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martiri
I
d'Aspromonte

Bianchi
Celestino

ITALIAN HISTORY
OF THE
I RISORGIMENTO PERIOD !
THE COLLECTION OF
H.NELSON GAY
A.M.1896
BOUGHT FROM THE BEQUEST OF j
lARCHlIiMDCWCOOIJIKSK
A.B. 1887
MDCCCCXXXI

MARTIRI

D'ASPROMONTE

Tip. Cernia Elba, via di S. Vito in Pasquirolo, N. 521.

MARTIRI

D' MMiTI

CENNI STORICI
PER
CELESTINO B IANCH I

I fratelli hanno ucciso i fratelli :


Quest'orrenda novella vi d.
Aless. Manzoni.

eronda edizione riveduta dall'Autore.

MILANO 1863.
PBEIM L' EDITORE CABLO BARBINI
Via Larga.

1/

HARVARC COLLEGE LIBRARY


H. NELSON GAY
RISORGIMENTO COLLECTION
COOLIOGE FUND
1931

Diritti di riproduzione e di traduzione riservati.

Andiamo gloriosi e superbi (l1 porre in testa al po


vero nostro libretto le seguenti due lettere che i!
generale Giuseppe Garibaldi ci ha con quella
cortesia in Lui naturale gentilmente favorite.

Signor Celestino Bianchii


Caprera; 21 gennaj 188.
Legger con piacere il vostro scritto sui Mar
tiri d'Aspromonte. - Accettate intanto i miei pi
sentiti ringraziamenti.
Credetemi sempre
fostrt affez.
ti. AMMALI!.
Al signor Ctlsitino Bianchi, ex affi
liai dtll'cstrelto maridionale, Milano.

Signor Barbini Carlo !


Caprera, il geonajo 1863.
Vi prego di accettare I miei ringraziamenti pel
volumi del Panteon dei Martiri Italiani che tanto
gentilmente mi avete inviato. Lodo il generoso
vostro proposito; eternando ia memoria dei Mar
tiri pella santa causa Italiana voi fate un' opera
benemerita.
Credetemi sempre
s
.
Tottr afftz.
e. CARiBAi.ni.
Signor Carlo Barbini, editar* librario,
Milano.

Roma n nini te !

I.
i
\-.a nobile aspirazione di tanti cuori generosi, che
avevano sacrificata la propria vita per trarre dalla
schiavit l'avvilita patria, era stata finalmente tra
dotta in atto, coronando il voto di tanti secoli e di
tante generazioni. L'Italia, quesia sfortunata terra,
che un ministro austriaco chiam con amaro insulto
una semplice espressione geografica, che il re
pubblicano Lamartine con gallica jattanza denomin
la terra dei morti, a un tratto, come per incanto,
unanime, ardente, ricolma di giovent e di vita, sor
geva a proclamare con voce ferma e tuonante la
propria indipendenza, scacciando dal suo seno i ti
ranni che da secoli la opprimevano.
Per l' opera della rivoluzione, iniziata nel 1859
sotto gli auspicj e coll'ajuto dell'imperatore dei fran

8
cesi, fu d'un colpo troncata a mezzo, per volere di
lui che l'aveva dapprima promossa, e i preliminari di
Villafranca, svelando d'un colpo i nascosti suoi di
segni sembrarono ancora' una volta opporre una tre
menda diga all' unit d'Italia, scopo a cui miravano
con impazienza tutti gli italiani.
Oggid pienamente provato, che la pace di Vil
lafranca si conchiuse dal franco sire col fine d'impedire
la riunione di lutti gli Stati della penisola italica in
un sol governo, riunione, che davagli ombra, e non
fu, come venne preteso da taluno, un atto voluto
dalla necessit.
Infatti qual' era l'intenzione del terzo Napoleone
nel firmare il misterioso patto? Illusoria la clausola
del ripristinamento dei regoli, che si erano fra loro
diviso il nostro paese, giacch egli sapeva benis
simo, che ne sarebbero stati nuovamente sbanditi a
furia di popolo e per volere unanime della nazione,
qualora questa si fosse trovata abbastanza libera di
pronunciare il proprio voto. Ma allora perch am
metterla? Forse per accontentare l'amor proprio e
le segrete speranze del vinto austriaco?
Parte del velo gi caduto dalla fronte del mo
narca francese e le sue intenzioni trasparvero qua
e l in principio brevi, timide e ad intervalli, poi
chiare, da ultimo assai esplicite.
Diciamolo francamente. Napoleone colla guerra del
1859 mirava soltanto a combattere la preponderanza
austriaca in Italia, eh' esso diceva voler libera, ma
a modo suo, in quella stessa maniera con cui un

0
uomo ricco e potente benefica un altro debole e po
vero, colla condizione cio di essere sempre ligio ai
suoi cenni.
Napoleone voleva fare dell'Italia una federazione
e probabilmente introdurvi qualcuno di sua fami
glia, ottimo mezzo per governarla a suo piacimento.
Cos otteneva due grandi scopi: l'abbassamento del
l'Austria sua rivale formidabile sul Reno, e l' Italia
confederata pronta al suo cenno.
Di l il trattato di Villafranca. Mantenendo l'Austria
nella Venezia, egli impediva a questa potenza di
farsi completamente germanica o completamente
slava, vera e naturale sua posizione europea e la
costringeva a dividersi in due parti, con un braccio
in Allemagna e coll' altro in Italia, certo, per tale
combinazione, che allorquando fosse a lui venuto il
ticchio di portare le frontiere della Francia al Reno,
l'Austria nel caso che vi si fosse opposta , si sa
rebbe trovata in cozzo coll' Italia, che non avrebba
mancato di cogliere l'occasione di facilmente libe
rare la Venezia.
Quanto all'Italia poi, il progetto della federazione
non potevagli, a norma di tutte le probabili indu
zioni, fallire. Modena e Parma, che avevano gi
messo in fuga i loro duchi , erano concesse al
Piemonte, a cui sarebbe stata pure unita l'Emilia
che non voleva pi saperne del regime pontificale'
per tal modo il settentrione della penisola trovavasi
costituito in un solo regno. Si avrebbe quindi
posto la Toscana nel bivio di eleggersi un sovrano,

40
che non doveva essere Vittorio Emanuele, oppure
di richiamare il granduca. La seconda ipotesi dive
nendo per lo spirito avverso della popolazione im
possibile a realizzarsi, i toscani si sarebbero trovali
nella necessit di scegliere un principe francese,
tanto per la inallora pronunciata universale sim
patia verso' la dinastia napoleonica, quanto per
riconoscenza a' beneficj dalla medesima compartiti
all'Italia. L'antico Lazio, restava al Papa, a cui
si sarebbe data una specie di supremazia sulla pe
nisola, e che posto nel centro di essa avrebbe ser
vito di legame fra i due Stati del nord e del sud.
Circa al Regno delle Due-Sicilie, era chiaro che la
dinastia borbonica non vi si sarebbe mantenuta a
lungo ed i napoleonidi avrebbero potuto agevolmente
stabilirvisi in loro vece.
Una volta creata e stabilita la federazione su que
ste basi, diveniva fatile il dominarla completamente,
tanto pi, che padrona la Francia del passo delle
Alpi mediante la cessione di Nizza e Savoja, tal cir
costanza permetteva ad essa di minacciare incessan
temente il Piemonte e di tenerlo sotto assoluta di
pendenza. Il solo regno, che avrebbe potuto ribellarsi
alla concussione francese, non era per lai modo pi
a temersi.
Ma contro tulte le previsioni il ben concepito piano
napoleonico and a fascio. Primi a smentirlo furono
i toscani, che pieni di buon senso e di vero patriot
tismo, alla dannosa velleit della singola loro indipen
denza, preferirono di far parie d'una grande nazione'

41
e vollero ad ogni costo a re un principe italiano, che
potesse riunire sotto di se l'Italia intera.
Luigi Napoleone dov consentirvi. Egli, l' eletto
della nazione, che aveva dichiarato i toscani liberi
di pronunciare il loro voto sulla scelta d' un capo,
non pot opporsi a questo voto, manifestato con calma,
con fermezza e con unanimit maravigliose, quan
tunque quella scelta a lui punto non garbasse. For
zandoli a sconfessare il voto emesso ed a compiere
il suo segreto desiderio, l'imperatore dei francesi
andava incontro alle grida di tutta Italia, all'ira ed
alla gelosia delle potenze europee, che avrebbero in
quell'atto ravvisata la prepotente ingordigia di im
perio, che lo dominava.
Sia lode ai toscani per la patriottica operai I/Ita
lia deve molto ad essi, anzi deve tutto. Essi d'un
colpo troncarono il nodo gordiano, che doveva attor
cigliare in inestricabili giri la loro patria, e diedero
la prima suprema spinta alla italica unit.
Rimaneva Napoli su cui imperava la stirpe bor
bonica, "odiosa per l'efferrata tirannide a'suoi soggetti,
ed avvilita, disprezzata per la riconosciuta inattitu
dine al buon governo dalle potenze tutte d'Europa,
nessuna delle quali sarebbe srta a porgerle soc
corso nella caduta imminente ed inevitabile.
L'insurrezione della Sicilia ne diede il primo se
gnale. La lotta fra il popolo fremenle di libert, ed
il tiranno che Io aveva fino allora conculcato, inco
minci. Le forze esuberanti per dell'oppressore ben
presto prevalsero, e gli sforzi dei patrioti! siciliani

12
si travolgevano diggi nel rantolo d'una sanguinosa
agona.
Un grido di piet e di sdegno s'alz unanime da
tutti i cuori italiani. Ma l' Italia ufficiale non po
teva accorrere in soccorso de' periglianti fratelli: il
trattato di Villafranca tenevale inceppate le mani.
Qual bella occasione perduta pel compimento del
suo riscatto, e per renderla tutta una e libera!
Un uomo di cuore invitto, Garibaldi, seppe com
prendere il prezzo immenso del momento. Radu
nati pochi seguaci corse in aiuto alla generosa Si
cilia, sfid il Borbone, ne disperse in splendide bat
taglie le agguerrite schiere, ed un col plebiscito i
nove milioni d'abitanti del Napoletano all'Italia.
Il monarca francese fu costretto a rimanere pas
sivo spettatore di questa nuova unione, che avver
sava i suoi disegni. Ma per opporvisi bisognava usare
la violenza armata, e Napoleone III non poteva farlo.
Da preteso campione della libert erigersi in un
subito sostenitore sfrenato del dispotismo, non era
possibile, e d'altronde non si sentiva abbastanza forte
da braveggiare la pubblica opinione, che si sarebbe
scatenata infallibilmente contro di lui.
Ma un lembo del velo s'alz nel fremito dell'ira
soffocata," e scopr le convulsive contrazioni del di
lui volto. Egli sped a Gaeta la sua flotta coll'ordine
di possibilmente impedire l'assedio di quella for
tezza, ultimo ricetto degli espulsi reali di Napoli.
E per tre mesi l'Italia vidde con profondo ramma
rico e l'Europa contempl con immensa maraviglia

i-3
i vascelli da guerrra francesi proteggere il Borbone,
sotto il cavalleresco pretesto, che la Francia, sempre
pronta a stendere la sua mano generosa al debole,
voleva cos dimostrare al re caduto la propria sim
patia e la compassione che in lei destava il suo mi
serevole stato. Strana simpatia davvero, ed ancor pi
strana compassione! Era piet il prolungare un'asse
dio, il cui risultato non poteva esseie pi dubbio, e che
costava ogni giorno rivi di sangue inutilmente sparso?
Era compassione il concedere qualche giorno di do
lorosa agona ai rinserrati di Gaeta? Quest'ajuto fit
tizio, dannoso ad una parte, ed inefficace per l'al
tra, non diveniva egli invece un insulto fatto all'Ita
lia ed al Borbone nel medesimo tempo?
L'Inghilterra pose fine col minaccioso suo conte
gno e colle energiche rimostranze all' inesplicabile
giuoco. Napoleone III allora fe' vista di rassegnarsi
alla forza delle circostanze, e fece anzi di pi. Ri
conobbe il nuovo regno. Ma non rinunciando
pillito alle antiche risoluzioni gli mise la morte nel
cuore. Roma la citt eterna, la vera naturale ca
pitale dell' Italia, trovavasi in suo potere. La peni
sola erasi costituita in un solo regno, vero, ma
le mancavano Venezia e Roma. Colle frontiere mi
nacciate incessantemente dall'austriaco da un lato, in
bala della Francia dall'altro, e senza capitale, che,
meglio ancora, stava nelle mani del suo pi acer
rimo nemico, il Papa-re, l'Italia era tuttavia schiava.
Napoleone attizzando la discordia nel suo seno, im
mergendola negli spasimi e negli orrori del brigan

ikr
taggio, mantenendola nell'incertezza e nell'inerzia
sper che i suoi disegni avrebbero potuto fra qualche
tempo riuscire.
Fortunatamente l'Italia comprese il pericolo ed
elev unanime la voce, chiedendo il solo mezzo di
salvare s stessa reclamando cio la sua capitale ,
Roma. .
I patriotti s'accorsero che il monarca francese diniegava di concederla, e che solo la forza delle cir
costanze e delle armi poteva costringerlo: essi tra
videro le vere sue intenzioni avverse all'unit della
penisola, e tentarono di spingere il governo italiano
ad armare la nazione intera, nella certezza che senza un
imponente apparato di forze, nulla si avrebbe otte
nuto dalla Francia, e che la patria sarebbe sta^a fra
breve perduta.
Ma il ministero di Torino e gli uomini preposti
al potere non erano all'altezza del mandato loro af
fidato. Cavour, il solo capace d'una mossa ardita, pi
non viveva : Ricasoli, il suo immediato successore e
l'erede della sua politica, tentenn fra l'alleanza fran
cese ed il bisogno di non subirne la prepotente pres
sione: egli avvistosi finalmente della sua falsa situa
zione, tent di scuotere il giogo, ma non seppe sce
gliere l'unico mezzo per giungere all'intento, quello
d'un possente armamento, e cadde, lasciando l'Italia
debole e disarmata.
Anche il sovrano della Francia s'accorse del peri
colo , che gli suscitavano contro l' impazienza e la
decisa volont degli italiani a riacquistare la loro

15
capitale. Ma sgraziatamente la dipendenza francese
riputavasi necessaria da una gran parte di essi, ed
il monarca ne approfitt abilmente. Il viaggio di Pa
rigi , mise alle redini del governo d'Italia, Urbano
Rattazzi, che appunto per avere col suo ingresso al
potere cementata, per cosi dire, l'alleanza italo-franca,
ravviv per un istante le speranze di quasi tutti gli ita
liani, fidenti che il programma del ministro, creato
per volont dell'imperatore de' francesi, di voler an
dare a loma col consenso c coll 'aiut di quest'ul
timo, sarebbesi compiuto.
Ma questa nomina aveva nel tempo istesso allar
mati i pi puri patriotti italiani, che conscii dc'segreti disegni del gabinetto delle Tuilleries, manife
starono altamente i loro dubbj ed i loro timori, e
dimandarono garanzie al nuovo ministro. Egli ri
spose voler essere giudicato dai fatti, e temendo la
loro vivissima opposizione, li ricolm frattanto di
carezze e di promesse.
1 patriotti chiesero, che almeno una parte di quest'ul
time si attuassero immediatamente, e siccome l'arma
mento generale della nazione era il pi caldo de'loro
desidi r.j, statuirono un'assemblea dei Comitati di Prov
vedimento , il cui scopo fu di provvedere energica
mente onde effettuare questo supremo bisogno della
Italia.
La missione, che si prefiggeva questa assemblea,
aveva attirato a s gli sguardi di tutti gli italiani
non solo, ma altres quelli degli stranieri, i quali ne
attendevano con impazienza la solenne apertura, che
doveva aver luogo nel marzo 1862.

16

.H.

La mattina del 9 marzo tutte le strade, che av


vicinano il teatro Paganini in Genova erano im
bandierate a festa, ed una folla immensa di cittadini
stava gremita sui balconi delle case e per le vie, at
tendendo il passaggio di Garibaldi, che doveva re
carsi all' adunanza dei Comitati di Provvedimento.
Verso le 1l infatti il generale comparve, e fu accom
pagnato alla sala della riunione tra i fragorosi ap
plausi della moltitudine.
Trecento rappresentanti erano intervenuti a quel
l'assemblea e le pi cospicue notabilit della sinistra
parlamentare vi avevano preso posto: Riordini, Crispi,
Campanella, Montanelli, Cuneo, BrolTerio, Saffi, Guer
razzi, Corlc, Cndolini, Dolfi, tutti, salvo l'ultimo, de
putati dell'opposizione. Questi nomi, chiari per pa
triottismo, per ingegno e per sapienza, diedero alla
novella assemblea un carattere, che non mancava per
certo di splendore, d' importanza, e d'imponenza. Il
partito moderato vi travide con terrore i principii
delle terribili assemblee di Francia all'epoca della
rivoluzione dell'89, ed il partito d'azione scorse col

[
'

I7
l'iniziativa d'una politica ferma, ardente, tutta nazio
nale, che avrebbe data al governo italiano ed all'I
talia l'ultima spinta ad agire, sbarazzandoli dell'iniportuna dipendenza francese.
Gli uomini d' ogni opinione attendevano dunque
l'apertura dell'assemblea dei Comitati di Provvedi
mento con ansia, e ne presagivano tristi ed ottime
conseguenze a seconda delle loro diverse viste poli
tiche. Ad ogni modo la condotta di essa non poteva
essere dubbia, e fu eminentemente rivoluzionaria,
come dovevasi naturalmente aspettare da una riu
nione composta tutta di elementi diametralmente
opposti colla politica lenta ed ambigua del governo
italiano.
Frenetiche acclamazioni accolsero il campione del
l'idea e dell'azione popolare, a cui successe un pro
fondo silenzio, allorch Garibaldi prese la parola. Il
suo discorso fu vivo e pieno di fuoco. Egli dimostr
la necessit di armare l'intera nazione senza indugio,
ed espresse il suo contento di trovarsi in mezzo ad
una assemblea, il cui scopo fosse principalmente l'ar
mamento del popolo, solo mezzo con cui si potesse
sperare l'acquisto di Roma e di Venezia.
Campanella prendendo la parola dopo il generale, os
serv, che in quanto al governo doveva rallegrarsi,
perch scopo dell'assemblea fosse di rafforzarlo e
coadjuvarlo eflicacemente al compimento dei destini
d'Italia. Aggiunse per che in ogni caso era ob
bligo dell' assemblea di camminare per la propria
via, e che perci faceva d'uopo d'organizzarsi ed arA"pr.
2

18
marsi, onde far sapere al mondo, che non vi sarebbe
mai stata pace in Europa ed in Italia, finch que
sta non fosse Una con Roma Capitale.
Fin qui, ad onta di qualche espressione, che do
vette suonar male alle orecchie dei ministeriali, non
poteva essere l'assemblea tacciata di mancanza di
moderazione. Ci che essa chiedeva, non era che
Teco fedele de'desiderj e della volont della nazione.
L'uragano scoppi nella tornata del IO. Era stata
qualche tempo innanzi nominata fra i patriotti una
commissione, a cui si aveva dato l'incarico di portarsi
dal Presidente del Consiglio de' ministri onde pre
sentargli una mozione tendente ad ottenere il ri
chiamo dall' esule Mazzini. La mozione venne
sporta infatti a Ricasoli, allora ministro, che diede
lusinghiere promesse ai committenti, promesse, che
in seguito addusse di non essere pi in grado di
mantenere avendo data la sua dimissione. Quindi
necessario di rivolgersi in proposito al nuovo presi
dente Rattazzi, che non vi ader positivamente, ma
neppure la rigett completamente, rimandando la
commissione colla promessa, che avrebbe esaminata
la questione dal lato politico con Ricasoli, e dal le
gale col ministro di grazia e giustizia.
Nell'ordine del giorno della tornata del 10 si aveva
appunto stabilita l'interpellanza alla commisr.ione
circa la mozione del richiamo di Mazzini. La rispo
sta data da quella suscit nell'assemblea il pi ma
nifesto malcontento. Le pi alte lodi vennero pro
digate all'esule; si disse che non era una grazia che

19
gli si faceva, ma bens un dovere, che Malia com
piva verso il grande patriotta;- si profferirono pa
role, che erano tutt' altro chc complimenti pel pre
sidente del Consiglio, e Campanella ebbe il torto di
esclamare, che sei ministri volevano costringere l'as-.
semblea a portare la questione in piazza, essa era
dispostissima a farlo. N questo bast. Si dichiar
essere una solenne ingiustizia ed un gravissimo
danno pel bene della patria, che il popolo rimanesse
escluso dalle elezioni, e si propose in mezzo a vive
acclamazioni, l'attuazione del suffragio universale.
Per quanto si ?ttendesse dall'assemblea di Genova,
il risultato super l'aspettativa. Un'assemblea che di
vinizzava, per cos dire, Mazzini, e ne chiedeva a voce
alta e tonante il richiamo, non poteva esordir meglio
e peggio ad un tempo stesso. Era una sfida in tutta
regola gettata ai re, a tutti gli adoratori ed ai fidenti
nella monarchia, a tutto il partito moderato, che ri
guardava Mazzini come uno spauracchio tremendo,
il cui solo nome li faceva rabbrividire. Aggiungendo
poi la proposta del suffragio universale, proposta equa
e giusta in s stessa, ma che toglieva un privilegio
alla classe pi agiata e lo dava al popolo, il concetto
rivoluzionario e riformista dell'assemblea dei Comitati
di Provvedimento prese a'ioro occhi un aspetto gigan
tesco di repubblica rossa e d'anarchia.
Le espressioni, che i rappresentanti dell'assemblea
eransi lasciato sfuggire, od avevano creduto bene di
pronunciare, furono come un colpo di folgore scop
piato in mezzo alla semi-dormiente Europa ed in mezzo

ai conservatori, che si figurarono gi davanti agli ocelli


i carri funebri, clie percorrevano lo strade di Parigi
durante il regno del Terrore. Incredibile fu l' im
pressione clic fecero in Francia , il cui giornalismo
si gett furibondo contro i propositi dell'assemblea,
declamando in pari tempo, come al solito, contro la
ingratitudine degli italiani. Anche il gabinetto delle
Tuilleries ne fu pofondamente scosso e manifest le
proprie apprensioni al gabinetto di Torino, scendendo
a minaccie, a cui il secondo si affrett di ovviare ,
ordinando ai Comitati di Provvedimento di tenersi
nelle vie della moderazione, che altrimenti avrebbe
proceduto al loro forzato scioglimento.
1l fracasso fu grande, ed i retrogradi francesi sa
ne servirono eccitando il falso amor proprio della
loro nazione, che, secondo essi, doveva opporre la
forza alla stolta tracotanza degli italiani. Il loro di
segno non and infatti del tutto fallito, ed una tem
pesta d' improperj e di minacce piovve sulla povera
Italia.
Eppure, ben riguardato il fatto, da qual parte stava
il torto ? U Italia crasi costituita in governo indi
pendente; la stessa Francia lo aveva riconosciuto;
crasi anzi essa medesima posta alla testa poco prima
del movimento italiano, ed aveva dichiarato solenne
mente, che voleva libera l'Italia dall'Alpi all'Adria
tico, e quello che pi importava, padrona in casa
propria. Aveva la Plancia mantenute le sue pro
messe? Gli Italiani potevano a buon diritto rispon
dere no, no. Governo francese e governo italiano

21
avevano, si pu e si deve dirlo francamente, fatto
di tutto per dimostrare la loro cattiva volont a con
durre all'anelato compimento la costituzione dell'unit
italiana,- unico scopo per cui si era fatta la guerra
pel 1859. La nazione reclamava ad alta voce l'unit,
ed invece ogni d si accumulavano pretesti sopra
pretesti, onde mandarla a vuoto, e quel eh' peg
gio ancora , onde distruggerla. Si persisteva a ne
gare Roma all' Italia , vale a dire , a voler manienere un ammasso informe senza testa , col ventre
ingangrenito da una piaga schifosa e mortalissima ,
il brigantaggio. E ci tutto doveva l' Italia accettare
dalla Francia con lieto viso,e per sopra pi ringraziarla
del grazioso dono, riportandone la taccia d' ingrata ,
qualora osasse di protestare contro lo strano pro
cedere della magnanima alleata.
Il malcontento era generale, muto e contegnoso
nel settentrione d'Italia, in cui l'amore e la fiducia
nel proprio governo e nelle forze del paese non erano
punto scemati, minacciava di assumere gigantesche
proporzioni nelle provincie meridionali, che, da poco
tempo strappate all' oppressione , non avevano della
libert gustato, che i solo inevitabili malanni, e non
i molti beneficj. Aggravati, dilaniati, ed insanguinati
dalla piaga del brigantaggio, i napoletani non pote
vano a buon diritto comprendere, come un governo,
che pretendevasi alleato all'Italia, lasciasse scatenare
contro di loro cento orde di assassini, che empivano
di lutto e di rovina le loro case, i loro averi, e le
loro famiglie.

