione sul piano concreto.
Questa inadeguatezza non prodotta n da un difetto di teoria e
nemmeno da una imperfezione della realt concreta: la realt storica
finita in base alla sua natura, ed in questo senso anche perfetta.
Il problema non tanto di vedere se quello in cui viviamo sia il
migliore dei mondi possibili, ma quello che conta che questo l'unico
mondo reale. Filosofia della storia vuol dire capire a quali condizioni noi
possiamo vivere nell'ambito del mondo in cui di fatto viviamo, che
l'unico mondo reale a nostra disposizione.


NOTE

1) Cfr. G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto. Con le Aggiunte di
E. Gans, trad. it. di G. Marini, Laterza, Roma-Bari 2000
2
, pp. 14-15.

52

2) Cfr. G.W.F. Hegel, Vorlesungen ber die Geschichte der Philosophie. Teil
1: Einleitung. Orientalische Philosophie, hrsg. W. Jaeschke, Meiner,
Hamburg 1993, p. 124; cfr. anche pp. 140, 157.

3) Ivi, p. 112.

4) Ivi, pp. 237, 48, 50.

5) Enz. A, 7.

6) A questo proposito cfr. pi in particolare L. Bignami, Concetto e
compito della filosofia in Hegel, Pubblicazioni di Verifiche, Trento
1990, 147 ss.

7) Cfr. G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, a
cura di B. Croce, Laterza, Bari 1963, 486.

8) Ivi, 487, 488, 493.

9) Ivi, 503 e n., 507, 511.

10) Ivi, 513, 514.

11) Ivi, 518.

12) Ivi, 523, 524, 525, 527.

13) Ivi, 535, 539, 537.

14) Ivi, 536, 549.

15) Ivi, 377.

16) Ivi, 385.

17) Ivi, 386.

18) Ivi, 483.

19) Ivi, 392.

53

20) Ivi, 392 n.

21) Ivi, 392 n.

22) Ivi, 393, 394.

23) Ivi, 549.

24) Ivi, 549 n.

25) Ivi, 549 n.

26) Ivi, 545.

27) Ivi, 535.

28) Ivi, 537.

29) Ivi, 539.

30) Ivi, 540.

31) Ivi, 540 n.

32) Cfr. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto cit., 273 n., p. 218.

33) Cfr. G.W.F. Hegel, Epistolario I. 1785-1808, trad. it. di P.
Manganaro, Guida, Napoli 1983, p. 233.

34) Cfr. Aristot. Metaph., 982 b 12-13.

35) Cfr. Hegel, Vorlesungen ber die Geschichte der Philosophie Teil 1
cit., p. 134.

36) Ivi, p. 59.

37) Cfr. Aristot. Metaph., 982 b, 22-28.

38) Cfr. Hegel, Vorlesungen ber die Geschichte der Philosophie Teil 1
cit., p. 59.

54

39) Ivi, p. 59.

40) Ivi, p. 59.

41) Ivi, p. 190.

42) Ivi, p. 190.

43) Ivi, p. 266.

44) Ivi, p. 265.

45) Ivi, p. 196.

46) Ivi, p. 14.

47) Cfr. G.W.F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, trad. it. di G.
Calogero e C. Fatta, La Nuova Italia, Firenze1973
3
, Vol. I, p. 47.

48) Ivi, I, pp. 46-47.

49) Cfr. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto cit., p. 17.















55


IV

W. DILTHEY: SCIENZE DELLO SPIRITO
E CRITICA DELLA RAGIONE STORICA



Con Wihelm Dilthey (1833-1911) si entra nella generazione
immediatamente successiva ad Hegel, per arrivare fino al nostro secolo.
Per certi aspetti l'et di Dilthey quella di Nietzsche (1844-1900), e la
generazione successiva quella ad esempio di Henry Bergson (1859-
1941), di Edmund Husserl (1859-1938) e Benedetto Croce (1866-1952).
Dilthey non un pensatore tra i pi noti, tuttavia egli egualmente
molto importante per determinati sviluppi della filosofia tedesca, in
particolare quella di M. Heidegger e di H.-G. Gadamer, e attraverso
questi per buona parte della filosofia del Novecento.
Le opere di Dilthey si possono suddividere in due blocchi: i saggi a
carattere storiografico, come ad esempio la biografia di Schleiermacher e
la biografia di Hegel; gli studi a carattere teoretico-metodologico, la cui
serie si sviluppa a partire dall'ultimo ventennio dell'800, con la
Introduzione alle scienze dello spirito (1883), La nascita dellermeneutica
(1900), per finire con gli ultimi lavori degli anni precedenti alla sua
morte, gli Studi per la fondazione delle scienze dello spirito (1905-10), La
costruzione del mondo storico nelle scienze dello spirito (1910). Da qui in
poi, l'ermeneutica come tale entra definitivamente a far parte della
problematica filosofica: sostanzialmente quando si parla, nella cultura
contemporanea, di ermeneutica ci si riferisce ad uno stile di pensiero
che ha le sue origini nell'opera di Dilthey.
Il tema della filosofia di Dilthey sono le scienze dello spirito. Egli ha
sicuramente determinato non solo le modalit con cui le scienze
storiche si sono sviluppate in questo secolo, ma ha, per certi aspetti,
anche condizionato la nostra comprensione storiografica del passato. Se
dovessimo sintetizzare in alcuni punti la sua problematica filosofica,
potremmo riconoscere almeno due nuclei fondamentali:
la distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito;
il problema della critica della ragione storica.

La distinzione dal punto di vista metodologico tra scienze della
natura e scienze dello spirito, una frattura che si consuma a partire
56

da Dilthey : d'ora in avanti la filosofia si separa, forse in maniera
definitiva, dalle scienze della natura.


4.1 LA DISTINZIONE TRA SCIENZE DELLA NATURA E SCIENZE DELLO SPIRITO

Distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito e critica
della ragione storica costituiscono due problemi per certi aspetti
complementari di un unico progetto filosofico. Per quanto riguarda il
primo punto, per la sensibilit contemporanea abbastanza usuale
distinguere tra scienze della natura e scienze dello spirito. Questa
situazione di divaricazione o di conflitto, tuttavia, non sempre esistita.
Agli albori della Modernit si era viceversa affermata l'idea di
racchiudere le diverse forme di sapere (i saperi rivolti verso la natura e
quelli rivolti verso il mondo dello spirito) in un unico sistema. In un
celebre passo del Saggiatore, ad esempio, Galilei afferma che la filosofia
non un libro scritto dalla fantasia di un uomo, come potrebbero essere
l'Iliade o l'Odissea; la filosofia invece scritta nel grande libro
dell'universo, che sta aperto davanti agli occhi di ognuno. Tale libro
tuttavia non pu essere compreso se prima non si impara a conoscere la
lingua ed i caratteri con cui scritto: ed esso stato scritto in lingua
matematica, ed i suoi caratteri sono triangoli, cerchi, ed altre figure
geometriche; senza questi mezzi impossibile comprendere anche il
minimo fenomeno naturale (1). E' difficile, leggendo queste parole, che
non venga in mente un passo spinoziano dal suono molto simile. Nella
"Prefazione" alla Parte Terza dell'Etica Spinoza avvisa il lettore di
accingersi a trattare "i vizi degli uomini", con "procedimento geometrico";
in questo senso egli prosegue: "Tratter pertanto della natura e delle forze
degli affetti, e del potere della mente nei loro confronti col medesimo
metodo con cui, nelle parti precedenti, ho trattato di Dio e della mente e
considerer pertanto le azioni umane e gli appetiti come se si trattasse di
linee, superfici o corpi" (2). In questo modo Spinoza dimostra di essere in
sintonia con il punto di vista di Galileo. L'ordine geometrico (genetico-
sintetico) non serve soltanto alla chiarezza espositiva: esso l'unico
strumento in grado di rendere accessibile all'intelletto umano la struttura
sintetica della Natura (Deus sive Natura). Nella prospettiva spinoziana
tuttavia il progetto galileiano viene ulteriormente ampliato ed esteso. Il
metodo geometrico, infatti, deve operare non soltanto nella Natura fisica,
ma anche nella sfera del mondo umano e di qui far sentire la propria
efficacia anche nella critica della religione. Nel capitolo settimo del
Trattato teologico-politico Spinoza afferma infatti che "il metodo per
57

