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Antonio Scurati
LETTERATURA E SOPRAVVIVENZA
La retorica letteraria
di fronte alla violenza
Bompiani
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ISBN 978-88-452-7104-5
2012 Bompiani / RCS Libri S.p.A.
Via Angelo Rizzoli, 8 Milano
Realizzazione editoriale a cura di NetPhilo Srl
Prima edizione Studi Bompiani aprile 2012
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SOMMARIO
INTRODUZIONE
La dischiusura del campo letterario
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5.3.2 Non/farlo
In medio
Rinvenire i luoghi comuni: un approccio topologico
Modernismo e ipostasi della letteratura
Sotto lo stesso cielo, sulla stessa terra
La mosca senza ali e i venti di guerra
Canone chiuso
Comprehensive scope: nuovi obiettivi, sguardi ancestrali
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Sul campo
La guerra renitente
Guerre en forme
In equilibrio (I): il contenuto della forma
In equilibrio (II): il nemico giusto
La violenza in gabbia
Nomos come principio di legittimit e localizzazione
Perdendo la terra
Il ritorno dellabisso
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3.3.1 Aberrazione
3.3.2 The Ghost and the Darkness
4.1
Sacrosanta finzione
4.2 La retorica come domesticazione
5.1
Al di qua e al di l della fine
5.2 Combattere la guerra
5.3
Il posto della morte
5.4
Par ton plemon
6.1 Hemingway e il malinconico accomiatarsi dalla Guerra
6.2.1 In rotta
6.2.2 Quel che resta dellonore
6.2.3 Insiders
6.3 Isole
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Topos e nomos
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V. LA METAFORA IMPOTENTE
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Eris e Thanatos
Slittamenti
Istruire o stupire
Uno spettro si aggira tra i proverbi
Il paradigma restio
Tra teleologia e topologia: una faglia incandescente
Larte geniale della metafora
La solitudine della retorica
Terribile come esercito schierato a battaglia
Continua a parlarmi
Metis: occhi senza palpebre. Ovverosia: i pesci non
dormono
Essere fa male
Sopra-vivere
Il Grande Errore Iniziale o la puntura di una zanzara?
Opinio communis
Le parole sono come pietre
Nellintimit con la violenza
Un jour de march
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INTRODUZIONE
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verbale e non verbale, quel suo mito oramai crollato assieme a tanti
altri sorti con lespansione della societ borghese. La letteratura in
quanto mito della letteratura oggi contestata non pi nelle sue variazioni, per linee di critica interna, ma nelle sue costanti, da unorda
barbarica che, irresistibile, preme ai confini del suo discorso totale
ed omogeneo. Ed esercita la propria immane pressione su quelloramai antiquato ideale/ideologema moderno semplicemente ignorandolo. Lo dice bene Berardinelli: Una mutazione in corso. La giovane
letteratura non esce dalla coscienza storica del passato. Invece di scavalcare il Novecento, lo si ignora (Casi critici, p. 11).
La formazione letteraria di un ventenne , oggi, integrata in buona
parte, se non in parte maggioritaria, dalla fruizione di opere che non
sono passate attraverso il medium della parola scritta. E non si comprender la portata di questa semplice constatazione se non si terr
fermo su un punto: stiamo parlando effettivamente e specificamente
della formazione letteraria di quel ventenne.5
Il paesaggio, dunque, , indubbiamente, quello descritto dalle malinconiche meditazioni sulla condizione postuma della letteratura.6
Il paesaggio quello, lorizzonte quello, lorda barbarica gi arrivata. Dobbiamo solo decidere, come si chiedeva Gengis Khan, qual il
nostro posto dentro lorda.
Dobbiamo farlo nella convinzione che tutto ci stia accadendo non
per una semplice deficienza, mancanza, per un errore di prospettiva
o per una svista, ma per una mutazione di portata storica: il campo
letterario si sta aprendo e dischiudendo.
Sar, forse, perci utile riprendere qui la nozione di campo letterario da una delle pi influenti teorie letterarie di impianto sociologico
di fine Novecento, quella di Pierre Bourdieu che stata anche una
delle pi attrezzate ed agguerrite macchine concettuali messe al servizio di una critica della tarda-modernit per provare a fornire una
interpretazione eterodossa.7
Il campo letterario, ci insegna Bourdieu, era in passato come un
campo recintato, chiuso, che nella moderna societ borghese e capitalistica creava uno spazio definito da un contenuto simbolico, omologo
allo spazio definito dalle posizioni del campo della produzione sociale
generale da cui lo separava e a cui, al tempo stesso, lo legava un sistema
di scarto, un pacchetto di regole di trasformazione dellesterno in interno. Il campo della produzione letteraria nella societ borghese capi-
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linguaggio lartista pu criticare la societ. Anzi, non pu non criticarla. Questi, infatti, come proclamava lo stesso Flaubert, trova accettabile la vita sociale soltanto a condizione di non farne parte.
Ad ogni modo, qualunque sia lepoca e lorigine alla quale si voglia
far risalire questidea modernista di letteratura, appare abbastanza
chiaro che stia esaurendo il proprio ciclo di vita storico. Al principio
di questo nuovo secolo, il campo letterario si sta forse dischiudendo
con lo stesso scopo che, alla met dellOttocento, lo aveva spinto a
costituirsi richiudendosi su se stesso: per poter continuare a stare in
societ alla condizione di non farne parte? Il futuro ce lo dir.
Per ora sappiamo che gli steccati sono state abbattuti, sia dallesterno che dallinterno. Alcuni sono pi propensi a ritenere che si sia
consumato un tradimento: chi stava dentro si venduto al nemico e
ha aperto le porte che a loro volta sono cadute. Comunque la si pensi
a riguardo, al momento in cui viviamo il campo letterario non pi
delimitato e i suoi confini sono stati violati. Dobbiamo, perci, tornare a chiederci che ne sar della letteratura una volta riconsegnata
alla vastit di ogni genere e sorta di parola scritta o pronunciata nei
territori selvaggi di una socialit comunicativa senza leggi, diritti di
progenitura, prerogative castali e, soprattutto, senza confini.
In linea con il quadro teorico disegnato da Bourdieu, la dischiusura del campo letterario sta avvenendo, infatti, in relazione a mutamenti epocali che riguardano lintero sistema sociale. Il rapporto tra
la parte e linsieme anche rapporto contrastivo non cessa ma si
ridefinisce. Il mutamento che ha investito lintero campo del potere
simbolico, proprio in relazione a ci che fino a ieri era stato lo specifico del letterario, indubbiamente di portata epocale: limmaginario
ha assunto un nuovo statuto di realt.
Mentre in passato il simbolico veniva amministrato dallarte, dalla
religione e dal mito, oggi non lo pi. La cultura di massa, proprio
nella sua spiccata vocazione immaginifica, non pi filtrata e civilizzata dallarte.9 Da parecchio tempo non sono pi soltanto il pittore, il
prete e il poeta a manipolare il potere simbolico per proprio conto o
per quello del politico agendo a distanza e senza applicare forza coercitiva su miliardi di persone, ma anche e soprattutto un compassato
direttore di giornale, un caricaturale personaggio televisivo o un anonimo influenzatore internettiano. In questo modo, lopera dellimmaginazione diventa realt quotidiana allorch lo spazio specifico che
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scrittori, sugli autori e sui loro capolavori del passato una narrazione
dettata dallautocoscienza storicista della modernit con tutto il suo
armamentario intellettuale di inizi, nuove fondazioni, separazioni,
divorzi ed estinzioni non soltanto rivestono quegli autori di unimportanza che per lo pi era sconosciuta allepoca retorica in cui quelli
vissero, ma tributano un omaggio ad un concetto di eccellenza che
deve molto di pi al XIX secolo che non al secolo in cui loro stessi
vivono.11 questo lo stesso orientamento in cui Zumthor ravvisa il
pericolo per cui oggi, a pensare la letteratura con le connotazioni
moderniste che ne accompagnano lidea, ci si areni in una chiusura
elitaria ed etnocentrica. Insomma, detto in soldoni, c stata unet
che non era ancora let della letteratura ed durata millenni. Motivo per cui, comunque la si pensi, forse il caso di interrogarci sul fatto
che la nostra et possa non esserlo pi.
Stando a questa prospettiva, lunico modo per spezzare il circolo
vizioso di quel peculiare fenomeno di autoaccerchiamento che stato
il modernismo intellettuale nel seno della modernit culturale, di
mirare nello studio e nella pratica della letteratura ad unantropologia (La lettera e la voce, p. 387).
Per quel che mi riguarda, mi sono sforzato proprio di dar seguito
a questo suggerimento. Ho provato, cio, a mostrare come una riflessione che assegni la contemporaneit letteraria romanzesca alle cure
dellantica retorica (atavica), e non della nuova poetica (moderna
nel senso di modernista), andrebbe proprio in questa direzione. A
muovermi stata la convinzione o magari lillusione che talvolta
ci che viene dopo sia pi antico di ci che viene prima. Lungo il
cammino, mi apparso necessario riscoprire lantica alleanza tra letteratura e retorica alla luce dellantropologia filosofica del Novecento,
la cosiddetta antropologia della povert.
Il primo postulato dovrebbe essere questo: non affatto ovvio
che luomo possa esistere (Blumenberg). Muovendo da questa tesi
radicale dellantropologia filosofica novecentesca riguardo alla povert biologica della specie umana, ho dunque cercato di affrontare il nodo che da sempre avvince letteratura e violenza. Attraverso
un serrato confronto con la filosofia, la teoria letteraria e le scienze
sociali, la mia ricerca mi ha portato a individuare lessenziale della parola letteraria nel contributo che la sua componente retorica
e comunicativa fornisce alla lotta interminabile con cui la specie
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Cfr. Pierre Bourdieu, Les rgles de lart. Gense et structure du champ littraire,
Paris, Seuil, 1992 (trad. it., Le regole dellarte. Genesi e struttura del campo letterario, Milano, Il Saggiatore, 2005).
8
Su questo punto, si veda Romano Luperini, Tradimento dei chierici e lavoratori della conoscenza, Italian Culture, Michigan State University Press, n. 24-25,
2006-2007, pp. 169-181.
9
Per alcune delle nuove teorie sul nuovo statuto dellimmaginario, ci si pu
rivolgere a Marc Aug, La guerra dei sogni, Milano, Eleuthera, 1998, ad Arjun
Appadurai, Modernit in polvere, Roma, Meltemi, 2005 o a Slavoj iek, Lepidemia dellimmaginario, Roma, Meltemi, 2004, per alcune delle vecchie teorie a
Edgar Morin, Il cinema o luomo immaginario, Milano, Feltrinelli, 1982 (1956) e
a Id., Lo spirito del tempo, Roma, Meltemi, 2002 (1962). Una buona panoramica
su esse si trova in F. Carmagnola e V. Matera (a cura di), Genealogie dellimmaginario, Novara, UTET, 2008. Su questi temi, mi permetto anche di rimandare a un
mio breve saggio nel quale sono stati trattati frontalmente: Antonio Scurati, La
letteratura dellinesperienza. Scrivere romanzi al tempo della televisione, Milano,
Bompiani, 2006.
10
Cfr. A. Appadurai, Modernit in polvere, op. cit., p. 67 e segg. Per una posizione a favore in tutti i sensi della confluenza in una comune conca epocale di
letteratura e nuovi media, si veda Arturo Mazzarella, La grande rete della scrittura. La letteratura dopo la rivoluzione digitale, Torino, Bollati Boringhieri, 2008.
Pur partendo da premesse diverse, anche Stefano Calabrese argomenta a favore
dellipotesi di un attraversamento di soglia epocale dellattuale letteratura romanzesca. Il suo punto di vista particolarmente consono a quello qui espresso
perch Calabrese ritiene il nuovo orizzonte dischiuso da un esaurimento storico
del modernismo (di cui il postmodernismo sarebbe un prolungamento in parte
quintessenziale in parte antifrastico) e lo collega sia alla novit della compiuta
globalizzazione sia alla riscoperta di funzioni e prestazioni antropologiche protomoderne del romanzesco. Si veda, dunque, Stefano Calabrese, www.letteratura.global. Il romanzo dopo il postmoderno, Torino, Einaudi, 2005, in particolare
pp. 47 e segg.
11
Si veda in merito Marc Fumaroli, Lge de lloquence. Rhtorique et res literaria de la Renaissance au seuil de lpoque classique, Genve, Droz, 1980, p. 20. A
Zumthor e Fumaroli dedicher ampie sezioni del capitolo secondo.
12
Cfr. Tzvetan Todorov, La littrature en pril, Paris, Flammarion, 2007 (trad. it.,
La letteratura in pericolo, Milano, Garzanti, 2008).
13
questo il ruolo che viene, per esempio, assegnato alla humanitas letteraria
nella sferologia di Peter Sloterdijk, con la quale il filosofo tedesco offre una
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teoria complessiva della storia e dellidentit umana nellera della compiuta globalizzazione. Si vedano, in proposito, i celebri e controversi saggi nei quali Sloterdijk concepisce il processo di civilizzazione quale risultato di una omotecnica
volta a domesticare la violenza dellessere autoaddomesticando lumano in seno a
esso, omotecnica che fa perno sullumanesimo letterario. Si veda, in particolare,
Regole per il parco umano in Peter Sloterdijk, Nicht gerrettet. Versuche nach
Heidegger, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 2001 (trad. it., Non siamo ancora stati
salvati. Saggi dopo Heidegger, Milano, Bompiani, 2004) e Id., Im Weltinnenraum
des Kapitals, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 2005 (trad. it., Il mondo dentro il
capitale, Roma, Meltemi, 2006).
14
Lespressione viene qui a definire la letteratura dal punto di vista di una teoria
retoricamente orientata che la pensi nella sua cosalit sia al livello di macro
che di microsistema discorsivo e sta letteralmente a significare tutto ci che
stato scritto, in un senso enciclopedico inclusivo. Un testo vasto quanto la
vicenda umana la cui storia non pu che essere fatta sotto forma di inventario
ragionato. Cfr. Marc Fumaroli, Lge de lloquence, op. cit., pp. 17 e segg.
15
Wolfgang Sofsky, Traktat ber die Gewalt, Frankfurt am Main, Fischer, 1996
(trad. it., Saggio sulla violenza, Torino, Einaudi, 1998, p. 56).
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Collocando il nostro sguardo entro langolo visuale di questo scorcio barthesiano, nel punto in cui il cerchio che collega le premesse
della riflessione di Barthes alla sua conclusione si chiude, vorrei provare a dischiudere una prospettiva teorica che comprenda i rapporti
tra retorica e letteratura entro lorizzonte maggiore dei rapporti tra
retorica e violenza.
Posto che la retorica si origina in un conflitto brutale, e che il suo
regno sullOccidente si estende fin dove arriva il dominio del discorso, ci che noi oggi (con un termine che riflette unidea molto tarda)
definiamo letteratura, deve appartenere al dominio della retorica
e, di conseguenza, conservare un rapporto fondamentale con quella
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quenza conducono gli uomini dalla solitudine agli umani consorzi, cio
dallegoismo al culto dellumanit, dallignoranza di ogni arte allattivit
operosa, dalla libert sfrenata al rispetto delle leggi, e con luguaglianza
dei diritti civili dettata dalla ragione inducono i violenti che troppo confidano nelle loro forze a vivere insieme con i deboli.10
La provenienza ciceroniana del topos, unitamente al continuo riferimento in esso alla violenza della forza bruta contro cui sorge il
discorso suasivo dei primi sapienti, spoglia di ogni lirismo la poesia
delle origini poetiche dellumanit, cantate in seguito da altri poeti
nei loro miti.
questo della retorica civilizzatrice un topos metaretorico, in cui
risiede il concetto stesso della retorica come logica del luogo comune: largomento principe dal quale si sviluppa il metadiscorso della
retorica sulla retorica quale sedes argomentorum. In un frangente in
cui persuasione e violenza stanno in rapporto di reciproca elisione, la forza coesiva della retorica consiste proprio nella produzione di
topoi, luoghi comuni discorsivi la cui fondamentale efficacia comunicativa, al di l del loro particolare contenuto topico, sta nel rendere
possibile una comunit ponendo il discorso in luogo della violenza.
La versione ciceroniana di questo particolare topos non lascia dubbi
sul fatto che lessenza della retorica vada individuata nella capacit
persuasiva, che a sua volta dipende dalla forza topologica, funzionale
al bando della violenza:
Ci fu un tempo in cui gli uomini vagavano per i campi a mo di bestie e si
sostentavano con cibi ferini e nulla operavano servendosi della ragione,
ma la gran parte delle cose risolvevano con luso della forza fisica. Non
vera ancora alcun culto della divinit e nulla che regolasse i rapporti tra
uomo ed uomo []. In tal modo e per errore e per ignoranza, la cupidigia
cieca ed incontrollata dominatrice dellanimo, abusava della forza bruta
come di dannosissimo satellite, pur di raggiungere il proprio appagamento []. Non mi pare possibile che una sapienza muta e priva di voce
abbia potuto trarre gli uomini dai loro costumi per condurli ai differenti
ideali di vita []. [E anche] dopo che furono edificate le citt, come
avrebbero potuto questi uomini imparare a tener fede e ad osservare la
giustizia [] se non fossero stati resi capaci dalleloquenza di persuadere
i propri compagni delle verit scoperte dalla ragione?11
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2.1.2 Bellum contra bellum: strappare alla violenza un lembo di terra abitabile
Il mythos delle origini della retorica sarebbe dunque un mito antropologico (sebbene, come ci sar modo di precisare, differente da
un mito nel senso pi stretto): narra dellorigine della retorica narrando lantropogenesi delluomo, racconta della scaturigine del discorso
collocandola nellurgenza fatidica di unumanit posta di fronte alla
violenza. La conoscenza apodittica in chiave teoretica nulla pu contro la ferocia. A riguardo dellidea di piena razionalit, la persuasione
retorica precisamente quella piccola violenza con cui lumanit si
sottrae alla violenza indiscriminata, allhobbesiano bellum omnium
contra omnes. Daltronde, il razionalismo filosofico indovin sempre
nella retorica una violenza contro lideale della ragione:12 in effetti
la retorica estremamente prossima alla violenza, sta sul suo stesso
piano, al livello dove luomo si salda con il proprio fondo animale;
eppure, proprio perch prossima alla violenza, ad essa si oppone. Se
pu avere successo perch parla il medesimo linguaggio: il linguaggio della paura, quale risvolto soggettivo dellaltrimenti irriducibile
oggettivit della violenza, brutalit del fatto bruto.