23
E ben vero che l'Italia, accostumata da secoli ad
essere trattala in tal modo, aveva, il pi delle volte,
sopportato tutto, senza reagire, e di ci forse si ri
cordava l' imperatore de' francesi , tenendone conto.
Ma il male facevasi troppo grande per tutta Italia e
pei malmenati napoletani in ispecie. Ne seguirono
perci reclami sopra reclami al governo nazionale ,
che sgraziatamente si vide nella impossibilit di porvi
un pronto e radicale rimedio , giacch il rimedio si
poteva trovare soltanto nella restituzione di Roma ,
occupata dai francesi, ostinati a volerla tenere per s,
ncll'istesso tempo, che alimentavano gli italiani con
speranze lusinghiere date oggi e domani smentite.
La continua inesplicabile altalena del gabinetto
delle Tuilleries, il cangiamento de' ministri francesi
ora favorevoli ed ora nemici accanitissimi all' Italia
non potevano certo assicurare il cuore degli italiani
e renderli fiduciosi nella politica francese. Si sapeva,
e gli stessi giornali francesi lo avevano propalato su
tutti i tuoni, che l'imperatrice aveva voto nel gabi
netto, e che questo voto non era punto benevolo
all'Italia. Ed appunto uno di que' giornali si era af
frettato di pubblicare un' espressione sortita dalla
bocca dell'imperatrice, che nulla aveva, sempre sup
posta la detta influenza, di consolante per noi. Volevasi, cos riportava il giornale, che, avendo un tal
ministro fatto motto all' imperatrice, delle parole di
Garibaldi Vogliamo Roma o morte ella avesse
risposto : Ebbene ! Avranno morte , giacch Roma
non l'avranno.

23
D'altronde il perpetuo vantarsi del giornalismo fran
cese, di aver fatta l'Italia, il continuo rimproverare
airitalia il soccorso prestatole , il continuo tacciarla
d'ingratitudine per volere ci che le si competeva di
diritto, avevano esacerbati gli animi di tutti gli ita
liani. Tanto il vanto , come il rimprovero erano
in effetto ingiusti.
Prescindendo dalla cessione di
Nizza e Savoja, che fu senza contrasto, un bel com
penso, i francesi dovevano ricordarsi, che molte e
molte pagine della storia italiana vanno macchiate di
sangue italiano sparso da'francesj, di concussioni, di
tirannie esercitate gi da essi contro I' Italia. Dove
vano ricordarsi , che anch' essi avevano coadjuvato
spesse fiate a farla a brani, onde impossessarsene di
qualche lembo , e che durante le guerre del primo
Impero, migliaja e migliaja d' italiani , il fiore della
nostra giovent, s' erano strenuamente battuti a pr
dei francesi, ed avevano incontrata per la grandezza
e la salvezza del primo Impero la morte sui campi
spagnuoli e germanici e tra le gelide nevi della Rus
sia, ottenendone in guiderdone una dura schiavit di
cinquant'anni.
V'era dunque a maravigliarsi, a menar tanto scal
pore, se i patrioti italiani, memori del tristo passato,
e timorosi con ragione d'un'eguale avvenire, insorges
sero a protestare contro la cos detta tutela francese,
che minacciava e minaccia ancora al presente di di
venire l' antica oppressione ? No certo. Il 'pro
gramma adottato dall'assemblea di Genova non espri
meva, che il voto unico c sincero della nazione in

24
tera. Non era un rivolgimento di governo il suo
scopo: essa lamentava soltanto la dipendenza del
proprio governo troppo ligio ai cenni d'un esigente
alleato, e voleva spingerlo a far cessare tale esorbi
tante esigenza col mezzo il pi adatto : l'armamento
delia nazione. L' assemblea dei Comitati di Provve
dimento , s' ebbe un torto , fu queJlo di posporre
innanzi tutto una personalit, Mazzini, i cui servigi
resi all' Italia sono incontrastabili , ma il cui nome
non suona accetto alla nazione, ed ai governi esteri,
a torto od a ragione , lo diranno i nostri posteri.
L'assemblea volle fare un atto di giustizia, e invece
commise un gravissimo errore in politica, perch col
proclamare il richiamo di Mazzini, si alien gli animi
di lutti i conservativi e delle classi pi inlluenti, ed
oltre a ci suscit contro di s lo ire ed i timori dei
governi stranieri. Errore egualmente fallissimo fu
la proposta del suffragio universale, che le diede un
colore di democrazia troppo pronunciato, e che lasci
arguire, ch'essa volesse il regno del popolo, cosa
intempestiva nelle circostanze d'allora, perch feriva
direttamente il governo , e perch il popolo stesso
non era ancora maturo a ci, o non voleva esserlo.
Se l'assemblea di Genova si l'osse ristretta pel mo
mento a proclamare ed a pretendere l' armamento
della nazione, senza perdersi in dannose discussioni,
che non avevano neppure la probabilit d'una favo
revole riuscita, rerto che la ragione sarebbe stata
dal suo lato , e si avrebbe procacciata la simpatia
universale. Tu! 'a Italia sarebbesi mostrata d'accordo

25
con essa, ed il governo avrebbe di buona o malavo
glia dovuto accedere al voto generale. Fatalmente
gli errori furono commessi , ed i nostri avversarli
ne approfittarono abilmente, gridando, strepitando ed
ingrandendo ci clic in realt non sussisteva , per
prolungare la trista condizione attuale d'Italia.
Colle imprudenti sue declamazioni , l' assemblea
dei Comitati di Provvedimento si pose dalla parte
del torto, e si attir un grido di riprovazione, a cui
contribuirono non poco le esagerate paure del par
tito moderato , che numeroso dovunque non voleva
ad ogni costo alienarsi l'alleanza francese, e credeva
gi di vedersi sul capo le orde dei Croati. L' intero
giornalismo ministeriale si scaten contro gli arditi,
che osavano prendersela faccia a faccia contro il po
tente alleato; e le ignare popolazioni, titubanti e ti
morose di perdere un valido appoggio , fecero eco.
La rivoluzione retrograd, cerc di aprirsi un altro
passaggio, ma la via era falsata, e fu ributtata.
Intanto, che cosa faceva il nuovo ministero di Ratlazzi ? Es:o malediva ai recenti impacci srtigli
dattorno, e si sbracciava a rassicurare da una parte
l'irritata diplomazia, e dall'altra ad acquietare con
minaccio e con carezze i malcontenti patriotti. Agli
uni dispensava note spiranti fermezza e fiducia in
s stesso, ai secondi prodigava promesse e speranze.
Finalmente, allorch l'assemblea dei Comitati di Prov
vedimento si dichiar pel momento cessata, respir,
e si affrett a dar prova ai patriotti della sua buona
"voglia, autorizzando l'istituzione dei Tiri al Bersaglio,

26
e cercando di accaparrarsi l'animo di Garibaldi col
proporlo a presiederli ed a promuoverli. Primo
pensiero del generale era stato sempre infatti l'arma
mento della nazione, ed egli accett con piacere tale
incarico, ch'egli stesso aveva consigliato e eh' era ri
guardato a ragione da lui come mezzo efficacissimo
di addestrare gli italiani nel maneggio delle armi.
Per tal modo il ministero si tolse dinanzi un grave
imbarazzo, e contento di questo istantaneo beneficio,
non pens pi oltre. Eppure la lezione era abbastanza
chiara. L'atteggiarsi dell'assemblea di Genova doveva
farlo accorto che il paese nella sua vitalit non con
sisteva in quella cerchia di privilegiati , che aveva
costantemente allacciato i ministeri, imbevuta di mas
sime vecchie e false, urtanti co'nuovi bisogni e colle
progressive opinioni della nazione. Doveva aprire gli
occhi sui vantaggi che poteva offrirgli il vitale ele
mento spiegatosi , impadronirsene ed usufruttarlo.
Doveva prevedere, che fra il voler essere ligio al gabi
netto francese ed il dimostrarsi proclive a tendere la
mano alla democrazia, v'era un posto difficile a con
servarsi, e che l' adoperare l' uno degli elementi a
frenare l'altro, non lo accostava allo scioglimento della
questione romana, programma da lui adottato.
Ma il ministero si accontent di liberarsi per qual
che spazio di tempo da Garibaldi, che egli temeva
immensamente, ed a buon diritto. Era infatti immenso
P influenza, o meglio il prestigio, che il generale
esercitava sulle masse, e che sembrava ogni giorno
sempreppi ingigantire per l'accoglienza letteral
mente frenetica eh riceveva dovunque si recava.

27
L'ansiet, la gioja e l'entusiamo con cui Milano l'ac
colse, pot darne un'idea, e serv forse a procrasti
nare nel ministero qualsiasi idea di porsi in colli
sione con un avversario cos formidabile. Rattazzi
cred perci ottimo consiglio di lasciarlo fare a suo
piacimento, fingendo di prender parte esso pure alla
universale esultanza, ed ingiungendo ai prefetti di
tutte le citt , per le quali Garibaldi fosse passato ,
che gli agevolassero i mezzi per istabilire ed orga
nizzare i Tiri Nazionali, ed inoltre gli facessero fe
stive accoglienze.
I benefici ed i servigi immensi che quest' uomo
aveva reso all' Italia , rendevano naturale e pi che
meritata una tale accoglienza. Di qualsiasi sorta poi
possano essere le opinioni particolari di Garibaldi, la
sua lealt, la sua franchezza, la sua nobilt d'animo
ed il suo amor patrio sono troppo constatati per nu
trire un solo dubbio di sospetto sul suo modo di
_ agire. Cionnonostante, onde porgerne meglio un'idea,
riferiremo un discorso da lui pronunciato durante la
sua dimora in Torino.
Nel suo giorno onomastico molti deputati e sena
tori si portarono a visitarlo. Il deputato Avezzana, a
nome dei compagni, present al generale una me
daglia d'oro rappresentante la lupa di Roma, come
un ricordo della guerra combattuta all'epoca della
repubblica romana. Dopo molti patriottici propositi,
Garibaldi ebbe a dire: Noi vogliamo l'attuazione
del plebiscito 18GO: lo accettammo, e vogliamo so
stenerlo con fede degna dei nostri cuori, e degna

28
ch'I nostro passato. Noi diciamo ai governanti: Siate
leali, siate sinceri, fate il bene del nostro paese;
noi saremo sempre con voi. Curiamo le libert
del regime costituzionale , n osi un partito qua
lunque asserire che noi serviamo per secondi fini
al governo. Ci parlano di repubblica. Per me
democratico la repubblica la volont della maggio
ranza della nazione. Egli perci che rimango fe
dele al mio programma: Italia una con Vittorio
Emanuele. >

III.

Il giro di Garibaldi si pot letteralmente nomi


nare una vera marcia trionfale. Giammai re o con
quistatore vennero accolti dalle popolazioni con pari
entusiasmo misto ad una specie di venerazione, che
contribuiva a dare all'accoglienza stessa un'impronta
di non dubbia sincerit. Ogni paiola del generale
veniva ascoltata con religioso silenzio ed applaudita
con frenetiche acclamazioni.
Unione, concordia, armamento generale, erano le
espressioni costanti che uscivano dalla bocca di Ga
ribaldi. A queste per egli ne aggiungeva alcune altro

29
die tradivano le sue segrete preoccupazioni, e lascia
vano scorgere manifestamente che nel suo animo andavasi maturando qualche ardua impresa.
Il suo grido di Vogliamo finirla le sue allu
sioni a Venezia ed a Roma, il motto o Roma o
morte , non potevano essere semplici emananazioni
d'uno spirito esacerbato dagli ostacoli, che frammettevansi al compimento dei suoi voti. indubitato
che Garibaldi cercava d'innestare il suo ardore nelle
popolazioni, onde formarsene un valido appoggio nel
d ch'egli avrebbe stimato opportuno di vibrare qual
che gran colpo.
Perch il ministero non s' avvide o fece finta di
non avvedersi di tuttoci? Perch non tronc allor
quando n'era ancora in tempo, la via a Garibaldi,
di tradurre in atto i proprj pensamenti, fatto che
doveva indubitamente condurre ad una deplorevole
catastrofe ?
Non accostumati a vedere in tempo di pace Gari
baldi prendere parte attiva nell'andamento della na
zione, se ne doveva dedurre perci appunto uno scopo
politico. Le sue parole ai denti e spiranti guerra allo
straniero ed alla corte pontificia, trovavano un eco
accetto ed entusiastico nel popolo, che non veden
dole disdette dal governo, pensava a giusto titolo che
esse avessero non solo l' approvazione, ma il volere
del governo istcsso.
Da questo lato l' inerzia e l' imprevidenza del mi
nistero sono inesplicabili, e la pubblica opinione in
gannata si consol di questo atteggiamento fatale ,

30
stimando come dissimo che Garibaldi ed il governo
fossero pienamente d'accordo.
Fatalmente ci non era che una conseguenza na
turale e forzala della debolezza del nuovo ministero.
Ricasoli era caduto per volere del gabinetto fran
cese, che vedeva in lui un servitore recalcitrante,
ed il ministero Rattazzi, sorto al potere per l' op
posto motivo e per la medesima volont che aveva
abbattuto il suo predecessore, portava gi con s
fino dal suo nscere una macchia che lo rendeva
odioso a tutti i partiti, quella del servilismo. Lo
si combatteva ad oltranza dal giornalismo d'ogni
colore, e nelle sessioni del parlamento, in cui inter
pellanze succedevano ad interpellanze, si condannava
djggi l'operato del ministero, senza che, per dire
il vero, fosse a questi concesso il tempo necessario
per condurre a fine tutto quello che si pretendeva
da lui.
Questa opposizione accanita aggravava la situazione
gi difficile per s stessa del ministero, che doveva
ammansare tante ire, far fronte nel tempo medesimo
ai diversi partiti, ed accarezzarli tutti onde farsene
un appoggio.
L'avversario pi formidabile era senza dubbio pel
nuovo ministero l'estrema sinistra, che negli ultimi
tempi s'era notabilmente accresciuta, e nelle cui fila
contavansi anche vario notabilit del partito mode
rato. I/antica destra era divenuta l'attuale sinistra,
e ci dimostrava quanto fosse forte l'opposizione che
si elevava contro il ministero. Bisognava quindi ac

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carezzare il partito estremo., che ingigantiva sempre
pi di giorno in giorno, e che godeva inoltre la
simpatia della nazione, perch ne propugnava gli in
teressi e ne difendeva l'onore. Per ottenere tale in
tento, il ministero non s'era opposto minimamente
alla riunione dei Comitali di Provvedimento, e si
spavent solo del consenso dato, allorch s'accorse
che l'assemblea di Genova non faceva per burla, ed
intendeva di sforzare il ministero ad agire risoluta
mente, cosa cjie il ministero non poteva fare senza
porsi in collisione coll'alleanza francese, a cui doveva
il proprio innalzamento.
Terrorizzato dalle espressioni bollenti de'suoi av
versarj , che credeva ammansati , cerc di porvi in
qualche modo rimedio, proponendo timidamente in
Parlamento una legge sulle associazioni, che provoc
un nembo di proteste dalla parte interessata, e che
il ministero dovette provvisoriamente lasciar da parte,
aspettando il tempo opportuno di rimetterla in campo.
Frattanto si andava proclamando ovunque da ognuno
la necessit della concordia e della conciliazione di
tutti i partiti, idea che venne tosto afferrata dal mini
stero, che subito dichiar di volere tale conciliazione,
e si mise all'opera onde effettuarla, facendo conces
sioni a destra ed a sinistra, ed accarezzando princi
palmente i cos detti ultra-liberali, a cui appartene
vano coloro che formavano parte del partito d'azione.
Il progetto del capo del gabinetto piacque gene
ralmente e gli concili parte de'suoi avversarj, non
valendo per ad inspirare maggiore fiducia negli

32
ultra, che riguardarono le inusitate carezze come
un'agguato, e manifestarono altamente questa loro
opinione abbondando in invettive conilo il ministero,
il quale dal lato suo si approfittava di questi clamori,
(che in seguito si verificarono ben fondati) per di
chiarare e dipingere il partito degli ultra come gente
insaziabile, mai contenta, ed accattabrighe.
I fatti manifestarono chiaramente che la ragione
non era dal lato del ministero, e che se quell'avvicinarsi di esso e tendere la mano alla democrazia non
nascondeva un agguato, era per lo meno un palliativo,
di cui forse in buona fede si serviva il ministero
stesso per farsi un po' d'aria nell'angustia in cui mi
nacciava d'affogare, fidandosi per l'avvenire nella sua
buona stella.
Dicemmo che il progetto di conciliazione del mi
nistero Rattazzi era un palliativo, e lo fu infatti;
ma era qualche cosa di peggio ancora, cio un'asso
luta assurdit.
*.
A quale scopo e con quale franchezza il ministero
Rattazzi si assunse il peso, a cui aveva dovuto sog
giacere Ricasoli, senza avere non solo la certezza,
ma neanche la probabilit di condurre a buon fine
quello che non aveva potuto fare il suo predecessore
non si pu abbastanza comprenderlo. Fu Rattazzi
ingannatore od ingannato? Nel suo programma
egli dichiarava di voler andare a Roma, e di volervi
andare col concorso della Francia. = Ricasoli era
appunto caduto perch aveva chiaramente dato a di
vedere di non poter andare a Roma senza opporsi

33
alla Francia, giacch questa si ostinava a rifiutargli
il suo consenso. Ora, era Rattazzi certo che il
vantato concorso e l'assenso nella Francia gli sareb
bero stati accordati? Era sicuro di poter mantenere le
promesse fatte nel suo programma?
Se si dovesse riguardare al famoso viaggio di Pa
rigi dove il futuro ministro del regno d' Italia pot
intendersi coli' imperatore dei francesi, parebbe di
s ; ma se si guardano i fatti, risulta che no. E se
dovessimo appoggiarci ad una certa nota del governo
francese pubblicata dopo lo scontro d'Aspromonte,
in cui il gabinetto delle Tuillcries nega assoluta
mente di aver dato al governo italiano fondate spe
ranze sulla restituzione di Roma, la menzogna del
ministero, o la sua ambizione di salire a qualunque
costo al potere, emergono vergognosamente chiare.
Rattazzi doveva essere certissimo di non poter dar
Roma all'Italia, e mancato questo scopo, poteva aspet
tarsi indubitamente di vedersi fatto ludibrio alle ire
df'r partiti ed alla contraria opinione della nazione
intera. Sapendo di non potere ottener Roma, il ten
tativo delia conciliazione dei diversi partiti riusciva
un pessimo palliativo ed un assoluto assurdo, giac
che non poteva essere che una conciliazione fallace
e puramente momentanea. L'uragano non avrebbe
fatto che scoppiare un istante pi tardi, ma con vio
lenza maggiore, poich tutti sarebbero insorti, tro
vandosi tutti ingannati.
Chi pi d'ogni altro strepitavano, erano gli uo
mini del partito d'azione, contro i quali si sfiatava
Aspr.
3

34
la stampa ministeriale del cos detto terzo partito,
tacciandoli di mazziniani e d'anarchici, a cui faceva
eco la stampa moderata, d'accordo in questo colla
ministeriale. Il dipingere con neri colori, pi di
quello che fosse in realt, lo stato del paese, poteva
essere in certo modo dannoso, vero, ma non Io
era molto pi il velare, il nascondere questa trista
condizione? L'agire de'primi poteva, se non altro,
far riflettere ai mezzi di rimediarvi, l'agire dei se
condi invece la prolungavano ad arte indefinita
mente, sforandosi di non lasciarla travedere nep
pure a'proprj occhi.
Qualora si getti uno sguardo sulla condizione della
penisola italiana d'allora, si vedr di leggieri che i
patriotti esaltati non andavano molto lungi dal vero
nell'esagerazione delle loro apostrofi, contro l'inerzia
e Tignoranza del ministero.
l1 malcontento covava generale in tutta Italia, in
tutte le classi della popolazione, e perfino in quella
degli impiegati stessi dipendenti dal governo, co
stretti a vagare qua e l a piacimento del ministero,
il pi spesso senza compenso di sorla, ed a cui ve
nivano grettamente rifiutati varj beneficj di cui frui
vano sotto i governi cessati. La smania d'introdurre
le leggi ed i costumi piemontesi nelle nuove Pro
vincie, aveva gi alienato al governo lo spirito delle
medesime. Si gridava in coro al piemontesismo, ed
il ministro Rattazzi memore di quello che aveva
latto nel 1859, proseguiva freddamente ad imporre
leggi sopra leggi , che , ottime per l' antico Stato