l'interpretazione della Scrittura non si differenzia affatto dal metodo per
l'interpretazione della natura, ma anzi si accorda in tutto e per tutto con
quello" (3). L'evoluzione del pensiero scientifico connessa allo sviluppo
del pensiero filosofico. La strada percorsa in questo modo da Spinoza era
stata tuttavia tracciata, nelle sue linee fondamentali, gi da Galilei.
Si gi potuto vedere nelle pagine precedenti come una simile
impostazione sia per certi aspetti condivisa anche da Vico. La Scienza
nuova, la teologia civile, si muove con lo stesso metodo della geometria e
Vico sembra quasi suggerire che la conoscenza del mondo prodotto
dall'uomo si sviluppa secondo una metodologia che questa nuova
scienza condivide con le altre scienze della natura. Come la geometria
produce essa stessa le grandezze che poi studia, ovvero le figure
geometriche, cos la scienza nuova di Vico analizza l'universo della
storia che un mondo prodotto dagli uomini. L'unica differenza data
dal fatto che l'una studia grandezze astratte, l'altra cose concrete. Il
procedimento per identico, il che vuol dire che il sistema della
scienza unico.
Una situazione per molti aspetti analoga rintracciabile anche
nella filosofia kantiana. In Kant la ragione costruisce un unico sistema
dove da un lato si considera la ragione pura, cio l'attenzione che la
ragione ha nei confronti dell'esperienza e della natura (scienza dei
fenomeni) e dall'altro la ragione nel suo aspetto pratico, l'attenzione
della ragione nei confronti di quello che l'agire umano. Ecco che la
conoscenza della natura e la conoscenza del mondo morale dell'uomo
fanno parte di un unico sistema della scienza. Il punto di tangenza tra
questi due sistemi, e quindi il concetto che in grado di restituirci
l'unit del sistema della ragione, la libert (4). La libert la chiave di
volta del sistema complessivo della ragione, essa permette il sussistere
di entrambi i sotto-sistemi della ragion teoretica e della ragion pratica. Il
concetto di libert sicuramente un concetto pratico, appartiene alla
sfera morale, ma svolge una funzione anche nei confronti del mondo
teoretico, della scienza dell'esperienza. Anche con Kant dunque
possibile concepire un unico edificio sistematico, uno schema unitario,
al cui interno confluiscono le diverse scienze, della natura e dello
spirito.
Anche in Hegel troviamo qualcosa di molto simile, in quanto
possibile parlare di un unico sistema: all'interno della Enciclopedia delle
scienze, infatti, trovano posto sia la filosofia dello spirito sia la filosofia
della natura.
Con Dilthey quello che viene a spezzarsi l'unicit del sistema.
D'ora in poi sistema della natura e sistema dello spirito apparterranno a
58

due ordini completamente diversi, disomogenei tra loro e non
riconducibili l'uno all'altro.
Scienze della natura e scienze dello spirito secondo Dilthey si
differenziano tra di loro non soltanto perch si riferiscono ad oggetti
diversi ma soprattutto in rapporto alla loro natura di scienze: "Sulla
base delle forme e delle operazioni generali del pensiero si fanno qui
valere compiti specifici, che trovano la loro soluzione nell'intreccio dei
propri metodi. Nell'elaborazione di queste forme di procedimento le
scienze dello spirito sono state sempre influenzate dalle scienze della
natura; e poich queste hanno elaborato prima i loro metodi, si avuto
in un vasto ambito un adattamento di essi ai compiti delle scienze dello
spirito... Anche oggi, nello sforzo di soluzione dei compiti particolari, lo
studioso di psicologia, di pedagogia, di linguistica o di estetica si chiede
spesso se i mezzi e i metodi scoperti nelle scienze della natura per la
soluzione di problemi analoghi, possano venir sfruttati nel proprio
campo. Ma, nonostante tali particolari punti di contatto, la connessione
delle forme di procedimento delle scienze dello spirito , fin dal suo
inizio, del tutto diversa dalla connessione delle scienze della natura" (5).
Questo il risultato di uno sviluppo che appartiene anche alla
storia della cultura. Un primo punto di riferimento e una delle prime
grandi svolte nell'ambito dello sviluppo delle varie forme del sapere
stato costituito, secondo Dilthey, dal Rinascimento e dalla Riforma
protestante, cio dalla nascita della modernit, che segna una svolta
epistemica, secondo la quale il centro dell'attenzione passa dallo studio
della metafisica e della teologia allo studio delle scienze empiriche
autonome, delle scienze della natura: "Grazie al comune lavoro di
Keplero, di Galilei, di Bacone e di Descartes, la scienza matematica della
natura si costitu nella prima met del secolo XVII come conoscenza
dell'ordine legale della natura: e mediante un numero sempre crescente
di indagatori essa ha esplicitato, ancora nello stesso secolo, tutta la sua
capacit operativa. Essa ha costituito pure l'oggetto, la cui analisi
stata in prevalenza compiuta dalla teoria della conoscenza dell'ultimo
secolo XVII e del secolo XVIII, per opera di Locke, Berkeley, Hume,
d'Alembert, Lambert e Kant" (6).
Questo comporta che la conoscenza della natura la prima forma
di sapere che giunge a darsi uno statuto scientifico all'interno della
modernit, cos da rappresentare non tanto l'attivit di singole persone,
ma piuttosto un progetto epistemologico comune, del cui processo di
sviluppo Kant rappresenta il culmine ed anche il punto di arrivo.
Il progetto di una fondazione delle scienze dello spirito trova la sua
base nell'oggettivit storico-sociale ed il "sistema naturale" di queste
59

scienze ha il suo punto di riferimento nella religione, nel diritto,
nell'eticit, nell'arte. Ma quanto pi era destinato a mostrarsi "il
carattere storico delle scienze dell'economia, del diritto, della religione,
dell'arte", tanto pi, secondo Dilthey, "ci a cui erano giunte le scienze
naturali, l'elaborazione di un sistema concettuale universalmente
valido, si doveva... mostrare impossibile nelle scienze dello spirito,
mentre appariva la diversa natura dell'oggetto nei due campi del sapere"
(7). La costituzione delle scienze della natura determinata dal modo in
cui si presenta il loro proprio oggetto, vale a dire appunto la natura. Ma
la caratteristica fondamentale della natura, secondo Dilthey, quella di
essere per l'uomo un qualcosa di estraneo: sotto questo profilo essa "
trascendente al soggetto conoscitivo, ed appresa da questo in
costruzioni strumentali, mediante il dato fenomenico" (8). "La
connessione del mondo spirituale sorge nel soggetto, ed il movimento
dello spirito fino alla determinazione della connessione di significato di
questo mondo che collega tra loro i processi logici particolari. Cos da
una parte questo mondo spirituale la creazione del soggetto
conoscitivo, ma d'altra parte il movimento dello spirito diretto a
raggiungere in esso un sapere oggettivo" (9). La distinzione diltheyana
tra scienze della natura e scienze dello spirito passa attraverso la
distinzione-opposizione tra natura e storia: "nella natura esterna la
connessione riposta al di sotto dei fenomeni, in un nesso di concetti
astratti, mentre nel mondo spirituale la connessione viene
immediatamente vissuta e intesa". La configurazione indipendente della
costruzione delle scienze dello spirito trova quindi il suo fondamento
nella totale diversit di questa costruzione rispetto alla costruzione delle
scienze della natura: le prime, infatti, "ritraducono sempre e
principalmente la realt esterna storico-sociale dell'uomo, che si
estende in una maniera che non consente alcun calcolo, nella vitalit
spirituale da cui essa scaturita" (10). Per Dilthey la diversit
dell'oggetto determina anche una sostanziale diversit nellambito
delluso metodologico dei concetti: le scienze dello spirito poggiano su
categorie diverse da quelle su cui poggiano le scienze della natura ed
anche laddove le categorie sono le stesse, il procedimento metodologico
del loro impiego sostanzialmente diverso.
Ad esempio, un concetto che trova applicazione tanto nell'ambito
della natura quanto in quello della storia, il concetto di tempo. Il
tempo, cos come viene concepito nell'ambito delle scienze della natura
qualcosa di misurabile in maniera uniforme, e anche qualcosa di
reversibile: possibile scorrere lungo la scala dei valori del tempo e
trovare che la misurazione fatta per unit identiche, e ciascuna unit
60