Ma, come vedremo, limpotenza della conoscenza di fronte alla ferocia implica per la tradizione retorica vichiana lesclusione dellidea
di purezza poetica in senso estetico. Lorigine dellumanit, del discorso umano, e di ci che noi oggi definiamo letteratura in quanto
partecipe di quello, , secondo questa visione, unorigine ferina; tale
origine decide del perdurante carattere retorico della letteratura nonch del prevalente carattere topologico della retorica.
Il mito fondamentale del metadiscorso retorico una narrazione
stereotipica degli inizi e non un racconto archetipico delle origini.
Proprio per questo la continuit della letteratura con la nascita del
discorso umano (e la sua appartenenza alla generalit di esso) concepibile dalla retorica, e soltanto dalla retorica. Ad ogni intuizione
della genesi nella tradizione retorica corrisponde sempre la categoria
dellinizio, non quella dellorigine: a ci corrisponde la forma della
narrazione della genesi, che sempre quella del topos e mai quella del
mito vero e proprio. Se la cultura fu in initio nientaltro che lefficacia
della persuasione retorica come unica forma accessibile di discorsivit, date le ristrettezze di una ragione che doveva affermarsi inter
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LETTERATURA E SOPRAVVIVENZA
rudes, le modalit caratteristiche di una retorica della cultura potrebbero essere le pi adeguate a seguire le tracce di quel primo impulso
lungo lintera evoluzione della specie e la storia delle civilt.
2.2 Dallorigine come mito poetico al mythos degli inizi
Una visione cos impostata sostituisce alla triade di origine/verit/
poesia, lequazione inizio/persuasione/retorica.13 I caratteri di precariet e necessit che questa visione attribuisce ai primordi della ragione discorsiva definiscono infatti anche il suo concetto: la nozione di
inizio, a differenza di quella di origine, non implica un assoluto. La
storia umana viene ora compresa nellordine retorico della ripetizione, e non pi nellordine logico della razionalit deduttiva. Di contro
alla prospettiva retorica, perde ogni consistenza larmatura teleologicamente orientata che saldava origine e fine, forte di una medesima
ratio superiore e trascendente, destinata a manifestarsi come telos.
Per la retorica non sussiste unorigine mitica della propria ragione,
ma solo inizi storici ripetuti: dacch al mito dorigine corrisponde,
nel caso della retorica, una narrazione dellinizio, e dacch gli inizi
non hanno mai fine, anche il concetto di ragione risponder a questa
assenza di fondamenti certi, si produrr e perdurer in un regime di
carenza archetipica. Se la genesi del discorso priva di unorigine
assoluta, la razionalit di esso non abbisogna di una verit fondamentale, e viceversa.
Sotto lo sguardo sub specie humanitatis della retorica, tra luomo
contemporaneo ed il primitivo vi una comunione di inizi: essi si
incontrano sul piano antropologico in cui la prestazione persuasiva
della retorica culturale continuamente funzionale al bando della
violenza, non alla conoscenza della realt o alla rivelazione della verit. La letteratura pu allora essere pensata a partire dalla propria
retoricit come aspetto del suo atavismo. Il sentore di quellatto con
cui i sensuosi, grossolani bestioni che furono i nostri predecessori ancestrali, imbrattati dei propri escrementi come gli infanti, compresero
se stessi ed il mondo entro forme di contenimento della violenza e
del caos primigenio, dunque ci che vi di vitale nella odierna letteratura. Il radicale retorico il medesimo: la parola e la narrazione
come redenzione, costituita entro gli spazi del luogo comune, di un
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Questa la transunzione che Bornscheuer propone della concezione di dignit divina spettante alluomo secondo Pico della Mirandola. Lestetica tedesca tradurr poi con Herder il mito umanistico nel
principio antropologico della forza della debolezza; con le Lettere
sulleducazione estetica delluomo di Schiller, giunger a compimento
lidea delluomo come libero e sovrano fautore di s nella propria autodeterminazione ed autoperfezionamento poetico:
La retorica che accomuna la serie degli antenati, Protagora, Pico, Schiller, non consiste nella dimensione stilistica ma in quella antropologica
che, nonostante le diversit storico-culturali verte sulla determinazione
della praxis umana come poiesis, e precisamente una poiesis per cui larti-
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giano con le sue opere produce la sua stessa natura e la sua specifica ratio
bene vivendi completamente da s. (op. cit., pp. 38-39)
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rigido determinismo biologico e teorie della complessit indeterminata).21 La concezione che cos si delinea cessa di collocare le prestazioni
simboliche e linguistiche delluomo sullo sfondo dellopposizione tra
cultura e natura, cio tra la produttivit dello spirito e linerte fondo
animale delluomo. Quelle prestazioni vengono invece situate nellorbita di una cultura che pensata come differenza specifica del genere
umano in quanto specie animale.
5.1 Reazioni metafisiche
Se si adotta la prospettiva di una storia della retorica come alternativa a quella della filosofia, la poetica estetologica considerata da
Bornscheuer non appare pi come una novit assoluta, bens come
un movimento di reazione interno alla tradizione metafisica e dunque partecipe di esso:22
Il pathos moderno per la produzione autenticamente umana nellarte
e nella tecnica scaturisce dalla reazione contro la tradizione metafisica
dellidentit di essere e natura e la definizione dellopera umana in quanto
imitazione della natura stata la precisa conseguenza di questa identit.
Questo movimento di reazione si spiega col fatto che nella metafisica antica della imitatio non rimaneva alcuno spazio per la concezione della azione autentica delluomo, poich essa rifletteva lidea di un
universo naturale compiuto nella perfetta specularit tra possibilit e
realt. Con il concetto del soggetto spirituale quale sede della libera
creativit umana, il soggettivismo moderno si ribella perci a quella
tradizione. Si rivendica alluomo la dignit di essere ontologicamente
originale. Eppure, nel medesimo momento, si porta a compimento la
metafisica ontologica della tradizione che si voleva avversata: lelevazione del poeta al rango di creatore par excellence una contromossa metafisica che si fonda sulla distruzione dellidea di mimesi della
metafisica classica, e finisce cos per rimanerne invischiata (La realt
in cui viviamo, p. 80).
Quando Bornscheuer vede nel concetto herderiano della forza della debolezza unidea in sintonia con la novecentesca antropologia della
indeterminazione di Gehlen (Retorica e paradigmi antropologici, p. 37,
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n. 48), sta confondendo la reazione interna alla storia del pensiero metafisico con una linea di pensiero che le sostanzialmente estranea.23
La moderna metafisica del soggetto rovescia di colpo lidea di
unestrema povert in quella di uninfinita ricchezza, ma con questa
impennata teorica non fa che reagire alla visione della metafisica antica. Pur inalberando il vessillo dellinfinit dei mondi possibili, rimane
nel cerchio dellontologia metafisica: slitta dal concetto della realt
ontologica a quello della possibilit ontologica, suo opposto simmetrico e speculare.
5.2 Luomo povero
Lantropologia dellindeterminazione novecentesca concepisce la
posizione delluomo nel mondo in maniera del tutto differente perch esterna al gioco di mosse e contromosse della tradizione metafisica, antica o moderna che sia, cos come estraneo a tale tradizione
il retaggio della retorica. La povert non si riferisce pi a facolt superiori dellumanit, ma semmai al fondo animale delluomo,
alla sua indeterminazione biologica: luomo pensato nel quadro di
unetologia umana, cio di unantropologia allargata in senso culturale. Larte e la letteratura vi figurano come una sovradeterminazione
del sistema complesso ed esteso che si definisce cultura, non certo
per come una perfezione in cui luomo trascenda la propria natura
animale. Nondimeno solo in questottica che alla prestazione retorica del discorso, e dunque al discorso umano, si riconoscer la giusta
valenza antropologica.
5.2.1 Lontani dal vero
Hans Blumenberg ha fornito la teorizzazione del nesso tra antropologia e retorica vedendo in questa ligne del pensiero occidentale
lalternativa radicale a quella cui pertiene la coppia filosofia/poetica.
Le due linee di tradizione si divaricano a partire dallidea di verit,
che la prima rifiuta e su cui la seconda si fonda. Ad esse corrisponde quindi una centralit riconosciuta alla prospettiva antropologica,
o viceversa una marginalizzazione. La tradizione retorica, nascendo
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dal presupposto dellimpossibilit di raggiungere la verit, si sviluppa secondo Blumenberg in una arte dellapparenza, che si fa carico
della povert antropologica delluomo garantendone la sopravvivenza
nonostante il deficit di verit.
Alla tradizione filosofica, che si fonda su una concezione delluomo
come essere ricco in quanto depositario della verit, si sposa lestetica poetica, la quale nellidea di bellezza (il privilegio dellornatus) vuol
risolvere la funzione dellArte. UnArte che non deve fare altro se non
esprimere in forme alte la verit.
Lontologia metafisica caratterizzata, se non ossessionata, dallideale conoscitivo della verit, che ha il suo criterio nellevidenza epidittica, e ama pensare luomo come soggetto di un sapere assoluto.
Finisce cos per concepire anchesso come sciolto, absolutus, dal
suo legame con lanimale. Cos facendo, tuttavia, ne oblitera anche
lunicit, che va definendosi proprio rispetto a quello sfondo di coappartenenza.
Il fatto che la metafisica non abbia nulla da dire sulluomo antropologicamente inteso strettamente correlato alla proscrizione filosofica
della retorica.
Lunicit dellumanit nel genere animale, che anche la sua differenza, consiste infatti, come vuole la retorica, nel possesso della parola, cio della discorsivit linguistica, e questa peculiarit zoologica
rimanda direttamente alla sua povert biologica: Giacch la retorica
parte da ci, e soltanto da ci in cui luomo unico, e non solo perch
il linguaggio gli peculiare, ma perch nella retorica il linguaggio si
rivela una funzione della specifica inibizione delluomo (Approccio
antropologico allattualit della retorica, p. 89). La metafisica invece, individuando nella razionalit lessenza delluomo in quanto capace di
conoscere la verit dellessere, recide il legame tra uomo ed universo
animale. Lesito omologo, sia che luomo venga posto in una relazione di subordinazione conoscitiva con un cosmo naturale chiuso
(la metafisica degli antichi), sia che venga inserito in un rapporto di
eccedenza trascendente con un universo dalle infinite possibilit progressive (il soggetto poetico dei moderni). Ad essere ignorata sempre
la specifica natura delluomo in quanto animale, ossia la sua carenza
immanente su base biologica. Il nesso tra povert, antropologia e
retorica dunque vincolante:
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LETTERATURA E SOPRAVVIVENZA
Se la tradizione retorica pu, al termine della sua storia millenaria, solidarizzare con i risultati della antropologia scientifica, perch essa, rinunciando sin dalle sue origini alle pretese veritative della
filosofia, si incaricata della specificit delluomo in quanto specie
animale; la sua problematica comincia precisamente laddove termina
il campo dellinterrogazione filosofica, comincia cio nella questione
di che cosa rimanga alluomo ove egli fallisca la presa sullevidenza
pura, sulla autofondazione assoluta (op. cit., p. 90).
5.2.2 Sopravvivere: al di l di una ragione (in)sufficiente
La rinuncia di fondo della retorica alla verit ed allevidenza fa s
che essa possa pensare la cultura nel suo aspetto vitale. Vitale non
qui un aggettivo generico che si riferisca alla fase storica di crescita o
declino di una data cultura, n alla vivacit dei contributi che afferiscono a un sistema culturale. Il termine scava fino al proprio radicale
per denominare le prestazioni retoriche della cultura come condizioni
della sopravvivenza basilare di una specie animale: luomo.
Secondo Blumenberg, persino lidea della cultura come ambito
delle forme simboliche in cui luomo esprime creativamente la propria
essenza sostituendo, con un atto peculiarmente retorico, prestazioni
fisiche con prestazioni segniche sebbene individui una fondamentale dinamica antropologica non ancora sufficientemente solida,
perch manca di una spiegazione funzionale: Larricchimento della
mera esistenza non ha nessuna connessione funzionale con la sua pos-
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sibilit (op. cit., p. 94). La visione della sfera culturale come continua
crescita delle forme simboliche, della cultura come ininterrotto ispessirsi delle proprie formazioni sostitutive, ancora superficiale nella
misura in cui d per scontata lesistenza biologica, che pure la base
imprescindibile per quella crescita. La teoria dellanimal symbolicum24
ancora limitata dallappartenenza allantropologia delluomo ricco perch trascura la questione, fondamentale, che interroga direttamente lassenza di fondamento biologico delluomo:
Il primo enunciato di unantropologia deve essere dunque: non ovvio
che luomo possa esistere. (op. cit., p. 94)
La vita come prestazione elementare delluomo una prestazione retorica. Lassenza di una solida e sufficiente base biologica della
specie umana fa s che la sua sopravvivenza dipenda dallesito di un
processo che si scopre drammaticamente carente di quel fondamento
di cui le nozioni di verit ed evidenza definivano il concetto:
Lassioma di ogni retorica il principium rationis insufficientis. Esso il
correlato antropologico di un essere cui manca lessenziale. E se al mon-
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5.3.2 Non/farlo
Ma le finzioni retoriche creano anche una mediazione rispetto
allazione, oltre che compensare luomo con un agire mediato. La mediazione retorica, labbiamo visto, rimedia al deficit basilare delluomo sostituendosi allazione pura, cio a quellincontro diretto con il
mondo, che per lintrinseco stato di carenza umana precipiterebbe
verso lincapacit ad agire. Questa stessa mediazione inoltre si oppone allazione in quanto tale, fornendo un dispositivo discorsivo che
replica puntualmente alla coazione allazione, differendola in quanto
tale. In primo luogo viene colmata la lacuna rispetto al sostegno di
una certezza epidittica, che ineluttabilmente manca, tramite lefficacia
pragmatica di unopinione avente validit limitata epper disponibile.
In seconda battuta lo spazio del discorso retorico ammortizza lurto
del fattivo che trascende nel fatale. Crea gioco entro la catena delle
azioni e reazioni. la retorica come abito della socialit culturale.
Riprendendo lidea di Burckhardt secondo cui la civilt greca
sarebbe stata caratterizzata da una sensibilit per leffetto piuttosto
che per la verit, Blumenberg chiarisce la natura dellantitesi che sta
allorigine dellimpresa retorica:
Ma furono i greci stessi a porre la persuasione in antitesi alla sopraffazione: nei rapporti dei greci con i greci, dice Isocrate, duopo la persuasione,
mentre nelle relazioni con i barbari luso della forza; ma questa differenza
va intesa come differenza della lingua e della cultura, poich la persuasione presuppone la comunanza di orizzonti, di allusioni al prototipico, di
orientamento alla metafora, alla similitudine. Lantitesi di verit ed effetto
superficiale perch leffetto retorico non una possibile alternativa ad
unopinione che si potrebbe anche avere, ma a un evidenza che non si pu
avere, o almeno non ancora, e comunque non qui ed ora. (op. cit., p. 92)
Ancora una volta quindi la finzione retorica come ambito della mediazione culturale si definisce in antitesi alla realt, non alla verit.
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della sapienza retorica, come irruzione dellatto violento. Lunica determinazione ontologica che la retorica ammette dunque lidentit
di realt e violenza, lessere della violenza, di contro alla quale si erge
il millenario sforzo a produrre la salvifica finzione del discorso.
Siamo ora nella caverna pensata da Hans Blumenberg come dispositivo primario di antropogenesi, matrice dellumano in quanto luogo
protetto, privilegiato, incruento, che fa letteralmente da culla a una
nuova forma di autoconservazione dando i natali alla forza gentile
della fantasia, inaugurando il regno millenario delle madri allinsegna
delle finzioni capaci di sottrarsi al dispotismo violento della realt:
Sotto la protezione delle caverne, e della legge delle madri, quelli che restavano dentro fecero sorgere la loro risposta al libero vagare allaria aperta:
nasceva la fantasia. Da questa discendenza giunse il primo che riusc a
rappresentare qualcosa di non vissuto, mentre i cacciatori rivangavano le
loro storie di caccia terribilmente noiose. Raccontare storie senza esser stati
presenti divenne il privilegio dei deboli. Il piacere di far succedere qualcosa senza subirla fu il segreto degli antieroi [] Chi escluso dallesercizio
della caccia, diventa sognatore, narratore, buffone, maestro di immagini e
di pagliacciate, per riempire i tempi morti della fame, i tempi oscuri della
malattia e della vecchiaia, della perdita di capacit, che di per s sarebbero
inconsolabili, a partire dal dolore per il consenso perduto dellorda. Ecco
la risorsa: finzione e compensazione provengono dalla stesa sorgente.26
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nuovo corso intrapreso dalle opere pi feconde della letteratura novecentesca non tanto il rigetto della retorica tout court, quanto piuttosto
la ricerca di un nuovo terreno retorico comune. Di un diverso sfondo
comune per la comprensione reciproca entro i processi di comunicazione letteraria.
Da questo punto di vista, lantiretorica postbellica andr compresa anche come espressione di un lutto per la perdita di una retorica
comune, crollata assieme alla distruzione della forma tradizionale e
convenzionale della guerra. Ci implica ovviamente la coraggiosa accettazione di un pensiero che concepisca la guerra nella tradizione
culturale dellOccidente come estrema forma retorica dopposizione
alla violenza indiscriminata, e non invece come abbandono ad essa.30
Ad ogni modo, la relazione essenziale che ogni retorica bellica o
marziale intrattiene con la retorica in quanto tale, ed il rapporto che
sussiste tra queste e le sorti della letteratura di quel periodo obbliga
ad un ripensamento.
6.3 Canone chiuso
Nella mia riflessione presuppongo un giudizio sulla risposta modernista alla crisi storico-culturale come crisi del linguaggio che va a
cozzare con quello che presiede al canone della storia della letteratura
del Novecento. Quel canone fu stabilito da una critica e da una storiografia organiche a quellidea di letteratura che il secolo ventesimo
ha s estremizzato, ma di cui ha anche visto la fine sperimentandone
il limite.