85
sardo , riuscivano per pessime pei paesi aggre
gati , in cui altre erano le costumanze ed altri i
bisogni delle popolazioni. Lo scopo era lodevole in
questo, che cercava di dare ai gi diversi Stati una
amministrazione uniforme ; ma troppo sollecito a
porlo in esecuzione, ne derivarono due mali gran
dissimi: il malcontento delio popolazioni, di cui si
erano malmenati e si malmenavano bruscamente
gli antichi inveterati usi e gl'interessi popolari: pi
si poneva la pubblica amministrazione medesima in
una via di disordine e di confusione centinuata ed
inevitabile, cangiandosi ad ogni tratto le leggi e l'or
dinamento amministrativo.
Questo vale specialmente nell'alta Italia: che nella
meridionale ogni cosa andava sgraziatamente a soq
quadro. L brigantaggio, l reazione, l pessima am
ministrazione, mal sicurezza degli averi e delle per
sone, in una parola tutto quanto v' ha di pi tristo
in un regime governativo. Ed il torto era tanto del
governo come del popolo, ma incomparabilmente pi
del primo che del secondo. Si erano donati cariche
ed onorificenze agli ex fautori dell'espulso re, e si
era riuscito con ci, non ad affezionarli, ma bens
a crearsi sin nel centro dei dicasteri un'opposiziono
sorda ed accanita, che di tanto in tanto scoppiava in
aperta congiura. Si erano spediti al governo di quelle
popolazioni uomini invisi ad esse, si erano mandato
a fascio le antiche leggi, fra le quali ve n'erano al
cune buone e certamente pi adatte ai napoletani
che non le sarde; e ci tutto senza verun riguardo,

3
senza nemmeno indagare se fosse bene o male, se
piacesse o non piacesse ai napoletani, i quali pure
avevano, trattandosi di causa propria, il diritto d'es
serne interpellati.
Tanto dai ministeri antecedenti come da quello di
Radazzi si aveva considerato nella pratica il nuovo
acquisto delle Due Sicilie, non come avvenuto di
voto e per volont di popolo, ma per atto di con
quida; errore fatalissimo , perch sparse la diffi
denza fra governanti e governati. Quest' ultimi pro
testavano, strillavano e facevano un chiasso indiavo
lato, dicendosi oppressi e malmenati, ed avevano un
po' torto, giacch era impossibile che il governo
concedesse loro tutto quello che domandavano, giacch
anche colla migliore volont del mondo non avrebbe
potuto accontentare che ben pochi, tanto stragrandi
le prelese.
Il malcontento latente scopp i) perci e si tradusse
in atti dannosi alla pubblica sicurezza, e, quel ch'
peggio, all'unit d'Italia. Ogni momento si scopri
vano vaste congiure, in cui prendevano parte il pi
di frequenti la classe pi alta della societ, impie
gati alto-locati, e perfino impiegati- e soldati della
stessa polizia, il che dimostra evidentemente quanto
il ministero fosse stato malaccorto e dannosamente be
nigno nella scelta in quelle provincie degli agenti al
soldo del governo.
Ma ci che maggiormente malcontentava i napo
letani, era la continuata recrudescenza del brigan
taggio, contro cui assai lardi aveva il governo ccr

37
rato di porre rimedio, ed anche allora aveva agito
con una deplorevole lentezza. La colpa non era tutta
del governo, poich, tino a che FItalia non avr Roma,
il brigantaggio durer sempre, ma i mezzi adope
rati da lui erano insufficienti, e spesse volte mendi
cati a gran gridi dalle autorit locali, ci che ac
cresceva il male, e poneva il governo in cattiva luce
in faccia alla popolazione.
I danni cagionati da questa orribile piaga non v'
penna che possa sufficientemente dipingerli ed enu
merarli. E non un'esagerazione, no. Intere
messe di campi abbruciate o calpestate, fiorenti
masserizie poste a ruba ed a sacco, e poscia date in
preda alle fiamme, rapine, incendj, assassinj. stupri
erano, e sono tuttavia al presente, all' ordine del
giorno nelle sventurate provincie napoletane. Nessuna
sicurezza pei coloni, deserte le case isolate di cam
pagna, malsicure le persone fin' anco nei villaggi,
nelle borgate, e nelle citt. Biglietti di ricatto o me
glio ingiunzioni di pagamento, venivano spedite ai
facoltosi dai briganti, e qualora questi si fossero rilutati allo sborso del denaro, erano certi di vedere
interamente minati e dispersi i loro averi. Ne ci
bastava. Si assalivano le diligenze e le vetture, si
massacrava senza piet gli sventurati quivi rinchiusi
che fossero stati appena, appena conosciuti per hbe
rali , e si trascinavano gli agiati nei ricoveri od a
meglio dire negli accampamenti dei briganti, e si
intimava loro o la morte, od il riscatto mediante co
spicua somme di ducati.

38
La insecurt pubblica in Sicilia, dove non estendevasi il brigantaggio, non cagionava meno terrore
di questo. Rimostranze da tutte le autorit, da tutti
i municipj, da tutti i giornali, pervenivano inces
santemente al ministero; si avveravano ogni giorno
fatti incredibili, e baster accennarne uno per darne
un'idea. Il 3 aprile, nel palazzo municipale posto
precisamente accanto al teatro Bellini in Palermo,
fu commesso il furto di L. C00O a danno del mu
nicipio stesso, e ci verso le dieci della sera, mentre
un picchetto di guardia nazionale stava di guardia
al portone del teatro. 1 ladri erano alcune guardie
dei dazj civici rinviate pochi mesi prima , le quali
fecero violenza, rubando al cassiere l'orologio ed il
denaro che teneva in tasca, partendosene quindi con
tutta comodit.
Il clero poi, contro il quale si inveiva in parole
per non urtare direttamente la pubblica opinione,
ed a cui invece in segreto si facevano carezze, ap
profittava del tentennare e della manifesta debolezza
del governo per congiurare apertamente e senza verun ritegno. A Milano un vicario Caccia sfidava l'ira
pubblica, e non gli si toglievano dal governo i
mezzi di nuocere. Un vescovo di Bologna, Canzi, con
varj complici diffondeva nella sua diocesi scritti con
tro la libert e contro il governo medesimo, e questi
non gli procede contro, che solo allorch lo scandalo
divenne s grande da provocare l' indignazione del
l'intera popolazione. E cos era in tutta Italia, come
lo dimostrano i processi incoati in quell'epoca con

39
tre vescovi, preposti, curati, preti e monaci. Ma
non era qui tutto. Giovandosi abilmente della su
perstizione religiosa, dei soldati, buona parte dei
quali nativi del Napoletano e delle provincie roma
gnole e da solo poco tempo incorporati all'esercito,
molti tristi sacerdoti negavano loro l'assoluzione dei
peccati e li minacciavano dell'inferno, qualora non
facessero il possibile di sottrarsi al servizio militare.
Tutto ad un tratto le diserzioni presero misure
gigantesche, e durante la quaresima divennero cos
numerose, che chiara vi apparve la mano che li ec
citava. Venne osservato con stupore universale, che
specialmente dopo le confessioni pasquali, di cui, a
norma dell'antico bigottismo piemontese, si fa ob
bligo ad ogni soldato, i soldati disertavano in massa,
e principalmente i napoletani, ed i romagnoli, men
tre tra i lombardi, piemontesi e toscani si contavano
pochissimi disertori.
Il ministero della guerra spaventato dall' improrviso incrudire di questa nuova piaga, ordin allora
che si facessero inchieste, che condussero allo sco
primento delle mene clericali. Alcuni soldati, fedeli
al giuramento ed amanti del loro paese, riportarono
ai superiori le subdole insinuazioni loro fatte nel
confessionale, e fortunatamente vi si pot mettere
argine, contribuendovi potentemente altres il conte
gno delle popolazioni, che da s stesse si posero in
cerca de' disertori, e li consegnarono quasi tutti alle
autorit militari.
Il vedere fallite le speranze del riscatto di Roma

40
e di Venezia, e la poca cura, che il governo mani
festamente poneva al conseguimento de' voti della
nazione, resero maggiormente trista la condizione
del nuovo regno d' Italia, ed accrebbero .il generale
malcontento. Infatti la lusinga che l' imperatore
de' francesi ci cedesse la tanto desiderata nostra
capitale era svanita, e quel eh' peggio appariva
chiara in lui la risoluzione di non cederla a tutto
costo.
Non era gi il linguaggio d'un alleato ch'egli te
neva con noi, ma bens quello di un padrone, che
aveva desiderato di trattarci benevolmente, ma che
non aspettandosi i reclami continui ed ostinati che
l'Italia intera andavagli dirigendo , s' era messo in
attitudine di farle il broncio.
Ognuno mormorava contro tale inesplicabile agire,
ed il partito liberale proclamava ad alta voce le
proprie diffidenze, bench i moderati si dessero ogni
sforzo per esporne le difese, che per verit si spun
tavano contro i fatti. In quasi tre anni si era
operato ben poco per l'esercito, unica forza d'Italia.
L' Italia , bench quasi unita , era aperta da tutti
i lati all'arbitrio dello straniero, e per sopprapi
aveva il cancro letale del papato nel proprio seno.
Le sue barriere naturali trovavansi in man dal'un lato alla Francia, cui eransi cedute la Savoja e
Nizza, e dall'altro stava ritto e minaccioso il fan
tasma del quadrilatero austriaco, pronto a gettarsi
pel Mincio sulle aperte pianure lombarde e pel Po
sul centro d' Italia , senza che vi si potesse opporre

41
una valida resistenza, essendo l'esercito italiano tut
tora in via di lentissima creazione, e non numeroso
a sufficienza da potere con buon esito rattenere gli
austriaci, qualora questi, approfittandosi della sua
debolezza si fossero mossi a nuova guerra.
E qui il torto del ministero inescusabile, poi
ch, non armando la nazione, commise un doppio
fallo , che poteva riuscire dannosissimo all' Italia.
La sua trascuranza ci dava in bala alla Francia nel
caso che si avesse dovuto ricercarne di nuovo l'ajuto,
ajuto che gi si aveva la prima volta pagato assai
caro, oppure, volendo farne senza, ci metteva alla
discrezione dell'Austria.
vero altres, che ostacoli d'ogni sorta frapponevansi al ministero, ma questi ostacoli aveva il mini
stero cercato di vincerli, od almeno d'appianarli?
Formare un potente e numeroso esercito era il
solo mezzo, onde pervenire a tale intento. Il mini
stero non lo aveva posto in opera, e se questa colpa
dovevasi imputare in gran parte al ministero prece
dente, era almeno obbligo del nuovo di pensare al
rimedio provvedendovi tosto efficacemente.
Invece adoper ancora i soliti palliativi che punto
non giovarono e che condussero di gradino in gra
dino alla guerra civile, ed al luttuoso fatto d'Aspro
monte.

42

IV.

Impaurito dal malcontento gigantesco, che andava


scoppiando nelle provincie meridionali, il nuovo mi
nistero cred di ricorrere ad un mezzo infallibile di
farlo cessare, quello dell'andata di Vittorio Emanuele
a Napoli. Con ci credea accontentare in certo qual
modo quelle popolazioni , e per mezzo delle dimo
strazioni d'affetto e^di riverenza, con cui certamente
l0 si avrebbe accolto, far conoscere all'Europa, che
il plebiscito del 1860, non era stato una vana pa
rola, ma bens il fermo volere dei napoletani.
Quesi' atto infatti poteva produrre ottime conse
guenze , qualora fosse stato nel medesimo tempo
coadiuvato da provvide riforme, ma se queste non
erano attuate, anche il viaggio del re veniva ridotto
ad un semplice palliativo. E cos fu.
Il re venne infatti accolto con immenso entusiasmo,
ci che diede chiaramente a dimostrare che il po
polo napoletano ama l' Italia e l' unit della propria
patria al pari d' ogni altra popolazione italiana , ma
le riforme non vennero, e l'intento precipuo di ac
chetare il malcontento generale nelle provincie me
ridionali, falli.

43
Frattanto Garibaldi continuava il suo giro, ini
ziando dappertutto ove passava, il Tiro al Bersaglio,
ed accendendo gli ardori guerreschi della nazione.
Tormentato dalla sua ordinaria malattia, la gotta, si
recava alla line a Trescorre sul Bresciano, onde pren
dervi i bagni.
Bentosto si not al confine bresciano-austriaco uno
straordinario concorso di capi del partito d'azione,
ed un continuo agglomerarsi di giovani, ch'era pre
sumibile si fossero col recati con tutt' altro scopo ,
che di vedere il generale. Gi da qualche giorno si
andava buccinando, che si sarebbe tentato qualche
gran colpo contro l'Austria e si discorreva dovunque
d' una spedizione in Tirolo. Quelle voci , dapprima
vaghe e confuse, sembrarono constatate dall'apparire
continuo di numerosa giovent al confine, e presero
consistenza in modo, che non si parlava d'altro fra
il pubblico, e l'imminente spedizione form il tema
d'ogni conversazione, nelle osterie e nei caff.
L'autorit di sicurezza pubblica, ultima sempre a
venire in cognizione d'ogni fatto importante, ne fu
finalmente informata, ed allora ag a rotta di collo.
Essa procedette il G maggio a minute perquisizioni,
sequestr munizioni, vestimenta, ed armi, e infine
giunse a sapere positivamente che si stava organiz
zando infatti una spedizione pel Tirolo. I signori
Nullo ed Ambiveri, il primo ex ufficiale superiore
dell' esercito meridionale , furono arrestati con mali
modi e condotti in carcere a Brescia unitamente a
Luigi Di Chiaro, veneziano, e a Pasquali Giuseppe
di Mantova.

44
La notizia di questi arresti congiunta al modo con
cui eransi fatti, produsse nel popolo una spiacevole
e dolorosa impressione. Non appena si seppe che gli
arrestati stavano rinchiusi nelle carceri della Pretura
di Brescia, si adun una folla di gente che recatasi
al palazzo Pretorio, reclam ad alte grida la loro li
berazione. .
Il Prefetto di quella citt commise il grave fallo
di non far adunare la Guardia nazionale , che sola
poteva trattenere la folla esacerbata, ed invece spedi
alle carceri in rinforzo un drappello di soldati, il
qual atto non fece che maggiormente invelenire la
moltitudine, che si gett sulla porta chiusa della pri
gione, e riusc in pochi minuti ad aprirla. Fatal
mente i soldati, dicesi napoletani per la maggior parte,
che stavano dietro di essa, spaventati forse e temendo
di trovarsi in bala dei tumultuanti, fecero fuoco a
bruciapelo, ne uccisero quattro, tutti operaj, fra cui
due ragazzi di 14 anni, e ne ferirono varj altri. La
moltitudine si ritir tosto gridando al tradimento, ma
il tristo fatto, commentato in mille modi, dest una
dolorosa sensazione in tutta Italia. Era quella la prima
volta dopo la rivoluzione , che s' era sparso sangue
cittadino dai nostri stessi soldati, ed ognuno sembr
prevedere , che il governo non avrebbe fatto al bi
sogno, verun caso delle vite de'cittadini.
Gli arresti intanto continuarono, ed oltre a 40 gio
vani vennero presi a Sarnico , luogo principale di
riunione, che diede perci il nome al tentativo, e
quindi condotti in un col colonnello Nullo e gli altri

45
ufficiali gi anteriormente arrestati, ad Alessandria,
in cui doveva aver luogo il processo.
Appena avuta notizia del falto, Garibaldi part tosto
da Trescorre per Bergamo, dove la sua presenza pr-*
voc una fragorosa dimostrazione. Eranvi giunti i 40
arrestati di Sarnico , ed egli domand, che fossero
rimossi in libert, dichiarando s stesso colpevole di
ogni cosa : le autorit s' interposero e la manifesta
zione ebbe fino pacificamente. Ma il governo ordin
che non si cedesse alla di lui inchiesta, e gli arres'ati vennero tradotti, come dissimo, ad Alessandria.
Prima per che partissero a quella volta , il ge
nerale fece tener loro queste parole, che qui ripor
tiamo :
Miei cari amici, vi autorizzo a dire, che siete
stati chiamati a Bergamo da me. Vi consiglio a la
sciarvi condurre, e siate certi, che la nazione sapr
valutare il vostro slancio patriottico, e la vostra abne
gazione.
La fama di questo tentativo si sparse in un'attimo
per tutta la penisola ed all'estero, e suscit dapper
tutto i pi esagerati clamori, che vennero amplificati
ed ingigantiti dal partito moderato , e dai giornali
ministeriali, autorizzando con ci le misure repres
sive del governo , che sapeva forse come stava in
realt la cosa, ma che si dimostrava fiero e lieto, di
aver salvata la nazione da un atto disperato, e supre
mamente dannoso al bene d'Italia.
Chi facevano maggior fracasso erano , come ab
biamo detto , i moderati , che non volevano darsi

46
pace del colpo tentato , e proclamavano tutto per
duto, qualora non si fosse giunti in tempo d'impe
dire la progettata spedizione. E questa volta la
stampa era tutta d'accordo con loro: si disapprovava
il tentativo, si dicevano imprudenti e fanatici quelli
che lo avevano promosso, si gridava la croce contro
il partito d'azione, che aveva posto lo Stato in un
s gran pericolo , quale si era quello d'una guerra
coll' Austria, e congratulazioni ed indirizzi preveni
vano da tutte le parti al governo , lodando la sua
fermezza, ed il suo agire pronto e risoluto.
Anche la pubblica opinione, perfino nelle minute
classi del popolo , manifestossi in quest' occasione
decisamente contraria alla spedizione, e in ci fece
conoscere quanto grande fosse tuttavia il timore ,
che si aveva dell'Austria, e quanta poca fiducia si
ponesse nel nostro esercito, e nelle nostre forze, che
si dcewmo ad alta voce non in grado di misurarsi
con quelle del pi accanito nemico d' Italia.
Ma in mezzo a tutto il trambusto non una pa
rola venne pronunciata contro Garibaldi. In questo
punto l'accordo fu unanime e veramente meravi
glioso. Tutti i partiti si unirono a difenderlo , e
mentre si disapprovava il tentativo, di cui egli aveva
altamente dichiarato di assumere la responsabilit ,
se ne ammirava e se ne encomiava il patriottismo.
Il governo stesso, ben lungi dal rivolgergli una sola
espressione di rimprovero si sforzava, ad onta delle
proteste del generale , di persuadere alla nazione ,
che questi non v'era entrato per nulla nell'affare ,

47
che tutto s' era fatto senza il suo consenso , e che
soltanto per generosit d'animo e per trarre d' im
paccio i volontarj egli erasene dichiarato il promo
tore ed il colpevole principale.
Si and pi lungi e onde meglio riuscire all'in
tento di scusare il generale , gli furono da parte
del ministero fatte istanze e preghiere, affinch ri
traesse la propria protesta, inculcandogli, che il bene
della nazione richiedeva questo passo. E Garibaldi
vi adori , gettando con quest'atto una nuova confu
sione nel caos , che inviluppava il tentativo di Sarnico, intorno a cui si sparsero le roci le pi oppo
ste e le pi esagerate, e perfino questa, che il mini
stero ed il re stesso fossero avvolti nella faccenda,
per la cui buona riuscita il presidente del consiglio
de' ministri avrebbe anzi posto un milione di franchi
a disposizione del generale; ma che un'ordine im
perioso da parte della Francia aveva posto il tutto
sossopra, e provocate cos le misure repressive del
governo, il quale aveva dovuto, per non inimicarsi la
Francia, far le viste di dare addosso ai patriotti.
Come realmente stia la cosa , un mistero che
non si pot finora decifrare. fatto per che il
governo si di infinita briga, onde porre in silenzio
l'affare, e st affrett ad attenuare la cosa, dichiaran
dola effetto di pochi esaltati, ma ottimi palriolti, che
bisognava compatire e perdonare. E siccome, qualora
si fosse istituito il processo degli arrestati, si avrebbe
per necessit dovuto intrecciarvi anche il nome di
Garibaldi, si pens di porre in silenzio ogni cosa,

48
tanto pi che il tribunale di Bergamo dichiar non
potersi far luogo a procedimento alcuno. Questa
declaratoria lasci trapelare una segreta complicit
fra il ministero e Garibaldi , e conferm su questo
proposito l'opinione gi invalsa nelle moltitudini, del
l'accordo esistente fra loro.
Continuava in questo mentre la lotta fra il partito
moderato e quello d'azione, gettandosi a vicenda la
menti e recriminazioni. I moderati tacciavano al so
lito gli ultra di mazziniani, e rimproveravano loro
di gettare in tutto il torbido, per poi pescarvi a loro
piacimento: di volere compiuti i loro desiderj di re
pubblica e d'anarchia anche a rischio di vedere an
darsene in fascio l'Italia: di aver tentato di compro
mettere Garibaldi in uno stolto tentativo: di fare
tutto il possibile in una parola per minare e con
durre a certa perdita la nazione. A cui gli altri ri
spondevano, che la taccia di mazzinianismo era il
solito pretesto, che si faceva valere dai loro avver
sarj pei- denigrare i veri patriotti; che il tentare di
sollevare l'Italia dall'incubo della tutela straniera non
era gi un atto riprovevole, ma patriottico, giacch
risguardava l'onore della nazione avvilita da un mi
nistero imbelle e ligio ad un gabinetto, che sotto
pretesto d'alleanza, opprimeva l'Italia, e minacciava
di mandai la in sfascelo con molta pi certezza di
quello che lo potesse fare una guerra giusta esinta:
che si sapeva benissimo strisciare il partito mode
rato a' piedi del monarca francese per mantenersi al
potere; che non si voleva andare a R'ima ed a Ve

49
nezia, perch al padrone, non garbavano tali im
prese: chc finalmente colle mani in tasche non si
poteva fare l'Italia, che bisognava armarsi e sempre
armarsi per esser sicuri del fatto suo e [per mani
festare a voce alta e ferma il proprio volere e le
proprie ragioni. Ed in ci i patriotti non ave
vano torto.
Il fatto di Brescia provoc in pari tempo nella
Camera varie tempestose sedute. Furono fatte inter
pellanze dalla sinistra al ministero sul fatto di Bre
scia. I deputati Crispi e Bixio dichiararono l'arresto
dei volontarj illegale, riprovevole la condotta del
Prefetto di Brescia, che aveva provocato, potendolo ov
viare con facilit, lo spargimento di sangue cittadino,
e finirono chiedendo energicamente un'inchiesta per
rischiarare le tenebre che involgevano' la tentata spe
dizione di Sarnico. Boggio e Chiaves, deputati della
destra, sorsero a difendere a spada tratta il mini
stero: la discussione si fece animata, e degener in
accuse reciproche.
Alla fine il partito ministeriale, o meglio la tat
tica del ministero, che supplicava a destra ed a si
nistra l'unione e la concordia in nome del bene della
patria, prevalse. Si risolv di stendere un Otto velo
sull' accaduto, ed il rumore immenso suscitato da
questo tentativo, che aveva per poco minacciato di
pconvolgeie l'Europa, cess ad un tratto e con quella
medesima celerit, con cui era sorto e cresciuto.
E qui ci sia permesso una digressione a rischio
anche di ripeterci.
Aspr.
4

50
Si discusse a lungo dappertutto sulla probabilil
di riuscita della spedizione di Sarnico. L'opinione
pubblica, forse traviata, che si scaten da tutti i lati
su quel tentativo farebbe comprendere; quanto grave
ed azzardata si ritenesse l'impreia. Per, se da
un lato la lotta era impari di forze, e poteva riuscir
fatale all' Italia senza il concorso della rivoluzione
nella Venezia e fors'anche nell'Ungheria, in cui al
lora ferveva l'opposizione pi manifesta al regime
austriaco; coirajuto di essa dall'altro lato le forze
italiane sarebbero state non solo pari a quelle del
l'Austria, ma le avrebbero senza verun dubbio so
verchiate. La lotta, mortale e sanguinosa, dubbia
certamente sul principio, giacch si avrebbe dovuto
sfidare il corruccio francese, e la disapprovazione
delle potenze estere poteva, guidata da quel gran
dioso genio di Garibaldi, volgersi in vittoria la quale
avrebbe avuto per l' Italia le pi brillanti conse
guenze, dimostrando al mondo, ch'eravamo forti ab
bastanza per combattere il pi agguerrito nostro ne
mico, guadagnando, oltre all'acquisto della Venezia,
la fiducia in noi stessi, cosa essenzialissima e prin
cipale che deve possedere una nazione, che vuol'essere libera ed indipendente. Infine colla vittoria la
tutela francese sarebbe caduta da s medesima, e
l'Italia era fatta.
Ma per ottenere tutto questo era necessario anzi
tutto un governo fermo e risoluto, il cui contegno,
elettrizzando, per cos dire, le popolazioni d'Itaha,
le avesse lanciate sul campo di battaglia.