indistintamente pu occupare lo spazio dell'altra: tutti gli spazi del
tempo sono uguali ed hanno perci lo stesso valore.
Nell'ambito di quello che il mondo storico il tempo ha un notevole
peso, per esso si dispiega attraverso pi dimensioni, il passato, il
futuro ed il presente, che pu essere considerato come il punto di
tangenza delle prime due e che, osserva Dilthey, "ci che esiste
sempre, e nulla esiste che non abbia luogo in esso" (11). Queste
dimensioni non sono uguali e l'esperienza che il soggetto storico fa del
tempo diversa in relazione a quale delle tre dimensioni egli di volta in
volta si rapporta: in questo senso "le parti del tempo reale non sono
differenti tra loro soltanto qualitativamente, ma, se guardiamo dal
presente indietro verso il passato e avanti verso il futuro, ogni parte del
divenire nel tempo, prescindendo da ci che in esso si presenta, ha un
diverso carattere" (12).
Il passato si presenta sotto la dimensione del gi dato e sotto la
categoria della necessit. Esso qualcosa di immodificabile (13). Il
futuro, in quanto ancora non , ci viene incontro sotto la dimensione o
categoria della possibilit: esso assume l'aspetto di un essere da noi
dominabile, nei cui confronti noi ci possiamo atteggiare in maniera
attiva e libera (14).
In un certo senso, c' una reversibilit anche del tempo dello
spirito: noi infatti possiamo tornare indietro attraverso la memoria
(anamnesi). Si pu dire che, in generale, proprio la storia lo sforzo di
rendere reversibile il tempo, quindi di rendere di nuovo attuale quello
che era il passato, di renderlo nuovamente fruibile. Tuttavia, osserva
Dilthey, la "serie delle immagini della memoria" vengono sempre
"disposte secondo il valore per la coscienza e la partecipazione affettiva"
(15). La memoria non mai disgiunta dalla soggettivit, cos ognuno ha
la sua memoria e ciascuno di noi rivive in maniera diversa anche gli
stessi avvenimenti. Pur nella loro capacit di diventare reversibili il
tempo della natura e il tempo della storia rivelano ancora la loro
diversit fondamentale. Sarebbe assurdo tentare di applicare,
nellinterpretazione delle leggi fisiche, il tempo cos come noi lo
utilizziamo nellambito delle scienze dello spirito, cio il tempo vissuto, il
tempo della vita; altrettanto assurdo per sarebbe il voler misurare il
tempo della vita in base ai parametri utilizzati per il tempo della natura.
Un altro concetto che appartiene sia alle scienze della natura sia
alle scienze dello spirito indubbiamente quello di causa. Lidea di
causalit nel mondo fisico esprime il rapporto necessario tra due
fenomeni in ambito storico il concetto di causalit continua a
mantenere un analogo valore, cio a rappresentare un legame
61

necessario tra due eventi, tra due fatti, tra il soggetto che compie
lazione e lazione in quanto compiuta. Il modo in cui viene applicata la
causalit in un campo e nellaltro risponde tuttavia a criteri e normative
che sono molto diversi e per certi aspetti anche diametralmente
opposti.
Il nesso causale il collante fondamentale del costituirsi di ogni
fenomeno e di ogni legge scientifica. Dal punto di vista dellindagine
naturale, inoltre, la ricerca delle cause viene effettuata tramite l'analisi
del fenomeno in laboratorio, attraverso la sua riproducibilit per mezzo
dell'esperimento. La causalit naturale, in quanto sperimentabile, una
causalit ripetibile allinfinito.
Certamente, anche nell'ambito delle scienze storiche si parla di
leggi e si ricercano cause: per, osserva Dilthey, "nel mondo storico non
c' alcuna causalit nel senso naturalistico, poich la causa in tal senso
provoca degli effetti secondo leggi necessarie; mentre la storia conosce
soltanto i rapporti del fare e del subire, di azione e di reazione" (16). La
natura degli eventi storici, i casi della nostra vita, hanno caratteristiche
diverse, essi sono unici, ciascun fatto, ciascun avvenimento della vita,
sia a livello micrologico che a livello macrologico, ha il carattere della
irripetibilit e questo vuol dire che nei casi della vita e della storia
lesperimento impossibile.
La sfera dell'agire morale pu costituire un interessante esempio di
applicazione del concetto di causa nell'ambito delle scienze dello spirito.
Nellambito dellagire morale si parla di causalit nel senso di
responsabilit, di imputabilit delle proprie azioni. La causalit,
tuttavia, non mai in questo caso una causalit pura, diretta, ma
sempre implicata in una serie di circostanze. Chi agisce, infatti,
riconosce come effetto delle proprie azioni, cio ammette un rapporto di
causalit tra se stesso e ci che si produce nellesperienza sola nella
misura in cui ci che si produce era contenuto nelle intenzioni che
hanno determinato lazione. La singola coscienza morale si riconosce
responsabile e quindi si ritiene imputabile non di tutto ci che di fatto
entrato nellesperienza in conseguenza della propria azione, ma soltanto
di quella parte dellesperienza che rientrava nelle proprie intenzioni. In
questo modo "anche l'azione si stacca dallo sfondo della connessione
della vita: e senza la determinazione del modo in cui in essa si
congiungono le circostanze, lo scopo, il mezzo e la connessione della
vita, non consente alcuna determinazione compiuta dell'elemento
interno da cui sorta" (17).


62

4.2 CRITICA DELLA RAGIONE STORICA.

Con Dilthey e con la fine del XIX secolo, come si visto, si
consuma il divorzio tra scienze della natura e scienze dello spirito
ovvero tra discipline scientifiche e scienze umane: questo significa in
primo luogo la rinuncia, da parte della filosofia contemporanea, di
elaborare un unico sistema delle scienze.
Da questa distinzione o separazione Dilthey ricava quello che il
compito di una critica della ragione storica, il cui punto di partenza
costituito da Kant. Kant ha elaborato in maniera radicale una "critica
della ragione", come ricerca delle condizioni di possibilit di ogni
esperienza. Le scienze, in modo particolare la matematica e la fisica,
hanno fornito l'esempio da seguire sul piano metodologico. Da questo
punto di vista, secondo Dilthey, la critica kantiana stata capace di
offrire una analisi del sapere matematico e del sapere delle scienze
naturali. Ma le scienze della natura, a loro volta, sono soltanto una
parte dell'esperienza possibile. Al di l del punto toccato dalla critica
kantiana rimane ancora aperto il problema di fondare una "teoria della
conoscenza storica", cosa che il criticismo non stato capace di dare
(18).
Dopo Kant, nemmeno Hegel riuscito a pervenire "all'aria aperta
del mondo storico reale" (19). Certamente, secondo Dilthey, in Hegel si
pu riconoscere uno "dei pi grandi geni storici di tutte le epoche"; la
grandiosit del progetto hegeliano misurata dal proposito di assumere a
proprio oggetto l'intero dominio del mondo storico: in questo modo alla
"sistematica della ragione" stato reso accessibile "tutto ci che il
razionalismo settecentesco aveva escluso dalla connessione della ragione
in quanto esistenza individuale, in quanto forma particolare della vita, in
quanto caso e arbitrio" (20). Tuttavia, sempre secondo Dilthey, occorre
riconoscere che la storia universale, cos come la storia della filosofia,
sono state interamente costruite da Hegel partendo dal punto di vista
della filosofia assoluta, per cui esse sono state chiuse nell'edificio del
sistema come in una prigione: in questo modo la comprensione storica
stata fatalmente sacrificata allo schema metafisico (21). Lo scopo cui
Hegel mirava era indubbiamente quello di pensare le forme della
coscienza, in modo da rappresentare lo sviluppo dello spirito come un
sistema di relazioni concettuali e l'attuazione di tale connessione di idee
nel mondo reale trovava il suo punto centrale nella Weltgeschichte, la
storia universale: una tale via doveva per necessariamente portare ad
una intellettualizzazione del mondo storico (22).
63

Occorre quindi ritornare al punto in cui era pervenuto il criticismo
per superarlo, in modo "che la ragione storica risolva il compito rimasto
fuori dall'ambito visuale della critica della ragione di Kant" (23). Il compito
storico assolto dalla filosofia kantiana stato quello di svolgere una
critica dei fondamenti epistemologici delle scienze della natura: proprio
per questo la ragione kantiana ha di mira l'esperienza scientifica, che
una esperienza asettica, da laboratorio. Agli occhi di Dilthey
necessario "uscire dall'aria pura e raffinata della critica della ragione
kantiana per soddisfare alla natura del tutto differente degli oggetti
storici" (24).
Il mondo storico si presenta innanzitutto con una fondamentale
caratteristica, di essere intrecciato all'individuo in una relazione che
non possibile sciogliere; in tal modo "si presenta il primo importante
momento per la soluzione del problema conoscitivo della storia: la prima
condizione per la possibilit della conoscenza storica sta nel fatto che io
stesso sono un essere storico, e che colui che indaga la storia il
medesimo che fa la storia". Secondo Dilthey l'uomo essere storico
prima di considerare la storia e soltanto in quanto costitutivamente
un essere storico, l'uomo si volge alla considerazione del mondo storico:
in questo modo "l'uomo si conosce soltanto nella storia" (25). Sulla base
di questa prospettiva ci che viene ad essere privilegiato il rapporto
storia/vita: scienze dello spirito, ovvero scienze storico-sociali, vita ed
esperienza della vita si trovano in una connessione interna costante ed
in un altrettanto costante reciproco scambio. L'elaborazione concettuale
in questo caso determinata continuamente dalla vita stessa: da
quest'ultima, infatti, muove l'elaborazione concettuale intorno al
destino, ai caratteri, alle passioni, ai valori ed agli scopi dell'esistenza
per culminare alla fine nella costruzione della storia intesa quale
disciplina scientifica: nella storia la vita afferra la vita (26). Loggetto
della ragione storica la vita, il vivere umano, non la vita biologica, e
quindi si dispiega in una molteplicit di direzioni e di scienze: la storia
propriamente detta, la storia delle religioni, lantropologia, la psicologia,
ecc., tutte quelle che oggi continuiamo a chiamare scienze umane e che
per Dilthey erano le scienze dello spirito.
La vita un fenomeno complesso perch da un lato si sviluppa
come vita individuale; essa in primo luogo la vita di ciascuno di noi
preso come singolo individuo: "Tra questa realt e l'intelletto non
sembra possibile alcun rapporto conoscitivo, poich il concetto separa
ci che legato nel fluire della vita, e rappresenta qualcosa di valido
universalmente e per sempre, indipendentemente dalla mente che lo ha
formulato, mentre il fluire della vita ovunque soltanto singolare, e ogni
64