Con il canone modernista possiamo intendere quella congerie di
testi che, per quanto concerne la letteratura di lingua inglese, riconosce
i propri vertici nellopera poetica di Pound ed Eliot, nonch nellopera
narrativa di Joyce. Anchesso, a mio modesto avviso, una formazione
reattiva. La sua reazione si indirizza non solo nei confronti della guerra, ma anche e soprattutto nei confronti dellideologia estetica della
letteratura. In questo senso, la corrente modernista apparterrebbe
ancora agli esiti del secolo romantico, alla modernit poetica contro
cui reagisce, poich ogni reazione reca con s il sistema di ci che rigetta. Non sarebbe perci il rifiuto della retorica ad accomunare lestetica idealistica, la poetica romantica e la loro sovversione modernista:
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da insegnarsi nella crescente instabilit, ma unarte architettonica attorno alla quale la cultura in se stessa pu essere ordinata.32 Dopo la
seconda guerra mondiale saranno gli studi sulle comunicazioni, sulla
societ e la cultura di massa a riportare agli onori della teoria e allattenzione della comprensione intellettuale la techne rhetorik. Ma sul
piano della pratica operativa dei discorsi, lantica regina non aveva
mai abbandonato la scacchiera.
Larteria tra antico e moderno si riscopre pulsante nel collegamento
inaggirabile che rapporta la centralit del topos per le retoriche tradizionali da una parte, e, dallaltra, il dominio dei fenomeni di stereotipia nella cultura di massa. La continuit tra antico e moderno, che
torniamo ad avvertire, ci permette di intravedere lancoraggio di ci
che ancora oggi denominiamo letteratura allimmemoriale fondo
antropologico delluomo: alla crosta profonda dove il vivente si costituisce come tale. La sopraggiunta obsolescenza della letteratura
modernista con il concludersi del secolo breve riscattata, sul diverso piano di una storia di lungo periodo, dallomologia ambigua
con i prodotti culturali di massa.
La letteratura, dunque, non perduta ma non nemmeno salva.
in pericolo, come sempre.33 La sua sorte si decide nel bilico tra civilt
e barbarie. Ma ad essere posta in gioco non solo la sua sopravvivenza
bens quella di unumanit stretta tra le alternative di retorica o violenza, di mediazione comunicativa o trauma del reale.
Roland Barthes ha sintetizzato da par suo questa situazione: Inoltre, questidea che c una sorta daccordo ostinato tra Aristotele (da
cui uscita la retorica) e la cultura detta di massa, come se laristotelismo, morto fin dal Rinascimento come filosofia e come logica, morto
come estetica fin dal romanticismo, sopravvisse allo stato degradato,
diffuso, inarticolato, nella pratica culturale delle societ occidentali pratica fondata, attraverso la democrazia, ossia una ideologia del
maggior numero, della norma maggioritaria, dellopinione corrente:
tutto indica che una sorta di vulgata aristotelica definisce ancora un
tipo dOccidente trans-istorico, una civilt, la nostra, che quella degli ./0123 (La retorica antica, p. 109).
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NOTE
Roland Barthes, La retorica antica, Milano, Bompiani, 1972, p. 14.
Ivi, p. 5.
3
Roland Barthes, Il piacere del testo, Torino, Einaudi, 1975.
4
La presente citazione dalla Poetica di Aristotele riportata dalledizione italiana di R. Barthes, La retorica antica, cit., p. 104.
5
Per approfondire il tema assai fruttuoso un confronto con Maurizio Ferraris,
Estetica razionale, Raffaello Cortina, Milano, 1997.
6
Per una interpretazione antropologica della figura dello straniero che la pone
al centro degli stessi sistemi di parentela, le strutture fondamentali delle societ
arcaiche, proprio in relazione al problema della violenza, si veda Ren Girard,
Lvi-Strauss, lo strutturalismo e le regole del matrimonio, in La violenza e il sacro,
Milano, Adelphi, 1980, pp. 306-347. Girard vede nella estraneit del parente
acquisito rispetto ai membri del clan, legati tra di loro da vincoli di sangue, il
presupposto che lo rende indispensabile allequilibrio sociale primitivo. Proprio
lorigine straniera lo designa come capro espiatorio, vittima sacrificale perch sacrificabile, non soggetta alla vendetta da parte dei consanguinei, ed al contempo come sacro in quanto, accogliendo su di s la violenza che si diffonderebbe
altrimenti in tutta la comunit in maniera indiscriminata, la salva dallo sterminio. La tragedia greca daltra parte quasi interamente incentrata sul sacrilegio
della uccisione tra consanguinei mentre lepica non fa che celebrare luccidibilit
dello straniero, il barbaro appunto. Girard mostra anche come lunit di tutti
i riti antropologici sia rinvenibile nel meccanismo vittimario di cui un aspetto
importante la dinamica di estraneazione di un membro della comunit perch
possa assumere il ruolo di capro espiatorio.
7
Si veda Benedetto Croce, La filosofia di Giambattista Vico, Bari, Laterza.
8
Si veda a questo proposito, tra gli altri luoghi, il De oratore III 38, 155, dove
Cicerone attribuisce lorigine della metafora alla inopiae causa (tertius ille modus
transferendi verbi late patet, quem necessitas genuit inopia coacta et angustiis), e
pone tra le prerogative dei rustici la facolt di metaforizzare come risposta ad un
bisogno vitale (nam, ut vestis frigoris depellendi causa reperta primo, post adhiberi
coepta est ad ornatum etiam corporis et dignitatem, sic verbi translatio instituita est
inopiae causa, frequentata delectationis).
9
Michael Mooney, Vico e la tradizione della retorica, Bologna, Il Mulino, 1991,
p. 120.
10
Giambattista Vico, Le orazioni inaugurali, a cura di Gian Galeazzo Visconti,
Bologna, Il Mulino, 1982, p. 197.
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soggettivismo moderno. Cos Meyer spiega loperazione con cui Cartesio pone
nel concetto di soggetto il fondamento metafisico della ragione: Come potr
il Cogito, risposta indubitabile, fondare la nuova Ragione nella sua unit? Per
riflessivit, per transfert delle propriet, la sostanza che io sono sar il fondamento di ogni altra sostantivizzazione, di ogni soggetto di giudizio, e, infine,
della stessa causalit [] [I]l proprium del filosofico: io sono soggetto, sostanza,
dunque vi sono dei soggetti, delle sostanze, che sono leffetto di ci che io posso
concepire (chiaramente e distintamente). Se io sono il modello del rispondere,
perch lo io sono ci che condiziona ogni altra risposta. E cos via. Ogni
volta, si deduce la nozione della sua messa in opera riflessiva, che si autonomizza
poi applicandola ad altra cosa. Questo il significato della fondazione cartesiana
nel principio di riflessivit. Questo primato conferito alla sostanza antropologica
ridar forza allinferenza trasformandola nel modo pi radicale, M. Meyer, Pour
une Anthropologie Rhetorique, p. 123, in Id. (a cura di), De la mtaphisique a la
rhtorique, Bruxelles, Editions de lUniversit de Bruxelles, 1986, pp. 119-143
(traduzione mia).
19
Cfr. Niklas Luhmann, Struttura della societ e semantica, Bari, Laterza, 1983.
In particolare cap. III, paragrafi 6-7 (citato in Bornscheuer, Retorica e paradigmi
antropologici, p. 45, nota 61).
20
Secondo Bornscheuer infatti il nascente mercato librario, pensato come esteriore spazio pubblico che privati cittadini anonimi attraversano per giungere a
contatto interiore con altri individui tramite loggetto-libro, il quale a sua volta
cos riscattato nella lettura solitaria dal carattere di merce, fu lo strumento
tecnico e socioeconomico pi importante per realizzare la concezione umanistica di una nuova ratio bene vivendi da conquistare attraverso le litterae. Retorica e paradigmi antropologici, cit., p. 44. Bornscheuer vede le contraddizioni che
questa situazione presenta rispetto allideale umanistico, ma ritiene che la natura socioculturale di quelle contraddizioni possa essere risolta sul piano ad esse
estraneo della speculazione intellettuale e filosofica: A misura della perdita di
effettiva immediatezza sociale, si svilupp quella fittizia retorica libresca, artificiosamente sentimentale, dellidea di immediatezza universal-antropologica tra
uomo ed uomo, tra anima ed anima. Solo Schiller consent di sviluppare in
senso antropologico e di integrare nel complesso della sua antropologia estetica
anche tale retorica da mercato librario (64).
21
Allinterno della vasta costellazione dellantropologia scientifica contemporanea unitariamente caratterizzata dal rifiuto della distinzione tra uomo ed animale, dellopposizione natura/cultura e dalla ricerca del giunto in cui la logica
del vivente uomo si articola sulla dimensione biologica comune ad ogni forma di
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Quando scrivo violenza indiscriminata mi riferisco in specifico a quellesercizio della forza bruta e devastatrice che si pone al di sotto o al di sopra del livello
militare, come nelle fattispecie criminale o terroristica. Il riferimento qui al
magistero teorico giuridico-filosofico di Carl Schmitt, che individu nel concetto
classico di guerra come guerre en forme il fondamento stesso del diritto internazionale europeo, andato in frantumi con la prima guerra mondiale assieme
alla distruzione del concetto di guerra che questa comport. Cfr. Carl Schmitt,
Der Nomos der Erde im Vlkerrecht des Jus Publicum Europaeum, Duncker &
Humblot, Berlin, 1974 (trad. it., Il nomos della terra, Adelphi, Milano, 1991) e Id.,
Theorie des Partisanen, Duncker & Humboldt, Berlin, 1963 (trad. it., Teoria del
partigiano, Il Saggiatore, Milano, 1981). Svilupper con dettaglio ben maggiore
il confronto con lopera di Schmitt nel capitolo IV[*], dove essa si costituir a
premessa necessaria per unanalisi della produzione hemingwaiana.
31
Michel Meyer, Problematologia, Parma, Pratiche, 1991, p. 320.
32
Thomas M. Conley, Rhetoric in the European Tradition, Chicago & London,
The University of Chicago Press, 1990, pp. 282-283 (traduzione mia).
33
Alludo qui a Tzvetan Todorov, La littrature en pril, Paris, Flammarion, 2007
(trad. it., La letteratura in pericolo, Milano, Garzanti, 2008), breve e drastico
pamphlet nel quale il celebre studioso, dopo aver contribuito per buona parte
della sua carriera ad alimentarle, vede adesso in una teoria e critica letteraria
iperspecialistiche, accademicistiche, autorefenziali e di stampo modernista le
fonti di una minaccia storica che metterebbe a repentaglio le autentiche valenze
umanistiche della comunicazione letteraria.
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Il saggio di Genette esordisce come uno scritto doccasione: menziona infatti tre pubblicazioni apparse negli anni precedenti che sarebbero a motivo della sua presente riflessione. Subito per assume un
tono epocale, librandosi in una prospettiva a volo duccello sullintera
storia millenaria della retorica, la quale da Corace ad oggi coinciderebbe con una restrizione generalizzata (La retorica ristretta, p. 18).
Genette inscrive dunque consapevolmente il proprio punto di vista
tra gli esiti storici di quella restrizione la quale per, a ben guardare,
si autopresenta piuttosto come una sussunzione, come un superamento dialettico della disciplina retorica in qualcosa che altro da s.
Colpisce infatti nel brano succitato di Genette la disinvoltura con cui
lautore sembra identificare retorica e poetica. Il termine poetica va a
rimpiazzare ci che resta della retorica nella modernit, in seguito al
secolare movimento tettonico di restrizione.
A Genette, che presenta come innocente ed ovvia quella sostituzione, interessa principalmente lultima tappa del movimento storico
di restrizione: il passaggio dalla retorica classica alla neoretorica moderna. La neoretorica giunge per cos dire sul far della sera, quando il movimento storico di restrizione della retorica compiuto. La
sostituzione ormai completa. Allo sguardo retrospettivo appaiono
nettamente distinte in momenti discreti le due fasi del processo: mutato loggetto della disciplina retorica, il corpus letterario si sostituisce
alloratoria. Collateralmente, si trasforma anche il soggetto della conoscenza retorica: la retorica tende a diventare, essenzialmente, uno
studio della lexis poetica (op. cit., p. 18).
1.2 Il continente perduto
Bisogna subito constatare che questo schema, apparentemente limpido, nasconde un enigma: nessun dubbio sollevato sul fatto che
il corpus letterario sia coestensivo al tradizionale oggetto totale del
sapere retorico. Anzi. Si d per scontata lidentificazione di ci che,
mediante un neologismo, si denomina letteratura, con lintero campo
del discorso. Perch questo era il linguaggio-oggetto del metalinguaggio retorico tradizionale.
Genette avverte questa stranezza, ma la sminuisce a questione
terminologica facendo notare che al progressivo slittamento dellog-
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getto retorico dalleloquenza alla poesia fa seguito una carenza lessicale: quella che oramai soltanto una teoria delle figure (che anzi
soltanto in apparenza una teoria di tutte le figure, poich in realt
retta da un criterio sotterraneo puramente tropologico) continua ad
essere denominata retorica (op. cit., p. 20).
Genette trova anche unappropriata diagnosi figurale del fenomeno: sineddoche generalizzante. La sostituzione, operata da Genette
stesso, del nome di poetica a quello di retorica, sarebbe il rovescio
speculare di questa seconda sineddoche: se nel Settecento si cominci
a denominare la parte (tropologia) con il nome del tutto (retorica),
Genette finisce col denominare il tutto (retorica) con il nome della
parte (poetica). Ci che pi impressiona nella stranezza rilevata da
Genette non la carenza lessicale per cui si stenti a reperire un
nome appropriato alla nascente tropologia (ecco il nome che non si
trovava). Piuttosto, la carenza sostanziale per cui, dun tratto, sparisce
una vastissima regione del territorio che sino ad allora era stato governato dalla retorica.
La scomparsa dalla scena storica degli oggetti di competenza della
inventio, della dispositio, della memoria, della actio, le parti della retorica neglette a seguito della restrizione tropologica, pare segni dunque
una cesura epistemologica, cui si accompagna un complesso ideologico denso di conseguenze a pi livelli. Possiamo senzaltro annoverarvi
la stessa limitazione ottica dello sguardo retrospettivo di Genette sul
corpus storico della retorica.
1.3 Dal vasto campo del discorso allhortus conclusus del giardinaggio poetico
La prospettiva di Genette si delinea al termine del processo (niente
affatto neutrale) di progressivo slittamento delloggetto letterario dalla retorica alla poetica. Vale a dire che questo punto di vista opera una
restrizione sul corpus retorico che, parafrasando Genette, lo riduce
seguendo un principio puramente poetico come criterio sotterraneo
di ammissione e di esclusione. Questa restrizione sostanziale investe
anche la cosa letteraria, che fino a quel momento era coestensiva al
campo della discorsivit retorica, e che ora, ridotta al principio poetico, viene ribattezzata letteratura. La restrizione della disciplina
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2.1 Le et delleloquenza
Nellesordio dellintroduzione al suo monumentale e magistrale studio del XVII secolo come et delleloquenza,3 Marc Fumaroli, dichiarando di praticare nella storia della retorica una disciplina poco garantita quanto alla sua legittimit, aggiunge che essa non
manca per di nobilt poich la sua nascita coeva alla nascita della
stessa storia letteraria. Certo, una volta letto con attenzione Fumaroli,
non si pu non rileggere questo suo incipit come espressione di una
certa ironia.
Fumaroli dapprima documenta la modalit con cui la problematica
retorica sopravvisse di epoca in epoca, sino allepoca di nascita della
storia letteraria: ampi panorami critici e storici degli autori retorici,
che comparivano con frequenza nei trattati di biblioteca; oppure anche in quelle bibliografie critiche cos in voga nel Seicento, e che Fumaroli definisce forme nuove della mnemotecnica oratoria (Lge de
lloquance, p. 1).
Dopodich per si passa a mostrare come quella stessa problematica strutturi anche le pi tarde opere di poetica che convenzionalmente, ed universalmente, riconosciamo quali capolavori della
critica letteraria. In esse il trattato di retorica, passato attraverso
una profonda metamorfosi, si mutato in opera letteraria: insomma,
le norme da essi dettate non si applicano pi indistintamente alleloquenza ed allopera letteraria, avendo la letteratura preso coscienza
della propria autonomia e del proprio libero magistero. Nondimeno
ciascuna di esse continua a propugnare dei modelli ed un programma di discorso, una morale ed una norma di stile (op. cit., p. 4). la
normativit di queste opere a farne delle appendici retoriche. Come
pure appendici della retorica.
La critica romantica non ha affatto segnato la fine della retorica.
Si limitata a sancire il ritardo della retorica accademica rispetto alle
nuove retoriche, consone a nuove istituzioni sociali e a un nuovo pubblico. Fumaroli mette esplicitamente in guardia dal credere che assieme allerudizione del XVIII secolo sia scomparsa anche la tradizione
che fa della storia della letteratura una scienza ausiliaria della retorica, e della retorica la causa finale della storia della letteratura (3).
Tuttavia proprio questa relazione originaria tra normativit retorica ed ancillarit della letteratura che va perduta nel momento in cui
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A questa altezza gi si pu apprezzare lironia dellincipit. leclissi storica della retorica a coincidere non soltanto con lavvento della
modernit e con la propria letteraturizzazione, ma con linizio della
storia letteraria, intesa nellaccezione di disciplina di studio: Dunque, la storia della retorica stata [] sin qui, un punto cieco della
storia letteraria (op. cit., p. 17). Ci che la storia letteraria non vede,
essa che tutto storicizza, la storicit del concetto di letteratura da
cui deduce la propria legittimit. Vale a dire: oblia la relativit di quel
concetto rispetto al sistema di riferimento della retorica quale dimensione antropologica del discorso.
I tratti peculiari di questo obnubilamento sono caratteri della
esclusione intensiva: la letteratura diviene un settore a parte dellinsieme della cultura, il suo studio si confonde con quello dello spirito
nazionale nella Geistesgeschichte romantico-tedesca, in opposizione a
quella delle altre nazioni. Lo spirito si manifesta esclusivamente sotto forma di capolavori, discriminati sia dalle produzioni discorsive di
altro genere che dalla letteratura giudicata minore, sebbene enormemente maggiore quanto ad estensione. La nozione generica di letteratura nostra contemporanea interamente inscritta nel particolare
concetto romantico di letteratura.7
la tesi di Paul Bnichou, il quale ha mostrato come laccezione moderna di letteratura, affacciatasi per la prima volta alla storia
nellepoca moderna come separata da essa, cio reclamandosi avulsa
dal proprio terreno nativo, ha condotto necessariamente allidea dello
scrittore sacre, cio separato e nominato nel senso di rinomato.8
La sacralit, apoteosi dello stile separativo della letteratura, ha per
piega interna laporia della modernit.