M
Invece il governo tentenn, e i ministri, inetti
tutti al compito che si erano assunto, vollero piut
tosto bilanciarsi fra l'irrompere dei partiti, che sfor
zarsi a signoreggiarli, a guidarli, e a giovarsene per
la grandezza della nazione.
Cavour, il solo forse, che avrebbe saputo, certo
con grandi sacrificj . condurre a fine l'impresa, era
morto, in buon punto per la sua fama. Il voler giu
dicare preventivamente la traccia del suo operato,
qualora fosse vissuto, sarebbe forse ingiustizia, e
forse la trista realt ne avrebbe offuscata la gloria.
Altri sacrificj preparavansi forse in segreto fra lui
ed il gabinetto delle Tuilleries. Gli impacci, che la
sua morte leg ai suoi successori, lascieranno i po
steri in dubbio, s'egli avrebbe potuto vincerli colla
possa del suo genio senza scendere a nuove cessioni.
Ricasoli, che si assunse, e dichiar formalmente di
assumere la di lui eredit, protestando di voi ci se
guire le orme ed i consigli ricevuti al letto di morte
del grande diplomatico, manc e falli al peso enorme
che s'era addossato. Forse fu mancanza di genio dal
suo lato, ma se le condizioni della consegna di Roma,
e del riscatto di Venezia erano inesorabilmente la
cessione di qualche provincia italiana e l'immischiarsi
dell'esercito nostro nelle brighe e nelle lontane spe
dizioni, in cui la politica napoleonica poteva invol
gere l'esercito francese, doveva egli accettarle?
quasi constatato, che il gabinetto delle Tuille
ries sarebbe sceso a concessioni in materia della que
stione romana, se avesse ricevuto in compenso l'Isola

52
di Sr-rdegna, o per lo meno se un corpo dell'eser
cito italiano avesse coadjuvato il francese alla con
quisi i del Messico. Ma l'Italia tutta sorse unanime a
protestare energicamente contro tali patti, e pio non
v'era la voce potente di Cavour per farli accettare.
E Cavour medesimo sarebbe pervenuto all'intento?
Forse s, e forse no.
Ad ogni modo Ricasoli, che non aveva il presti
gio clie circondava Cavour, trovossi ad un tratto
sbalzato dalla via, che s'era tracciata, err nel caos,
vi spinse il governo e la nazione, e cadde affranto
d ii proprj sforzi per liberarsi dal tremendo pondo
clu lo opprimeva. Per lui non v'era via di mezzo,
o gettarsi in braccio alla Francia contro l'Italia, od
all'Italia contro la Francia. Posto fra il terribile bi
vio, Ricasoli si smarr d'animo, ma, sia detto a sua
giustificazione, quest'atto gli far perdonare gli er
rori commessi durante il suo ministero, fra i due
portiti, egli scelse il migliore. Fra l'onore mi
nacciato della sua patria, e l'ambizione del potere,
prefer di conservate intatto il primo, e tent di
scuotere la tutela francese , alleandosi coll' Inghil
terra.
E fu un altro errore, perch le medesime accuse,
c!ie rivolgevansi contro l'alleanza francese, si scatc
iarono contro l'inglese, di cui si diffidava nell'istesso
grado, o forse ancora di pi. Ricasoli non riusci col
suo agire, che a rendersi inviso al gabinetto delle
T::ilieries, senza acquistarsi perci la simpatia della
nazione. Egli doveva, in risposta alle pretese napo

53
leonichc, armare la nazione, organizzar* la truppe,
dichiarare all'Italia, che solo con un'imponente eser
cito potevasi ottenerne la unit, ma ebbe paura,
ricorse ad altri mezzi, e siccome non v'era che que
sto solo per conseguire Io scopo, dov necessaria
mente fallire, e lasciare il posto a'suoi arversarj po
litici, che approfittaronsi de'suoi errori, per salire al
potere.
Rattazzi, gi ministro tre volte, l'una in un'epoca
sciagurata, quella in cui avvenne la disfatta di No
vara, l'altra nel 1856, e l'ultima, dopo il ritiro di
Cavour alla pace di Villafranca, comprese la trista
posizione del rivale, e scorgendo, che l'alleanza fran
cese era dalla pubblica opinione preferita a quella
dell'Inghilterra, stim necessario di farsene la base
potente onde giungere una quarta volta al mini
stero, e per meglio agevolarsene la strada , si rec
a Parigi, dove parve, che un nuovo patto, favorevole
all'Italia, sgorgasse dal di lui colloquio coll' impera
tore de'francesi. Si cred dall'universale che Rattazzi
fosse sicuro dell' ajuto francese pel compimento dei
destini d'Italia, e fu questo l'estremo colpo date al
ministero Ricasoli. Rattazzi venne nominato presidente
del consiglio.
Ma il modo, con cui era giunto al potere, non
poteva certo gradire a tutti quelli, che amavano dav
vero il bene del proprio paese, e Rattazzi trov nel
Parlamento una forte e compatta opposi/Jone. Si af
frett allora a pubblicare il proprio programma, die
piacque, perch eco fedele dei voti dell'intera na

54
zione, c chiese arditamente, fiducioso e sicuro di s
stesso, di venir giudicato da'proprj fatti.
. L'opposizione scem, la Camera cred bene di non
dimostrarsi preventivamente ingiusta, e si dichiar
pronta a coadjuvare il ministero.
Ma si aspettavano i fatti con impazienza, ed il
nuovo ministro, onde tradurne alcuni in atto, ed al
l'intento di accaparrarsi l'animo della sinistra, acca
nita avversaria, accarezz gli ultra-liberali, scese con
essi a trattative, e fece loro grandi promesse, ch'egli
ben sapeva di non poter mantenere.
Il tentativo di Sarnico lo obblig a levarsi un
lembo della maschera, per seppe in pari tempo trarsi
d'impaccio, facendo uso d'un palliativo fatale, quello
di porre sotto silenzio l'intiero accaduto, colmando
di nuove carezze i patriotti, nella speranza di atti
rarsene le simpatie.
Ma i patriotti, cui la lezione era parsa amara, e
nell'animo de'quali sempre pi si andava svolgendo
con certezza l'opinione, che il ministro tentasse di
intimarli, e ben scorgendo, che, lui al potere, non
sarebbero avanzati d'un passo la questione romana,
ed il riscatto di Venezia, perch ligio al governo
francese, non si fidarono punto delle carezze loro
prodigate. Videro che l'Italia non aveva nulla a spe
rare dagli uomini preposti al suo governo, e risolsero
d'agire anche senza il loro consenso, costringendoli
a viva forza a compiere l'unit ed i voleri della -nazione.
Una volta postisi sulla via de'fatti, era impossibile
che retrocedeesero, e Rattazzi fece l'errore di appianare

85
egli stesso ai patriotti gli ostacoli che si frapponevano
al loro intento. Fino all'ultimo istante lasci credere
che sussistesse fra il governo ed il partito d'azione
un'accordo segreto: non potendo permettere l'offen
siva, il ministro doveva fin dal principio attutirne
gli sforzi e contrariarli apertamente ed energicamente;
ma egli aspett che fosse organizzata la resistenza,
ed agi solo allorquando lo spargimento del sangue
cittadino era inevitabile.
I luttuosi fatti che ne derivarono, l'Italia li deve
inesorabilmente porre a suo carico.

.v.

Ad onta del recente accaduto di Sarnico, andavano


girando nel pubblico le voci di nuovi arruolamenti,
dicevasi, per uno scopo ignoto. Prendendo tali voci
sempre pi maggior consistenza, e designandosi qual
cuno de'pi influenti ufficiali dell'ex-esercito meri
dionale quali promotori, e fra gli altri il colonnello
Acerbi, ufficiale incorporato recentemente nell'armata
regolare, questi si vide nella necessit di smentire
con una solenne protesta simili vociferazioni, esem
pio che fu seguito da Garibaldi stesso, il quale nel

66
frattempo aveva proseguito il suo viaggio, raccogliendo
sempre durante il medesimo le prove del pi vivo
entusiasmo e del pi caldo affetto.
Ma sia ch'esso intravedesse la necessit d'un col
loquio con Rattazzi, sia che lo si consigliasse a fare
questo passo, recossi a Torino, ed il colloquio credesi
abbia avuto infatti luogo. Immediatamente dopo il ge
nerale parti da Torino per Caprera, pubblicando la sua
dimissione da presidente della societ Emancipatrice,
atto, che provoc ogni sorta d'induzioni. Tutti i par
titi riguardarono quel fatto come avente somma im
portanza, giudicandolo ciascuno a modo suo. I mo
derati seppero grado a Garibaldi di questo sacrificio,
che implicava in s la concordia del ministero col
generale. Gli ultra, fidanti nell'animo patriottico per
eccellenza del campione del popolo pensarono a buon
diritto, che il ministro, per ottenere un tale conces
sione, avesse di certo fatte grandi promesse, che si
sarebbe veduto nella necessit di mantenere, e seb
bene il ritiro di Garibaldi a Caprera presagisse un
nuovo intervallo di forzata inerzia, se ne consolarono
col riflettere, che nel caso il ministro avesse man
cato a'suoi impegni, il generale vedendosi ingannato
di bel nuovo, avrebbe agito a qualunque costo.
La pubblica opinione intanto, momentaneamente
assorbita dal tentativo di Samico, si rivolse con
maggior forza ed energa all'eterna questione ro
mana. Il nuovo ministero aveva troppo altamente
proclamato il suo fermo volere d'andare a Roma, ed
aveva date al suo nascere troppo speranze, perch
a nazione sopportasse con pazienza gli indugj .

S7
L'ansia universale si faceva quindi sempre maggior
di giorno in giorno: si aspettava, e quel ch' peggio,
si riteneva certa una soluzione imminente. Le voci
le pi strane correvano su tal proposito, e tutto il
giornalismo tanto italiano che francese, si sfiatava
a fare induzioni sul modo con cui doveva aver luogo
l'evacuazione di Roma da parte dei francesi. Si po
neva in campo anche l'occupazione mista di truppe
francesi ed italiane, e si riguardava quasi universal
mente con compiacenza tale combinazione, senza ri
flettere che una simile misura equivaleva bene al
l'immediata resa, e perci inutile. Una volta entrato
in Roma l'esercito italiano, il pontefice sarebbe stato
dichiarato scaduto dal potere temporale, ed in simil
caso, che valeva a lui la mezza occupazione francese?
La missione dell' ambasciatore di Francia Lavalette
ed il richiamo del generale Goyon, legittimista cono
sciuto convalidavano maggiormente queste erronee
voci. Lavalette m' noto, disposto in senso favo
revole all'Italia, aveva protestato, che non surebbesi
recato a Roma, se prima non fosse stato richiamato
Goyon. Le sue ragioni sembrarono essere state ac.
colte dal gabinetto francese, che infatti ordin il richiamo con gran gioja degli italiani , che lo riguardono come un cangiamento importante a loro
riguardo nella politica imperiale. Si specificava
perfino lo scopo della missione di Lavalette , che
sarebbe stata quella di significare al sacro col
legio la risoluzione della Francia d'evacuare Roma
in brevissimo spazio di tempo, qualora la Corte Pon

58
tificia non fsse scesa a trattative per mezzo dell'in
termediario della Francia col re d'Italia.
Quanta volont avesse poi la Corte romana di ad
divenire a patti, lo dimostrava il suo contegno sem
pre egualmente ostinato ed alieno affatto dal solo dare
a divedere di esser disposto a farlo. Ch anzi preci
samente allora con inaudite pompe solennizz la ca
nonizzazione di ventitre gesuiti uccisi duecento anni
sono nel Giappone. Pi di 500 vescovi e di 3000 ec
clesiastici si riunirono in Roma per quel intento sa
cro in apparenza, politico nel fatto. Il pontefice volle
con simile imponente radunanza e sotto il pre
testo di collocare sugli altari i nuovi santi, ottenere
in realt due scopi politici. Primo, di mostrare al
mondo che, bench cinto di bajonette straniere, egli
riputava il suo deminio incrollabile, radunando in
torno a s tanti suoi fidi quanti a lui pareva e pia
ceva; secondo, di misurare col proprio occhio le forze
di cui avrebbe potuto all'uopo disporre. Il suo in
tento, bench riuscisse a raccogliere una folla di ve
scovi e preti, non fu punto per ottenuto, giacch
la vantata canonizzazione provoc in tutta Europa una
inesauribile tema di derisione, e la potenza pontificia
non ne ebbe maggiore risalto. Il muto assenso alla
radunanza dato dal protettore francese pass agli oc
elli di tutti come una povera elemosina fatta dal po
tente al debole, e fu anzi riguardata come l'annun
zio della caduta dal papa-re, che aveva osato di bra
veggiare il proprio padrone, al quale poco garbava
manifestamente quella eterogenea assemblea, radunata

59
col per fabbricare santi nel cielo e congiure sulla
terra.
In mezzo alle difficolt create dalla situazione e
dalla tensione degli animi l cose sembravano adun
que in questo punto volgersi in meglio per l'Italia,
ed il ministero italiano davasi a tutto potere briga
di eccitare e nutrire nella nazione le pi lusinghiere
speranze. Volendo viemmeglio rendersi accetto al
cosi detto garibaldinismo, che primeggiava special
mente nelle provincie meridionali, promosse la no
mina a prefetto di Palermo del marchese Pallavicino
Trivulzio, uno degli uomini pi eminenti della no
stra Italia ed amicissimo di Garibaldi. Non a dire
quanto fosse infatti tal nomina bene accolta dall'uni
versale ed in particolare a Palermo, e dessa serv
a semprepi confermare gl'Italiani nella persuasione
che il ministero e Garibaldi fossero perfettamente
d'accordo. La scelta del marchese Pallavicino fu cre
duta un segno novello ed infallibile d'alleanza fra
loro, ed appunto per ci il ministero commise un
grande errore. Egli doveva prevedere le conseguenze
che ne potevano derivare, e ne derivarono infatti.

Neil' isola di Caprera eransi radunati in questo


mentre un discreto numero di antichi ufficiali del
l'esercito meridionale, fra i quali il colonnello Nullo,
sortito da pochi giorni dal carcere, Cairoli, Corte e
l'ungherese Frigyesi. Il li luglio il generale Gari

60
baldi di l'ordine d'imbarcarsi e prese sul piroscafo
la Stella d'Italia, la direzione verso la Sicilia. Alla
sei ore del mattino del 17 l'intera comitiva sbarc
a Palermo, con immenso giubilo della popolazione
di quella citt, che accorse festeggiando sotto le fi
nestre del palazzo reale, in cui and ad alloggiare Ga
ribaldi.
Allora apparve chiaro lo scopo politico della ve
nuta del generale. Un discorso infocato fatto al po
polo palermitano, nel quale egli non risparmi punto
l'imperatore dei francesi, fu il primo passo nella
nuova via che Garibaldi disegnava di percorrere.
La notizia dello sbarco a Palermo, e l'infocato di
scorso del generale che i giornali s' affrettarono su
bito a riprodurre, cagionarono sul continente italiano
un'immensa impressione elettrizzando gli uni, spa
ventando gli altri a seconda del diverso colore politico.
Una specie di timor panico invase il ministero che
ancor titubante sul cammino che doveva percorrere
si accontent a sconfessare le parole di Garibaldi.
Contemporaneamente cominciarono nelle citt del
l' alta Italia vivissime dimostrazioni tendenti a mo
strare alla Francia l' esplicita volont dell' Italia di
avere Roma, sua capitale naturale.
In breve tutti i comuni della penisola seguirono
l'esempio di Milano e di Firenze, ed ogni giorno i
i giornali riproducevano nuove dimostrazioni, di cui
il grido universale era: Abbasso il papa-re! vo
gliamo Roma capitale. Si fece ancor di pi: a
imitazione delle dimostrazioni ufficiali per Roma

61
avvenute qualche tempo prima per impulso gover
nativo sotto T amministrazione di Ricasoli, uomini,
donne, ragazzi, si affibbiarono sui cappelli un bi
glietto sui cui stavano scritte o stampate le parole
che abbiano or ora riportate, e si adunarono sulle
piazze unendo le grida alla protesta che gi si scor
geva sulle loro teste.
Non sempre per tale riunioni si contentarono di
rimanere nei limiti di una stretta legalit. A Milano
la folla, dopo aver percorsi i quartieri pi popolati
della citt, tent di recarsi al palazzo di residenza
del console francese, allo scopo di gridare sotto le
finestre Vogliamo Roma! ma ne fa impedita dalla
guardia nazionale, che le autorit chiamarono a rac
colta con ansia indescrivibile, nel timore che la mol
titudine non scendesse a qualche atto villano verso
il rappresentante della Francia.
A Napoli si fece peggio: non passava giorno che
vi succedessero gridori e tumulti, che il pi delle
volte degeneravano in busse, di cui gli agenti della
sicurezza pubblica, contro cui sussisteva tuttavia l'an
tico ed inveterato rancore che gi avevasi per la
vecchia polizia, pigliavansi la loro parte, senza che
per, grazie agli sforzi della guardia nazionale, na
scesse collisione fra il popolo e la truppa, che rimanevasi in contegno minaccioso, ma nel tempo stesso
non usava violenza alcuna.
Ci che maggiormente esacerbava i napoletani, era
il vedere le autorit dare letteralmente la caccia con
zelo instancabile e spinto, spesse volte persino al ri

62
dicolo, all'inno di Garibaldi, che essi udivano tanto
volentieri, e pel quale, perci appunto che il governo
l0 voleva evitare, si dimostravano entusiastici, affer
rando ogni occasione di farlo ripetere con alte grida
nei teatri e nelle piazze dalle bande musicali. Perch
il governo lo interdiva? Questa puerilit in appa
renza, era non pertanto una delle cagioni pi forti
che attiravano al governo stesso il pubblico malcon
tento, riputandosi dall'intera popolazione che un astio
personale ed una sfrenata gelosia consigliassero agli
avversarj politici di Garibaldi , che tenevano le re
dini dello Stato, tale basso procedere.
Cionnullostante , in generale le dimostrazioni ave
vano un carattere tutt'affatto pacifico ed inoffensivo,
ed il governo medesimo in principio parve un istante
anzi incoraggiarle, del che si era prevalso il partito
d' azione , diffondendo in ogni canto che il governo
le autorizzava che la Francia stessa le vedeva volen
tieri, col pretesto eh' esse servivano a mostrare al
l' Europa intera, quanto l' Italia fosse d' accordo ed
unanime nel volere la caduta del dominio temporale
del papa.
Ma le parole pronunciate da Garibaldi contro l'im
peratore de' francesi , furono il segnale d' un subi
taneo cangiamento neh' attitudine di entrambi i go
verni alleati, il francese e l'italiano. Quest'ultimo
travide il pericolo , ma davanti alla immensa popo
larit di Garibaldi, trem, e non seppe osare, accon
tentandosi di scolparsi da una parte al cospetto della
Francia, e di pregare dall'altra il generale a mani

giunte a non spingere pi oltre i suoi popolari di


scorsi.
Nel mentre per non ardiva di opporsi diretta
mente a Garibaldi, inveiva nelle province contiznentali contro i suoi aderenti e contro le associa
zioni politiche , che in onta allo Statuto faceva for
atamente sciogliere, tentando d' impedire in pari
tempo con un' inopportuno lusso di forze le dimo
strazioni pel riscatto di Roma.
In Francia poi lo scatenarsi delle ire garibaldine
suscit un fracasso indescrivibile : l si rispose da
lutti i lati con contumelie ed insulti all'ingratitudine
ed alla perfidia italiana. Le parole di Garibaldi ven
nero commentate e pubblicate su tutti i giornali ;
furono dichiarate insolenti ed intollerabili le nostre
pretese riguardanti Roma , spacciarono l' Italia esser
caduta in braccio all'anarchia, ed alla pi sfrenata
democrazia , dicevano il governo italiano debole ed
inetto; e riguardo a quest'ultimo i francesi avevano
qualche ragione.
Il gabinetto delle Tuilleries, solo, com'era da aspet
tarsi, rimase apparentemente freddo e contegnoso.
L'imperatore dei francesi infatti sarebbe sceso dalla
sua grandezza qualora avesse manifestamente recla
mato contro i discorsi meno rispettosi d' un uomo
del popolo. Egli si mostr calmo ed impassibile. Fece
anzi di pi. Il suo ambasciatore a Palermo che erasi
trovato presente al discorso di Garibaldi, ne aveva
fatte stenografare tutte le parole , e spedito un di
spaccio a Parigi , chiedendo istruzioni sul modo di