onda va e viene entro di essa" (27). Il fatto di non poter essere
rappresentata da alcuna formula di operazioni logiche, comporta che la
vita, in quanto individualit, racchiude sempre in s un "elemento
irrazionale" (28). L'individualit qualcosa che sfugge alla
comprensione categoriale nel senso appunto che non totalmente
riconducibile a principi di carattere generale e quindi in questo senso
lindividualit racchiude sempre qualcosa di non spiegabile. Nel nostro
stesso comportamento, che sicuramente sottoposto a una infinit di
regole a cui obbediamo in maniera anche irriflessa, c pur sempre un
aspetto che non riconducibile a queste norme e il problema che
devono risolvere le scienze dello spirito proprio quello di dover fare i
conti con questo residuo di irrazionalit, che essendo costitutivo della
vita a sua volta ineliminabile dalla vita stessa
La vita qualcosa di singolo, di soggettivo, ma che, pur in quanto
singolo, partecipa di una totalit: "La vita la connessione dei rapporti
reciproci tra le persone, che hanno luogo sotto le condizioni del mondo
esterno, compresa nell'indipendenza di tale connessione dal mutare dei
tempi e dei luoghi" Vita vuol dire perci sia la vita singola del soggetto
sia la vita sociale condivisa da tutti: in questo senso "la vita consiste
nell'azione reciproca delle unit viventi" (29). La vita individuale non si
sviluppa e non si gestisce mai da sola, ma sempre nella interazione di
altre vite: questo fa s che una delle categorie basilari per la
comprensione della vita sia la relazione parte-tutto. L'essenza della vita
pu essere intesa soltanto per mezzo di apparati categoriali che sono
estranei alle scienze della natura: "Anche qui il momento decisivo sta
nel fatto che queste categorie non sono applicate a priori alla vita come
qualcosa di esterno, ma risiedono nell'essenza della vita stessa"; cos
come il loro numero complessivo non pu venir stabilito una volta per
tutte, altrettanto la loro connessione non pu essere ricondotta ad una
formula logica: "Significato, valore, scopo, sviluppo, ideale" -ricorda
Dilthey- "sono tali categorie. Ma tutte le altre dipendono dal fatto che la
connessione del corso della vita pu venir appreso solo mediante la
categoria del significato delle varie parti della vita in rapporto alla
comprensione della totalit, e che ogni sezione della vita dell'umanit
pu venir intesa solo in tal modo" (30).
La relazione parti/tutto di natura reciproca: infatti, da un lato,
ogni momento particolare riceve il suo significato attraverso il rapporto
con la totalit; dall'altro lato la totalit, a sua volta, sussiste soltanto in
quanto pu essere compresa per mezzo delle sue parti (31). Lungo
questa direzione si determina il nesso tra vita e storia: "La vita, che
scorre nel tempo o si distingue spazialmente nella contemporaneit,
65

articolata categorialmente secondo il rapporto tra il tutto e le sue parti:
e la storia come realizzazione della vita nel corso del tempo e nella
contemporaneit pure considerata categorialmente come
un'articolazione in questa relazione delle parti con il tutto" (32). Da
questa peculiare forma di azione reciproca discende anche il compito del
sapere storico: "La storia deve osservare la vita come una totalit" (33).
E' evidente, da quanto detto, che uno dei problemi epistemologici
che le scienze dello spirito, ed in particolare il sapere storico, devono
saper affrontare dato dalla struttura basilare delloggetto che esse
studiano: lindividualit da un lato e la totalit dallaltro, senza poter
fare una scelta definitiva n per l'una n per laltra. Optando per la pura
singolarit le scienze dello spirito perderebbero il loro carattere di
scienza e si polverizzerebbero in una babele di discorsi particolari. Ma
dallaltro lato le scienze dello spirito non possono nemmeno optare per
la pura universalit, perch in questa maniera perderebbero
irrimediabilmente di vista uno dei caratteri costitutivi dell'ambito di
esperienza che esse hanno come oggetto.



NOTE

1) Cfr. G. Galilei, Il Saggiatore, a cura di L. Sosio, Feltrinelli, Milano
1965, p. 38

2) Cfr. B. Spinoza, Etica dimostrata secondo l'ordine geometrico, trad. it.
di S. Giametta, Boringhieri, Torino 1967
5
, Parte III, Prefaz., pp. 130-
131

3) Cfr. B. Spinoza, Trattato teologico-politico, trad. it. di A. Droetto e E.
Giancotti-Boscherini, Einaudi, Torino 1972, p. 186.

4) Cfr. E. Kant, Critica della ragion pratica, trad. it. di F. Capra, riv. da
E. Garin, Laterza, Bari 1966
9
, p. 2.

5) Cfr. W. Dilthey, Critica della ragione storica, trad. it. di P. Rossi,
Einaudi, Torino 1982, p. 213.

6) Ivi, pp. 158-159.

7) Ivi, pp. 164 e 169.
66


8) Ivi, p. 159.

9) Ivi, p. 293.

10) Ivi, pp. 196-198.

11) Ivi, p. 296.

12) Ibidem.

13) Ibidem.

14) Ibidem.

15) Ibidem.

16) Ivi, p. 301.

17) Ivi, p. 312.

18) Ivi, p. 294.

19) Ivi, p. 376.

20) Ivi, pp. 172-174.

21) Cfr. W. Dilthey, Storia della giovinezza di Hegel e
Frammenti postumi, a cura di G. Cacciatore e G. Cantillo, Guida,
Napoli 1986, pp. 314, 356.

22) Cfr. W. Dilthey, Critica della ragione storica cit., p. 174.

23) Ivi, p. 273.

24) Ibidem.

25) Ivi, pp. 372-374.

26) Ivi, pp. 220-221.

67

27) Ivi, p. 375.

28) Ivi, p. 228.

29) Ivi, p. 332.

30) Ivi, p. 337.

31) Ivi, pp. 338-339.

32) Ivi, p. 352.

33) Ivi, p. 360.




























68










69


V

HABERMAS: LA MODERNIT
COME PROGETTO INCOMPIUTO



Jrgen Habermas (1929) pu essere considerato come uno dei
rappresentanti della cosiddetta seconda generazione della Scuola di
Francoforte. Assistente di T.W. Adorno presso lInstitut fr
Sozialforschung, dopo una parentesi allUniversit di Heidelberg, fu
chiamato proprio a Francoforte, quale successore di M. Horkheimer.
Successivamente stato direttore del Max-Plank-Institut di Starnberg,
per tornare nuovamente a Francoforte nel 1883, sulla cattedra che gi
era stata di Adorno. Labilit di Habermas stata quella di essersi
tempestivamente inserito nelle principali controversie teoriche a cavallo
degli anni Sessanta a Settanta (ad esempio il dibattito sullepistemologia
delle scienze sociali; sullermeneutica; sulla teoria dei sistemi),
guadagnandosi cos un posto centrale nella cultura filosofica tedesca.
Tra i suoi lavori pi noti si possono ricordare Storia e critica dellopinione
pubblica (1962), Conoscenza e interesse (1968), La logica delle scienze
sociali (1970), Per la ricostruzione del materialismo storico (1976), per
giungere ai pi recenti Etica del discorso (1983), Il discorso filosofico
della modernit (1985), Fatti e norme (1992). La sua opera maggiore
resta comunque la Teoria dellagire comunicativo, apparsa in due volumi
nel 1981, la cui tesi di fondo costituita dalla assunzione della
comunicazione come paradigma fondamentale della razionalit,
dellagire sociale e della stessa teoria critica. Il nucleo comunicativo, che
forma la sostanza del linguaggio, la condizione del nostro stesso agire.