2.4 Res literaria: tutto ci che stato scritto
Due sono i significati positivi dellespressione res literaria, che
mutuata dal titolo dellopera di Fumaroli funge da contraltare al
concetto estetizzante di letteratura. Entrambi questi significati vengono a definire la letteratura dal punto di vista di una teoria retorica-
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(idion) si limita a dire loggetto nei termini dei predicati che gli sono
coestensivi, ma non necessariamente essenziali. La logica della predicazione risulta cos organizzata da una doppia polarit: essenziale
e non essenziale, coestensivo e non coestensivo. Il criterio della coestensivit, pur non designando lessenziale dellessenza, stabilisce la
piena commutabilit tra soggetto e predicato: Proprio poi ci che,
pur non rivelando lessenza individuale oggettiva, tuttavia appartiene
a quellunico oggetto, e sta rispetto ad esso in un rapporto convertibile di predicazione (Topici, I-IV, 102a 18-19).
Cos il discorso sulla letteratura che scaturisce dalla nozione di
res literaria ragiona secondo lidion perch la testualit e la scrittura
sono propri in rapporto allessere della letteratura, le sono coestensivi. Nondimeno la circoscrivono soltanto se si ritiene la coestensivit
criterio sufficiente, mentre pensarla in rapporto alla qualit poetica che la distinguerebbe dalla sua cosalit implica il volerla
definire secondo lessenza.
Sul piano della logica argomentativa la definizione dellessenza non
esclude il criterio della coestensione, anzi lo implica (la definizione
essenziale e coestensiva), ma in riferimento allidea di letteratura la strategia discorsiva che ricerca lessenza si rivela alternativa ed opposta al
metodo del proprio poich sottende una ideologia addirittura contraria.
La retorica, in quanto metalinguaggio che ha nel discorso il proprio linguaggio-oggetto, attenendosi nella concezione della letteratura alla predicazione del proprio, rifiuta la possibilit stessa di una
definizione secondo lessenza. Il motivo che da questo tipo di predicazione deriver un concetto addirittura contrario a quello di res
literaria.9 Il concetto retorico tradizionale di literatura orizzontale
perch definito secondo lidion e non secondo lessenza. coestensivo alla propria base materiale nella scrittura, collimante con lorizzonte stesso di ci che andato attestandosi per tradizione:
Repubblica di filologi (la Rpublique des Lettres) ma anche di savants, di
savants in quanto filologi: tutta la scienza, dalla medicina alla geografia,
dalle matematiche alla storia, era allora fondata sullo studio dei testi antichi che le servivano da punto di partenza []. Limitazione in lingua volgare, per il piacere degli ignoranti, della poesia e del romanzo antico
non che una derivazione secondaria, a partire da questo fondo comune.
(Lge de lloquance, p. 18)
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luogo di quella conoscenza in quanto luogo di luoghi. Luomo si ritrova nel prodotto di un dispositivo culturale antropologicamente inteso
come insieme delle condizioni elementari della sua sopravvivenza.
Luomo sorge al passivo della conoscenza, ri-saputo in ci che le forme
della sua cultura hanno fatto della vita della sua specie.
2.5 Regalit e comunanza della retorica: coincidere con il proprio
topos
Tornando a Fumaroli, il radicamento delleloquenza francese nella
corte di Francia sotto Luigi XIII come forma comune ad un lite di
sapere e di potere, anchesso misura del radicamento di quella eloquenza nella cultura umanistica. E di questa, in ultima analisi, nel
fondo antropologico comune che, a sua volta, comunemente fondato
in ragione del suo radicamento nel fondo animale.
Unintera civilt storica concepita e formata retoricamente in base
a ci che comune, condiviso da tutti i suoi membri, secondo la pura
logica del rapporto convertibile di predicazione: la logica del proprio.
La condivisione e la comunanza sono di per s fondamenta della civilt: la si definisce come coincidente con linsieme delle regole che i
suoi membri ritengono appropriate, e i suoi membri sono riconosciuti
in base allappropriatezza della loro condotta rispetto a quelle regole.
Limitatio strumento e processo di effettuazione del decorum regale, che coincide con la maest stessa attuazione del principio di
convenienza, non ha niente a che fare con il mimetismo di rappresentazione. mimesi proprio in forza della corresponsione al proprio
substrato retorico.
Come la res della res literaria non mai il referente dei verba bens
la letteratura stessa in quanto base materiale di s medesima, cos la
parola rex indica un radicamento retorico, non un fondamento ontologico. La regalit non si fonda in nientaltro che nel proprio topos. Si
costituisce e si mantiene in grazia della non esorbitanza dal luogo delimitato dalle sue flessibili e storicamente finite regole convenzionali.
Lideologia trasgressiva del capolavoro romantico mostra a pieno
il senso peculiare della sua hybris quando rapportata al caso storico
di una societ convenzionale, per la quale persino i convenevoli sono
vitali. Sotto lo sguardo tagliente di quella ideologia, la destituzione
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Il principio tropologico ed il criterio sostitutivo governano il campo di tutte le figure. La moderna idea di retorica si basa inoltre sulla
classificazione delle figure che Genette ci dice ridursi di fatto ad una
divisione dei tropi. Dumarsais aveva assimilato metonimia e sineddoche, Fontanier ha eliminato lironia in quanto figura despressione, quindi non-tropo, Genette somma le due sottrazioni ed presto
ricostruita la genesi della coppia esemplare della retorica moderna:
Metafora e Metonimia.
Genette seguita a ricostruire nei dettagli questa storia di progressive riduzioni, sottrazioni, evacuazioni, attraverso i suoi protagonisti, i
formalisti russi, Jakobson, Mallarm, le avanguardie storiche, il gruppo . In seguito alla riduzione alle sole figure di senso, si procede a
ridurre il campo di studio e di interesse alle figure di maggior tenore
semantico, ed ancora, a quelle che presentano un semantismo sensibile. Si privilegiano prima le relazioni di contiguit e similarit, poi
la sola associazione per similitudine, quindi il gioco delle figure viene
ridotto al loro semplice aspetto fisico o sensibile. Lepoca moderna
ama le forme pi materiali della figurazione.
Ma con Mallarm il cerchio si era gi chiuso. Lintera estensione
della sua circonferenza era venuta a coincidere con la superficie non
estesa del suo centro puntiforme. La concentrazione semantica del
tropo gli assicura una superiorit estetica. E la superiorit estetica
tutto. Le figure si sussumono nella poetica. Poco importa che il campo poetico non sia linsieme del discorso letterario e, ancor meno,
della lingua parlata: con Mallarm tutto si riduce al polo metaforico.
3.1.2 Abusi tropologici
Genette analizza nel dettaglio questa ulteriore riduzione ma lamenta la sua parzialit soltanto rispetto alla ricchezza e variet del
campo figurale, mortificato nella sua restante estensione. A suo avviso, infatti, la metafora non che una forma fra numerose altre, e la
sua promozione al rango di figura danalogia per eccellenza procede
da una specie di violenza.
La violenza tropologica si fa strumento di una sovversione che
solo apparentemente progressista: ci che Genette rimprovera alla
metaforica che a un progresso sul piano formale corrisponde una
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t tra i suoi mezzi ed il suo effetto. Questo per non comporta una
aporia tra mezzi persuasivi e risorse tropologiche: la strategia unica
sebbene la tattica possa essere diversiva.
4.1.4 Senza origine, senza traccia
A sorprendere Zumthor nel quinto tipo proprio la radicale emancipazione da una filiazione archetipica, in cui la riconoscibilit garantita
dalla variazione o scarto rispetto ad un caso dorigine, e che indicata
da determinazioni materiali (elementi lessicali, semici, sintattici, ritmici). Con sconcerto si individua un tipo che gode di unesistenza squisitamente figurativa. La nozione di figurativo indica qui un concetto di
tipicit la quale si rafforza in proporzione diretta allalleggerimento
delle sue componenti materiali: un tipo che sopravvive e prospera nel
suo stesso svuotamento semantico-storico. Che configura la propria efficacia tradizionale come continuum cosale, non pi materiale.
Non volendo rinunciare al modello archetipale, Zumthor deve addentrarsi nel paradosso di una generalit enigmatica ed irrintracciabile (letteralmente: priva di tracce) e di una particolarit specifica che
non procede dal genere, presupponendolo, ma che viceversa lo produce. Ma quello che, in questi termini, un paradosso, cessa di esserlo
se solo si rinuncia allipotesi del tipo dorigine: assistiamo allora ad un
processo in cui non pi un particolare autosussistente, ma inferiore,
a discendere da una generalit soltanto ideale, bens ad un processo in
cui da una singolarit di ordine inferiore cresce una seconda, o terza,
singolarit di ordine superiore.
4.2 Apareci completo y orgulloso
Ecco delinearsi il topos, come tipo testuale di s medesimo. In esso
la massima inconsistenza materiale (lottusit semantica, la solitudine
semica, lalienazione lessicale, la disconnessione sintattica) si accompagna alla massima concretezza cosale. Ogni aspetto della manifestazione del topos sar perci tipico, il suo stesso manifestarsi lo sar, la
sua stessa evenienza, in tutta la sua estensione, lo sar: a partire dalle
successive occorrenze, eventi pragmatici di lettura e rilettura di un te-
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come la genesi storica della estetica pura sia complementare alla conquista
dellautonomia da parte dellarte, e come il concorso di questi due fattori sia
funzionale alla nascita delluniverso letterario per come lo si conosciuto dal
romanticismo ai giorni nostri. Cfr. P. Bourdieu, Les rgles de lart. Gense et structure du champ littraire, Paris, Seuil, 1992. Pur essendo la mia impostazione del
tutto convergente con il lavoro di Bourdieu, far riferimento ad altri autori che
abbiano trattato la questione della nascita della letteratura riportandola direttamente allo sviluppo della storia della retorica.
3
Marc Fumaroli, Lge de lloquence. Rhtorique et res literaria de la Renaissance au seuil de lpoque classique, Genve, Droz, 1980.
4
Rimando al capitolo primo per una distinzione tra questo mito degli inizi e
unaspirazione ben differente allorigine mitica.
5
Cfr. Jean Paulhan, Les fleurs de Tarbes ou la terreur dans les lettres, Paris, Gallimard, 1941 (trad. it., I fiori di Tarbes, Genova, Marietti, 1989).
6
Per questo genere di operazione il riferimento a Basil Munteano, Constantes
dialectiques en litrature et en histoire. Problmes, recherches, perspectives, Paris,
Didier, 1967.
7
Le determinazioni contenutistiche di questo concetto, che sono le stesse ogni
volta che ci riferiamo alla poetica moderna, sono state a questo modo descritte da
Michel Beaujour, proprio analizzando lideologia della cesura che segna lavvento storico della littrature: Cercando di esorcizzare la retorica e limitazione, le
poetiche postromantiche sono condotte a farne la parodia od a rigettarle a vantaggio di nuove facolt il cui tratto dominante la promozione della singolarit
individuale: singolarit della fonte soggettiva []. O altrimenti, con manovra pi
ardita (ma semicosciente), si tratta di far subire alla retorica delle metamorfosi
il cui effetto principale di proiettare in primo piano (iperbole della esibizione
dei procedimenti cara ai formalisti russi) il funzionamento di un disjectum membrum invenzione, disposizione, stile, memoria, quindi elocuzione dellarte,
la quale, in regime retorico, stabiliva le procedure da seguire nellelaborazione
del testo, senza con ci mai apparire in quanto tale nellopera compiuta. Questa
promozione dello avant-texte (Jean Bellemin-Nol) ci che altrove ho denominato neotenia, fenomeno regressivo, che conferisce una fisionomia incompiuta,
bruta, prematura, ad alcune opere caratteristiche della modernit (M. Beaujour,
Rhtorique et litrature, p. 162, in Michel Meyer, a cura di, De la mtaphisique a la
rhtorique, Bruxelles, Editions de lUniversit de Bruxelles, pp. 158-171).
8
Cfr. Paul Bnichou, Le sacre de lcrivain, Paris, Gallimard, 1978.
9
Bisogna tenere presente che i libri dei Topici non appartengono allontologia
aristotelica, la scienza dellessere, poich il logos appropriato a dire lessenziale
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crescita copiosa il portato della prestazione retorica come azzeramento delle distanze sul piano del tempo storico, ovvero della retorica
come tecnologia della parola.5
Nellazzardare questa falcata teorica, unavvertenza assolutamente necessaria: se si stesse giocando sulla sinonimia tra i termini di
parola e linguaggio, ci che si dice della tecnologia della parola perderebbe con ci il suo interesse specifico poich non si tratterebbe
di altro che del linguaggio umano come sistema di simboli, nei confronti del quale si senzaltro pi propensi a concedere che abbia un
profilo tecnologico. Ma qui non si intende equivocare: quando si dice
tecnologia della parola ci si riferisce a qualcosa di specifico rispetto
alla tecnologia del linguaggio umano. In questa accezione, parola e
linguaggio sono termini quasi identici che per denotano due cose
diverse: la parola a cui ci si riferisce infatti la peculiare parola della
letteratura. La retorica sar quindi intesa come tecnologia della parola letteraria. Non riguarder la parola considerata nel suo radicale
linguistico, come strumento comunicativo-informazionale: le perterr
invece quella parola che proprio nella misura in cui viene spogliata
della sua profondit storica ed epistemologica parola decontestualizzata ed indecodificabile risulta accresciuta nella capacit di produrre significativit. La parola nellatto in cui la significativit diventa
la sua prestazione specifica.
2.4.1 Una parola basta. Migliaia no
la parola dello scrittore che fa dello scrittore, se cos mi posso
esprimere, linvidia del teoreta ed il rompicapo per lo storico. Mi
riferisco alla potenza della parola letteraria che fa la fortuna dello
scrittore consegnandolo e confinandolo nel dominio delleffettualit della parola stessa. Quando diciamo del Mais o sont les neiges
dantan? di Villon che una domanda retorica, o del Carpe diem di
Orazio che unapostrofe retorica, non tanto la maggiore artificiosit o convenzionalit di quellapostrofe rispetto alla comunicazione
quotidiana, o lindecidibilit di quella domanda rispetto allunivocit del discorso scientifico, che cerchiamo di definire tramite laggettivo retorico. Quel che tratteggiamo la loro significativit, la loro
potenza di persuasione, che le investe in grazia della loro assoluta
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tica, proprio mentre cerca affannosamente un oltre verso il quale uscire dalluniverso retoricamente saturo:
Vale la pena di chiedersi che cosa, in questa congiuntura storica, potrebbe essere concepito come oltre la retorica: evidentemente nessuno pu
pi proporre seriamente una qualche nozione di uso trasparente, non
figurativo del linguaggio n affidarsi, acriticamente, ad aspettative positive. Ci che mi viene in mente sono, piuttosto, gli emblemi del modern
warfare cos come sono stati presentati da Paul Virilio: non riesco ad
immaginare di poter andare oltre la retorica se non mettendoci sul quel
cammino che lascerebbe ogni dialogo alle nostre spalle, per condurci a
quel tipo di istantaneit ed inequivocabilit epitomizzata nelle pi recenti macchine da guerra. (op. cit., p. 478)
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Se nel corso del secolo XX, a seguito della perdita di campo della
guerra, abbiamo dovuto rinunciare a descrivere gli avvenimenti atomici come avvenimenti che accadono nello spazio e nel tempo, questo stato dovuto al fatto che il non senso della strategia nucleare, il
gioco di una guerra elettronica oltre che atomica, ha disumanizzato
il mondo, a partire dalla trasformazione del teatro di guerra in una
sorta di topologia del non-luogo (op. cit., p. 143).
Da questo punto di vista, il moderno warfare veramente, come
ammette sconcertato Benison, il solo passo oltre la retorica che lumanit possa compiere. Per converso la topologia retorica tradizionale si
mostra, con grande precisione, nel pieno dispiegamento della propria
strategia discorsiva. Essa derealizza s i luoghi fisici dellesperienza, ma
per ricollocarli in un dispositivo topico. Cos facendo riesce, tramite la
costituzione di un campo di luoghi comuni, nellimpresa di costruire un mondo umano, opponendosi con ci alla violenza distruttrice
delluomo che la topologia del non-luogo porta con s. Di fronte
alla identit di istantaneit e violenza, il differimento procurato dalla
dislocazione topologica si conferma nella propria funzione sostanziale di mediazione salvifica. Ancorch rimanga un pulsante da premere ad opera di una mano umana, la retorica cercher di amplificare
lintervallo tra la deliberazione bellica e quella pressione fisica, per
insinuarsi nellistante decisivo e prorogarlo fino a che sia possibile.
4.2 Lultima parola: retoriche di guerra
Laccostamento di retorica e guerra in posizione di antitesi illuminante anche entro unorizzonte pi generale. Vi si svela la natura
stessa della parola retorica in quanto determinata dal suo sorgere nella massima prossimit a un evento puro che nega ogni discorsivit, ma
daltro canto obbliga a ripensare la relazione dantitesi come semplice
opposizione esclusiva.9
Proprio il caso limite della retorica bellica la retorica per antonomasia secondo la concezione spregiativa di essa serve a comprendere una regola fondamentale del discorso retorico in generale:
la retorica lordine del discorso, luso del linguaggio, la concezione della parola umana, quando li si collochi entro lorizzonte
della necessit.