64
contenersi* Dignitosa fu la risposta : t Poter dire
Garibaldi tuttoci che voleva, essendo riguardato
come un privato.
In mezzo a tutte queste peripezie o appena fu .
compresso il tentativo di Sarnico, la Russia e la Prus
sia riconobbero il regno d'Italia. Il despota dell'Eu
ropa del nord ed il sovrano semi-costituzionale della
pi influente potenza alemanna, sanzionarono col loro
voto il plebiscito italiano, ad onta delle rimostranze
e delle mene austriache. Immensa fu la gioja della
penisola intera, allorch il riconoscimento venne pro
clamato. Le citt tutte d'Italia fecero feste ed illu
minazioni, che durarono parecchi giorni. Anche la
schiava Venezia prese parte al gaudio generale ; ban
diere tre colori apparvero dovunque: mortai e petardi
scoppiarono perfino nelle vie e nelle piazze pi fre
quentate , senza che l' occhio acuto della polizia
austriaca potesse impedire tali manifestazioni del
contento de' veneziani. Arresti sopra arresti fu
rono fatti in ogni citt di quella nobilissima e sven
turata parte d' Italia , ma non -per questo le dimo
strazioni cessarono, e l'Austria dovette inghiottire l'a
mara pillola, anche per parte de' proprii sudditi ita
liani, che scorgevano nel riconoscimento' della Prussia
e della Russia la lusinghiera speranza d' un vicino
riscatto.
Ma questo beneficio, ch tale eja in realt , noi
nonio dovemmo al governo nostro, ma bens al fran
cese. La forte resistenza che principiavano ad op
porre alla tutela napoleonica i patriotti italiani, la

65
preponderanza loro, che minacciava d'ingigantire
d'ora in ora, diedero con ragione a temere a Napo
leone III, che il governo italiano non potesse essere
in grado di trattenere o sviare l' impetuoso tor
rente, di cui gi facevasi sentire il fremito, ed egli
allora pens di rafforzare il barcollante alleato , di
dargli la fiducia in s stesso, che completamente mancavagli, e nel tempo stesso di riabilitarlo in faccia
all'Italia. Stava inoltre nelle viste napoleoniche che
il governo italiano fosse stretto in tal posizione che
non potesse assolutamente associarsi alle viste dei pa
trioti, e dovesse anche mediante la forza e la vio
lenza, ributtare ed annichilire i loro sforzi.
Tutto ci fu ottenuto mediante il riconoscimento
di due delle principali potenze d'Europa, despota as
soluta la prima, costituzionale la seconda, ma abborrenti ed aliene entrambe dalla rivoluzione e sopratutto dalla democrazia, vocabolo con cui si denomina
male a proposito l'agitazione unitaria italiana.
Mantenere l'ordine pi completo a qualsiasi costo
e lo statu quo furono i patti coi quali venne accon
sentilo il riconoscimento del Regno d'Italia da parte
della Russia e della Prussia. L'opposizione ferma ed
all' uopo armata a qualsiasi mossa de' palriotti ita
liani fu imposta quale obbligo severo al governo
italiano. Ma ci non bastava. Faceva d'uopo alle due
potenze d' avere tosto nelle mani una caparra del
buon volere di quello. La scuola militare dei rifug
giti polacchi dava ombra allo czar, e questi ne chiese
imperiosamente lo scioglimento.
Aspr.
5'

66
Era certo un' amara umiliazione pel governo no
stro e per l'Italia tutta, ma in ricambio del bene
ficio bisognava dare pure qualche cosa. E la
scuola venne disciolta.
Il partito liberale alz bene la sua voce e protest
contro tale atto, che intaccava l'onore italiano e l'o
spitalit dovuta ai miseri polacchi, ma poteva il mi
nistero opporvisi ? Doveva egli rinunciare a render
forte l'Italia dell'influenza morale, ottima e grandis
sima, che conseguiva con un simil passo ?
No.: d'altronde il ministero aveva d'uopo di ren
dersi sopportabile alla nazione con qualche atto im
portante e giovevole all'Italia. Bisognava dunque ac
cettare a qualunque patto.
Ed egli accett pensando fruire dell'istantaneo
raggio di sole che rischiarava la strada irta di spine
e involta in cupe tenebre su cui s'era avviato. Ma
inetto sempre, sempre imprevidente dell'avvenire, non
riflett che appunto quel fatto importantissimo gli
addossava nuovi obblighi, nuovi bisogni stringentissimi, che non si dovevano protrarre d'un sol giorno.
Posto nella via della repressione, incatenato per ora
inesorabilmente al mantenimento dello statu quo
ed a dichiararsi nemico d'ogni mossa che potesse
far avanzare la rivoluzione, doveva, onde evitare un
infallibile inutile spargimento di sangue e nefasti
lutti all'Italia, agire sin dall'ora senza tema ed ener
gicamente contro il partito d'azione, che in caso
contrario, come era da aspettarsi, avrebbe proceduto
oltre.

67
Ma il ministero fece tutto questo ? No.
Egli stette inoperoso ad osservare i movimenti dui
patriotti 4 ed ag quando non era pi in tempo di
risparmiare a s ed al proprio paese nuovi mali e
nuovi dolori. .
Suo ebbligo era d' impedire la guerra civile : in
vece parve la desiderasse.
La guerra civile scoppi, e fu sua colpa.

VI.

Le cose intanto andavano sempre pi intorbidan


dosi nella Sicilia. La rivoluzione procedeva nsl suo
cammino e le parole di Garibaldi, che avevano pro
dotto nelle regioni moderate una specie di sbigotti
mento, e direm quasi di terrore, suscitarono invece
nell' isola e nella giovent dell' Italia continentale
principalmente in Lombardia un grido generale di
guerra. La popolazione, siciliana dal cuore ardentissimo e dalla mente entusiastica , legata gi a forti
vincoli di riconoscenza a colui elio solo due anni
prima era accorso a liberarla dall'antica oppressione,
sorse alla tuonante sua voce con uno slancio unanime
ed irresistibile. L'appello fatto da Garibaldi i siti

68
liani trov un eco profondo in tutta l'isola e princi
palmente in Palermo, in cui l'entusiasmo per la pre
senza del generale fu spinto alla frenesia.
Immediatamente si sparse nella capitale dell'isola
la voce che erano aperti arruolamenti per una spe
dizione misteriosa, e tutti vi accorsero, giacch tutti
avevano un'illimitata fiducia in Garibaldi, dichiaran
dosi pronti a seguirlo in qualsiasi luogo.
Le camicie rosse ricomparvero da ogni banda, ed
il ministero di Torino, allarmato, ne chiese spiega
zioni al prefetto di Palermo, ingiungendogli di non
tollerare arruolamenti di sorta.
Il prefetto di Palermo aUora pubblic un proclama,
in cui esortava i cittadini a non lasciarsi abbindolare
dalle arti dei reazionarj, che si giovavano del nome
di Garibaldi per trarre i semplici nelle loro file.
Ma la venuta di Garibaldi in Sicilia e le sue espres
sioni guerresche avevano tanto infusa nel popolo la
ferma credenza che il governo fosse d'accordo con
lui, che non si bad punto a quel proclama, che si
ritenne qual altro dei soliti atti con cui il governo
stesso doveva necessariamente in apparenza opporsi
alla rivoluzione al cospetto delle potenze estere. Si
cred ripetuto il giuoco della politica di Cavour, e
gli arruolamenti continuarono.
Il prefetto diede le proprie dimissioni. Amico di
Garibaldi, dividendo con lui l'amore ardente di pa
tria e le medesime opinioni, non poteva e non voleva
agire contro il generale; ma abbastanza onesto per
non tradire i doveri che la sua carica gli impone

vano , diede la stia dimissione, che venne accettata


dal ministero. Questi colla solita malaccortezza spin
gendosi da un estremo all'altro, nomin a reggere
interinalmente la prefettura di Palermo un De-Ferrari, noto per le sue opinioni conservative ed av
verse al generale Garibaldi. Quanto impolitica fosse
questa nomina lo manifest tosto un proclama ful
minante dal De- Ferrari pubblicato ai palermitani, 8
che provoc da parte di quest' ultimi una fragorosa
dimostrazione, in cui protestarono formalmente di
non voler punto saperne di colui.
Il ministero, temendo di esacerbare vieppi gli
animi dei siciliani , si vide costretto a rivocarlo , e
scelse a rimpiazzarlo il generale Cugia, uomo di di
stinti talenti, che per essere militare era atto, qua
lora ne fosse sorto il bisogno, a guidare le truppe,
e che univa nel medesimo tempo il pregio di non
essere odiato dalla popolazione.
Questa nomina, che fu tollerata, non imped per
ai palermitani di manifestare altamente il loro mal
contento per la dimissione del Pallavicino, che ripu
tavano fosse stato costretto a dimettersi ed a cui fe
cero ovazioni d'ogni sorta, per mostragli l'affetto e
la simpatia della popolazione.

Il pi vivo allarme erasi sparso intanto in Fran


cia, e nella Corte pontificia. Correvano senza posa le
voci pi assurde sugli imminenti sbarchi dei gari-

70
baldini. Chi pretendeva fossero diretti per la Gre
cia, il cui governo aveva appena da pochi giorni con
immensa fatica trionfato della rivoluzione e che per
ci temeva lo sbarco di Garibaldi con pi ragione
degli Stati vicini. Chi assicurava essere l'imminente
spedizione rivolta alle coste dalmate ed illiriche, che
l'Austria, sempre prudente, foce perci rafforzare su
d'ogni punto. Altri volevano che Garibaldi intendesse
recarsi in America- onde combattere in pr dell'U
nione contro i partigiani della schiavit. I pi per
s' apponevano al vero , e designavano Roma , come
unico scopo. Di questo parere erano manifestamente
entrambi i gabinetti di Torino e di Francia, pretenden
dosi anzi, che il primo avesse dato avviso al secondo
di questo nuovo tentativo.
Vera o falsa che sia quest' ultima asserzione ma
nifestata da un giornale francese assai rinomato,
fatto, che furono tosto spedite a Civitavecchia dal
governo francese varie fregate, che incrociarono sui
lidi degli Stati del Papa all'uopo d'impedire colla
forza i supposti sbarchi. La guarnigione di Roma
renne rafforzata: truppe francesi in gran numero
furono disposte in iscaglioni al confine napoletano ,
e tutto questo apparato non serv, com' naturale ,
che a rendere pi insistenti e credibili le voci al
larmanti, che gi tenevano in ansia le popolazioni.
Costretto ad agire contro voglia, il ministero dovette
allora alzare un' altro lembo d<jlla maschera , ed il
generale Cugia,- prefetto di Palermo, fu nominato in
paii tempo comandante generale delle forze militari

71
die trovavansi nella Sicilia, colle pi ampie facolt
di operare a norma delle circostanze e dei bisogni,
autorit che il generale Lamarmora godeva di gi
in Napoli e ch'egli aveva poco prima pretesa per s,
minacciando in caso negativo di dare la propria di
missione. Contemporaneamente venne a quest'ultimo
dato ordine di spedire nuove truppe in Sicilia , e
tutti i reggimenti, che nell'alta Italia stavano per
agglomerarsi al Campo di San Maurizio e a quello
di Soma, designati per gli esercizj annuali estivi, ri
cevettero invece l'ordine di tenersi pronti a partire
sul Napoletano.
Garibaldi aveva in questo frammezzo di tempo vi
sitate varie citt dell'isola , e l'accoglienza entusia
stica che ne ricevette, lo aveva persuaso sempre pi
sul concorso, che avrebbe potuto all'uopo aspettarne.
Allora pi non tard a mandare ad effetto le sue
segrete risoluzioni. Adunata buona quantit di volon
tarj part, il 4 agosto da Palermo, e si port alla Ficuzza, antica cascina reale distante circa 30 miglia
dalla citt, ove stabil una specie d'accampamento.
Ad ogni istante la folla de^olontarj ingrassava e quando
fu abbastanza numerosa, il generale si adoper con
gran cura ad organizzarla. In tre o quattro giorni
Garibaldi aveva gi sotto i suoi ordini un piccolo
esercito.
Il ministero di Torino trem a questa notizia, e
s'accorse, ma troppo tardi, che il passo fatale era
oggimai fatto; e che bisognava ad ogni costo agire
cio, o unendosi a Garibaldi e salvare in tal modo

72
l'Italia, o fermare il tremendo torrente che minac
ciava, contrariandolo, travolgerla a ruina.
Non osando per ancora dar di piglio alle armi ,
e provocare cos apertamente la guerra civile; malfidando d'altronde in s stesso e beo conoscendo
che le sue parole non avrebbero trovato che debo
lissimo ascolto nella nazione, risolse di ricorrere ad
un atto solenne e decisivo , di ripararsi cio sotto
l'egida del trono, e all'ombra dello splendore, della
gloria, del rispetto che circondano il nome di Vittorio
Emanuele.
Due giorni dopo l'arrivo di Garibaldi alla Ficuzza
fu pubblicato in tutta Italia il famoso proclama reale,
che diede un nuovo indirizzo alla vertenza e cangi
completamente le cose.
Noi trascriviamo questo atto importante , che per
un momento arresi d'un colpo la rivoluzione , e
precis con chiarezza la situazione del ministero in
faccia alla nazione.
Italiani! Nel momento in cui l'Europa rende
omaggio al senno della nazione, e ne riconosce i
diritti, doloroso al mio cuore, che giovani inesperti
ed illusi, dimentichi dei loro doveri, della gratitu
dine ai nostri migliori alleati, facciano segno di guerra
il nome di Roma, quel nome al quide intendono con
cordi i voti e gli sforai comuni. Fedele allo Statuto
da me giurato, tenni alta la bandiera dell'Italia, fatta
sacra del sangue, e gloriosa del valore dei miei po
poli. Non segue questa bandiera, chiunque violi la
legge e manometta la libert la sicurezza della

73
Patria, facendosi giudica da' suoi destini. Italiani]
guardatevi dalle colpevoli impazienze e dall'improrvida agitazione.
Quando l'ora del compimento della grand'opera
sar giunta, la voce del rostro re si far sentire fra
voi: Ogni appello, che non suo, un appello alla
ribellione, alla guerra civile. La responsabilit ed
il vigore delle leggi cadranno su coloro, che non
ascolteranno le mie parole. Re acclamato dalla
nazione, conosco i miei doveri, e sapr conservare
integra la dignit della corona e del parlamento, per
avere il diritto di chiedere all'Europa intera giusti
zia per l'Italia.
L'impressione che questo proclama fece in tutti
gli animi indefinibile. Erano tanto accostumati alla
lusinga d'un segreto accordo fra Garibaldi ed il go
verno che l'opposizione esplicita e pronunciata da
parte di quest'ultimo contro il primo, fu come un
colpo di fulmine. Il proclama venne quindi accolto
dappertutto con sorpresa, con freddezza, quasi anzi
con tristezza.
I patriotti lo riguardarono come una sciagura nazio
nale, perch provocava la guerra civile ed apriva un
abisso fra il trono e la rivoluzione: i moderati stessi
lo riprovarono, impauriti a tutta prima dal veder
posta cosi in mezzo e compromessa la Maest Reale.
Tale fu l'impressione subitanea, la quale appunto
perch, subitanea, in vero la pi giusta, che pro
dusse il proclama, ma svaniti a poco a poco i ti
mori, tutu la stampa conservativa sorse a difenderlo*

74
e quindi tosto ad encomiarlo, vantandone ottime le
conseguenze. Cosi, a loro detta, era finito il fatale
equivoco che faceva complice il governo dell'operato
di Garibaldi.
La situazione d'ambo- le parti si rendeva chiara e
manifesta: si purgava il potere esecutivo della tac
cia che lino allora gli era stata apposta, e si forzava
il generale a retrocedere sotto pena d'essere dichia
rato ribelle. Anche la Camera si lasci persuadere
da queste ragioni, e ad onta d'una tempestosa se
duta, in cui varii deputati della sinistra si elevarono
contro il ministero, che si trov ridotto a ricorrere
ad un simile pericoloso espediente, vot la propria
approvazione in favore di quell'atto.
Nel tempo stesso il ministro della guerra Petitti
pubblic da parte sua un ordine del giorno alle
truppe, in cui le esortava a battersi, qualora fosse
stato d'uopo contro i volontarj. Questo malaugurato
proclama eccit il malcontento generale, perch po
neva inevitabilmente la truppa in collisione col po
polo partitante nella massima parte per Garibaldi; ed
i cittadini non poterono a meno di pensare che essi
pure non sarebbero stali alla loro voUa rispettati
dall' esercito regolare, il quale dal governo pareva
si volesse che fosse un' ente separato dalla nazione
della quale esso pure fa parte.
Il fantasma della guerra civile ingigantiva dunque
sempre pi agli occhi di ognuno; ma in quo' tre
mendi momenti l'Italia die prova almeno del suo
patriottismo!

78
I tempi miserandi delle lotte intestine sono finiti :
gl'italiani possono errare, ma non commettere il
grave delitto di uccidersi colle proprie loro destre:
lo sgraziato fatto di Brescia aveva profondamente
commosso poco prima tutta la nazione; ma allor
quando si tratt di sperdere colla forza i volontarj
di Garibaldi, e che si chiam quest'uomo coll'odioso
nome di ribelle, egli, che avera tanto operato per
la sua patria, un grido unanime d'ansia e di spavento
s'alz da tutti i lati della penisola. L'Italia dichiar
suprema la sua sventura e si vest a lutto.
L' intento del ministero era per ottenuto.
Contro Garibaldi, ribelle agli ordini del re e posto
fuori della legge si poteva agire liberamente. Accon
sentisse egli o no ad arrendersi agli ordini del go
verno, in ogni modo v'era mezzo di sbarazzarsi di
lui. Se obbediente lo si avrebbe di bel nuovo co
stretto ad esiliarsi a Caprera; se poi avesse persistito
nel suo intento, la truppa regolare ne avrebbe fatta
ragione, ed il ministero sapeva gi a chi affidare
con esito certo l'impresa.
Ma Rattazzi sapeva di giuocare ad un giuoco pe
ricoloso, e T orrore che l' intera nazione aveva cun
energiche grida dimostrato per la guerra civile lo
rendeva accorto, che si sarebbe reso odioso, pren
dendo tosto l' iniziativa dell' offesa contro il gene
rale. Bisognava dunque spingere la cosa agli estremi,
per autorizzare qualsiasi sorta di mezzo coercitivo,
e la fatale risoluzione, conseguenza funesta de'primi
errori del ministero, fu adottata.

76
Ed onde porla in atto, essendo necessario far fa
riste di battere la via della conciliazione, quesf ul
time furono tentate, nella certezza che sarebbero
riuscite vane presso Garibaldi. Cos si otteneva il
doppio scopo di attirarsi la benevolenza delle popo
lazioni, e di legittimare la violenza.
Il ministero fece ancora di pi. Deleg gli stessi
amici del generale a conciliatori,. e fluesti caddero
agevolmente nella rete, pensando di far cosa patriot
tica e di risparmiare una grande sventura all'Italia.
Essi non fecero riflesso ai segreti pensamenti del
ministero, e non pensarono che rendevano un cat
tivo servigio all'amico, il quale avrebbe per neces
sit dovuto comparire tanto pi ostinato e caparbio,
in quanto ch non si lasciava smuorere neppure dalla
istanze di coloro, che erano in voga di patriotti
esaltati.
Neil' istesso mentre per, che tentava apparente
mente la strada delle conciliazioni, il ministero, che
nelle provincie non entusiasmate dalla presenza di
Garibaldi aveva libera la mano d'agire, si adoper
a tutta possa, affine di rintuzzare ed annichilire il
partito d'azione. I partigiani del generale, o meglio
tutti coloro, che gli erano affezionati, si videro co
stretti o ad apostatare rinnegandolo, oppure a soggia
cere ad ogni sorta di pressure, e bisogna pur dirlo,
anche di nequizie. Tutte le associazioni politiche fu
rono sciolte, ed i loro atti posti sotto rigoroso se
questro.
I giornali dell' opposiziona furono sottoposti ad

1
una censura oppressiva, le dimostrazioni vennero di
chiarate illegali e severamente proibite; ripetute ad
onta del divieto, la truppa, d'ordine del governo, ca
ric il popolo, e nuovo sangue cittadino scorse per
le contrade di varie citt d'Italia.
A Napoli, dove il generale Lamarmora aveva illimi'ati poteri, l'oppressione giunse al colmo, e sic
come col il garibaldinismo era, pi che altrove,- in
radicato, le misure coercitive raddoppiarono in pro
porzione. N perci il brigantaggio scem, anzi in
fier sempre pi, ed il motivo, che aveva principal
mente promossa la nomina di quel generale a Pre
fetto di Napoli, eh' era appunto di spegnere ed
annichilare i briganti, sembr essersi cangiato in
quello di infierire contro i patriotti, che videro in
un istesso tempo rivolte contro di s le ire riunite
dei reazionarj e delle autorit.

Garibaldi trovavasi gi da due giorni alla Ficuzza,


quando gli fu presentato il proclama del De-Ferrari,
giacch non era ancor giunto in Sicilia il proclama
reale; lo lesse attentamente, ed indi rivoltosi a
quelli che lo accerchiavano, disse, che egli confidava
con certezza, che il ministero non avrebbe mai osato
spargere sangue di italiani in armi per compiere
un programma, sola base della esistenza del mini
stero, che aveva in ogni occasione ripetuto volere
continuare ad ogni costo.

78
Era questa in realt la persuasione intima di Ga
ribaldi?
Tutto fa credere di s , perch senza il
concorso od almeno senza l' assenso del governo , il
tentare l'impresa da lui meditata sarebbe stata una
sublime follia. Ma su che cosa basava il generale la
fidanza ch'egli dava per certa?
certo, che il ministro Rattazzi aveva fatto al
partito d'azione ed al generale stesso delle grandi
promesse. E perch queste promesse non furono
mantenute?
Fra Garibaldi che credeva nella lealt del ministro,
e il ministro, che sapeva di non potere e di non voler
essere leale., quale de'due il migliore?

VII.