5.1 MODERNO E POST-MODERNO

Con lespressione progetto della modernit Habermas intende
riferirsi al processo di autocomprensione avviatosi allinterno della
cultura non soltanto filosofica della societ post-illuministica: in tal
senso il discorso della modernit qualcosa che continua fino allet
presente e che diventa riconoscibile in tutte quelle forme di pensiero che
prendono avvio dalla coscienza delle crisi, intesa come rottura della
tradizione filosofica. Sotto questo profilo, Habermas si propone di
70

delineare i tratti caratteristici della modernit in quanto elevata a tema
per la filosofia. Con et moderna ci si riferisce allepoca storica
delimitata a monte dalla scoperta del Nuovo Mondo, dal Rinascimento e
dalla Riforma, che sono i fenomeni storico-culturali che segnano la
soglia epocale nei confronti del Medioevo; ed a valle dallIlluminismo e
dalla Rivoluzione francese. Let moderna nasce pertanto alla luce di
concetti di movimento, come rivoluzione, progresso,
emancipazione, sviluppo, crisi, spirito del tempo: si tratta
pertanto di ricostruire, alla luce di una storia dei concetti, il problema
costituito dalla coscienza storica della moderna civilt occidentale (1).
Nellambito di questo progetto di ricostruzione, un primo punto da
tenere presente costituito dal fatto che lo sviluppo della societ
moderna si organizzato attraverso i mezzi offerti da una cultura
diventata oramai profana, in quanto uscita dalla dissoluzione delle
immagini religiose del mondo: lelemento vetero-europeo si dissolto, in
quanto il ricorso a verit religiose o metafisiche non ha pi significato
allinterno del discorso filosofico della modernit: in questo senso il
post-moderno segna lestinzione di ogni forma di esegesi unificante del
mondo, che intenda svilupparsi alla luce di principi. A partire dal XVIII
secolo, il mondo moderno sviluppa sostanzialmente un unico tema,
nonostante lo rivesta continuamente di nuove denominazioni: il venir
meno delle forze sociali connettive, la privatizzazione, la scissione sono
tutti segni della deformazione di una prassi quotidiana, che, in quanto
razionalizzata in modo unilaterale, fa sorgere lesigenza di qualcosa che
possa essere riconosciuto come equivalente della antica potenza
unificatrice della religione(2).
Alla diagnosi della modernit appartiene un ulteriore elemento: la
critica della ragione strumentale, corrispondente ad un agire
economico guidato da una razionalit che opera esclusivamente in vista
di un fine. Con la critica al concetto di ragione strumentale si intendono
fare i conti con le forme di un intelletto calcolante che ha preso il posto
della ragione e che, in quanto operare concepito esclusivamente in vista
di uno scopo, si assimilato al potere, rinunciando ad ogni forza critica.
Congiuntamente alla critica della ragione strumentale, appartiene al
patrimonio tematico del discorso della modernit anche un terzo punto:
la critica al soggettivismo. Se la prigionia della modernit segnata
dalluniverso chiuso della ragione strumentale, c la necessit di
superare quella forma di soggettivismo che avvolge il mondo con il suo
potere reificante, irrigidendolo in una totalit di oggetti tecnicamente
disponibili ed economicamente utilizzabili. Se la libert deve essere
riconosciuta come principio della modernit, bisogna contestualmente
71

ammettere che essa non si lascia cogliere effettualmente attraverso i
concetti fondamentali di una filosofia del soggetto(3).
Secondo Habermas, con il mondo nuovo viene alla luce anche una
nuova esperienza del tempo, in quanto allinterno dellorizzonte aperto
dallet moderna, il presente, in quanto storia contemporanea, gode di
una posizione privilegiata. Alla modernit appartiene la consapevolezza
che la filosofia giunta alla sua fine, e questa consapevolezza rinvia a
quella rottura con la tradizione che stata ben evidenziata da K.
Lwith(4), quando la coscienza moderna del tempo ha assunto il potere
sulla filosofia. Questa rottura con la tradizione si espressa in varie
forme: come superamento (Aufhebung) della metafisica (ad esempio
con i Giovani Hegeliani), come oltrepassamento (berwindung) della
metafisica (ad esempio con Nietzsche e Heidegger) oppure come
commiato dalla filosofia (ad esempio con Wittgenstein e Adorno). Il
significato globale di tutto questo che comunque la modernit si sente
totalmente affidata a se stessa, in quanto non intende pi ricavare i
propri criteri di orientamento dai modelli di unaltra epoca: essa deve
trovare e riconoscere i propri valori normativi in se stessa e da se
stessa. Sotto questo profilo, i concetti di ontologia fondamentale, di
critica, di dialettica negativa, di decostruzione, di genealogia non
sono oramai pi dei punti di riferimento, alle cui spalle possa ancora
farsi in qualche modo valere la figura tradizionale della filosofia(5).
Secondo Habermas, al discorso filosofico della modernit
appartiene anche unulteriore caratteristica, determinata dal fatto che la
storia viene esperita come un processo di crisi, e questo significa: il
presente viene visto come improvviso balenare di diramazioni critiche,
il futuro come laffollarsi di problemi irrisolti; ne nasce quindi una
coscienza esistenzialmente affinata circa il pericolo di decisioni mancate
e di interventi tralasciati. Lungo questa direzione ci si incammina su di
una strada, alla fine della quale la ragione viene definitivamente privata
della propria esigenza di validit. Il pensiero scientifico e la ricerca
condotta con metodo vanno incontro ad una svalutazione globale, ma
quanto pi ci si ritiene dispensati dal lavoro scientifico, tanto pi si
corre il rischio di farsi ingannare dalle mode scientifiche del momento.
Mettere da parte lesigenza della metodicit conduce fatalmente a
procedimenti di tipo intuizionistico, alla necessit di ricorrere ad un
sapere speciale, che possa promettere un accesso privilegiato alla verit.
Cos ad esempio Heidegger sviluppa una distruzione cos radicale della
ragione moderna, che non pi possibile distinguere tra i contenuti
universalistici dellUmanesimo o dellIlluminismo e le idee
particolaristiche dellautoaffermazione, proprie del razzismo e del
72

nazionalismo: Su questo sfondo diventa comprensibile come negli anni
pi oscuri della seconda guerra mondiale pot consolidarsi pi che mai
limpressione che lultima scintilla di ragione fosse scomparsa da questa
realt, lasciandosi dietro le rovine desolate di una civilt in
decadenza(6).
Secondo Habermas, tuttavia, la filosofia non pu assumere il
carattere esoterico di una cultura di esperti e deve contestualmente
preoccuparsi di non rendere inefficace o poco tagliente la lama della
critica della ragione: se il pensiero filosofico viene esonerato dal dovere
di risolvere problemi, esso viene privato non solo della sua seriet
metodica, ma anche della sua stessa produttivit. Sotto questo profilo la
lotta contro la filosofia del soggetto non pu lasciare aperta come via di
fuga soltanto levasione nella immediatezza di una concezione mistica:
si possono individuare pertanto anche altre vie che conducono fuori
delle strettoie della filosofia del soggetto. In quanto sapere che si
caratterizza per le sue proiezioni universalistiche e per le sue forti
strategie teoretiche, la filosofia deve mantenere aperto il suo interesse
per i fondamenti delle scienze, della morale e del diritto. In questo senso
la filosofia mantiene un rapporto molto stretto con il mondo della vita
concepito nella sua totalit e con il sano intelletto umano; nello stesso
tempo, tuttavia, la filosofia si deve assumere il compito di scuotere, in
un modo che pu anche essere apertamente sovversivo, le certezze
della prassi quotidiana. Pur accettando una certa dose di fallibilismo,
nel senso che non insiste pi sui concetti forti di teoria, di verit e di
sistema, la filosofia deve saper mantenere aperto un riferimento alla
totalit e non rinunciare pertanto alle proprie pretese di verit(7).