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biguit di cui si possa caricarlo). In entrambi i casi ci troviamo di fronte a un universale sui generis, contrapponibile alluniversale cognitivo
della filosofia (come nella paradigmatica proscrizione platonica della
parola patetica, che non a caso accomuna retorica e poesia). Come
osserva Thomas Farrell:
Sola tra tutte le arti, e del tutto imperdonabile, [la retorica] mente sul
piano cognitivo applicando un linguaggio delle forme universali (in particolare, Giustizia, Onore, il Bene, e cos via) ad un mondo di perituri,
mutevoli particolari, opinioni divergenti, ed apparenze ingannevoli.10
La superiorit che Aristotele riconosce alla poesia sulla storia dipende da una universalit congetturale, dallipotesi di ci che un
certo tipo di persona, un carattere, probabilmente farebbe di necessit in una data situazione. Essa si vale dello stesso tipo di forme
universali sui generis, illegittime da un punto di vista cognitivo, che
abbiamo visto pertinente al retaggio della retorica. Sottoponendosi
al patimento degli effetti di un finto universale, larte retorica della
tragedia trova nella katharsis la forma estrema di opposizione alla
propria morte, ad opera della violenza altrui, da parte di un uomo
che parimenti rinuncia alla vittimizzazione altrui ad opera della
propria violenza. La retorica bellica invece si instaura sul margine di
una modalit di vittimizzazione altrui, che espone contemporanemante al pericolo della propria: per nel momento in cui il discorso
della retorica pronunciato fintantoch esso si protrae la parola
non cessa comunque di opporsi sostitutivamente (in quanto tale) al
sopraggiungere degli eventi di morte e violenza. Per farlo, non pu
che sopportare gli effetti del finto universale retorico, spingendo il
suo confine fino al punto in cui, nellattimo fatidico, attraversata la
soglia, esso incontrer nel suo oltre la propria negazione pi radi-
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Poich la speranza comica nella rinascita dei morti e nella rimarginazione delle ferite della violenza non nemmeno pensabile, se non
in uno straniante happy end hollywoodiano, la parola retorica sceglie
di opporsi alla trionfante intrattabilit della realt esistenziale cui
ancorata. Fa del proprio discorso il luogo stesso della mediazione assoluta: lintero campo retorico rimane saldamente ancorato alla realt esistenziale come alla propria motivazione originaria; ma proprio
per espletare il proprio compito la retorica, come un generale esperto,
sposta il discorso su un terreno propizio. Dove la parola si nega assolutamente ad ogni immediatezza, votandosi allinfaticabile differimento strategico della realt.
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storica che si definita concependo se stessa quale epoca della modernit. Premoderna significa infatti precedente allavvento del concetto di modernit e, certamente, difforme da esso; non per superata
dialetticamente come vorrebbe quella particolare filosofia della storia
che organica a quel concetto. Il corpo oggettivo della letteratura ha
continuato a crescere anche nellepoca della modernit ed il sistema
topologico della tradizione a funzionare.
La sfida a ricollocare lidea postromantica di letteratura entro latavismo antropologico del discorso umano appare decisiva, se si considera che viceversa quella che stata lidea di letteratura proman da
una corrente tutto sommato minore, il modernismo intellettuale, che
oggi pare per di pi aver esaurito il proprio corso. Come vedremo, non
oggi pi possibile narrare una storia della retorica conformandosi a
ci che la modernit ha definito Storia, o letteratura. A meno di
non rinunciare completamente a comprendere il nostro tempo.
6.1 La logica del vivente
A questo punto, se si ben seguito il filo del mio argomento, al
pettine non sar sfuggito un nodo alquanto indocile. La concezione
retorica della letteratura come peculiare tecnologia della parola deve
farsi carico di un problema: ci troviamo ad osservare un dispositivo di
simbolizzazione che, per essere efficace, si svincola dalle mediazioni
nellordine della storia e della conoscenza; eppure il suo potenziale si
deve alle successive determinazioni di una tecnica che chiaramente
tributaria di un processo di accumulazione nel tempo.
Si tratta di comprendere gli effetti virtuosi di una complessit crescente, ma incapace per vocazione e non per accidente di circoscrivere le proprie modalit entro una ratio storica o epistemologica.
Il modello della morfogenesi multidimensionale (messo a punto dalla
antropologia biologica per spiegare il ruolo della cultura nellantropogenesi) pu servire, a mio avviso, anche a comprendere la complessit
morfologica del discorso retorico.
Definendo lessenziale della ominidizzazione, Edgard Morin la concepisce come un processo di crescita della complessit a molte dimensioni, in funzione di un processo di autoorganizzazione o autoproduzione.16 La teoria della complessit pu sciogliere il groviglio aporetico
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Ernst Robert Curtius riscopr nella capacit modellizzante della topica il valore basilare che la retorica aveva per il sistema formativo classico. Nellautoistituirsi come sistema della tradizione letteraria occidentale, si delineava un incremento di complessit interamente funzionale al
processo della propria autoorganizzazione oltrech autoriproduzione.
Detto in termini pi semplici, la ripetitivit e ripetibilit del topos, assicurando continuit e memoria, resero questa microstruttura lepicentro
della tradizione. Questultima, a propria volta, veniva a coincidere con
il processo di trasmissione e apprendimento in quanto tale:
La letteratura parte integrante della cultura (Bildung). Perch, e da
quando? Perch i Greci trovavano nella poesia lo specchio ideale del loro
passato, del loro essere, dei loro dei. I Greci non possedevano n libri sacri
n caste sacerdotali; era Omero la loro tradizione. Gi nel VI secolo a.C.
le opere di Omero erano usate come testi scolastici; sin da allora la letteratura legata alla scuola. Listruzione divenuta latrice della tradizione
letteraria: questo un dato di fatto caratteristico dellEuropa, non per
condizione necessaria []. In via teorica, sarebbe anche stato possibile un
andamento del tutto diverso.17
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LETTERATURA E SOPRAVVIVENZA
6.2.2 La tradizione come riserva topica (II): portolano per un sistema a proliferazione aperta
Nella tradizione retorica, insomma, il processo temporale era ben
lungi dallesser pensato come progredire storico di mutevoli condizioni che limitano le possibilit di ogni dato segmento discreto di tempo. Men che meno esso appariva come selezione di istanze sottoposte
alla verifica dellesame razionale. Il concrescere temporale era invece
concepito ed elaborato come accumulo di risorse, rese costantemente
disponibili dal loro mero depositarsi in forme risapute ed organizzate.
Lordinamento che le dominava era linterrelazione spaziale, una localizzazione che le rendeva fungibili perch trasmesse. E trasmissibili
perch praticabili.
Il corpo oggettuale della letteratura si produce cos, sempre seguendo Antonelli, come thesaurus di forme della continuit. Una
continuit che lo stesso Antonelli, pur tra opportune virgolette, definisce ovvia (e come non pensare a Barthes?). Al contempo si innesca
la crescita della letteratura come meccanismo di proliferazione, svincolata da direttive aprioristiche o linee di esclusione:
La formazione dei loci della massima importanza, perch lo stesso sistema dei loci pu essere usato ripetutamente per ricordare materiale diverso. Le immagini che abbiamo collocate in essi per ricordare un sistema di
cose svaniscono e si cancellano quando non ce ne serviamo pi. Ma i loci
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Intendo per luoghi comuni non quelli, come generalmente oggi si crede,
che hanno per tema la dissolutezza e ladulterio e simili vizi, ma le sedi
in cui stanno come in deposito e da cui si traggono le dimostrazioni.20
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A rendere particolarmente interessante il ricorso a questa metaforica il fatto che sia la stessa adottata per la tecnica in alcuni luoghi
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8.1 Carbone
Il luogo comune come sedes argomentorum, secondo quanto specificato dalla retorica classica, corrisponde perfettamente alla richiesta
del Gestell, cio allessenza della tecnica nel senso della provocazione
disvelante di Heidegger:
La terra si disvela ora come bacino carbonifero, il suolo come riserva di
minerali. In modo diverso appare il terreno che un tempo il contadino coltivava, quando coltivare voleva ancora dire accudire e curare [] Il carbone estratto (gefrdert) nel bacino carbonifero non richiesto (gestellt) solo
affinch sia in generale e da qualche parte disponibile. Esso immagazzinato, cio messo a posto in vista dellimpiego (Bestellung) del calore solare in esso accumulato. (La questione della tecnica, in Saggi e discorsi, p. 11)
Anche nella costituzione di una topica, la parola non semplicemente impiegata, ma messa a posto in vista di un impiego. La parola non
soltanto resa disponibile, immediatamente, ma assume una dimensione di disponibilit allutilizzazione ancora pi radicale: il rendimento
della parola topologicamente sedimentata non si esaurisce nel suo valore puntuale, ma si implementa in una rendibilit ulteriore. Si definisce
come orizzonte della strutturale ulteriorit dei propri valori duso.
La disponibilit di ci che posto mediante lo Stellen ha il carattere di profilare sempre un impiego ulteriore. Heidegger denomina
ci Bestand, fondo:
La parola fondo prende qui il significato di un termine chiave. Essa
caratterizza niente meno che il modo in cui presente (anwest) tutto ci
che ha rapporto al disvelamento provocante. Ci che sta (steht) nel senso
del fondo (Bestand), non ci sta pi di fronte come oggetto (Gegestand)
[] dal punto di vista del fondo [esso] il puro e semplice contrario
dellindipendenza [] ha infatti la sua posizione (Stand) soltanto in base
allimpiego dellimpiegabile. (op. cit., pp. 12-13)
La discorsivit topologica della parola retorica corrisponde perfettamente alla dimensione del Bestand heideggeriano: la collocazione
topica della parola vive una dimensione di ulteriorit dellimpiego
proprio perch essa presente sin da principio in un rapporto con
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tenza tecnica.25 Stando cos le cose, la parola retorica, dispiegata nella topica come fattispecie della tecnica, sembra irrecuperabile ad un
pensiero che si propone di andare oltre la mera tecnicit della tecnica.
Il destino della topologia retorica appare schiacciato tra il nichilistico principio di prestazione (Leistungsprinzip) da un lato,26 ed il
disvelamento come essenza non tecnica della tecnica dallaltro.
Ma in che senso il disvelamento si pone come ganascia di questa
morsa, perch esso dovrebbe opprimere, o comprimere, la topologia
retorica? Ci dipende dalla qualit di categoria ontologica inerente
allaletheuein, che aspira a diventare balsamo contro loblio dellessere: un oblio consumatosi come destino metafisico del nichilismo
occidentale, nella dislocazione dellessere allente. Ma la retorica
un ambito di sapere costitutivamente ontico. Cos concepita, limplicazione ontologica dellessenza della tecnica abbandona la retorica
nellirredento, pur riscattando il carattere strumentale del fenomeno
tecnico a livello ontico. Infatti il piano dellontico , per statuto, il
campo di applicazione non solo della tecnica retorica, ma anche del
sapere retorico, dal momento che la retorica unimpresa culturalepedagogica a vocazione antropologica.
Ci fa chiarezza, pur non sciogliendolo, sul nodo concettuale che
determinava la costante storica della condanna della retorica da parte
della metafisica occidentale: il discredito della retorica un aspetto
della comprensione (o, come ho accennato, compressione) dei rapporti
tra ontico ed ontologico nellunica figura della antitesi.
Lontologia appare allora come una liberatoria/rivelatoria fuoriuscita dallontico. Il momento disvelante che sarebbe potuto appartenere alla prestazione retorica, in virt della natura tecnologica di
questultima, le viene sottratto. La retorica sapere ontico: come tale
abdica a ogni diritto sullessere, e dunque sullaletheuein. La titolarit
spetter alla sola filosofia, orizzonte della conoscenza ontologica. A
partire da questi presupposti, soltanto se sar possibile individuare
sul versante ontico della tecnica retorica una struttura paradossale in
cui un aspetto di essa si opponga, dallinterno, al suo aspetto strumentale, soltanto allora lorizzonte della parola retorica si mostrer
come uno spazio abitabile. E non come un luogo di transito verso
laccesso allontologia.
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Come Heidegger stesso avverte (in un primo senso in pari tempo) qui lidea della violenza esula certamente dal mero senso di
una forza esorbitante che va a infrangere unintegrit costituita; ma
inoltre la violenza va effettivamente pensata anche secondo il significato usuale di brutalit.
La determinazione ontologica della violenza deve corrispondere a
quella di cui si fa esperienza sul piano ontico, usuale: una siffatta determinazione verrebbe allora a connotare non il carattere irriflessivo
di questo uso ma il suo carattere ancestrale.
A questo punto, il confronto della metafisica heideggeriana con una
riflessione che si svolge entro una cornice propriamente antropologica,
e peculiarmente come antropologia della violenza, dovrebbe gettare
luce su entrambe. Se to deinotaton esprime non un carattere tra gli altri
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LETTERATURA E SOPRAVVIVENZA
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Ponendo questo brano accanto al testo di Girard, e leggendoli contemporaneamente come in una sorta di sinossi ontico-ontologica, essi
si illuminano a vicenda. La morte comminata alla vittima sacrificale
nellatto violento della collettivit, resa comunit unanime proprio
dal meccanismo vittimario, viene, da un lato, a significare labolizione
della cultura anche come caso limite dellassoggettamento; dallaltro
lato, ve la fonda. Se, per un verso, la crisi sacrificale espelle dun
tratto luomo da ogni quiete consueta, per altro verso predispone la
sua quiete: nella risoluzione sacrificale la violenza indiscriminata ed
inarrestabile si dirige contro il capro espiatorio proprio nella forma
della espulsione fondatrice, ma quivi placata.
8.4.2 R/esistere sul proprio limite
La morte viene cos a corrispondere in quanto concetto antropologico alla morte pensata da Heidegger come categoria esistenziale.
solo il carattere definitivo dellespulsione a togliersi tramite lespulsione regolata dal rituale, sebbene si tolga solo al livello della specie,
non certo a quello del singolo uomo sacrificato.
Continuando a seguire il raccordo concettuale heideggeriano contro lo sfondo dellantropologia girardiana, si impara quindi che non
soltanto luomo come Da-sein ma anche la sua cultura senza scampo di fronte alla morte, poich essa si fonda e si salvaguarda da s
nel senza scampo della morte.
La morte si mostra qui non solo come suggello della finitudine ontologica delluomo ma anche come suggello della sua finitudine culturale. Per quanto a prima impressione possa apparire assurdo, si deve
qui rilevare che nella ricaduta economica della assoluta antieconomia
del sacrificio, si scorge gi laspetto fondamentale di quella creativa
impotenza del sapere che ben si attaglia anche alla prestazione retorica della cultura. Presto al testo sacrificale subentrer il testo tragico.
Lossimorica potenza che si effettua nellimpotenza di s. La cultura come persuasione che dissuade. Qui risiede la risorsa di una discorsivit che tale in quanto sa mantenersi entro il cerchio degli effetti dei propri effetti patetici, in quanto si esenta dal salto ontologico
nel regime della consequenzialit causale. Capacit questa che, a ben
guardare, era gi del testo sacrificale, allorquando salvava la comunit
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LETTERATURA E SOPRAVVIVENZA
dallo sterminio totale persuadendola ad attenersi al sanguinario luogo comune dello scempio della vittima.
Lanalisi comparata di Heidegger e Girard dischiude dunque una
visione inaudita: nella corrispondenza di antropologia e metafisica
della violenza, il concetto di violenza determina lincontrarsi di ontologia ed onticit. Dal punto di vista della retorica ci risulta evidente,
e si pu verificare nellosservarne la peculiare condizione: negatasi
in quanto sapere statutariamente ontico ad ogni accesso ontologico,
limpresa retorica come impresa discorsiva nasce e si mantiene proprio nellopposizione alla violenza.
Nella violenza infatti il discorso incontra il proprio limite, tanto
come ci che le d forma (morph) quanto come ci che la delimita.
Di fronte e contro il nucleo ontologico della violenza, come ci che
semplicemente essente non pu essere retorizzato, il discorso retorico fa infatti esperienza dellessere nellannientamento di s. La violenza per il campo retorico lunica nozione ontologica attingibile ed
in essa lessere conosciuto come identico al potere annichilente del
ni-ente. Dal punto di vista retorico ci ben si esprime con la definizione aristotelica della morte come impersuadibile . Sul piano del dato
antropologico culturale, la retorica mostra di corrispondere nel nisus della violenza allontologia metafisica, come suo versante ontico.
8.5 La creativa impotenza del (non) sapere
Ma gi nel suo sorgere storico dai processi di propriet (cui ho voluto
rendere omaggio con la citazione da Barthes in incipit), il metalinguaggio retorico , allopposto di quanto superficialmente si dice da parte
di chi vorrebbe vedere in essa un mero strumento di assoggettamento,
un primo fondamentale momento dellinfrangersi della violenza.
Cooriginario al genere misto che noi oggi definiremmo giudiziario/
deliberativo, linsegnamento retorico segna, nel bando della violenza,
una primitiva assunzione della propria finitudine da parte delluomo.
La retorica , per lesattezza, il modo in cui luomo storico, nellatto
di sorgere nella propria storicit dalla preistoria del fondo animale,
precomprende linferiorit del proprio sapere alla potenza della necessit. Il sorgere della retorica come sforzo impossibile di dirimere
il dissidio interumano, di placare il conflitto intraspecifico che la
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N psicagogia, n demagogia (secondo quanto suggerisce il fraintendimento dei suoi detrattori, fraintendimento giustificato poich essa
confina e, spesso, sconfina in esse), la retorica si mostra, allopposto,
come lunica guida per la condotta che consenta lesimersi dallazione
violenta, proprio quando la minaccia della violenza incombe.
Letica retorica dissoda il terreno per labitare il mondo. E il mondo
reso un luogo abitabile in quanto mero luogo, generando una preliminare socialit nelluniverso retorico come luogo di luoghi (topoi)
che, proprio perch tale, accoglie chiunque, sulla base di un accordo
veramente minimo: che non si fuoriesca da quel luogo per inoltrarsi
nella violenza. la priorit assoluta della salvaguardia vitale a far s
che, in quanto topologia, la retorica sia sin da principio una proposta
esclusivamente ontica, tanto che per essa il problema di non scivolare
in una disincarnata sapienza nemmeno si pone. Essa, in un certo
senso, ha addirittura preventivamente rinunziato alla sapienza, a vantaggio di una salvifica opinabilit.
8.7 Con grazia
Penso alla Frmmigkeit che Heidegger invocava per il pensiero meditativo,32 da cui doveva discendere la specifica efficacia di un pensiero senza effetti: un pensiero della tecnica, ma opposto dallinterno di essa al suo furore produttivo. Ecco, quella stessa Frmmigkeit si
esercita da sempre nella retorica a rovescio, come specifica efficacia di
un pensiero di soli effetti.