Lo stradale che conduce da Palermo alla Ficuzza,


formicolava in tutta la sua lunghezza di drappelli
di giovani volontarj che recavansi col onde porsi
sotto gli ordini di Garibaldi. A met tappa circa su
d'una piccola eminenza prospiciente sullo stradone,
stava accampato un battaglione di linea, e con tutto
ci, ad onta che le schiere dei volonlarj dessero
manifestamente a conoscere lo scopo del loro viag

79
gio e molti di loro fossero armati altres di fucili,
pure la truppa li lasci passare liberamente senza
dirigere loro una sola dimanda.
Perch questo contegno passivo? Quando il mi
nistero era deciso di romperla addiritura foss' anco
colla violenza, non era meglio prevenire un pi peri
coloso agglomeramento di forze?
Cosa tanto pi facile in quanto che quei drappelli
sbandati non avrebbero- potuto fare resistenza di
sorta ; tale atto avrebbe inoltre prodotto un salutare
timore nella popolazione e disingannarla sull'accordo
fra Garibaldi e il ministero.
Gi fino dal primo giorno erasi provveduto dal
generale all'organamento de' volonjtarj, che tutti fu
rono compresi sotto il nome di Legione Romana. I
motti Vittorio Emanuele da un lato e Roma o
morte dall'altro furono la loro bandiera. Nessuno
aveva gradi, ma solamente funzioni conformi agli
statuti dell'esercito italiano, a norma de' quali la le
gione veniva ad esser retta. Eguali tanto per gli
ufficiali, che pei soldati erano le razioni, pari il soldo,
o per dir meglio quesl- ultimo articolo fu affatto
soppresso, giacch durante tutta la traversata del
l'isola lino a Catania, i volontarj non percepirono un
sol centesimo, essendo Garibaldi* sprovvisto comple
tamento di denaro.
Cresciuto il piccolo esercito, si proced all'organiz
zazione definitiva di esso. E si formarono:
2 battaglioni di bersaglieri comandati da Menotti
Garibaldi;

80
1 reggimento di fanteria sotto gli ordini di Bentivegna;
1 reggimento di fanteria sotto gli ordini di Badia ;
1 reggimento di fanteria sotto gli ordini di Tras
selli; costituenti la brigata Corrao;
Pi tardi formaronsi il 3 ed il 4 battaglione ber
saglieri comandati da Guerzoni e da Vigo Pellizzari,
la compagnia dei Carabinieri Genovesi composta la
maggior parte di lombardi e di veneti, e le guide
sotto il comando di Missori.
Lo stato maggiore era composto :
Dai deputati Nicotera e Miceli;
Dagli ufficiali Frigyesy, Enrico Cairoli, Nuvolari e
marchese Ruggero Maurigi. Guastalla, Nullo e Salo
mon giunsero pi tardi;
Dal segretario del generale, Giuseppe Civinini re
dattore del giornale il Diritto;
Dai dottori Ripari, Albanese e Basile.

Ma l'acqua mancava nel campo, giacch, l'unica


fontana che esiste alla Ficuzza erasi prosciugata, e
stando altres per mancare i viveri, il generale di
vise in tre corpi il piccolo esercito indirizzando l'uno
sotto il comando di Menotti a Mezzojuso, dove Ga
ribaldi contava di portarsi: il secondo molto pi
forte del primo, composto quell'istesso giorno (4 ago
sto) dal reggimento Bentivegna, verso Corleone, nel
mentre che Garibaldi stesso col corpo principale

81
prendeva la via diretta, in modo di tenere il centro,
camminando in linea parallela colle due ali di
staccate.
ll battaglione guidato da Menotti giunse senza in
convenienti a Mezzojuso, e l aspett l'arrivo del
generale, die partito alcune ore pi tardi dalla Ficuzza, si ferm inoltre fino alle quatlro del dopo
pranzo col suo corpo intero sull'altura detta al Cucco,
facendo bivaccare col la truppa. Il luogo era sprov
visto di tutto, ad eccezione d'acqua, di cui aveva il
pregio d' abbondare, e non fu possibile procurarsi
che sola carne, che venne cotta dai volontarj come
Dio vuole. N il pranzo del generale differ punto da
quello de'soldati. Garibaldi prese un pezzo di carne,
e dopo d'avere egli stesso raccolta la legna, la arrosti
colle proprie mani, e la divise quindi col suo pu
gnale fra i suoi ufficiali di stato maggiore, alcuni
de'quali assistevano attoniti a questo strano pasto di
un generale in capo e pi d'un uomo straordinario,
intorno al quale agitavansi in quel momento tante
speranze e tanti timori.
I monaci d'un lontano eremitaggio, essendo venuti
a cognizione del luogo in cui il generale stava ac
campato, si affrettarono a spedirgli un pranzo un po'
meno sobrio, ma Garibaldi avendo, secondo la sua
asserzione, gi desinato, divise il tutto fra i vicini
picciotti della Brigata Corrao,
Alle 4 pom. ordin si levasse il campo, ed abban
donato lo stradale, prosegui la marcia per sentieri
quasi impraticabili. Giunse finalmente verso lo 8 di
Aspr.
6

8S
sera a Mezzojuso colla sua truppa, e fu ricevuto da
quegli abitanti col pi manifesto entusiasmo.
Fu quivi, che l'indomani si present a Garibaldi
il Duca della Verdura, patrizio dai sensi patriottici
ed amico del generale, apportando la notizia dell'ar
rivo del nuovo Prefetto, generale Cugia, munito di
poteri militari sull'intera isola, e inoltre recando il
proclama del Re controfirmato da tutti i ministri, in
cui l'impresa di Garibaldi veniva condannata. Il
Duca aggiungeva, che il generale Cugia aveva peren
torie istruzioni del governo, ed era pronto a ricorrere
ad ogni estremo mezzo per opporsi alle mosse di
Garibaldi. Terminava col supplicare il generale a
voler evitare la guerra civile, che nel caso di
resistenza agli ordini reali, sarebbe inevitabilmente
scoppiata.
Garibaldi non fu punto smosso da queste rimo
stranze e dichiar ch'egli era risoluto di condurre
a fine il suo programma il riscatto di Roma ma
che per eviterebbe con grandissima cura ogni scon
tro colle truppe regolari, giacch a qualunque costo
non avrebbe voluto spargere una stilla di sangue
fraterno.
Come era da aspettarsi, ogni proposta di concilia-'
ziono, veniva da Garibaldi rigettata. Ed era naturale.
Forte dell'appoggio ministeriale l'eroe d'Aspromonte
aveva proceduto nella via tracciatasi, ed ora che il
ministero mancava alle sue promesse, come poteva
Garibaldi rifare la via che aveva percorso? Troppo
tardi dovette eslamare. E infatti era troppo tardi !

83
Nel mattino del 6 il generale si pose di nuovo ia
marcia, e percorrendo asprissimi sentieri e difficilis
sime scorciatoje giunse a Rocca Palumba. Di l, senza
alcun notevole incidente, accolto sempre dalle entu
siastiche dimostrazioni d'amore e di riverenza delle
popolazioni, prosegui la via verso Catania, passando
e pernottando ad Alia, a Vallcdolmo, ed a Villalba,
movendo quivi per Santa Caterina, dove aspett con
ansia il corpo di Bentivegna, sul di cui conto avev*
ricevuto allarmanti notizie.
Infatti questo corpo s'era diretto verso Corleone,
dove fu ricevuto con entusiasmo, e provveduto di
scarpe e camicie rosse', di cui i volontai'j in gran
parte difettavano. La guarnigione della truppa rego
lare che presidiava quella cittadella, scambi gli onori
militari coi garibaldini, i quali avvertiti che s'avan
zava un forte corpo dell'esercito regio, alle tre dopo
mezzanotte si misero in cammino verso Chiuso, citt
popolata da circa 10,000 anime, dove vennero accolti
colla maggior simpatia. Di l mossero verso Palazzo
d'Adriano, antico villaggio greco, e quivi trovarono
una compagnia di linea, che per non si oppose mi
nimamente al loro passaggio. Da Palazzo d'Adriano
proseguirono il cammino a Santo Stefano, dove giun
sero il 7 agosto alle nove del mattino.
Un battaglione di truppe regolari d'improvviso oc
cup verso la 4 del dopopranzo una delle estremit
del villaggio, collocandovi altres sentinelle d'avam
posto.
I volontarj acquartierati all'altra opposta estremit,

84
avevano osservato con sorpresa questo movimento
jstile, il primo che si fosse loro allacciato, ma lascia
rono fare.
Intanto che la linea eseguiva questi movimenti,
tre carabinieri penetrarono nel villaggio, ed avendo
riconosciuio fra i garibaldini un disertore della mi
lizia regolare vollero arrestarlo. Jla quegli fe' resistenza e chiam i compagni al soccorso.
Accorsero allora i volontarj da ogni banda, e s'im
pegn fra loro ed i carabinieri una discussione assai
viva, pretendendo i primi che tossc rilasciato libero
il disertore, ed i secondi invece persistendo a volerlo
condur seco. Il diverbio per disgrazia degener ben
presto in vie di fatto, giacch avendo uno de'carabinieri sparato imprudentemente la sua pistola a sei
colpi sui volontarj, e ferito uno di essi, questi strap
parono a viva forza il disertore di mano a'carabinieri.
Tutti i volontarj, che si trovavano nei loro quar
tieri, allarmati dal colpo di fuoco e dal rumore che
ne era in conseguenza nato, si slanciarano in questo
mentre colle loro armi nella via, e la truppa rego
lale dal suo lato si avanz disarmando i volontarj,
che incontrava alla spicciolata.
Coloro fra i volontarj che non si erano lasciati di
sarmare, incominciarono a far fuoco sulla truppa, e
la lotta principi a vestire un carattere serio, quando
giunsero fortunatamente il colonnello Bentivcgna ed
il maggiore Cairoti; questi valorosi patriotti espo
nendo la loro persona alla moschetter della truppa
ottennero che i garibaldini, cessassero immediatamente

85
il fuoco. Il comando fu obbedito, e la linea dal suo
lato fece altrettanto.
Si parlament; ma accorgendosi il Bcnlivegna, che
non avrebbe guadagnato nulla aspettando, e temendo
forse una nuova collisione, dalla quale doveva scatu
rire sempre tristissime conseguenze, per una parte
per l'altra, ordin a' suoi che lasciassero immediata
mente il villaggio.
A tre morti e quattro feriti somm la perdita dei
garibaldini; quella della linea fu press'a poco eguale.
Bentivogna prese la direzione di Castel Termini,
ed era gi giunto a circa quattro miglia dalla citt,
quando, sovrapreso dalle tenebre, si smarr, e non
essendo provveduto di guide, err tutta la notte, e
fu costretto a fermarsi col suo corpo in un luogo
deserto, attendendo l'alba per rimettersi in cammino.
Finalmente verso le cinque del mattino due con
tadini a cavallo passarono vicino all'accampamento.
I volontarj, li accerchiarono e li costrinsero a gui
darli a Castel Termini, in cui giunsero alle dieci del
mattino.
Arrivati sulla piazza del villaggio si trovarono al
cospetto d'una compagnia di truppa regolare che- con
grande loro meraviglia fece fronte indietro e si ri
tir a tamburro battente, lasciando libera la via ai
volontarj.
Si seppe tosto, che il comandante delia Guardia
nazionale col rifiutare formalmente di prestar soccorso
alla linea contro Garibaldi, e la popolazione coiresternare la sua risoluzione di ricevere ospitalmente

86
i garibaldini, avevano costretto l' ufficiale della com
pagnia a ritirarsi.
La pi gentile accoglienza venne infatti accordata
dagli abitanti ai volontarj, cn0 ricevettero i viveri
gratis, e die si fermarono col due giorni, avvian
dosi quindi a Misilmeri, dove bivaccarono, nella ferma
credenza di partire da qui per Girgenti per ivi im
barcarsi. Ma la domane giunse loro invece l'ordine
da parte di Garibaldi, che aveva finalmente trovate
le orme di Bentivegna, di raggiungerlo immediata
mente a Santa Caterina.
Il generale che gi da due giorni si trovava col,
era stato nel frattempo visitato dal Console generalo
degli Stati Uniti, accompagnato da due uflziali supe
riori della marina americana che avevano percorso
ij"el lungo tratto di strada spinti dal solo desiderio
di conoscere davvicino quell'uomo straordinario. Erasi
pure a lui presentata una deputazione di Caltanisetta,
pregandolo di visitare la loro citt e dandogli la no
tizia, che le truppe regolari della guarnigione eransi
ritirate a Girgenti.
Garibaldi dispose il microscopico suo esercito che
poteva contare allora un 3500 uomini in quattro corpi
e dato l'ordine, che l'uno dopo l'altro di essi si in
camminassero verso Villarosa, e di l prendessero la
direzione di Castrogiovanni, dove dovevano tutti con
centrarsi ed attendere la sua venuta, egli stesso mon
tato in una vettura e seguito del battaglione Bidefchini, mosse verso Caltanisetta.
L'accoglienza che vi ricevette, super ogni aspet

87
fazione. La Guardia nazionale tutta in armi venne ad
incontrarlo, ad una gran distanza dalla citt e volle aver
l'onore di sfilare innanzi a lui. La societ Emanci
patrice lo desider ospite, il prefetto medesimo, Marco,
piemontese, le cui opinioni governative non potevano
essere dubbie, gli offer un sontuoso pranzo, che Ga
ribaldi accett. Sul finire del desinare il prefetto
port un brindisi a Vittorio Emanuele re eletto della
nazione, augurando al generale Garibaldi prospera
sorte per tuttoci che per il meglio d'Italia potesse
intraprendere. Il generale corrispose con vivacit al
brindisi, propinando alla salute di Vittorio Emanuele,
che presto sperava salutare in Campidoglio. Il grido
unanime di viva il Re! risuon dalla bocca di meglio
che venti ufficiali garibaldini col radunati.
Il prefetto Marco venne qualche giorno dopo per
ordine del governo destituito.
Garibaldi, adunati in Caltanisetta quanti pi volontarj gli fu possibile, (circa 800) e provvistosi di armi,
denari, ed equipaggiamenti, lasci la citt e si port
a Villarosa, dove, a norma delle istruzioni date ai
suoi luogotenenti, trov riunito tutto il piccolo esercito.
Il mattino seguente tutti i corpi riuniti presero la
via di Castrogiovanni, posizione fortissima, posta nel
centro dell'isola. La citt collocata sulla cima di
una roccia, e viene anche oggid chiamata dai pae
sani coll'antico nome appostogli dai Saraceni che la
fabbricarono, Hennah.
Un battaglione di volontarj si fece quivi incontro
a Garibaldi guidato dal barone Varidano, vecchio e

88
ricchissimo patrizio, noto per patriottiche opere, che
volle altres ospitare presso di s il generale, il quale
ordin un riposo di tre giorni alle sue truppe assai
stanche, nelle cui fila cominciava a introdursi l'in
disciplina.
L'incertezza della posizione dell' esertito garibal
dino di fronte alla truppa regolare, incertezza, che
sembrava aumentare di giorno in giorno, aveva pro
dotto in realt una specie di scoraggiamento nei vo
lontarj, e principalmente in quelli della colonna Bentivegna, che per essere i peggio armati ed organiz
zati, erano anche i meno forniti di coraggio morale.
Molti di loro eransi ritirati alle loro case dopo il
fatto di S. Stefano, ed i reggimenti trovavansi per
ci incompleti. Il generale si approfitt della sosta
di Castrogiovanni per riorganizzarli di nuovo.
A notte tarda del terzo giorno Garibaldi di l'or
dine della partenza.
Ma il procedere innanzi diveniva d'ora in ora sem"pre pi pericoloso. L'intenzione di Garibaldi di re
carsi a Catania venne indovinata dai comandanti le
truppe regolari, i quali s'erano disposti in modo di
sbarrargli di fronte la via, c di ricingerlo alle spalle.
Misterbianco, posizione che copre Catania, era forte
mente occupata dai regj, e dal lato di Girgenti mo
veva gi un forte nerbo di truppe, il cui scopo era
di accerchiare passo a passo i garibaldini e prenderli
alle spalle e di fianco.
La posizione di Garibaldi diveniva sempre pi assai
critica : bisognava passare frammezzo alle truppe re

89
golari, e nel tempo stesso schivare qualsiasi combat
timento.
II generale fece occupare Leonforte e spinse una
avanguardia a Regalbutto, dove non tard egli pure
a recarsi. Poche ore dopo il suo arrivo col fu rag
giunto dei deputati Riordini, Fabrizi, Calvino, e Cadoliui, i quali venivano per tentare una conciliazione
fra Garibaldi ed il governo.
Ma il grand'uomo vi si rifiut ricisamenlc, ed i
deputati se ne partirono il giorno seguente.
La truppa regolare comandata dal generale Molla,
erasi frattanto avanzata ed i suoi avamposti si spin
gevano oltre Adorn alla distanza di soli quattro o
cinque chilometri dai garibaldini, che per tal modo
si trovarono nell'impossibilit di procedere pi avanti
col timore altres di venir bentosto circuiti dal corpo
di Girgenti sotto gli ordini del generale Ricotti che
s'avvicinava a gran carriera.
Garibaldi per non si smarr. Con un subitaneo
movimento e mediante una marcia forzosa gir la
destra delle truppe che gli venivano opposte di fronte,
e port il suo corpo principale sopra Centorbi , an
tica citt innalzata sul vertice d'un alto colle e in
posiziono vantaggiosa, nella direzione di Messina.
Il generale Mella . ingannato da questa brusca
mossa , credendo che Garibaldi volesse forzare il
passo di Messina, abbandon subito le posizioni che
fino allora aveva tenute occupate , e lasciando sola
mente tre compagnie di linea in Paterno per co
prire Catania tent di congiungersi col corpo di

9
Picotti , eh* nel frattempo era pervenuto a Castrogiovanni.
Giovandosi di questo errore , Garibaldi volle im
mediatamente lasciare Centorbi, e indirizzarsi a marcia
accelerata sopra Paterno, coll' intenzione di sorpren
dervi la piccola guarnigione rimasta, e d'attraversare
di notte tempo quella citt. Ma la brigata Corrao,
che era restata in ritardo, non essendo arrivata che
a notte alta a Centorbi, fece perdere varie ore di
tempo inutilmente. Cionnonostante , stimando d'es
sere ancora in tempo , ed ingiunto a Corrao di af
frettare il pi possibilmente la marcia de' suoi, Ga
ribaldi , portosi egli stesso alla testa dei battaglioni
di bersaglieri , si mise in cammino, sopravvanzando
gli altri corpi.
Ma come furono giunti al fiume Simeta, lo trova
rono ingrossato oltre misura o pi di quello che
dovevano attendersi per la stagione in cui erano di
modo che bisogn perdere di nuovo un tempo pre
zioso a cercare un guado, e quindi a passarlo , con
non lieve pericolo pei volontarj, che avevano l' acqua
fino quasi al collo.
Il passaggio si effettu felicemente; Garibaldi lo va
lic per T ultimo, dopo d'avere egli medesimo sor
vegliato onde tutto procedesse con calma ed ordine.
Ma non era pi possibile sorprendere all'improriso Patern ; invece fu d'uopo tentare di attraver
sarlo sotto gli occhi stessi della truppa regolare la
quale appena vide giungere i garibaldini si dispose
in ordine di difesa costringendo Garibaldi a parla
mentare.

...

91
Richiesto il maggior eh* eomandara la guarni
gione delle sue intenzioni, ebbe in risposta dovergli
contrastare ad ogni costo il passaggio; consentir
per che i volontarj si provvedessero di viveri nella
citt.
Allora Garibaldi messa in linea di battaglia la sua
gente, ordin i fasci d'armi, e si port solo in Pa
terno dove ritorn qualche ora dopo colle razioni di
viveri necessarie a' suoi.
Ma, ci si permetta una domanda: perch 'Gari
baldi non venne arrestato, mentre trovavasi a Paterno
in piena balia della truppa?
I volontarj stettero in tale critica posizione, ansiosi
sul da farsi per scongiurare simile scabroso fran
gente fino alle quattro, ora in cui la brigata Corrao
raggiunse il campo.
Garibaldi dato subito il comando a Corrao di se
guire i movimenti degli altri corpi, non appena co
minci ad imbrunire, fece marciare i volontarj in
una lunga fila per angusti viottoli , ed in tal modo
saltando siepi ed attraversando privati giardini, riu
scirono questi a sboccare inaspettati sulla piazza
maggiore di Paterno, lasciando dietro di s le tre
compagnie di linea.
Gli applausi frenetici degli abitanti avvertirono i
regolari del passaggio del generale; ma prima che
avessero avuto il tempo di opporvisi , i bersaglieri
garibaldini trovavansi gi in marcia sullo stradale di
Catania.
t
La brigata Corrao che era rimasta alla coda si

92
trov d' un tratto a fronte della truppa , il cui co
mandante neg assolutamente il passaggio, e ne sa
rebbe seguito un conflitto, se Garibaldi avvertito del
caso, non fosse ritornato sul luogo , inducendo il
maggiore a permettere chc i volontarj continuassero
la loro marcia.
Alle nove di sera, tutto l'esercito garibaldino era
riunito a quattro miglia al disopra di Paterno, e
continu tosto il cammino verso Misterbianco.
Una folla considerevole rischiarata da molte torcic,
e le grida di viva Garibaldi, fecero subito accorti i
volontarj che gli amici da Catania eransi mossi loro
incontro.
Poco dopo infatti Garibaldi faceva il suo trion
fale ingresso in quella popolosa e patriottica citt.

Vili.