5.2 IL CONCETTO HEGELIANO DELLA MODERNIT

Secondo Habermas Hegel stato il primo filosofo ad aver elaborato
un chiaro e consapevole concetto della modernit, nel senso che per
primo ha elevato a problema filosofico il processo di distacco del mondo
moderno dalle suggestioni del passato: il problema dellautoaccertamento
della modernit diventa pertanto il problema fondamentale della sua
filosofia. Se si vuole comprendere fino in fondo il significato storico di
quella stretta relazione tra modernit e razionalit che stata ritenuta
cosa ovvia almeno fino allepoca di Max Weber, necessario risalire fino
al filosofo di Stoccarda: pertanto il concetto hegeliano di modernit
diventa il necessario banco di prova nei confronti di tutte le pretese di
coloro che svolgono analisi in base a premesse diverse(8).
73

Hegel individua nel principio della soggettivit, ovvero nella
struttura dellautorelazione, il principio cardine dellet moderna:
partendo da tale concetto egli spiega la superiorit del mondo moderno
ed al tempo stesso il suo carattere di epoca percorsa da crisi, per cui il
suo tentativo di portare la modernit al concetto si qualifica al tempo
stesso come il tentativo di una critica della modernit. Indubbiamente
anche Kant esprime la realt del mondo moderno in un sistema di idee:
ci significa che nella sua filosofia si riflettono, quasi come in uno
specchio, i tratti essenziali di questa epoca, senza tuttavia che egli sia
riuscito a comprendere la modernit come tale. Kant infatti non avverte
come scissioni le differenziazioni che si sono sviluppate nella ragione, le
articolazioni formali che si sono generate dentro la cultura e pi in
generale le divisioni che si sono consolidate allinterno di queste sfere:
egli in sostanza ignora il bisogno che nasce dalle separazioni prodotte
dal principio della soggettivit. Questo bisogno si impone alla filosofia
non appena la modernit giunge a concepirsi come epoca storica e ci
significa: non appena essa diviene consapevole del distacco da ogni
passato che abbia per lei valore esemplare e quindi consapevole della
necessit di giungere da se stessa e per se stessa allattingimento di ci
che deve essere per lei sostanza normativa(9).
Sulla scorta dellanalisi hegeliana, la soggettivit pu essere
ricompresa secondo Habermas allinterno delle seguenti connotazioni: in
primo luogo lindividualismo, nel senso che nel mondo moderno
linfinitamente particolare fa valere le proprie pretese; in secondo luogo
il diritto alla critica, in quanto il principio del mondo moderno richiede
che ci che si mostra come un che di legittimo sia riconosciuto come
tale; in terzo luogo lautonomia dellagire, in quanto nel mondo moderno
ciascuno si considera responsabile di ci che fa; da ultimo la filosofia
idealistica, in quanto il compito dellet moderna dal punto di vista
speculativo cogliere lidea che sa se stessa. Pi in particolare, i
concetti morali dellet moderna implicano il riconoscimento della
libert soggettiva degli individui: ci significa che tali concetti sono
fondati da un lato sul diritto del singolo di poter da se stesso
considerare come valido ci che deve fare, dallaltro lato, tuttavia,
sullesigenza che a ciascuno lecito realizzare il proprio bene particolare
solo in quanto questo si accorda con il bene di tutti. Nella modernit
tanto la vita religiosa, lo Stato e la societ, cos come la scienza, la
morale e larte, sono tutte altrettante incarnazioni del principio della
soggettivit. Il problema consiste nel vedere se questo principio, ovvero
la struttura dellautocoscienza che ad esso immanente, possa proporsi
quale sorgente di orientamenti normativi, i quali siano in grado di dare
74

un assetto stabile alla modernit intesa come formazione storica.
Questo significa: verificare se soggettivit ed autocoscienza siano da un
lato capaci di elaborare criteri desunti dallo stesso mondo moderno,
dallaltro se tali criteri siano adatti per orientarsi in esso, ovvero a
criticare una modernit che non in pace con se stessa. La soggettivit
si rivela un principio unilaterale, in quanto tale principio mostra di
possedere forza sufficiente per produrre la formazione della libert
soggettiva e della riflessione, ma non risulta capace di rigenerare la
potenza dellunificazione nel medium della ragione. In questo senso i
moderni fenomeni di ci che Hegel definisce come il positivo (vale a
dire religione e Stato ridotti ad essere un puro ingranaggio, una
macchina) sono in grado di smascherare il principio della soggettivit
come un principio di dominio. Il mondo moderno soffre pertanto di false
identit(10).
Fino al secolo XIX, la tradizione aristotelica ha ininterrottamente
rappresentato il concetto vetero-europeo della politica concepita come
una sfera che doveva comprendere in s tanto lo Stato quanto la stessa
societ. Agli occhi di Hegel si fatto progressivamente chiaro che una
simile costruzione concettuale non era pi adatta alle societ moderne,
dove leconomia di stampo capitalistico, organizzata in base al diritto
privato, si era oramai resa indipendente. Lelemento sociale si era
separato da quello politico ed la societ economica, come sfera
spoliticizzata, era diventata autonoma rispetto allo Stato burocratizzato.
Si era trattato di uno sviluppo storico che aveva messo fuori gioco la
dottrina politica classica per quanto riguardava la sua capacit di
comprendere lesistente. Pertanto la dottrina politica, alla fine del XVIII
secolo, si era scissa in una teoria della societ basata sulleconomia
politica ed in una teoria dello stato fondata sul diritto naturale. Da
questo lato Hegel il primo ad elaborare, anche sul piano terminologico,
un sistema di concetti in cui pu trovare adeguata espressione la
modernit, nel momento in cui separa la sfera politica dello Stato
dallambito della societ civile, come luogo dei rapporti economici. Si
pone tuttavia a questo punto il problema di come sia possibile concepire
la societ civile non soltanto come la sfera della decadenza della
sostanza etica, ma al tempo stesso anche come momento necessario
delleticit stessa. Il punto di partenza di Hegel dato dalla
consapevolezza che lideale antico della comunit politica non
riproponibile nelle condizioni in cui opera la modernit: quindi egli si
trova nella necessit di trovare una mediazione tra lideale etico della
classicit, per quegli aspetti per cui esso superiore allindividualismo
dellet moderna, e leffettualit della modernit sociale. Secondo
75

Habermas, tuttavia, la ragione filosofica hegeliana capace di pervenire
ad una riconciliazione solo parziale(11).
Al fine di riconciliare la modernit decaduta, Hegel giunge a
presupporre una totalit etica, che non stata elaborata sul terreno
stesso della modernit, ma che derivato da un passato idealizzato,
quello delle comunit religiose proto-cristiane e, soprattutto, quello
della polis greca. Hegel sviluppa lidea di un positivamente universale,
distinto dalla societ civile, in modo da bloccarne le tendenze
allautodistruzione, conservando al tempo stesso i risultati
dellemancipazione: questo positivo costituito dallo stato, cosicch il
problema della mediazione viene risolto attraverso lAufhebung della
sfera sociale nella forma della monarchia costituzionale. Si tratta
tuttavia, secondo Habermas, di una soluzione che risulta praticabile
solo sulla base del presupposto di un Assoluto, che viene concepito
ancora in base al modello della relazione di un soggetto conoscente con
se stesso: Hegel pu comprendere la modernit partendo dal suo stesso
principio, grazie al concetto di un Assoluto che sopraff tutte le
assolutizzazioni, e che solo mantiene, in quanto incondizionato,
linfinita processualit dellautorelazione che assorbe in s tutto il
finito. Sulla base di questo generale impianto logico deriva il primato di
una soggettivit di grado superiore, spettante allo Stato, sulla libert
soggettiva del singolo: la logica del soggetto che concepisce se stesso
impone quindi listituzionalismo di uno Stato forte. Alla facolt riflessiva
applicata a se stessa si accompagna indubbiamente anche un lato
negativo, quello di una soggettivit autonomizzata, posta
assolutamente(12).
Il bisogno di autofondazione della modernit, secondo Habermas,
soddisfatto in questo modo al prezzo di un indebolimento della critica:
La filosofia non pu insegnare al mondo come esso deve essere; nei
suoi concetti si riflette soltanto la realt cos come essa . Non si rivolge
pi contro la realt, bens contro le oscure astrazioni che si inseriscono
fra la coscienza soggettiva e la ragione oggettivamente conformata. Dopo
che lo spirito della modernit ha dato una scossa, dopo aver trovato
ancora una via di uscita dalle aporie del moderno, e non soltanto
entrato nella realt effettuale, ma vi divenuto oggettivo, Hegel ritiene
che la filosofia sia sgravata dal compito di confrontare lintera esistenza
della vita sociale e politica con il suo concetto(13).
Hegel non il primo filosofo che appartiene allet moderna, ma
indubbiamente il primo, secondo Habermas, ad averla posta come
problema. Cos facendo, tuttavia, egli non voleva affatto una rottura con
la tradizione filosofica. Nella teoria hegeliana appare per la prima volta
76

e diviene pienamente visibile la costellazione concettuale che collega
modernit, coscienza del tempo e razionalit: per lo stesso filosofo a
far saltare questa costruzione, in quanto la realt elevata a Spirito
assoluto finisce per neutralizzare le condizioni grazie alle quali la
modernit aveva raggiunto la coscienza di se stessa. Hegel perci non
ha risolto il problema dellautoaccertamento della modernit, dal quale
aveva preso le mosse la sua filosofia. Il suo tentativo, agli occhi di
Habermas, lascia tuttavia allepoca post-hegeliana una eredit nella
forma di un suggerimento che potrebbe rivelarsi prezioso: soltanto
colui che concepisce in termini pi modesti il concetto della ragione
ottiene un diritto di preferenza nel trattare questo tema(14).