Il tenere la retorica per pericolosa demagogia o perniciosa psicagogia, sopraffazione o seduzione, dipende dallintenderla a partire
da uno solo dei suo tre imperativi contraddittori, il movere. Ma la
retorica sorge nel nesso di presupposizione di tutti e tre i suoi intenti,
movere, docere, delectare, nesso nel quale essi si elidono a vicenda:
coappartenendosi non fanno che cancellare le prerogative esclusive
luno dellaltro, lasciando dinanzi al retore un uomo che non n
edotto, n divertito, n mosso. Bens salvo. Salvo come membro di
una comunit che non poteva e non pu essere fondata su altra base
che la superficialit del topos.
La sapienza tragica dei greci fornisce la parola per questa commozione, dacch la forma di quella sapienza, il dramma tragico, fu la
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NOTE
Si veda a questo proposito il fondamentale studio di Frances A. Yates, The Art
of Memory, London, Routledge & Kegan, 1966 (trad. it., Larte della memoria,
Torino, Einaudi, 1993). Yates, dopo aver esordito puntualizzando che la storia
dellarte mnemonica del mondo classico [] apparteneva alla retorica, come la
tecnica mediante la quale loratore poteva migliorare la sua memoria, mettendolo in grado di recitare lunghi discorsi a memoria con ineffabile accuratezza
(op. cit. p. 4), amplia il discorso fino a vedere nellopposizione alla correlazione
tra persuasione, memoria ed invenzione, che fa della retorica una pragmatica,
il nocciolo antisofistico della dottrina platonica delle idee: Il Fedro un trattato di retorica in cui la retorica considerata non gi unarte di persuasione
da usare per vantaggi personali o politici, ma unarte di dire la verit e di
persuadere a verit gli ascoltatori. Il potere di farlo dipende dalla conoscenza
dellanima e vera conoscenza dellanima consiste nella reminiscenza delle idee.
La memoria non una sezione di questo trattato in quanto parte dellarte
retorica: memoria, in senso platonico, lattivit fondamentale del tutto (op.
cit. p. 36).
2
Lestraneit alla teoria non un difetto accidentale della retorica ma un suo
tratto essenziale che le deriva dalla stessa definizione di techne. Quando Aristotele definisce alternativamente la retorica come larte di estrarre da ogni soggetto il grado di composizione che esso comporta, o come la facolt di scoprire
speculativamente ci che in ciascun caso pu essere atto a persuadere, lo fa coerentemente alla preliminare fissazione dello statuto tecnico di essa come mezzo
per produrre una delle cose che possono indifferentemente essere o non essere.
Il carattere tecnico dellarte del discorso la esenta dal problema della verit
perch, non essendovi techne delle cose naturali o necessarie, larte del discorso
non fa parte n delle une n delle altre. Tutte le caratteristiche della argomentazione retorica discendono conseguentemente da questo statuto tecnico stabilito
da Aristotele per larte del discorso: cfr. R. Barthes, La retorica antica, op. cit., pp.
20 e segg. Da ci discende anche lestraneit deliberata della retorica al problema
della causalit, che ne fa un sapere che si autocomprende nel campo delleffetto
delleffetto. La competenza sulla catena causale rimonta alla scienza della verit
poich quella si estende di necessit fino ai principi dellessere, implica cio un
impegno ontologico degli enunciati cui la retorica intenzionalmente aliena perch serve, secondo la mia prospettiva, una finalit antropologica che pu essere
esaudita soltanto con lautolimitazione allambito della verosimiglianza consensuale e della mediazione finzionale.
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zione tecnologica cui corrisponde una involuzione politica e sociale, una guerra
totalmente estranea alla misura delluomo, guerra alla cui base sta un principio
di non separabilit degli accadimenti bellici che fa risaltare, per contrasto, il
tradizionale legame tra discorsivit retorica ed operazioni militari. Cfr. P. Virilio,
Lespace critique, Paris, Christian Burgois Editeur, 1984 (trad. it., Lo spazio critico,
Bari, Dedalo, 1988; si vedano in particolare le pp. 123-146).
9
Questo spunto richiederebbe un approfondimento alla luce del quale non soltanto la retorica bellica ma anche la Guerra stessa possa essere compresa nella sua natura retorica di opposizione alla violenza bruta ed indiscrirninata. A
questo punto costituirebbe una digressione troppo ampia, ma con il supporto
di Carl Schmitt ricostruir nel prossimo capitolo una teoria della guerra che
individui una formazione discorsiva antiviolenta nella complementariet tra concetto giuridico e prassi della guerra in forma. La riflessione di Schmitt induce, infatti, a ridefinire le tecnologie belliche esaminate da Virilio nei termini di
macchine da violenza. La violenza, e non la guerra, appare come la loro propriet
nella misura in cui esse sono armi di distruzione di massa, cio proprio in virt
di una loro distinzione rispetto alla strategie dispiegate convenzionalmente e
tradizionalmente dalle forme della guerra.
10
Thomas B. Farrell, Norms of a Rhetorical Culture, New Haven & London, Yale
University Press, 1993, p. 107.
11
Ibidem.
12
Per quel che segue, cfr. Jrgen Habermas, Il discorso filosofico della modernit:
dodici lezioni, traduzione italiana a cura di Emilio ed Elena Agazzi, Bari, Laterza, 1988. Habermas segue a propria volta R. Koselleck, Vergangene Zukunft,
Frankfurt a. M., 1979 (trad. it., Futuro Passato, Genova, Marietti, 1986).
13
Sugli slanci verticali della modernit, entro e fuor di metafora e per una
loro critica si veda Peter Sloterdijk, Du must dein Leben ndern. ber Anthropotechnik, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 2009 (trad. it., Devi cambiare la tua
vita, Milano, Cortina, 2010, in particolare pp. 137 e segg.)
14
Hans Blumenberg, La legittimazione della modernit, edizione italiana a cura
di Bruno Argenton, Bologna, Il Mulino, 1993, p. 82.
15
Sono infatti i teorici della parola retorica come tecnologia della parola, cio
come specifica prestazione antropologica della specie umana, a fornire una
narrazione storica della storia della retorica diversa rispetto a quella ispirata
dallestetismo modernista. Ed una narrazione continuistica proprio perch antropologicamente orientata. Esponente di spicco di questo orientamento Walter J. Ong che, per tramite della mediazione di Eric A. Havelock, discende dalla
scuola di Milman Parry. Di Ong si vedano, W.J. Ong, Ramus, Method and the De-
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145
cay of the Dialogue, Cambridge, Mass., Harvard University Press, 1958; Rhetoric,
Romance and Technology, Ithaca-London, Cornell University Press, 1971; Orality
and Literacy. The Technologizing of the Word, London-New York, Methuen, 1982
(trad. it., Oralit e scrittura, Bologna, Il Mulino, 1986).
16
Edgar Morin, Le paradigme perdu: la nature humaine, Paris, Seuil, 1973 (trad.
it., Il paradigma perduto, Milano, Feltrinelli, 1994, p. 60).
17
Ernst Robert Curtius, Letteratura europea e Medio Evo latino, ed. it. a cura di
Roberto Antonelli, Firenze, La Nuova Italia, 1992, p. 45.
18
Roberto Antonelli, Filologia e modernit, p. XXXI, in E. R. Curtius, Letteratura
europea e Medio Evo latino, op. cit.; si veda pi in generale lIntroduzione, pp. VIIXXXIV. Antonelli avalla del resto indirettamente il nostro ricorso ad un modello
bio-antropologico per illustrare il funzionamento topologico della tradizione
retorica quando stabilisce un paragone tra le forme biologiche e lindagine sulla
morfologia letteraria praticata da Curtius: In sede (storiografico-) letteraria, sostiene Curtius, in modo finalmente esplicito ed organico (riprendendo intuizioni
gi del Troeltsch), lunica risposta possibile allabbandono dello storicismo unilineare, catena ininterrotta e progressiva di eventi privi di significato, a favore di
eventi che interpretino la storia e ne ricavino le forme biologiche: la morfologia
e le strutture (ivi, p. XXIII).
19
Frances A. Yates, Larte della memoria, op. cit., p. 8.
20
Quintiliano, Inst. orat. V 10, 20. Versione italiana a cura di R. Faranda e P.
Pecchiura, Torino, UTET, 1979.
21
R. Barthes e J.-L. Bouttes, Luogo comune, p. 577, in Enciclopedia, Torino, Einaudi. Per un approfondimento su come la contemporanea scienza letteraria di
stampo semiotico abbia recepito la nozione di topos della tradizione retorica, si
vedano anche Paul Zumthor, Topique et tradition, in Potique, 7 (1971); Anne
Herschberg-Pierrot, Problematique du clich, in Potique, 43 (1980); Georges
Leroux, Du topos au thme, in Potique, 64 (1985); Christian Plantin (a cura
di), Lieux communs. Topoi, strotypes, clichs, Paris, Kim, 1993.
22
Roland Barthes, La retorica antica, op. cit., p. 75.
23
Martin Heidegger, La questione della tecnica, in Saggi e discorsi, ed. it. a cura di
G. Vattimo, Milano, 1991, p. 5.
24
Gianni Vattimo, in una nota alla sua traduzione dei Vrtrage und Aufstze
per leditore Mursia, a proposito del Ge-stell scrive: Questo termine significa
letteralmente scaffale, scansia e intelaiatura. Heidegger lo usa in un senso
peculiare, che lo ricollega al significato del prefisso Ge- inteso come costituente
un nome collettivo, e al verbo stellen (porre) con tutti i suoi derivati, cfr. Martin Heidegger, Saggi e discorsi, cit., p. 14, nota 1. Il senso peculiare in questio-
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formit, per mantenersi al livello del reale, cfr. M. Heidegger, Saggi e discorsi,
cit., pp. 62-63. Si tenga presente che, molto concretamente, tra le conseguenze
ontiche dellabbandono dellessere Heidegger inscrive anche le guerre mondiali ed il loro carattere di totalit (ivi, p. 60).
27
In questo percorso mi sono state preziose le annotazioni di Eugenio Mazzarella, raccolte in particolare presso E. Mazzarella, Tecnica e metafisica, Napoli,
Guida, 1981 e Id., Ermeneutica delleffettivit, Napoli, Guida, 1993.
28
Si veda Martin Heidegger, Introduzione alla metafisica, ed. it. a cura di G. Masi,
Milano 1968.
29
Il meccanismo vittimario per il pensiero di Girard la situazione antropologica fondamentale. Ecco come Girard lo descrive osservandolo allopera nel sacrificio rituale, contesto primitivo ma niente affatto esclusivo del suo manifestarsi: Lintero uditorio tenuto, in numerosi riti, a prender parte allimmolazione
che somiglia al linciaggio in modo tale che si pu scambiare luna per laltro.
Anche laddove limmolazione riservata ad un unico sacrificatore, costui di norma agisce in nome di tutti i partecipanti. Nellatto sacrificale si afferma lunit
di una comunit e questa sorge nel parossismo di una divisione, nel momento in
cui la comunit si ritiene lacerata dalla discordia mimetica, volta alla circolarit
interminabile delle rappresaglie vendicatrici. Allopposizione di ciascuno contro
ciascuno subentra bruscamente lopposizione di tutti contro uno. Alla molteplicit caotica dei conflitti particolari subentra dun tratto la semplicit di un antagonismo unico: tutta la comunit da una parte e la vittima dallaltra. Si capisce
facilmente in cosa consista questa risoluzione sacrificale: la comunit si trova
completamente solidale, a spese di una vittima non solo incapace di difendersi,
ma del tutto impotente a suscitare la vendetta; la sua persecuzione non potrebbe
provocare nuovi disordini e ravvivare la crisi poich unisce tutti contro di essa. Il
sacrificio solo una violenza in pi, una violenza che si aggiunge ad altre violenze, ma la violenza ultima, lultima parola della violenza (cfr. Ren Girard, Des
choses caches depuis la fondation du monde, Paris, Grasset & Fasquelle, 1978,
trad. it. a cura di R. Damiani, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, Milano, Adelphi, 1983, pp. 40-41). A partire dalla sconcertante ipotesi del
meccanismo vittimario, la quale d prova di uno straordinario potenziale di
spiegazione ed unificazione di una vastissima massa di dati etnologici eterogenei,
Girard elabora una teoria del religioso come origine della cultura: Per capire la
cultura umana bisogna ammettere che larginamento delle forze mimetiche da
parte dei divieti, il loro incanalamento nelle direzioni rituali, pu solo estendere
e perpetuare leffetto riconciliatore della vittima espiatoria. Il religioso non altro che questo immenso sforzo per mantenere la pace. Il sacro la violenza (ivi,
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LETTERATURA E SOPRAVVIVENZA
p. 50). Non deve poi stupire che la struttura fondamentale della cultura rimanga,
secondo lespressione biblica adottata da Girard, nascosta sin dalla fondazione
del mondo, poich: La capacit del meccanismo vittimario di produrre del sacro interamente fondata [] sul misconoscimento di cui questo meccanismo
diviene oggetto (p. 52).
30
La critica che Girard rivolge ad Heidegger, molto di sfuggita per la verit,
lesatto rovescio di quella che la linea ontologizzante dellesegesi heideggeriana muove a Girard. Ne un esempio il saggio di Philippe Lacoue-Labarthe,
Typographie, in Mimsis des articulations, Aubier-Flammarion, Paris, 1975, pp.
167-270, in particolare pp. 231-250. Nella sua replica a Lacoue-Labarthe, Girard individua il motivo del dissidio nel fatto che il filosofo francese concepisca platonicamente il mimetismo in termini di rappresentazione, manchi cio
lessenziale non vedendo lorigine della rivalit mimetica nella mimesi dappropriazione, quel punto di partenza nelloggetto su cui non insisteremo mai
abbastanza, cfr. R. Girard, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo,
cit., p. 32. Il dibattito, per esplicita dichiarazione di Girard, viene a configurarsi
come una contrapposizione tra la disciplina di pensiero filosofico e lordine del
sapere antropologico. In sintesi, ad Heidegger, Girard rimprovera la filosofia,
prima che la sua singolare filosofia, cos come, in perfetta specularit, lheideggerismo francese ha rimproverato a Girard lantropologismo del suo pensiero: Se
Platone unico nella filosofia per la fobia che gli ispira la mimesi, a tale titolo
pi vicino allessenziale di chiunque altro, tanto vicino quanto il religioso primitivo, ma pur sempre molto mistificato perch non riesce a giustificare questa
fobia, non ci rivela mai la sua ragione dessere empirica. Non riconduce mai gli
effetti conflittuali alla mimesi dappropriazione, vale a dire alloggetto che i due
rivali mimetici cercano di strapparsi lun laltro designandolo reciprocamente
come desiderabile [] si tratta di un fatto davvero notevole [il tema dei gemelli
in Platone], ma nessuno ha cercato di leggere Platone alla luce delletnologia.
Eppure quello che si deve fare per decostruire veramente ogni metafisica.
Al di qua dei Presocratici verso i quali risalgono Heidegger e lo heideggerismo
contemporaneo, non c che il religioso, e bisogna capire il religioso per capire la
filosofia. Non essendo riusciti a capire il religioso partendo dalla filosofia, bisogna rovesciare il metodo e leggere il filosofico alla luce del religioso (ivi, p. 31).
Siamo qui evidentemente in un circolo vizioso: lidea stessa di rovesciamento
foriera di una cattiva infinit poich alla serie dei rovesciamenti non c mai fine.
Ma siamo anche nel cuore di un nodo teorico fondamentale su cui non mi soffermo oltre, dacch il mio scopo qui vorrebbe essere un embrionale tentativo di
sciogliere il nodo dellantitesi tra orientamento ontologico e orientamento ontico
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alla comprensione dellumano proprio individuando nellantropologia girardiana una prospettiva ontica in cui si sostanzia la ontologia filosofica heideggeriana.
31
Recupero lefficace locuzione di Mazzarella in Tecnica e metafisica, cit., p. 295.
32
Frmmigkeit lasciar-essere-lessere: un corrispondere allepifania dellessere originario, inteso come ci che concede la presenza; ci, dunque, che disvela
quegli stessi enti, ai quali il pensatore rimette la colpa della loro finitudine,
sperando che cos lessere rimetta a lui la sua.
33
Cfr. Hans Blumenberg, Arbeit am Mythos, Frankfurt am Main, Suhrkamp,
1979 (ed. it. a cura di Bruno Argenton, Elaborazione del mito, Bologna, Il Mulino, 1979, p. 37).
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0. Sul campo
Dedicher gli ultimi due capitoli di questo libro ad analisi pi serrate, per mettere alla prova larmamentario teorico che ho provato a
dispiegare fin qui. In particolare nel prossimo e conclusivo capitolo mi
impegner in una sfida alle linee pi ambiziose del paradigma metaforologico, quelle schierate da Ricoeur nel suo colossale e (se ci si attiene
a quella direttrice) ancora insuperato La metafora viva. Nelle prossime
pagine invece torner su Schmitt, a cui ho potuto dedicare negli scorsi
capitoli solo pochi cenni, per quanto cruciali: con questa scorta rilegger Hemingway come il narratore di guerra nel momento in cui la
Guerra, nella sua forma classica, scompariva tra le brume e i pantani
della nuova violenza: disseminata, massiva, metastatica.
1. La guerra renitente
Larte e la letteratura del Novecento ci restituiscono in maniera per molti aspetti inedita unimmagine della guerra che colloca
questultima interamente al di fuori della sfera del senso. La guerra
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LETTERATURA E SOPRAVVIVENZA
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to teologico dottrinario della justa causa. Invece la nuova guerra moderna statuale, separando il contenuto motivazionale e giustificatorio
della guerra dalla sua forma giuridica, la radica nella struttura spaziale propria ad uno Stato territoriale chiuso, dotato di confini stabili, col
risultato di trasformare la guerra, da mera attivit di annientamento
reciproco, in misurazione regolata delle forze che termina con la realizzazione di un nuovo equilibrio (op. cit., p. 201).
2.2.2 In equilibrio (II): il nemico giusto
Una seconda difficolt concettuale, peculiare del nuovo concetto di
guerra interstatale, sta nella connessione tra la visione non discriminatoria del nemico e la guerra come discrimine che contiene e inquadra la
violenza. Ho accennato a come nelle guerre medioevali la discriminazione del nemico comportasse la deriva della guerra nella violenza indiscriminata. Ora, essendo il carattere giuridico di una guerra trasferito
da considerazioni contenutistiche di giustizia nel senso della justa causa
alle qualit formali di una guerra interstatale di diritto pubblico [] il
concetto di guerra giusta formalizzato in quello di nemico giusto (op.
cit., p. 182). Lo justus hostis non perci il nemico giusto, colui che si ha
ragione di voler annientare: allopposto, il nemico giusto, vale a dire
colui nei confronti del quale si ha titolo giuridico per muovere guerra.