Quando pervenne sul continente la notizia dell'en


trata di Garibaldi in Catania, lo stupore, e la sorpresa
di tutti gli italiani giunsero al colmo.
Oramai non poteva esistere pi dubbio alcuno
sulle intenzioni del governo ; eppure il fatto di Ca
tania sembrava cosi sorprendente, da non parer vero

93
che Garibaldi avesse potuto eludere le mosse della
truppa regolare. Una specie d'orgasmo irresistibile
s'impadron di tutti gli animi. Il popolo accostumato
a veder miracoli da parte di Garibaldi, ne gio aper
tamente, e gi lo scorgeva trionfante a Roma.
I diversi partiti traevano gi da questo fatto im
portante, secondo le loro vedute politiche, le pi
lusinghiere speranze, ed i pi' allarmanti timori pel
bene d'Italia.
Da un lato i moderati si sfiatarono a predicare
che se Garibaldi fosse riuscito nell'impresa, la legge
sarebbe stata calpestata, quella legge die bisogna a
qualsiasi costo far rispettare contro chiunque; senza
pur riflettere che bene in trista situazione quel
governo che si pone nel caso di dovere col sangue
cittadino forzare l'obbedienza alla legge. La stampa
ministeriale diedesi inoltre tutta la briga di dimo
strare che l'operato di Garibaldi aveva ravvivate le
speranze dei nemici dell'Italia, i quali apertamente
dovevano rallegrarsi scorgendola divisa ed immersa
nella guerra civile, e questo poteva esser vero lino
ad un certo punto, perch le nostre divisioni ci po
nevano in evidenti e fatali imbarazzi: aggiungevasi
inoltre che l'Inghilterra , gelosa dell'alleanza fran
cese, era quella che aveva promosso col proprio da
naro i tentativi di Garibaldi, onde forzare il gabinetto
delle Tuilleries a sgombrare Roma, e questa era una
menzogna. 1l generale non possedeva neppure un
centesimo, e certo se l'oro inglese lo avesse coa
diuvato, non avrebbe lasciato senza paga i suoi sol

14
dati durante V intera traversata della Sicilia , e non
avrebbe sequestrate le pubbliche casse di Catania
per dar loro pur qualche cosa.
Dall'altro lato il partito d'azione conculcato ed
oppresso dappertutto dove poteva prevenire la mano
del governo, vedeva risorgere le proprie speranze, e
sperava che le mosse di Garibaldi avrebbero aperta
la via ad impensate circostanze , il cui risultato sa
rebbe stato favorevole alla povera Italia. Esso gioiva
della debolezza del governo , e stimava che una
volta gettato Garibaldi sul Napoletano , lo slancio
della popolazione, divenuto irrefrenabile, avrebbe
colle sua pressione, intluenzato il ministero e co
strettolo cedendo , a porsi alla testa del movimento.
Un entusiasmo grandissimo s'era impossessato del
popolo e della giovent nella stessa Roma. Ad onta
degli sguardi vigilanti della polizia pontificia e della
francese, s'udivano ad ogni tratto colpi di petardi
per ogni dove, e scorgevansi fuochi di bengala tri
colori illuminare vasti spazj della citt in segno di
festa. Ne seguirono arresti e procedure interminabili,
che punto per non rassicurarono gli animi dei car
dinali e del papa stesso, che vociferavasi gi disposto
alla fuga. Il maresciallo Montebello si adoperava a
tutta possa a rassicurarlo, ed intanto organizzava una
potente difesa , come se Garibaldi si fosse trovato
sotto le mura di Roma.
L'Austria stava come al solito pi che mai alla
vedette. Liberata dal fantasma d'uno sbarco di ga
ribaldini sulle proprie coste agglomerava le sue forze

sulle sponde del Mincio e sa quelle del Po, pronta


a stendere i suoi artigli sul nuovo regno d'Italia,
appena fosse sorta una favorevole occasione.
In Francia intanto continuava il chiasso, e si fis
sava con indescrivibile deso l'occhio sull' imperatore,
per scoprire le sue intenzioni. L'amor proprio fran
cese, questa volta ingiusto, faceva carico all'Italia della
mossa di Garibaldi, gridava gli italiani, come sempre
in simili casi, ingrati ed incontentabili, e molti gior
nali spacciavano essere necessario un severo castigo.
Ma e l'amor proprio italiano? Che amor proprio?
L'Italia non doveva averne. La Francia imperiale
riputava che l' occupazione di Roma era necessaria,
e ci doveva bastare perch gli italiani avessero a
chinare riverenti il capo, ed anzi avessero a ringra
ziare la vicina alleata , che le rendeva un s gran
favore. Se v'erano degli esaltati a cui non garbasse
tale operato, tanto peggio per loro ! Il governo ita
lico doveva abbatterli, schiacciarli, annientarli, e quel
ch' pi, gli stessi italiani, secondo la napoleonica opi
nione, erano in obbligo di imbrattare le loro mani nel
sangue di quegli italiani, che amando troppo l' Italia
osavano dimostrare coir armi in pugno ch'essa pure,
al pari della Francia, aveva il suo amor proprio.
La politica del monarca francese stava per ottenere
finalmente un pieno trionfo. L'Italia ed il suo go
verno trovavansi a sua discrezione. Egli aveva posto
quest'ultimo nel bivio di doversi dichiarare o per l'Ita
lia contro la Francia, e ci era assolutamente im
possibile in forza della sua intima essenza, o per la

96
Francia contro l'Italia, e questo stava per succedere.
La rivoluzione era vinta ed incatenata.
Ma tuttoci non doveva bastare. Nel caso, forse
sperato dal gabinetto delle Tuilleries, che Garibaldi
riuscisse superiore nella sua lotta a favore dell'Italia
contro il governo italiano, era forse segreta inten
zione del governo francese di adoperare il pretesto di
soccorrere l'alleato, incapace di mettere alla ragione
un ribelle, per innondare colle sue truppe il Napole
tano, ed allora diveniva probabile la separazione di
quella provincia dal regno d'Italia e l'assunzione su
quel novello trono d'un principe della famiglia im
periale francese.
L' acciecato ministero di Torino travide forse il
disegno, ed in queir istante supremo forse trem e
si pent d'avere col suo stolto operato consegnata la
sua patria in mano allo straniero. Forse soltanto
l'estremo pericolo lo spinse ad agire, a vincere colle
proprie forze e mediante supremi sforzi la lotta in
terna, ch'egli medesimo aveva provocata.
In quell'estremo rimanevano come dicemmo, due
sole vie al ministero: o unirsi a Garibaldi nel ma
gnanimo, tentativo, o combatterlo ad oltranza. Trferi la seconda via credendo di salvare l' Italia , e
fu peggio.
Finalmente agi, giacche gli sembrava impossibile
retrocedere, perch la Francia sarebbe intervenuta
sempre appoggiandosi al non intervento. Biso
gnava spegnere nel sangue degl'italiani il tremendo
pericolo, e posto in questa tremenda alternativa,

97
Rattazzi non titub a cancellare la sua colpa con
una nuova colpa.

Il proclama reale, rispettato in tutta la penisola


continentale, aveva fallito in gran parte il suo scopo
sul teatro degli avvenimenti, in Sicilia. Qui venne
considerato, come si doveva aspettare, quale atto
ostile alla nazione, e nel primo impeto dell'ira fu
strappato da tutti i luoghi su cui stava affisso.
La credenza lunga e radicata che il governo fossi1
d'accordo con Garibaldi, motivo per cui moltissimi
giovani delle primarie famiglie e delle pi conser
vative lo avevano seguito, non poteva essere d'un
tratto e bruscamente sgominata ; gli elementi stessi
del governo erano col rotti e dispersi. Anche il
nuovo Prefetto Cugia non avendo sufficienti forze
sotto mano per imporre al partito d'azione l domi
nante, trovossi costretto a rimanersene passivo ed a
subirne anzi delle umiliazioni. Egli aveva ordinati!
che varj fra i pi influenti di quel partilo fossero
arrestati; ma l'arresto non si pot effettuare, e la
Guardia nazionale medesima, nel di cui quartiere
essi eransi rifugiati, li prese sotto la sua custodia e
li protesse contro il Prefetto. Pubblici balli ebbero
luogo, e l'introito venne sotto gli stessi suoi ord
destinato a coadjuvare l'impresa di Garibaldi. La
truppa si dov ritirare nelle proprie caserme, dietro
domanda d'una deputazione, d,i cui facevano parte

98
varj di quei medesimi patriotti de' quali ora stato
decretato l'arresto, e la pubblica sicurezza della citt
fu affidata alla guardia nazionale.
Anche nelle campagne siciliane serpeggiava un
manifesto malcontento, tanto pi dopo che le auto
rit governative s'erano rifiutate di riconoscere la
validit dei buoni rilasciati da Garibaldi cosa in
fatti ingiusta ed assurda, che colpiva i comuni e con
essi gli abitanti, i quali come potevano negare i vi
veri a Garibaldi, armato, che li avrebbe potuto senza
dubbio pretendere colla forza?
Bisognava adunque che il ministero agisse ener
gicamente, ed egli proclam lo stato d'assedio per
tutta risola. Ma lo stato d'assedio col, finch non
vi fossero state forze sufficienti a farlo rispettare,
diveniva una derisione, ed il ministero ordin che
sessanta battaglioni vi si recassero sotto il comando
del generale Cialdini, il vinciiore di Gaeta, alla cui
abilit ed alla di cui riconosciuta fermezza diede
l'incarico di ricondurre, a qualsiasi costo e col mezzo
della forza e della violenza, i ribelli all'obbedienza
delle leggi.
Riguardo al Napoletano, che vicinissimo alla Sici
lia partecipava in pari tempo al fermento in favore
di Garibaldi, e sulle cui coste temevasi lo sbarco di
quest'ultimo, vennero conferiti al generale Lamarmora, che, come abbiamo gi detto, era prefetto di
Napoli, i pi illimitati poteri, ingiungendogli altres
di spedire quante pi truppe gli fosse possibile in
Sicilia.
^

99
L'effervescenza che le mosse di Garibaldi ave
vano suscitata in Napoli, in cui si aspettava diggi con impazienza il suo arrivo, il contegno quasi
ostile della popolazione verso il governo, ed il biso
gno sentito dal Lamarmora di non essere inceppato
nel suo operato, lo spinsero ad approfittare del po
tere concessogli, e la soppressione momentanea dello
Statuto collo stato d'assedio, furono da lui proclamati
per tutte le provincie di terra ferma dell'antico re
gno napoletano.
Questa misura eccit l'universale malcontento, an
che nell'Italia settentrionale, che non poteva vedero
di buon'occhio soppressa la costituzione ed inaugu
rata la dittatura militare, temuta e malvista da
tutti.
Si rimprover pertanto al ministero l' attuazione
dello stato d'assedio, tanto pi perch aggravava la
situazione della penisola in faccia all'Europa, che
scorgendo messa in pratica una misura s eccezio
nale ed adatta solo a' pericoli estremi e ai governi
dispotici dovea formarsi un' idea sconsolante delle
cose d'Italia e un concetto ingrato pel ministero.
Un'altra riflessione sorse nell'animo d'ognuno, giu
stissima. Vedendo l'immenso armamento che il go
verno faceva con incredibile alacrit per soggiogare
Garibaldi, che pure s' era mosso proclamando il ri
scatto di Roma, riscatto chiesto ad alta voce da tutta
la nazione e che il governo stesso aveva detto di vo
lere ad ogni costo, non potette a meno di sorgere
il paragone fra queste forze imponenti j radunate in

100
furia e quasi con accanimento per annichilire un
tentativo patriottico, e le forze impiegate dal go
verno nell'estirpazione del brigantaggio, cosa per
lo meno tanto importante, quanto l'insurrezione ga
ribaldina.
Dunque i patriotti venivano considerati peggio dei
briganti? Dunque premeva bens al ministero di ab
battere i suoi avversarj politici, ma non gli impor
tavano punto le vite e le sostanze dei cittadini, che
perivano vittime delle atrocit del brigantaggio?
Dunque era la guerra contro i patriotti, che egli
voleva e non la guerra contro i reazionarj ed i ne
mici d'Italia?
L'accusa era infatti giusta, ma il ministero dal suo
infausto punto di vista la trovava necessariamente
priva di logica. La lotta contro il brigantaggio era
una conseguenza della condizione delle cose, che bi
sognava subire, giacch fino a tanto che Roma fosse
in potere del papa, e finch questi desse protezione
e soccorso alle orde brigantesche, non v'era mezzo
di disfarsene, e se anche vi fosse stato cotesto mezzo
sarebbe costato troppo. Anche ammettendo la pos
sibilit di scacciare con un poderoso esercito dal
territorio napoletano fino all'ultimo * brigante ; o fa
ceva d'uopo di mantenere quest'esercito col sino a
che la clemenza dell'imperatore de'francesi ci avesse
data Roma, oppure, rimandandolo, lutti gli sforzi e
le spese sostenuti sarebbero riuscite nulli , perch i
briganti, che non avrebbero certamente mancato di
stare all'erta, sarebbero di bel nuovo, appena par

lui
tita la truppa, sbucati da tutte le parti sulle misere
Provincie napoletane.
Bisognava dunque accontentarsi di fare il possi
bile onde attenuare questo malanno, ed il ministero
aveva dato ordine, che si fucilassero senza miseri
cordia tutti i briganti presi colle armi alla mano. E
questo non era gi incutere un salutare terrore in
quegli assassini; no, e sfortunatamente i briganti la
pensavano cos, giacch sicuri d'essere puniti colla
pena di morte, usarono da parte loro del diritto di
rappresaglia, e furono certamente in maggior nu
mero gli sgraziati uccisi e barbaramente straziati dai
briganti, che i briganti presi colle armi in pugno c
fucilati.
Ad ogni modo il ministero, che da Torino leg
geva i rapporti de' proprj impiegati, i quali per la
massima parte non si sentivano proclivi a caricare
l'orizzonte delle provincie infestate dal brigantaggio
con nen colori, credeva di aver fatto il proprio do
vere, od almeno il possibile per farlo.
La cosa per riusciva ben diversa riguardo al moto
insurrezionale di Garibaldi. Qui entrava in ballo la
politica, ed il ministero su questo punto non poteva
rimanere passivo. Egli, che riputava d'avere, colle
carezze prodigate da tutte le parti, soggiogato tutti
i partiti, e principalmente il pi terribile di tutti,
quello d'azione, trovandosi d' un tratto bruscamente
ingannato, si era visto sorgere minaccioso e gigante
davanti a s l'avversario, che egli aveva creduto di
attirare stoltamente nelle sue reti, per riceverne la
pariglia del giuoco.

loi
Il ministero, che aveva tentato d'ingannare tutti,
era rimasto per la semplice forza dei fatti alla sua
volta ingannato, e la trista condizione, in cui si
trov non fu che la conseguenza necessaria della sua
ipocrisia. Impotente ad ottenere ci che di sacrosanto
diritto spettava alla nazione, pei patti che lo lega
vano alla Francia, cerc di regnare procrastinando;
e mercando il voto dei suoi avversar] colle promesse
e colle lusinghe, s'era sbracciato a chiedere che gli
si desse tempo e poi tempo, onde poter venire giu
dicato dai fatti.
Ed i fatti non si fecero a lungo aspettare, e fu
rono quali il ministero li aveva provocati. L'inganno
era trasparso dalla maschera con cui aveva cercato
di coprirsi; Garibaldi si vide slealmente ingannato,
ed allora non potendo pi ritrarsi decise di operare
da s, mettendosi alla testa del movimento nazionale.
L'impresa di Garibaldi non poteva riuscire se il
governo gli si dimostrava avverso. Ed H governo
rappresentato dal ministero gli si dichiar (e stante
la sua intima natura non poteva a meno d'esserlo)
decisamente nemico. Ma l'influenza di Garibaldi sulle
popolazioni era immensa: fu dunque d'uopo prima
di lutto, per vincerlo, paralizzare quest'influenza. Ed
a tale scopo servirono il proclama reale e Io stato
d'assedio. Il primo gli stamp sul fronte il marchio
della ribellione ; il secondo imped che le popola
zioni prendessero parte alla lotta, che doveva per
necessit essere mortale ed accanita da parte del mi
nistero.

103
bisognava, che Garibaldi soggiacesse ad ogni co
sto, perch il governo senza ci avrebbe perduto
ogni prestigio, e perch cos volevano le potenze, e
pi di tutte la Francia che minacciosa reclamava
l'adempimento dei segreti patti.
L'esercito fu perci spedito con ressa indicibile
sul luogo degli avvenimenti; la flotta incroci lungo
le coste siciliane e calabresi onde impedire uno
sbarco di Garibaldi : il vincitore di Gaeta ebbe il co
mando supremo su tutto questo agglomeramento di
forze imponenti, ed il ministero attese allora tran
quillo lo scoppio della catastrofe, di cui in ogni caso
doveva essere sua la vittoria.

IX.

In questo frattempo il fermento delle popolazioni


andava propagandosi di giorno in giorno e princi
palmente nella Romagna, in Toscana e in Lombar
dia. L'entusiasmo di questi importanti e nobili paesi
per Garibaldi, la loro fiducia nella riuscita della
eroica sua impresa ingigantivano sempre maggior
mente con grande apprensione del governo, che vi
temeva una diversione a favore del generale, a che

104
perci impediva ogni pi piccola dimostrazione, an
che pacifica, colla forza e coi mezzi violenti, spinto
dal timore di peggio.
Invano le questure di Genova, di Livorno e di
tutti i porti di mare s'affaticavano a rimandare in
dietro la giovent che accorreva numerosa per im
barcarsi verso la terra dei Vespri, invano! riman
data una volta ritornava ancor pi ostinata nel suo
proposito, ma pochi furono quelli che poterono, de
ludendo la vigilanza della polizia e sottostando a
immensi sacrifizj, principalmente pecuniarj, raggiun
gere Garibaldi, ingrossando le sue falangi.
un fatto chiaro e constatato, che se il governo
non fosse stato previdente a prendere in buon punto
le opportune misure, e se il mare non avesse diviso
la Sicilia dal continente rendendo pi difficili i mezzi
ili trasporto, l'esercito di Garibaldi si sarebbe ac
cresciuto di migliaja e migliaja di volontarj i quali
invece furono costretti a fremere di impotente rabbia
a Milano, a Como, a Brescia, a Genova, a Bologna, a
Firenze, a Pisa, a Livorno, a Napoli, spiando sempre
il momento propizio di poter far parte una volta dei
militi di Ficuzza, di Corleone e di Catania.

Durante il tragitto da Misterbianco a


carrozza di Garibaldi, circondata da una
patta di giovani ardenti ed entusiasti,
quasi sulle spalle, e senza il suo deciso

Catania la
folla comfu portata
divieto ne

iOo
avrebbero staccato i cavalli e tiratala a braccia. Il
generale, interrogato se preferisse l'alloggio presso
la societ unitaria o presso quella degli operaj di cui
facevano parte cittadini d'ogni partito, scele quest'ul
timo domicilio, dove il comandante della Guardia na
zionale mand a titolo d'onore un pelottone di mi
liti. 1l popolo non si dilegu che alle tre del mattino
dattorno la dimora del generale, il quale ringrazi
gli abitanti di Catania per la loro cortese accoglienza
e ripet presso a poco ci che formava sempre la
base de'suoi discorsi e ch'era lo scopo delle sue ri
soluzioni, l'andata a Roma ed a Venezia.
Tutte le autorit erano sparite in Catania, e la
citt trovavasi in bala di s stessa. Il comandante
di piazza ed il prefetto si erano ritirati a bordo della
fregata il Duca di Genova, che stazionava nel porto.
I dicasteri rimasero deserti d'impiegati, e perfino
l'autorit di pubblica sicurezza ed i carabinieri non
funzionarono pi.
Ora chiediamo. Perch ques'abbandono di tutte
le autorit dai loro posti? Che il prefetto si ri
tirasse, meno male: ci si comprende dalla sua po
sizione rispetto al governo ed a Garibaldi, m che
bisogno- v'era che il resto degli impiegati cessasse
di funzionare, e molto pi la pubblica sicurezza,
indipendente affatto da ogni moto politico, ed il cui
precipuo dovere di invigilare pi che mai, onde i
tristi non si approffittassero d'un momento di disor
dine per metter a ruba le propriet de'cittadini?
Perch questa fuga? Non sembra quasi giusta

ioti
l'accusa che gli avversari del governo gli mossero
contro, in tale occasione, che cio le autorit costi
tuite si erano ritirate a bello studio, onde provocare
in Catania l'anarchia?
Fortunatamente la guardia nazionale sopper a
tutto, e la citt non fi contristata da veruno di quei
fatti cos facili a succ( lere in simili occasioni.
Era appena scorsa un'ora dacch il generale s'era
posto a riposare, allorch fu destato per comunicar
gli l'allarmante notizia che il generale Mella, avvi
stosi dell'errore connB.<3so, aveva rioccupato Paterno,
e si dirigeva a gran pr.esi verso Catania con un corpo
numeroso di truppe.
Battevano le quattro del mattino, e cominciava ad
albeggiare. L'allarme si mise in un lampo per tutta
la citt, il popolo afflu in massa nelle vie, e statui
di difendersi. I pi influenti cittadini accorsero alla
casa degli operaj ontf protestare a Garibaldi che ,
tutta Catania era risolata ad opporre la forza alla
forza: il comandante c'ella guardia nazionale, fatto
interpellare dal generale, rispose col chiamare i mi
liti sotto le armi, col porsi sotto i suoi ordini. Le cam
pane suonarono a stormo da tutti i campanili della
citt, e questa in poco d'ora venne coperta di barricate.
L'effervescenza fu tale, che Garibaldi stesso si
vide costretto a frenarla, persino fra i suoi stessi
ufficiali, alcuni dei quali in que'momenti di esalta
zione desideravano quasi la lotta, e lo spingevano
ad accettarla, dicendo che il prefetto aveva abban
donata la citt per d*ck in bala delle truppe.