5.3 NIETZSCHE E IL POST-MODERNO

Secondo Habermas, n Hegel e nemmeno i suoi discepoli, di destra
o di sinistra, hanno in realt mai voluto mettere in discussione i
fondamenti di ci da cui let moderna traeva la coscienza di se stessa:
in questo senso, la modernit si colloca innanzitutto sotto il segno della
libert soggettiva. Ma il dominio del soggetto fa s che le sfere allinterno
delle quali ciascun individuo svolge la sua vita, come borghese, come
cittadino e come uomo, si separino sempre pi luna dallaltra fino a
diventare indipendenti. Nel passato, era la religione a costituire il
legame indissolubile che legava insieme le parti della totalit: ora questo
legame si spezzato. Le forze religiose che consentivano lintegrazione
sociale si sono dissolte a causa di un processo di Aufklrung, che cos
come non pu essere indiscriminatamente messo da parte, altrettanto
non pu considerarsi il prodotto del caso e dellarbitrio(15).
LIlluminismo, osserva ancora Habermas, caratterizzato
dallirreversibilit dei processi di apprendimento derivante
dallimpossibilit di dimenticare a proprio libito idee, che invece possono
essere soltanto rimosse, oppure corrette con idee migliori. Perci
lIlluminismo pu compensare le sue lacune solamente per mezzo di un
Illuminismo radicalizzato; perci Hegel e i suoi discepoli devono porre le
loro speranze in una dialettica dellIlluminismo, nella quale la ragione
possa fungere da equivalente della potenza unificatrice della
religione(16). La soluzione hegeliana, come si gi visto, si rivelata
troppo forte.
Di fronte a questa situazione, il progetto nietzschiano si propone di
valorizzare la coscienza moderna del tempo, allo stesso modo in cui, in
precedenza, i Giovani Hegeliani si erano mossi contro loggettivismo
77

della filosofia hegeliana della storia. Conformemente a questo
programma, nella seconda della Considerazioni inattuali (Sullutilit e il
danno della storia per la vita), Nietzsche analizza linefficacia di una
tradizione culturale che si era oramai completamente staccata
dallazione e trasferita nellinteriorit. Lentrata di Nietzsche nel discorso
della modernit modifica tuttavia in maniera radicale la natura
dellargomentazione. Fino ad allora la ragione era stata pensata secondo
le pi diverse modificazioni, affinch tuttavia potesse presentarsi come
un equivalente dellantica potenza unificatrice della religione, fornendo
in questo modo le forze propulsive per il superamento delle scissioni
prodotte dalla modernit. Laspetto nuovo del progetto nietzschiano
consiste tuttavia nel rinunciare ad una ulteriore revisione del concetto
di ragione: infatti la deformazione storicistica della coscienza moderna,
lafflusso indiscriminato di contenuti arbitrari e lo svuotamento di tutto
ci che essenziale lo inducono a dubitare che la modernit possa
ancora attingere da se stessa i propri criteri(17).
Il fulcro del progetto nietzschiano la concezione dionisiaca della
storia: tra gli elementi costitutivi di questa concezione deve essere
ricompresa quella forma peculiare di teodicea, in base alla quale il
mondo pu trovare giustificazione soltanto come fenomeno estetico.
Nella descrizione del dionisiaco, infatti, che viene concepito come
elevazione del soggetto fino al totale oblio di s, compresa anche
lesperienza, indubbiamente resa pi radicale rispetto ad analoghe
posizioni romantiche, dellarte contemporanea(18). Il mito di Dioniso,
del dio errante dellebbrezza e della follia e delle continue metamorfosi,
osserva Habermas, poteva esercitare un notevole fascino su di unet
illuministica che andava progressivamente perdendo la fiducia in se
stessa, in quanto poteva alimentare speranze di redenzione. Nietzsche
conduce alle conseguenze pi estreme il processo di depurazione, gi
iniziato dai romantici, del fenomeno estetico da ogni implicazione di
carattere teoretico e morale: Nellesperienza estetica la realt dionisiaca
isolata dal mondo della conoscenza teoretica e dellagire morale, dalla
quotidianit, tramite un baratro delloblio. Larte apre laccesso al
dionisiaco soltanto al prezzo dellestasi cio al prezzo della dolorosa
abolizione delle differenze, della disindividualizzazione, della fusione con
lamorfa natura interna ed esterna. Perci luomo della modernit, privo
di miti, dalla nuova mitologia pu attendersi soltanto un tipo di
redenzione che elimina tutte le mediazioni. Ci che si propone un
distacco radicale dalla modernit, oramai svuotata dal nichilismo: Con
Nietzsche la critica alla modernit rinuncia per la prima volta a
mantenere il contenuto emancipativo. La ragione centrata nel soggetto
78

viene messa a confronto con il totalmente altro dalla ragione(19).
Lenergia che crea il senso forma cos il nucleo estetico della volont di
potenza, la quale al tempo stesso si presenta anche come volont di
apparenza: sotto questo profilo larte destinata a diventare lautentica
attivit metafisica delluomo, in quanto la vita stressa che si fonda
sullapparenza, sullinganno, sulla illusione. Il dominio nichilistico della
ragione soggettocentrica viene a sua volta concepito come il risultato del
pervertimento della volont di potenza: con la sua critica alla ragione
della modernit, critica che si pone essa stessa al di fuori dellorizzonte
della ragione, Nietzsche intende elaborare gli strumenti utili a
smascherare una scienza ed una morale che sono in realt le forme in
cui si esprime lideologia di una volont di potenza pervertita(20).
Sotto questo profilo, la Genealogia della morale, secondo Hebermas,
deve essere considerata come il grande modello di quella lunga catena
di pensatori del post-moderno, da Martin Heidegger a Georges Bataille e
Jacques Derrida, da Max Horkeimer, Theodor W. Adorno a Jacques
Lacan e Michel Foucault, in ciascuno dei quali, dato di scorgere un
accusatore della modernit(21).
Agli occhi di Habermas le finalit che Nietzsche si proponeva di
realizzare con i mezzi di una critica totalizzante ed autodistruttiva
dellideologia sono le stesse che Heidegger vuole perseguire attraverso la
distruzione immanente della metafisica occidentale. Loriginalit di
Heidegger su questo piano semmai costituita dal fatto che nella
prospettiva di una storia della metafisica viene collocato anche il
dominio del soggetto. Secondo lautore di Essere e tempo, linizio
dellet moderna contrassegnato [] dalla svolta epocale della filosofia
della coscienza, che ha inizio con Descartes; e la radicalizzazione di
questa comprensione dellEssere attuata da Nietzsche contraddistingue
let contemporanea, che domina la costellazione del presente; la quale
a sua volta si presenta come il momento della crisi(22). Dopo
Heidegger, anche Bataille deve essere annoverato tra quanti si sono
schierati sotto la bandiera di Nietzsche. Al filosofo della volont di
potenza Bataille collegato da un fondamentale tratto anarchico: se il
pensiero si deve rivolgere contro ogni forma di autorit, allora esso si
deve volgere anche contro il sacro, in quanto esso stesso espressione
di una autorit; ne deriva pertanto che la dottrina della morte di Dio
non pu essere intesa che in un senso deliberatamente e rigorosamente
ateistico(23). Un autentico allievo di Heidegger considerato da
Habermas anche Derrida, il quale prosegue secondo questa direttrice la
critica nietzschiana alla modernit. Il tentativo compiuto da Derrida di
decostruire la filosofia del soggetto segue fedelmente landamento del
79

pensiero heideggeriano: la grammatologia diventa da questo lato il filo
conduttore per la critica della metafisica(24).
Per parte loro, anche Horkheimer e Adorno intendono mettersi
sulla linea della radicale critica a cui Nietzsche sottopone la ragione. In
questo senso la Dialettica dellIlluminismo assume come punto di
partenza proprio le posizioni nietzschiane allo scopo di sviluppare in
forma concettuale un processo autodistruttivo dello stesso Illuminismo,
dal momento che non pi dato sperare nella sua capacit liberatoria:
la critica nietzschiana della conoscenza e della morale anticipa unidea
che Horkheimer e Adorno sviluppano nella forma di una critica della
ragione strumentale: dietro gli ideali di oggettivit e le pretese di verit
del positivismo, dietro gli ideali ascetici e le pretese di giustezza della
morale universalistica, si nascondono imperativi di autoconservazione e
di dominio(25). Se Heidegger e Derrida intendevano continuare il
programma impostato da Nietzsche di una critica della ragione lungo la
strada della distruzione della metafisica, Foucault si ripromette di farlo
attraverso la distruzione della scienza della storia. Lautore di Histoire
de la folie deriva lidea di una storiografia che si presenta come
antiscienza dalla recezione della Seconda considerazione inattuale, che
risulta per lui una vera miniera di concetti. Se Nietzsche aveva
sottoposto lo storicismo del suo tempo ad una critica severa, con
Foucault viene eliminata lidea stessa di una riconciliazione, alla quale
aveva ancora mirato la critica alla modernit che era rimasta collegata a
Hegel: Da questa decostruzione di una storiografia che rimane
attaccata al pensiero antropologico ed a fondamentali convinzioni
umanistiche, si delineano i confini di uno storicismo trascendentale, per
cos dire, che contemporaneamente eredita e super la critica di
Nietzsche alla storia trascendentale, in senso debole(26).