Un titolo che ci conferito dal fatto che egli sia parimenti titolato.
Nei confronti dello justus hostis vige cio una comunanza giuridica,
allinterno della quale soltanto possibile la comitas gentium, la cortesia come concetto fondamentale del diritto delle genti (jus gentium),
che si genera proprio bandendo la violenza indiscriminata dalla guerra come luogo del conflitto.
lo jus, la giuridicit della guerra, il solo elemento in cui la concretezza di un equilibrio incardinato in un ordinamento spaziale rende al contempo garantita e necessaria la amicitia, pur entro lostilit.
La salvaguardia dei prigionieri di guerra e delle popolazioni civili, la
neutralit di uno stato terzo, unoccupazione militare straniera che
conservi lordine e la sicurezza nel territorio occupato, la sanzione
della fine di un conflitto grazie a un armistizio e trattato di pace che
prevedano risarcimenti, ripristino del principio di propriet, nuova
regolamentazione del possesso, mettendo cos fine a ogni dissidio, e,
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inoltre, il contenimento della violenza, sono tutte garanzie rese possibili e necessarie dalla giuridicit del concetto di guerra.
2.3 La violenza in gabbia
La definizione di guerre en forme coglie dunque lessenziale di
questo concetto di guerra che si caratterizza proprio per essere una
forma. Siamo di fronte ad un dispositivo la cui prestazione principale consiste nellautodefinizione di s per esclusione di ci che eccede il proprio limite cos formalmente stabilito. Il formalismo della
guerra sette-ottocentesca ci appare qui come tuttaltro che vuoto.
Esso addirittura salvifico. La definizione formale mette fuori gioco
proprio la violenza indiscriminata che aveva caratterizzato le guerre
civili religiose cos come altri tipi di conflitto. Non che la guerre en
forme non contenesse in s la violenza. Tuttavia essa, per lappunto,
la conteneva: accogliendola entro il proprio dispositivo formale, la
escludeva da s. La violenza era bandita dalla guerra in forma proprio nellatto con il quale veniva inglobata: limitata allinterno, nelle
forme della violenza; allesterno, con lesclusione della violenza come
informit indiscriminata.
La distinzione concettuale che pone nella guerra non lidentico
della morte e della violenza bens la forma della morte e della violenza, viene cos ad essere impresa di civilt. La messa in discorso della
violenza nella formalizzazione bellica lextrema ratio delluomo. Istituendo nella propria forma il differenziale rispetto allinforme della
violenza indiscriminata, la guerra si pone infatti, sorprendentemente,
a salvaguardia di unumanit antropologicamente intesa, dispiegando
una razionalit strategica tanto efficace quanto antiumanistica:
Anche se si ammette che nella lotta che ha luogo nello stato di natura luomo lupo per laltro uomo, ci non ha alcun significato discriminante,
poich anche nello stato di natura nessuna delle due parti che si trovano in
conflitto ha il diritto di sopprimere leguaglianza attribuendo a se stessa la
qualit di uomo, allavversario invece quella di lupo. (op. cit., p. 173)
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La guerra come forma della propria delimitazione, , al tempo stesso, leffetto e la causa di questo potere costituente e ordinatore: in essa
la capacit di posizionamento del nesso ordinamento/localizzazione si manifesta nella sua forma pura nella fattispecie di un uso della
violenza che per creatore di diritto (op. cit., p. 63). Allo stesso modo
e al converso, la distruzione del concetto di guerra , simultaneamente, causa ed effetto dellinfrangersi del nomos della terra.
3.2 Perdendo la terra
Perdendosi al senso spaziale, nella modernit la guerra cade fuori
dalla sfera del diritto. La guerra come luogo concettuale di discriminazione della e dalla violenza perch basata sulla non discriminazione
del nemico, si ribalta in una categoria penalistica: assume un senso
incriminante per il nemico, perdendo per la propria facolt di discrimine della violenza.
Con la prima guerra mondiale, ritorna la distinzione tra guerra giusta ed ingiusta. Il trattato di Versailles del 1919 pone la guerra fuori
legge, poich la guerra viene a essere tenuta per crimine in se stessa.8
Il crimine di guerra non pi inteso come una fattispecie giuridica allinterno di una sfera delimitata dal diritto internazionale, ma
queste parole vengono ad assumere il significato di criminalizzazione della guerra in quanto tale. Essendo il concetto di guerra sempre
strettamente correlato alla nozione di nemico e di arma, ci significa,
molto concretamente, la criminalizzazione del nemico. La sua riduzione da soggetto di diritto quale era a criminale. Potenzialmente
da reprimere con unarma annientatrice.9
Lo sforzo a fondare un nuovo ordinamento giuridico internazionale, conforme ai tentativi di abolizione e outlawry della guerra, venne
intrapreso negli anni compresi tra le due guerre mondiali, e si concluse dunque nel tragico fallimento della seconda guerra mondiale.
Epper la tragedia non consiste soltanto nel fatto bruto che una nuova
guerra si sia prodotta, ma anche nelleccezionale brutalit della nuova
tipologia di guerra.
Il dato quantitativo di una ennesima guerra che si va ad aggiungere
alla ininterrotta sequenza dei conflitti armati tra uomo e uomo, si accompagna al mutamento qualitativo per cui la violenza viene nuova-
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Il partigiano si afferma come combattente dellera della guerra generalizzata, nel triplice senso per cui essa comporta la mobilitazione generalizzata14 (la guerra pu essere mossa da ogni punto verso
ogni altro punto senza pi rispondere ad un senso dello spazio come
spazio strutturato in localit, ora soltanto pi spazio matematizzato,
astrattamente algebrico); guerra di sterminio perch loggetto della
inimicizia reale si configura come nemico assoluto da abbattere ed a
questo scopo vengono usate armi di annientamento, che non soltanto
non evitano il terrore ma lo ricercano; la sua motivazione, essendo politica, contenutistica e ci fa della guerra stessa una guerra assoluta
in quanto guerra di parte (il partito in guerra non ha alcun riferimento
in un sistema di equilibrio tra stati parimenti sovrani che ne delimiti
la conflittualit, la quale si spegne soltanto con laffermazione irrelata
di s nellannichilimento dellaltro).
Lirregolarit del partigiano in qualit di combattente, se riferita
esclusivamente a una linea militare, cos come era stata conosciuta
pur entro le guerre governate dal diritto di guerra classico, diviene ora
laspetto tattico di una nuova strategia planetaria, successiva allinfrangersi del nomos della terra, in cui La lotta viene ammessa come
un caso di legittima difesa che rende giusti tutti i mezzi[] anche lo
scatenamento del caos totale (Teoria del partigiano, 33).
Cos il sopravvento della violenza sulla guerra si manifesta con il
ricorso di principio alla necessit di rispondere allefferatezza con
lefferatezza, alla violenza con la violenza (op. cit., p. 35). Il ricorso
allidea pura di violenza nella leva del terrore esplicitamente teorizzato e praticato dai capi partigiani come sigillo di una guerra dellinimicizia assoluta che non conosce alcuna limitazione (op. cit., p. 40).
La Guerra come inseparabile dal discorso della guerra,15 sensato nella
sua enunciazione se non nei suoi enunciati, cede la parola al linguaggio dun generico orrore (op. cit., p. 42). La deterritorializzazione
della guerra ha cos inaugurato let delle armi di distruzione di massa
mentre la sua disseminazione preparava let del terrorismo di massa.
Se nellet della Guerra16 il dominatore della terra era stato il Signore della Guerra, il che lo sottometteva a suo volta alla chiara misura
di un vincolo tellurico, la nuova epoca della storia mondiale, su cui
troneggia la figura del partigiano, si annuncia avvolta in una tenebra
di fronte alla quale il terrore delluomo moderno si scopre identico
al terrore che il primitivo provava nei confronti dellarchetipo della
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completamente ignorata la coappartenenza sussistente tra le prestazioni retoriche della narrativa di guerra e il conflitto armato tradizionale, che era gi di per s un dispositivo discorsivo in quanto soggetto
a regole, concertazioni e convenzioni.
Identificando il personaggio protagonista dellintreccio romanzesco con leroe cristiano della guerra teologizzata, Fiedler attribuisce
al romanziere che testimonia del tramonto del concetto classico di
guerra unideale che gli estraneo, se non del tutto, almeno in parte:
Ma oggigiorno chi combatte contro la guerra, al pari di chi combatte
regolarmente la guerra, sa bene che tanto le vittorie quanto le sconfitte totali non sono pi possibili. Si arriva sempre ad un punto dove
entrambi i contendenti non possono pi proseguire (op. cit., p. 33).
Limpossibilit di attingere a una vittoria assoluta, ben lungi dallessere il motivo della disillusione dei romanzieri della lost generation nei
confronti della guerra, era invece proprio quella garanzia che la guerra aveva offerto ai loro predecessori e che, venuta meno con lavvento
della guerra totale del primo conflitto mondiale, rende ai loro occhi
la guerra inammissibile e impraticabile. in questa impraticabilit
della guerra che va dunque letta la tragedia della lost generation: una
generazione che ha perduto definitivamente la possibilit di pensare
alla guerra come forma di vita, oltre che una generazione decimata
dalla guerra.
Il gagliardo spirito di libert con cui lautore di A Farewell to
Arms avrebbe sfidato millenarie ortodossie un enorme equivoco
proiettivo di Fiedler e della critica novecentesca. Le millenarie ortodossie non si sfidano a cuor leggero ma se ne sconta il dissolversi
entro il nesso drammatico di una tragica necessit.
Il fraintendimento della critica novecentesca assume un doppio
aspetto ben rappresentato da Fiedler. Riconoscendo nellavvento del
romanzo contro la guerra la fine di due radicali della cultura occidentale (il romanzo di guerra e la Guerra stessa), Fiedler interpreta
il congedo dal concetto di guerra come morte dellonore e quello dal
romanzo di guerra come rifiuto della retorica letteraria (per tramite
del rigetto di quella patriottica, guerresca e nazionalistica).
Ma lonore, per come noi oggi lo intendiamo retrospettivamente,
una nozione eminentemente morale, laddove, come ampiamente
dimostrato da Schmitt, il formalismo di guerra stato un concetto
peculiarmente giuridico e politico, cio enormemente pi pratico e
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nemico non qualcosa che si possa mettere da parte per una qualsiasi ragione o che si debba annientare per la sua assoluta mancanza
di valore. Il nemico si situa sul mio stesso piano. Per questa ragione
devo contendere con lui nel corso di uno scontro, per conquistare la
misura di me stesso, il mio proprio limite, la mia figura (Teoria del
partigiano, p. 68).
In Hemingway, la scena madre che genera la firma della pace separata, il celebre brano che chiude il XXX capitolo di A Farewell to
Arms in cui si narra della rotta dellesercito regolare italiano dopo
Caporetto, al contempo il racconto del tragico passaggio dal nemico
giuridico a quello reale, dal nemico formale a quello indistinto e da
quello relativo a quello assoluto.
Gli alti ufficiali italiani che attendono al varco di un ponte il passaggio di una truppa battuta, disperata, pezzente e mortificata, per
prelevarne i sottufficiali e gli ufficiali di basso rango e fucilarli sul
posto dopo aver loro strappato le spalline e le insegne del comando,
limmagine della fine del concetto di guerra come conflitto armato legittimo tra eserciti statuali regolari in chiave di autolimitazione
della violenza reciproca. Quelli che erano combattenti di un unico
esercito si combatteranno dora innanzi tra di loro in uno scontro di
parti, in battaglie senza quartiere, in guerra senza limite. Lesecuzione sommaria (So far they had shot every one they had questioned)
alla testa di quel ponte segna, in termini schmittiani, la deriva del
concetto non discriminante di guerra interstatale nella guerra civile
intrastatale.
La struttura concettuale della separatezza della pace firmata dal
personaggio hemingwaiano organica al proprio contenuto storico
concreto, che qui consiste negli esiti della distruzione del concetto di
guerra quale forma coesiva imposta alla violenza informe. Lessere
separato rende infatti impossibile la distinzione, il che significa che
la fine della limitazione guerresca apre allillimitato della violenza.
6.2.2 Quel che resta dellonore
Ci che si detto a proposito del fraintendimento moralistico
e antiretorico riguardo al concetto classico di guerra e alla sua
fine, va ora ripetuto e riportato al romanzo di guerra hemingwaiano.
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Questo richiede la revisione di alcune delle pi autorevoli tesi interpretative della critica hemingwaiana. Tra queste, quella risalente
al celebre saggio in cui Edmund Wilson sostenne che al centro di
ogni storia narrata da Hemingway sta un eroe che nel principle of
sportmanship conserva coraggiosamente, in un codice di condotta individuale, ci che resta del concetto di onore come valore collettivo.
Concetto della cui dissoluzione si fatta esperienza nel corso della
prima guerra mondiale.23
infatti la guerra a dare il tono allinsieme di ci che accade al
tempo di Hemingway e viene narrato in our time (Wilson, La ferita e
larco, p. 241). Tuttavia, sin da principio, lunico personaggio hemingwaiano che nel dramma della vita senta la necessit di attenersi a delle
regole di comportamento, non trova altro che un codice morale personale. A Jake Barnes, evirato dalla guerra, non resta che un qualche
principio di coraggio, onore, piet (cio, qualche principio di etica
sportiva nel suo ampio senso umano) (op. cit., p. 247). Ma solo Jake
Barnes, assieme a pochi altri aficionados delle corride, vi si attiene. La
morale dellindividualismo hemingwaiano, sarebbe dunque, secondo
Wilson, la misura dellindividualismo della morale.24
Nella ossessiva ricerca delle leggi di competizione che regolano gli incontri sportivi e i rapporti tra i sessi, Hemingway avrebbe
espresso con genio i terrori delluomo moderno dinanzi al pericolo
di perdere il controllo del suo mondo, e ha fornito anche, nei limiti
delle sue capacit, il proprio tipo di antidoto. Paradossalmente, questo antidoto del tutto morale. Malgrado la passione di Hemingway
per le competizioni fisiche, i suoi eroi finiscono quasi sempre sconfitti
fisicamente, psichicamente, praticamente: le loro vittorie sono vittorie morali (op. cit., p. 270).
A mio avviso per Wilson non vede che gi in Hemingway lindividualismo non la soluzione al problema ma il problema stesso, non
la fuoriuscita dallorizzonte tragico ma lelemento stesso del tragico.
Anche la risposta politica di parte (la partigianeria della militanza
socialista) non la soluzione del problema ma parte di esso, parte di
un mondo separato in tante parti quanti sono gli uomini e le fazioni.
Che abbiano o meno firmato una pace separata.
Lantidoto hemingwaiano non niente affatto personale, ma
lantidoto alla violenza impiegato da una intera civilt. Il concetto
di Guerra corrisponde perfettamente alla nozione di antidoto per la
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A proposito di tali guerre, Schmitt si spinge sino a parlare di guerra sensata. Il senso della delimitazione di una zona di lotta regolata
si sintetizza per Schmitt nel motto che recita: Ogni diritto tale solo
nel retto luogo. Ivi si manifesta il nesso tra ordinamento e localizzazione e il radicamento nello spazio che proprio di ogni diritto (op.
cit., p. 99), il diritto come misurazione reciproca di forze nel nomos
della terra.
Senzaltro, nelle ricerca narrativa delle situazioni etiche, Hemingway fa echeggiare ancora il nomos della terra, in specie di una nostalgica retorica della Guerra. Ma la struttura topica di quelle situazioni,
il loro essere collocate e delimitate secondo un senso spaziale, testimonia landamento che lesclusione di principio della violenza assume
nella piega interna della letteratura. I luoghi etici sono con ogni evidenza luoghi letterari: e in ci si riflette ancora, e questa volta senza
alcuna inflessione nostalgica di retroguardia, il concetto originario di
nomos come termine di recinzione, segnando la delimitazione del
campo letterario come orizzonte redentivo della violenza.
In conclusione, lintera opera di Hemingway va considerata narrativa di guerra, nel senso di narrazione di un mondo in cui la Guerra
andava perdendo la propria forma. Ci resta vero anche quando la
guerra non vi sia tematizzata esplicitamente: Hemingway non soltanto
narra incessantemente il rito guerresco, ricercandone (ad esempio nello spazio ludico del rito sportivo) la funzione antropologica perduta
con la dissoluzione del concetto di Guerra, ma lo provvede anche,
facendo del corpus letterario cui d luogo uno spazio di ludus rituale
e un oggetto di esperienza cultuale. La retorica letteraria come unico
retto luogo della violenza.
Il personaggio come insider, lambientazione localistica, il tematicismo insistente, letica situazionale, le strategie della ripetizione.
Sono tutti elementi di unopera governata da ci che noi, a questaltezza, siamo in grado di definire come una retorica topologica, nel senso
di un corpus di scritti costituentesi a luogo di luoghi (comuni, koinoi topoi). In unepoca che per lo sradicamento del vecchio nomos
della terra si vede costretta a ricercare un nuovo nomos, la finziona-
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terrore in quanto esito obbligato della logica bellica moderna dispiegata fino
alle sue estreme e deliranti conseguenze, si veda Peter Sloterdijk, Luftbeben. An
den Quellen des Terrors, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 2002 (trad. it., Terrore
nellaria, Roma, Meltemi, 2006).
14
Il concetto di Ernst Jnger il quale, come annota lo stesso Schmitt, nella
costruzione del personaggio del waldgnger, luomo che si dato alla macchia,
il singolo che, passato al bosco, continua la lotta al di fuori del sistema e contro di esso, fornisce un modello per la figura del partigiano. Cfr. E. Jnger, Der
Waldgang, Frankfurt am Main, 1952 (trad. it. a cura di F. Bovoli, Trattato del
ribelle, Milano: Adelphi, 1990).
15
Cfr. Andr Glucksmann, Les discours de la guerre, Paris, Seuil, 1979.