5.4 PER UNA AUTENTICA CRITICA ALLA FILOSOFIA DEL SOGGETTO

Secondo Habermas nelle critiche finora rivolte alla filosofia della
soggettivit, di un soggetto che, riferendosi a se stesso, acquista la
propria autocoscienza pagando il prezzo delloggettivazione della natura
esterna cos come della propria natura interna, restano problemi
metodologici non ancora chiariti. Pertanto, per affrontare in maniera
rigorosa il discorso filosofico della modernit ed uscire dalle sue aporie
concettuali, necessario ripercorrere ancora una volta la via tracciata,
per tornare fino al punto di partenza, verificando ad ogni singolo
crocevia la direzione che stata seguita e le alternative che non sono
80

state scelte. Gi esaminando le proposte hegeliane erano venute alla
luce ipotesi diverse rispetto alle soluzioni poi effettivamente adottate:
una prospettiva non presa in considerazione dal filosofo di Stoccarda
poteva effettivamente avviare ad una trasformazione del concetto di
riflessione nel senso di una teoria della comunicazione. In tal modo,
rispetto a quello che stato definito come istituzionalismo forte, da
intendersi quale primato di una oggettivit superiore, quella dello stato
rispetto alla libert soggettiva del singolo, poteva offrirsi un diverso
modello di mediazione fra universale ed individuo, costituito questa
volta da una intersoggettivit di grado superiore, quella della libera
formazione della volont, che possibile realizzare allinterno di una
comunit della comunicazione(27).
Habermas definisce la razionalit come la disposizione di soggetti
capaci di parlare e di agire ad acquisire ed impiegare un sapere
fallibile. Non vi nessuna ragion pura, che soltanto in seguito rivesta
abiti linguistici: essa originariamente incarnata in contesti di agire
comunicativo ed in strutture del mondo della vita. La ragione
soggettocentrica il prodotto di una scissione, vale a dire di un progetto
sociale in cui dei momenti subordinati si sono resi autonomi nei
confronti delle strutture comunicative, rappresentate dai rapporti di
intesa e di riconoscimento reciproco. La totalit etica scissa di cui parla
Hegel e la prassi estraniata di cui parla Marx possono pertanto essere
riconosciute come forme di unintersoggettivit mutilata, ovvero come i
prodotti di una comunicazione alterata. Per questo motivo, la teoria
dellagire comunicativo pu ricostruire il concetto hegeliano del contesto
di vita etico senza dover pi far ricorso ai presupposti della filosofia
della coscienza(28).
Il paradigma della filosofia della coscienza deve pertanto essere
sostituito dal paradigma dellintesa che si stabilisce tra soggetti che
sono capaci di parlare e di agire. Allinterno del modello dellazione
orientata verso lintesa non gode pi di una posizione privilegiata
latteggiamento oggettivante del soggetto che identifica se stesso come
unico punto di orientamento: Nel paradigma dellintesa fondamentale
piuttosto latteggiamento performativo dei partecipanti allinterazione,
che coordinano i loro piani dazione, intendendosi reciprocamente nel
mondo. In quanto Ego compie unazione linguistica e Alter prende
posizione verso di essa, entrano entrambi in una relazione
interpersonale Ora questo atteggiamento di partecipanti ad
uninterazione linguisticamente mediata rende possibile una relazione
del soggetto con se stesso diversa da quella puramente oggettivante, che
un osservatore assume di fronte ad entit nel mondo(29).
81

La critica portata avanti ad esempio da Heidegger e da Foucault
contro la ragione risulta, secondo Habermas, solo apparentemente
radicale, in quanto nonostante tutto rimane ancora compromessa con i
presupposti della filosofia del soggetto, dai quali pensava di potersi
liberare: in questo modo lAltro della ragione riproduce specularmente
limmagine della ragione tirannica, cio soggettocentrica. Questa critica
della razionalit paga inoltre un prezzo molto alto, in quanto non
vengono rifiutate unicamente le conseguenze di un autoriferimento
oggettivante, ma vengono respinte anche una serie di altre istanze, che
la modernit aveva portato avanti, sia pur come promesse non
mantenute, e ci significa: La prospettiva di una prassi autocosciente,
nella quale lautodeterminazione solidale di tutti dovrebbe potersi
collegare con lautentica autorealizzazione di ciascun singolo(30). Solo
con il mutamento di paradigma rappresentato dalla ragione
comunicativa si finalmente rinviati ad unaltra, e questa volta
plausibile, via di uscita dalla filosofia del soggetto. La decostruzione
della razionalit soggettocentrica pu essere ottenuta soltanto se il
paradigma dellautocoscienza, dellautoriferimento sostituito dal
paradigma della relazione intersoggettiva di individui che risultano
socializzati comunicativamente e che per questo si riconoscono in
maniera reciproca. Solamente in questo caso la critica al pensiero
disponente della ragione soggettocentrica si presenta in forma
determinata cio come una critica al logocentrismo occidentale, che
non diagnostica un troppo, bens un troppo poco di ragione. Invece di
surclassare la modernit, essa riprende il contro-discorso immanente
alla modernit, e lo trae fuori dalla contrapposizione frontale e senza vie
duscita fra Hegel e Nietzsche(31).
Alla luce della prospettiva di Habermas, pertanto, solamente una
intersoggettivit linguisticamente prodotta, in cui la socializzazione si
realizza come individuazione ed in cui, nello stesso tempo,
reciprocamente gli individui stessi si costituiscono, in quanto individui,
allinterno dei rapporti sociali, pu risultare in grado di superare i tratti
patologici delle societ moderne(32).


NOTE

1) Cfr. J. Habermas, Il discorso filosofico della modernit. Dodici lezioni,
trad. it. di Emilio Agazzi e Elena Agazzi, Laterza, Roma-Bari 1997
2
,
pp. VII, 5-7.

82

2) Ivi, pp. 1, 60, 142-144.

3) Ivi, pp. 1, 7, 122, 137, 216-217, 295.

4) Habermas si riferisce qui alle analisi svolte nel noto volume di K.
Lwith, Da Hegel a Nietzsche. La frattura rivoluzionaria nel pensiero
del secolo XIX, trad. it. di G. Colli, Einaudi, Torino 1971
2
.

5) Cfr. Habermas, Il discorso filosofico della modernit cit., pp. 7, 53-54.

6) Ivi, pp. 59, 115, 119-120, 137, 140, 142.

7) Ivi, pp. 141, 211-214.

8) Ivi, pp. 4-5, 16.

9) Ivi, pp. 17, 20-21.

10) Ivi, pp. 17-19, 21, 28-29, 34.

11) Ivi, pp. 38-40.

12) Ivi, pp. 31-34, 41-43.

13) Ivi, pp. 44-45.

14) Ivi, pp. 45, 52.

15) Ivi, p. 86.

16) Ivi, p. 87.

17) Ivi, pp. 87-88.

18) Ivi, pp. 94, 96, 98.

19) Ivi, pp. 96-97.

20) Ivi, pp. 98-99, 132.

21) Ivi, pp. 57, 100, 123.
83


22) Ivi, pp. 101, 137-138.

23) Ivi, pp. 135, 218.

24) Ivi, pp. 100, 164, 166, 170, 184.

25) Ivi, pp. 109, 125.

26) Ivi, pp. 252-253, 257.

27) Ivi, pp. 34, 42.

28) Ivi, pp. 315-316, 317, 323, 347.

29) Ivi, pp. 258, 299.

30) Ivi, pp. 311, 336-337.

31) Ivi, pp. 303, 312.

32) Ivi, pp. 345-347.

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