16
Dora in avanti, ogni volta che scriver Guerra con liniziale maiuscola intender eplicitamente riferirmi al concetto classico di guerra, alla guerra come
forma concettuale, vale a dire a come lattivit bellica fu concettualizzata nella
tradizione occidentale fino allet contemporanea durante la quale quel concetto
andato dissolvendosi, e non allattivit in se stessa per come effettivamente si
svolse. Per una disamina storico-teorica approfondita sulle concordanze e discrepanze (non solo numerose ma addirittura strutturalmente presenti) tra piano
della rappresentazione della guerra e piano della sua realizzazione, mi permetto
di rimandare ad Antonio Scurati, Guerra. Narrazioni e culture nella tradizione
occidentale, Roma, Donzelli, 2007 e Id., Un sanguinoso desiderio di luce. La forma
della guerra come invenzione letteraria, in Stefano Rosso (a cura di), Un fascino
osceno. Guerra e violenza nella letteratura e nel cinema, Verona, Ombre Corte,
2006, pp. 17-29.
17
Lintera storia dellideale cavalleresco occidentale testimonia di una convergenza tra antropologia e retorica, dimostrando che anche sul versante che oggi
preferiamo definire estetico, il formalismo condivide la stessa capacit redentrice delle forme antropologiche. Il concetto classico di guerra non fa, in un
certo senso, che salvare le apparenze, ma nel casus belli ci significa salvare vite
umane. Con ci il fondamentale significato antropologico della osservanza delle
buone maniere evidenziato. Il fatto bruto che un morto in guerra sia sostanzialmente un morto e che la causa di morte in guerra sia spesso morte violenta (ma
non sempre e non di norma), ben lungi dallo smascherare la retorica, dimostra
che i limiti esterni della condizione umana sono gli stessi che impongono al suo
interno la necessit della prestazione retorica. Di fronte alla intrascendibilit di
morte e violenza, a questo zoccolo duro di impossibilit, non c che la finzione/
funzione retorica. Per lideale cavalleresco si veda Denis de Rougemont, Lamore
e lOccidente, Milano, Rizzoli, 1993.
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Cfr. Leslie A. Fiedler, Waiting for the End, New York, Stein & Day, 1964 (trad.
it. a cura di L. Ballerini, Aspettando la fine, Milano, Rizzoli, 1966). In questo suo
saggio, guardando retrospettivamente agli anni 20, Fiedler distinse acutamente
tra gli esuli americani che ritornarono dallesilio e quelli che rimasero in Europa. Soltanto i primi, a cavallo tra due mondi, e, diremo noi, tra due diverse et
della guerra, vengono riconosciuti come scrittori effettivamente americani, il cui
idioma sta nel rifiuto opposto alle tentazioni dellavanguardismo. La nozione
di avanguardia assume cos un nuovo e preciso significato in relazione alla crisi
dellunit retorico-antropologica tra discorso della guerra e discorso sulla guerra. La concezione modernista dellautonomia dellarte, della separatezza estetica,
la lettura strutturale del testo letterario come universo linguistico autosussistente, e il conseguente rifiuto della dimensione retorica del fatto letterario, assumono il significato diminutivo di disimpegno rispetto alla valenza antropologica
del narrare. Nel passaggio storico tra due epoche dellumanit contraddistinte
da due concetti della guerra, patrocinando la nascita della letteratura come
entit estetica, distinta e separata dalla generale prestazione retorica del discorso
umano, lavanguardia diserta con ci il campo in cui il narrare engag con il
proprio fondo antropologico nel misurarsi con la guerra.
19
Ero sempre imbarazzato dalle parole sacro, glorioso e sacrificio e dallespressione in vano [] Cerano molte parole che non si riuscivano ad ascoltare e finiva
che soltanto i nomi di luoghi avevano dignit. Anche certi numeri e certe date, e
coi nomi dei luoghi erano lunica cosa che si potesse dire che avesse un significato.
Parole astratte come gloria, onore, coraggio o dedizione erano oscene accanto ai
nomi concreti dei villaggi, ai numeri delle strade, ai nomi dei fiumi, ai numeri dei
reggimenti e della date (Ernest Hemingway, A Farewell to Arms [1929], New
York, Charles Scribners Sons, 1957, pp. 184-185; tr. it. a cura di F. Pivano, Addio
alle armi, Milano, Mondadori, 1997, p. 193). Le successive citazioni dalledizione
italiana di questopera si riferiranno a questa traduzione e verranno indicate direttamente tra parentesi nel testo.
20
Non si comprende la cultura occidentale, al pari di ogni altra, senza vedere il suo
tragico sforzo a distinguere entro la morte: gran parte delle sue forme infatti non
sono altro che questo e la guerra ne la principale. La letteratura la accompagna. Si
veda a questo proposito, Zygmunt Bauman, Mortality, Immortality and Other Life
Strategies, Cambridge, Cambridge University Press, 1992 (trad. it., Il teatro dellimmortalit: mortalit, immortalit ed altre strategie di vita, Bologna, Il Mulino, 1995).
21
La nuova retorica letteraria novecentesca prefigurata dallo stesso Hemingway,
che sar poi uno dei suoi principali inventori, proprio nel locus classicus del rifiuto
della retorica bellica di stampo patriottico, cfr. supra nota 18. Sar una retorica del
18
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V. LA METAFORA IMPOTENTE
Fragilit della ragione e metis retorica di fronte alla vulnerabilit
umana
1. Eris e Thanatos
Concluder questa riflessione con una sorta di omaggio alleristica,
estremo approdo della dialettica dei sofisti, assai spesso inquadrata
come degenerazione: naturalmente il sospetto che la sua pi imperdonabile mancanza non sia altro che una sola lettera, quella u che
abissalmente la divide dalleuristica. Se pure retorica degenerata, la
sua prossimit perfino lessicale alla contesa ne fa un ambito di trasparenza: la pelle del discorso tirata allo stremo lascia intravedere ci
rispetto a cui intercapedine. Il tutto lecito di una dialettica bellicosa e veemente non cessa di escludere, dal proprio tutto, la brutalit fisica. Anzi: quando gli animi e le parole si surriscaldano questa
esclusione diventa ancora pi cogente. La pi sregolata delle retoriche
non si limita a dilazionare la violenza, ma la colloca addirittura in un
punto cieco, impedisce implicitamente (dunque ancor pi seccamente)
che venga presa in considerazione.
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1.1 Slittamenti
Lomaggio che voglio condurre non per di natura encomiastica, bens strettamente fattuale: impegnandomi appunto in un corpo
a corpo con Paul Ricoeur, campione dellermeneutica filosofica intesa
come vertice del semanticismo, la tendenza riduzionista a concepire i
processi di significazione nel solo significato. Questultimo si sublima
nellinterpretazione, operazione sostitutiva che rimpiazza il testo con
i significati. Un movimento siffatto configura una traslazione per cui
dalla retorica si passi alla poetica (che a propria volta trascolorer in
ermeneutica).
Questa mossa teoretica a mio parere il riflesso di una metateoria
del metaphorein: slittamento che descrive uno slittamento, proiezione
dellinesausta serie di superamenti lineari tramite cui il pensiero ambisce alla verit ontologica. Della principale opera di Ricoeur dedicata esplicitamente al tema, La metafora viva,1 andr a pizzicare alcune
corde particolarmente sensibili: quelle in cui si avverte una tensione
tra opposte istanze che permette di far riecheggiare alcuni specifici
accordi sui quali abbiamo gi avuto modo di concentrarci. Ci sar cos
la possibilit di approfondire la natura sedimentata del topos analizzando il problema della proverbialit, nonch di tornare sul tema del
rapporto con la violenza nelle sue diverse sfaccettature, in particolare
chiarendo il tipo di intelligenza pratica che sottesa allazione retorica dispiegata dalla persuasione letteraria.
2.1 Istruire o stupire
Una prima verifica offerta dalla tensione presente nel discorso di
Ricoeur tra valori istruttivi e valori innovativi nella metafora. Spinte
opposte di una tensione irrisolta, cui corrispondono, rispettivamente,
una considerazione paritaria delle varie modalit di prestazione cognitiva, o viceversa il privilegio esclusivo accordato al criterio epistemologico in vista dellapprendimento (Verit maiuscola intesa come
certezza, evidenza, novit, para-dossalit). Per questo verso, la metaforologia tende ad affermarsi quale antilogia del logos propriamente
retorico elevando la metafora paradossale regina degli accostamenti
inauditi, dellintuizione poetica per le rassomiglianze inattese a me-
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rit brutalmente indicibile, e non lEssere, lAltro. La retorica letteraria ha a che fare con lineffabile quando questultimo coincide con
il nefando ed il nefasto, non quando inteso come irrapresentabile,
come assoluto mistico, o magari come un qualche essere perenne e
supremo.
Lurbanit (asteion) che caratterizza leleganza retorica non potr
mai essere confusa con il decorativo, con lornamentale, poich il suo
decoro, meglio le sue convenienze (prepon), danno la misura di una
condotta formale che si confronta con il terrore dellalternativa. Con il
terrore come alternativa. Con levenienza di un immediato annientamento della forma. La labile opzione tra limite formale tra povert
topologica, se si vuole e annichilimento.
Linterdizione ad Essere che della retorica, fa della persuasivit il
luogo delezione dellimpuro. La non identit a s del sapere retorico
e della techne che gli appartiene, il suo eclettismo per partito preso,
inizia a mostrarsi come risoluzione strategica: unitamente alla facolt
di ibridazione contestuale (il prendere a prestito ci che serve dalla
situazione del discorso) e al ricorso allopacit semantica del topos,
mira a scongiurare i pericoli legati allidentit, quando questa posta
a principio del discorso. Lintransigente rigore della logica, lunivocit
della definizione concettuale, lastrattezza della dimostrazione epidittica, lassolutezza della verit.
La persuasivit retorica inoltre liminare, trasversale, perch necessit di ubiquit dovendo abitare il margine estremo del discorso,
la zona di massimo pericolo, oltre la quale stanno o lastrazione logica
o la realt della violenza. Logica e violenza, estremi opposti e simmetrici, sono assimilabili dal punto di vista della necessit retorica. La
prima incapace di imbrigliare la seconda. La seconda fatalmente
indifferente alla prima.
Lirriducibilit della retorica va dunque compresa come laltra faccia della sua costitutiva ambiguit, che si esprime in una politica del
non-identico. Questo perch, di fronte alla retorica, lEssere letteralmente la violenza letterale. Ragion per cui la retorica, larte del discorso, larte del dire tutto ci che pu essere detto finch pu essere detto,
si proibir di dire lEssere.
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restare invisibile senza che nulla scappi alla vista, tenersi sempre sul chi
vive: tutto ci espresso da un termine tecnico della caccia e della pesca
[] dokuein, spiare, osservare. La terza qualit di questo stesso tipo
duomo deve essere la vigilanza [] la caccia e la pesca esigono occhio
sicuro. Gli occhi aperti, tutti i sensi allerta, cacciatori e pescatori non devono cedere mai al sonno. Gli animali che essi spiano non interrompono
mai la vigilanza. I pesci dormono?7
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culturale di massa come prestazione socio-antropologica fondamentale. Un corpo di scritture polimediali, multimediali, transmediali e,
dunque, sostanzialmente postmediali (nel senso che il medium scelto,
di volta in volta, come proprio linguaggio delezione non n lEssenza n lessenziale).
La retorica, quella retorica dellinvenzione che Ricoeur si ostinava a voler costringere entro il pi piccolo corpo della tropologia,
, viceversa, ci che, in qualit di techne della discorsivit generale,
precede, succede e sopporta, per un certo tempo, anche quel suo
epifenomeno che si suole definire, da poco pi di un secolo a questa
parte, letteratura.
6.3 Opinio communis
Con lo stesso spirito agrodolce (quasi da orfano epper erede universale), allinizio della sua riflessione Ricoeur riandando alle origini storiche della retorica ne decretava la scomparsa e considerava,
per un attimo, il sentimento di perdita irrimediabile lasciato a noi
dallevaporazione del vasto programma aristotelico per la retorica.
Cera retorica perch cera eloquenza pubblica (op. cit., p. 10), non
c pi eloquenza pubblica nella sua veste antica, ergo non c pi
retorica. Ma questo non altro che un bellepicherema, a mio modo
di vedere.
Cera eloquenza pubblica perch cera retorica. Questa la corretta premessa maggiore. Premessa minore: nella sua veste moderna, la
letteratura eloquenza pubblica. C, dunque, eloquenza pubblica.
Conclusione: c retorica. Il passaggio difficile da digerire il termine
medio, come di consueto. Non intuitivo, non di immediata comprensione. Almeno sembrava non esserlo pi.
Una volta riaccolto il termine medio, la retorica letteraria ridiventa
ai nostri occhi ci che era sempre stata: il potere di disporre delle
parole come di cose. Disporre delle parole, disporre le parole, e disporre degli uomini con le parole. Disporre gli uomini. il potere
del discorso quando la reificazione , al contempo, norma e necessit
della vasta e lenta vita ordinaria. Definita dallunica teleonomia della
sopravvivenza.
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Per la prospettiva in cui mi colloco, la retorica ad essere fondamentale in letteratura proprio perch in essa si cerca la precaria
garanzia offerta dallinautentico. E necessario.
Al mercato, come in letteratura, la totale disponibilit della parola
il frutto dellessere co-stretti nella parola. La parola del fruttivendolo
che magnifica le proprie merci, che inventa parole in abbondanza,
frutto della penuria. Il fruttivendolo che bandisce dietro il suo banco
non siede a una tavola imbandita, la voce del fruttivendolo caccia fuori un urlo, a perdifiato, perch il fiato non costa nulla. A squarciagola.
Perch lurlo costa dolore. I suoi interlocutori sono unumanit minuta. Per loro un giorno di mercato soltanto una chance di placare la
fame atavica, per un giorno ancora.
NOTE
Paul Ricoeur, La mtaphore vive, Paris, Seuil, 1975. Il testo a cui ci riferiremo
quello delledizione italiana: P. Ricoeur, La metafora viva, Jaca Book, Milano,
1976, traduzione di Giuseppe Grampa.
2
Seguo su questo punto Massimo Cacciari, il quale cos spiega la volont di superamento della dimensione tecnica del sapere che lideale conoscitivo dellepisteme filosofica sempre esprime nellaspirazione verso il logos unitario: Nellistante
stesso in cui emerge il Due (e la radice di dyo la stessa del verbo che dice il
timore, deido, e del termine che indica il tremendo, lo spaesante, deinos), e la
meraviglia per esso inquieta e spaventa, emerge anche la ricerca intorno alla sua
origine, alle sue interne relazioni, al suo stesso fine; e cio linterrogazione intorno a quella potenza che fa dei due un Due. Interrogarsi sul differire comporta
interrogarsi sullidentit: meravigliarsi del molteplice (che lente sia molteplice)
inizia al ricordo dellUno. Non baster conoscere i distinti, analizzarli, necessario chiedersi come la scissione sia avvenuta, quale logos labbia prodotta (M.
Cacciari, Geo-Filosofia dellEuropa, Milano, Adelphi, 1994, p. 12).
3
Reperibile a p. 45 de La metafora viva, cit.
4
il discorso retorico in quanto categoria del politico, prima che la fattispecie
giuridica, a stabilire una relazione di bando con la violenza. In esso la violenza
bandita. Allo stesso tempo messa al bando ed apparecchiata, cio bandita
proprio con latto di fingerla, laddove il discorso retorico fa eccezione rispetto alla
violenza mentre la accoglie nel dispositivo dei suoi luoghi. Si potrebbe dire che la
bandisce rappresentandola se il concetto di rappresentazione (Vorstellung) non
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Damiani, R. 147
Derrida, Jacques 137, 204
Detienne, Marcel 196, 204
Dietrich, Marlene 151
Donne, John 185
Dreyfus, Alfred 116
Dumarsais, Csar Chesneau 80-81,
127, 202
Eibl-Eibesfeldt, Irenus 64, 204,
Eliot, Thomas Stearns 57
Escher, Maurits Cornelis 132
Faranda, R. 145
Farrell, Thomas 115-116, 144
Ferraris, Maurizio 60
Ferroni, Giulio 22
Fiedler, Leslie 164-168, 183
Flaubert, Gustave 15-16
Fontanier, Pierre 80-81, 95
Fumaroli, Marc 23-24, 71-75, 79,
92-94
Gallie, Walter Bryce 180
Gehlen, Arnold 43, 63
Genette, Grard 12, 35, 61, 67-69,
80-84, 93, 95, 190
Gengis Khan 14
Girard, Ren 60, 134-135, 147-148,
181
Glucksmann, Andr 182
Gorgia 200, 204
Grampa, Giuseppe 203
Guglielmo II 180-181
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237
Matera, Vincenzo 23
Mathieu, Vittorio 185
Mazzarella, Arturo 23, 147
Mazzarella, Eugenio 147, 149
Meyer, Michel 58, 61-62, 65, 94
Montani, Pietro 22
Mooney, Michael 60
Mori, Massimo 180
Morin, Edgar 23, 63, 121, 145
Mosse, George L. 180
Munteano, Basil 94
Napoleone III 26
Nietzsche, Friedrich 137, 146
Oldsey, Bernard 184
Omero 123, 185
Ong, Walter J. 144
Orazio 104
Orfeo 31
Raimondi, Ezio 95
Reynolds, Michael S. 184
Richards, Ivor Armstrong 58
Ricoeur, Paul 151, 187-193, 195-203
Roget, Peter Mark 99, 101
Rosso, Stefano 182
Rougemont, Denis de 182
Said, Edward W. 61
Schiller, Johann Christoph Friedrich
von 38, 40, 42, 62
Schmitt, Carl 65, 144, 151-153, 157,
164-166, 170-171, 179-182
Schwarz, Berthold 52
Scurati, Antonio 23, 182, 185
Sloterdijk, Peter 23-24, 64, 144, 182
Sofocle 132
Sofsky, Wolfgang 21, 24
Spilka, Mark 185
Todorov, Tzvetan 23, 65
Pacitti, A. 61
Parker, Geoffrey 180
Parry, Milman 144
Paulhan, Jean 72-73, 94
Pecchiura, P. 145
Perelman, Cham 61
Pico della Mirandola 38
Pivano, F. 183
Plantin, Christian 145
Platone 128, 148, 204
Plinio 97
Plutarco 195
Pound, Ezra 57
Protagora 38
Quintiliano 125, 127, 145
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238
Yates, Frances A. 142, 145
iek, Slavoj 23
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Finito di stampare
nel mese di aprile 2012 presso
il Nuovo Istituto Italiano dArti Grafiche - Bergamo
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