107
Ma il generale rispose loro : i Quantunque il pre
fetto, ed appunto perch il prefetto ha lasciato la
citt, necessario che un governo si stabilisca: io
stabilir dunque un governo provvisorio, di cui mi
faccio capo, con questo programma, che ad un
tempo quello dell'Italia e il mio; Italia e Vittorio
Emanuele. Roma o morte!
Intanto, mentre tutto preparavasi pel combatti
mento, che credevasi certo, il generale dett un
proclama agli italiani, in cui faceva ricadere sul mi
nistero la colpa del sangue fraterno che si sarebbe
sparso in quel giorno, e dichiarava in pari tempo
che il suo programma non era mutato, essendo
sempre la stessa la sua fede a Vittorio Emanuele.
Questo proclama era gi impresso, quando giunse il
maggiore Pozzolini dello stato maggiore regolare in
qualit di parlamentario, chiedendo la libera uscita
. al battaglione d'infanteria ed ai carabinieri rimasti
in Catania e le cui caserme erano circondate di bar
ricate, mentre in contraccambio consegnerebbe tutti
i magazzini militari ai volontarj, ed inoltre avrebbe
lasciati liberamente entrare in Catania i volontarj, in
numero di cento circa, dispersi sulla via e fatti pri
gioni dalla truppa.
Mentre Garibaldi stava per accettare la proposta,
giunse un altro messaggiere da parte del generale
Mella, che faceva dire al generale non avere egli n
intenzione, n ordini di attaccare i volontarj, che
perci tralasciasse le dimostrazioni di difesa.
1I battaglione della truppa regolare usc frammezzt

108
aliti acclamazioni dei volontarj e dei cittadini, ed al
grido di: Viva l'esercito italiano.
Mella aveva infatti ricevuto l'ordine di non attac
care Garibjldi. L'attacco d'una citt popolosa ed en
tusiasmata avrebbe potuto costare rivi di sangue, ed
il ministero non volle assumere la responsabilit di
una tremenda lotta. Egli forse riputava che il ribelle
generale non avrebbe potuto a lungo sostenersi in
essa, e che, ricinto dalla banda di terra dalla truppa
regolare, e guardato a vista dalle fregate regie dal
lato del mare, gli sarebbe stato forza di cedere.
Il vice-ammiraglio Albini inoltre ebbe l'incarico di
offrire a Garibaldi l'imbarco col suo stato maggiore
per quel qualsiasi punto del regno che gli sarebbe
piaciuto di scegliere." Era deciso una volta a bordo,
di trasportarlo dove meglio il ministero avrebbe ri
tenuto del caso, e tale difatti apparve l' intenzione di
quest'ultimo, che venne dappoi palesata in parla
mento dal generale Cugia.
Invece Garibaldi, che aspettava l'arrivo de'due pi
roscafi YAbbattucci ed il Dispaccio, onde imbarcarsi
per la Calabria co'suoi volontarj, rispose evasivamente,
lasciando intendere che forse avrebbe fra brevissimo
tempo accettata l'esebitagli offerta.
Frattanto proced alacremente all' organizzaziono
del suo piccolo esercito, e cedendo alle calde istanze
di moltissimi giovani cataniesi, autorizz la forma
zione della brigata Catania, che in poco tempo s'in
gross notevolmente per l'arrivo di nuovi volontarj
da Messina e da Siracusa, dimodoch l'esercito crebbe

109
ad oltre cinquemila uomini. Propose inoltre al go
verno della citt qual prefetto il deputato Nicotera,
che di buon grado accett e seppe in seguito man
tenere l'ordine pubblico in Catania.
Vigo Pellizzari di Milano giunse in quel frattempo,
ed il generale nel mentre cordialmente gli stringeva
la mano, esclam: Ahi finalmente sento la cara
pronuncia lombarda! Dolce elogio pei lombardi,
il di cui affetto per quel grand'uomo non si sment
giammai.
La sera la citt prepar una grande illuminazione :
il generale and in giro per tutte le vie: le barri
cate furono aperte per lasciar passare la sua carrozza ;
una sola rest chiusa, quella che sbarrava la porta
per la quale si andava al campo della truppa.
L'indomani, i9, vi fu una gran dimostrazione; i
ritratti del re e di Garibaldi vennero portati in giro,
preceduti dalla musica degli orfani e da tutta la po
polazione.
Moltissimi disertori dal campo regio si presenta
vano ogni giorno: questa circostanza diede motivo
fatalmente a far credere che Garibaldi avesse voluto
promuovere la diserzione nel campo reale. Maligne
voci si sparsero per ogni dove su questo proposito,
e si giunse perfino a propalare che a ciascun diser
tore era data una somma di denaro, che veniva in
pari tempo proposta ai regolari che volessero abban
donare i loro reggimenti per unirsi ai volontarj.
Niente di pi falso di tale asserzione. Garibaldi
fu udito pi volte lamentarsi del tarlo dtta dist

110
zione che rodeva l'esercito italiano, e manifestare il
suo rincrescimento di dover ricevere nelle sue file
i disertori, per non abbandonarli al rigore delle leggi
militari. Al momento dell'imbarco essi sommavano
ad oltre trecento.
La situazione dei volontarj diveniva frattanto sem
pre pi scabrosa. L'offerta fatta dall'Albini, in forma
cortese dapprincipio, a Garibaldi, s'era cangiata in
un' intimazione , sotto pena dell'attacco della citt.
Le truppe regie avevano ricevuto molti rinforzi; tre
mila nomini erano sbarcati ad Aci Reale unitamente ad
una batteria, e Mella teneva occupati militarmente tutti
i villaggi che circondano Catania, accennando a bloc
carla. La fregata il Duca di Genova aveva preso un
atteggiamento minaccioso nel porto, e sembrava di
sposta a bombardare la citt. Si buccinava di un
attacco imminente; i cittadini nei quali l'entusiasmo
del primo momento andava calmandosi, principiavano
a mormorare, e si mostravano costernati all'idea di
un combattimento nelle loro strade. Continui allarmi
succedevano ed i volontarj, abbandonati dalla pi parte
de'borghesi, non potevano fruire di un solo istante
di riposo.
Garibaldi si fe'tristo e pensoso: come infatti evi
tare il disastro d'una lotta a Catania, ch'egli voleva
ad ogni costo risparmiare, e come imbarcarsi per
schivare questa pugna fatale?
Entr nel porto una fregata con bandiera inglese :
appena Garibaldi l'ebbe osservata col cannocchiale, si
fece sereno in volto ed esclam: Sono amici. Ma

f
ili
la fregata non sembr dispoita a prender parte pr
o contro i volontarj ; essa rimase perfettamente pas
siva, e gett l'ancora a poca distanza dalla fregata
italiana. Si pretese in seguito che quel legno di guerra
si collocasse fra il Duca di Genova e YAbbattucci;
non vero; esso non fece movimento di sorta, e
sembr voler starsene semplice spettatore di quello
che fosse per accadere.
Il 24 mattina, con gran gioja dei volontarj, il Duca
di Genova lev l'ancora, usci dal porto, e scomparve
dal lato d'Aci Reale, seguito dalla fregata inglese,
Garibaldi giovandosi dalla favorevole circostanza si
mise tosto a fare i suoi preparativi per un imbarco.
Divise l'esercito in varj corpi, ed istitu una compa
gnia eletta formata da quanti dei mille trovavansi
fra i volontarj sotto il nome dei Mitle comandante
Vigo Pelizzari ; distribu quindi a ciascun soldato cin
que franchi, agli ufficiali cinquanta, ed agli ufficiali
superiori fino a duecento.
Questo denaro proveniva dalle regie casse, e con
sisteva in soldi nuovi coll' effigie di Vittorio Ema
nuele, stati pochi giorni innanzi spediti da Torino
per essere scambiati colla antica moneta.
Siccome era facile inoltre prevedere che sarebbe
stato impossibile l' imbarcare tutto il piccolo esercito
fece egli stesso una scelta de'pi fidati, e decise che
in tal caso la brigata Catania ed altri piccoli corpi
ancora in via d'organizzazione sarebbero rimasti a terra.
Finalmente, alle tre pomeridiane fu segnalato l'ar
rivo dell' Abbattucci e del Dispaccio. Un grido di

soddisfazione sfugg in quell'istante dalle labbra di


Garibaldi, che esclam: Ecco un'occasione che
non bisogna lasciar sfuggire. Immantinente mont
in vettura, si rec sulla spiaggia, ed ordin al mag
gior Cattacene che con due distaccamenti s'impos
sessasse dei piroscafi, ci che questi esegu senza in
contrare la pi piccola resistenza.
Tosto dopo fu dato il segnale dell'imbarco.
Esso fu una scena di confusione indicibile. I vo
lontarj, temendo di restare a terra, si precipitarono
nei battelli in tanto numero che varj di questi cor
sero grave pericolo di travolgersi: arrivati a toccare
i fianchi dei bastimenti, ciascuno cercava d'arrampicarvisi, onde prendere posto pel primo.
In breve i due piroscafi, su cui stavano gi stipati
5000 uomini circa, minacciarono di calare a fondo;
fu giuocoforza al rimanente dei volontarj, fra cui
trovavasi un battaglione intero della brigata Corrao,
rimasto alla coda, di rassegnarsi a restare a terra.
Garibaldi s'imbarc per l'ultimo e si colloc a bordo
del Dispaccio, su cui stavano il suo stato maggiore,
l'ungherese Pulsky, Missori, Nullo ed i deputati Nicotera e Mordini.
<
Prima di partire Garibaldi dett .un nuovo pro
clama, in cui protestava solennemente a tutti gli
italiani, che il suo invariabile e forse estremo grido
sarebbe stato sempre lo stesso, e che nulla poteva
cancellare dalla sua bandiera, Italia e Vittorio Ema
nuele, invitando tutti i patriotti a raggiungerlo al
grid d Roma, a Mime.
" v '

MS
Con quell'estremo grido, presagiva egli nel suo
interno la vicina catastrofe?
Una gran parte della popolazione assistette all'im
barco. I cittadini di Catania, incerti e titubanti sulla
riuscita dell'impresa guidata da Garibaldi, non an
cora disingannati dalla credenza di un accordo fra
il governo ed il generale, ma pur travedendo la ve
rit, desideravano di uscire dal dubbio in cui stavano
immersi, e non videro di inal'occhio la partenza dei
volontarj, che risparmiava forse loro un luttuoso
combattimento.
Garibaldi venne in quest'occasione tacciato di avere
sparso voci false per mantenere nell'inganno i cata
niesi, e di avere dato loro a credere fino agli ultimi
momenti, eh' egli operava di concerto col governo.
Il fatto non vero, e come di solito, gli accusa
tori esagerarono la cosa che forse aveva un fondo
di verosimile.
naturale che le notizie pi contraddittorie per
venissero agli orecchi dei cittadini, e che questi nel
l'incertezza e nell'ansia in cui si trovavano, vi pre
stassero agevolmente fede. Che qualche uomo del
partito d'azione del resto rimescolasse la faccenda,
e se ne approfittasse a proprio vantaggio incon
trastabile. Ma in questo caso chi non avrebbe fatto
altrettanto?
In qualche lontananza 'dal porto ed a vista della
citt si trovavano varie fregate della nostra marina.
Con grande meraviglia d'ognuno esse non fecero al
cun movimento, e sembrarono decise a lasciar com
Aspr.
8

114
piere rimbarco, senza punto tentare d'impedirlo. E
si, che avrebbe costato ben poco l'opponisi. Qualche
dimostrazione di cannonata tirata sui due fragili pi
roscafi era pi che bastevole.
Perch questa esitanza da parte della (lotta?
Essa poteva, a vero dire, esser motivata dalla ri
flessione, che respingendo Garibaldi in Catania, non
veniva impedita una lotta, che da una parte e dal
l'altra si desiderava d'evitare: ma perch allora le
fregate, quando i due piroscafi zeppi di volontarj si
trovarono in alto mare, non li circuirono, e non in
timarono loro la resa, divenuta inevitabile, e senza
costare una goccia di sangue? Aggiungasi, che nel
mentre si dava ad un tratto in questo modo un'im
mediato termine alla guerra civile, il governo aveva
inoltre il vantaggio di poter far trasferire ove pi
gli piaceva, l'intero corpo dc'ribelli a cui di buona
o mala voglia, sarebbe stato forza obbedire.
Durante tutto il tragitto una fregata regia: la
Maria Adelaide non perd mai di vistai piroscafi,
e giunse quasi contemporaneamente con loro alla
costa calabrese, e precisamente sul luogo dove doveva
seguire lo sbarco.
Dunque era deciso dal ministero non solo di non
opporsi all'imbarco, ma bens di permettere che i
volontarj sbarcassero in un punto qualunque del con*
Unente, probabilmente anche gi noto.
Ma mentre con questo agire si confermavano le
popolazioni nel loro errore di un accordo fra Gari
baldi ed il ministero Raltazzi, tulle le misure pre

US
cauzionane erano state prese d'avanzo. Il corpo di
truppa, destinato ad assalire Garibaldi, stava gi
pronto. Reggio, citt principale sull'estrema punta
della Calabria, e di cui poteva supporsi a ragione,
ehe il generale avrebbe tentato d'impadronirsi, trovavasi munita di forte guarnigione. Necessariamente
Garibaldi si sarebbe veduto costretto di gettarsi nelle
montagne, che era forse appunto quanto il ministero
desiderava.
Ad ogni modo questo piano inconcepibile di guerra
aggrava sempre pi la responsabilit e dimostra mag
giormente la mala fede del ministero, perch lascia
il dubbio, che egli fosse deciso a volere ad ogni costo
la lotta in un momento, in cui la vittoria non do
veva essere pi un dubbio per lui.
. Se queste furono realmente le sue intenzioni, il
ministero non poteva scegliere miglior mezzo per
rendersi odioso e ruinare in pari tempo s stesso.
La nazione intera, gemente nella sospensione d'un
conflitto, il di cui esito doveva essere sempre un lutto
per l'Italia, avrebbe quasi dimostrata la sua gratitu
dine al governo, qualora questi con un colpo di mano
avesse fatto prigionieri i volontarj senza sparger san
gue. Un tale fatto Io circondava di un prestigio im
menso, ed in egual tempo d'una gran parte della po
polarit, che aveva perduta. Tutto avrebbe egli gua
dagnato salvando tutto. Lo si sarebbe vantato ardito,
forte, scaltro, clemente.
Ma il ministero, non seppe comprendere tuttoci,
non seppe valutare quanto bene ne diveniva all'Ita

ne
Ha un simile atto da parte sua. Non cap, o non
volle capire, che il saper afferrare queir occasione,
era un lavare in qualche maniera la sua colpa, e
che una tal vittoria valeva molto piti di un'eca
tombe di morti, sulla quale la nazione avrebbe sparso
amare ed indelebili lagrime, imprecando a chi lo
aveva eretta.
Forse un astio basso che disonora coloro che lo
nutrivano, imped un tanto bene. Onta eterna su ci
fessi II ministero prefer ostinatamente di mante
nere la benda, ch'egli stesso s'era cacciata sugli oc
chi: pens, che la vittoria guadagnata su chi non
voleva assolutamente combattere era certa, e volle
ottenerla come pi gli garbava.
Onde incoraggiare i soldati s'affrett a distribuire
loro medaglie e gradi per fatti che non avevano nes-sima importanza c eh' esso qualific col nome di
sanguinose battaglie, attirandosi con ci la disap
provazione e l'odio universale, perch quei gradi e
quegli onori sono insozzati di sangue fraterno.
Il ministero cred vincere incutendo terrore nei
suoi avversar] ; invece non riusc che ad esacerbarli,
ed a seppellire il suo onore sotto una macchia schi
fosa ed incancellabile.

Principiava ad imbrunire allorch i due piroscafi


uscirono dal porto di Catania, il Dispaccio, coman
dato da Garibaldi stesso, in testa. I fuochi di posi-

117
zione vennero tralasciati, onde possibilmente eludere
la vigilanza delle fregate, ed i volontarj, ammassati
l'uno sull'altro, muti e silenziosi, coll' ansia dipinta
sui visi , stavano gli sguardi intenti sul Duca di
Genova, aspettandosi d' esserne assaliti. Ma quello
non si mosse.
Giunti in alto mare, YAbbatiucci, che correva pi
veloce del Dispaccio, prese il sopravvanzo, quindi
si ferm all'altezza d'Aci Reale, onde attendere nuovi
ordini. Ricevutili, le due navi ripresero il cammino
di conserva in linea parallela a breve disianza l'una
dall'altra.
In questo mentre la fregata reale, che aveva se
guito i piroscafi in lontananza, riscaldata la macchina,
parve voler gettarsi fra di essi: ma fu una fnta ma
novra, e la traversata continu felicemente.
La notte era ancora alta quando il convoglio giunse
in vista di Pietro-Falcone. Bentosto, assicurati con
corde i vapori alla spiaggia, i volontarj procedettero
allo sbarco, che segu con bastante ordine. Non es
sendosi rinvenute barche nei contorni, l'operazione
dur lungamente, avendo dovuto servirsi delle sole
tre lancie affrancate ai fianchi delle due navi. Solo
verso mezzod tutti i corpi pervennero a raggiun
gere la terra, ed il trasporto del materiale richiede
altres una perdita di tempo considerevole.
Sulla spiaggia Garibaldi trov varj palriotti calabresi. che, non ismentendo una vecchia tradizione
locale, furono larghissimi di promesse, rappresen
tando lo spirito del paese pi coi loro ardenti desi

118
derj, che colla fredda realt. Essi narrarono che si
stavano organiaeando dappertutto corpi di volontarj,
e che il Napoletano si sarebbe tutto armato per se
guire i passi del generale.
Queste asserzioni erano in parte veritiere, ma il
governo aveva mandato a vuoto ogni tentativo, e
soppressi energicamente gli arruolamenti.
Una specie di terrore panico s'era impossessato
degli abitanti, e lo stato d'assedio aveva compiuta la
bisogna togliendo loro le armi, di modo che essi
trovaronsi ridotti alla parte di semplici spettatori
passivi degli avvenimenti.
I deputati Nicotcra, Miceli e l'ungherese Pulsky
mossero per Reggio, ove contava di ridursi l'inde
mani il generale, e questi, appena sbarcato, si
pose in cammino a piedi seguito da alcuni uffiziali alla volta di Melito, villaggio a due miglia circa
di distanza.
L vennero confermate le sue speranze, ed egli
ritorn al campo, che s' era nel frattempo organiz
zato, raggiante di contento e accompagnato dal sin
daco di Melito, che assicur, unitamente a varj al
tri abitimi del luogo, che il mattino stesso la truppa
aveva lasciato Melito, quasi per cedere il posto ai
volontarj, e che battaglioni di volontarj $' erano for
mati a Monteleone, a Cosenza ed a Catanzaro.
Garibaldi ordin si levasse il campo, e dopo tre
quarti d'ora di marcia, il piccolo esercito de'volontarj entr in Melito. Ma, contro l'aspettazione, il vil
laggio era affatto sprovvisto di vettovaglie; quel

1I9
poco che vi si trovava venendo in un baleno esau
rito dalla massa, che poteva ascendere a 3000 uo
mini circa. Il sindaco, si scoino accertando, che Ga
ribaldi avrebbe trovato nella montagna tutto il ne
cessario, viveri ed armi.
I volontarj si accamparono, parte nel letto del
torrente che lambe il villaggio, e parte nelle abita
zioni, circondandosi d' avamposti, specialmente sulla
strada di Reggio.
All'alba continuarono il viaggio sullo stradale me
desimo, e giunti a Sannazzaro, cascina situata a
met cammino da Reggio, fecero sosta.
Quivi una deputazione di cittadini di Reggio si
present al generale: essi dichiararono di venire in
nome e per commissione de' loro concittadini, onde
partecipargli, che la popolazione reggiana fedele al
re ed allo statuto, pregava Garibaldi a voler retro
cedere, e lo avvertiva che la truppa regolare, nu
merosa ed agguerrita, stava pronta a difendere colle
armi la citt, per cui lo supplicava a risparmiarle
il triste spettacolo d'una lotta.
II generale rispose, che era passato per tutta la
Sicilia senza essere inquietato, e domandava soltanto
di traversar Reggio onde provvedere di viveri la sua
gente. La deputazione non pertanto insist, e gli as
sicur, al pari del sindaco di Mclito, che, qualora
avesse voluto recarsi nella montagna, avrebbe trovato
col tutto l'occorrevole.
Questa asserzione ripetuta "tante volte era falsa;
ma perch tanto il sindaco di Melito; che la depu

150
tazione di Reggio furono concordi in emetterla?
Questo fatto constata manifestamente che il progetto
del comandante l'esercito regolare era di spingere i
volontarj nei piani deserti dell"Appennino, di isolarli
col, per quindi poterli pi facilmente circuire.
Dietro tale positiva assicurazione, Garibaldi accon
sent a non passare per Reggio, e deliber di por
tarsi colla maggior possibile sollecitudine sulle alture
d'Aspromonte, dove, approvvigionati i volontaij, sa
rebbe quindi disceso nella pianura di Monteleone,
oppure avrebbe marciato su Catanzaro.
Onde seguire il nuovo piano, bisogn affrettarsi,
perch i viveri mancavano diggi quasi completa
mente. In Sannazzaro poteronsi comperare, vero,
alcuni buoi, che vennero tosto uccisi, ma nella ressa
di prendere le razioni, nacquero disordini, e la pi
parte de' militi dovettero rimanere a bocca asciutta.
Rasti il dire, che una compagnia di cento uomini,
rimasta fra le ultime nella distribuzione, ebbe la ra
zione per trenta e bisogn contentarsene.
Il campo era situato sulla spiaggia del mare, ed
i volontarj stavano per rimettersi in cammino, allor
ch scorsero venire alla loro volta la fregata coraz
zata Maria Adelaide che li aveva seguiti durante l'in
tero tragitto, e vedutili sbarcare a Pietrofalcone, si
era diretta a Sannazzaro coll' intenzione di opporsi
alla loro marcia verso Reggio.
X Essa sembr cercare il sito pi adatto per tenere
j garibaldini sotto il tiro del cannone, e mirare prin
cipalmente al gruppo formato dal generale e dal sue

121
stato maggiore. Nell'istante appunto, che Garibaldi,
col cannocchiale alla mano, ne osservava i movimenti,
la fregala fece una scarica, ma non colp nessuno
de'volontarj, che sentirono le palle da cannone pas
sare sulle loro teste: il generale rispose a quella
salva, che parve d'onore, salutando colla sua spada,
ma nel tempo stesso fece per maggior precauzione,
marciare gli uomini su d'una sola fila. La Maria
Adelaide allora si allontan, e prese la direzione di
Messina.
La deputazione di Reggio aveva lasciata una guida,
che si proffer a condurre i volontarj sull'altipiano
d'Aspromonte; essa rimase costantemente al fianco
di Garibaldi.
Giunti alla fiumara di S. Giorgio, si sparse fra i
volontarj la nuova che la truppa regolare uscita da
Reggio, si avanzava e trovavasi gi vicinissima, per
cui il generale ordin, che lasciata la strada Reggiana,
si piegasse a destra nell'interno del paese. Questa
mossa fece mormorare i volontarj, che, stanchi ed af
famati, vedendosi costretti a marciare di bel nuovo
per aspri sentieri, slanciarono alte imprecazioni contro
la truppa, che li inseguiva.
Dentosto sopravvenne la notte: la via consisteva
nel letto asciutto d'un torrente, e rendevasi di mano
in mano sempre pi scabrosa. Cionnonostante la marcia
continu tino alla fattoria detta a' Vallanidi. L fu
forza sostare, perch, divenendo sempre pi profonde
le tenebre, e mancando le guide, la gente si sarebbe
smarrita e dispersa. Il campo fu stabilito nel letto

122
stesso del fiume: un freddo intensissimo era frattanto
sottentrato agli ardori del giorno, e molti fra i vo
lontarj furono soprapresi dalla febbre.
Lontano un miglio si vedevano i fuochi de'regolari, i cui avamposti eransi spinti a poche centinaja
di passi dal luogo ove trovavansi i garibaldini.
Non appena apparvero i primi chiarori dell'alba
questi si rimisero in cammino, lasciando dietro una
quantit di ammalati, che non potevano continuare la
marcia. Erano essi pervenuti in un'angusta vallata
ne' dintorni di San Nicola, villaggio situato sul pen
do dell'Appennino, allorch un battaglione del 5 di
linea, che aveva lasciato il bivacco per correre sulle
loro orme, si pose ad inseguirli, facendo prigionieri
tutti i volontarj rimasti in ritardo.
Vedendo i loro compagni cadere nelle mani della
truppa, i garibaldini principiarono a tirare su di essa
e presero principalmente di mira il maggiore che la
comandava, e che fu costretto a gettarsi a terra per
evitare le palle.
La linea allora apr un fuoco vivissimo, a cui ri
spose con pari vivacit il battaglione di Menotti, ma
accorso Garibaldi ai primi colpi, ordin ai suoi che
cessassero il fuoco, e si ritirassero senza rispondere
a colpi de' regolari.
In questa scaramuccia i volontarj perdettero una
parte de'loro bagagli, varj muli, e la cassa del bat
taglione Menotti contenente 120 franchi, pi ebbero
due feriti, un morto, e 200 prigionieri circa rimasti in
potere della truppa, che si ritir eolla perdita di quat

m
tro morti, otto feriti e dieci prigionieri, che i gari
baldini trassero seco.
La marcia continu. Fatto un alt di un'ora sulla
cresta delle prime roccie su cui s'innalza la montagna
d'Aspromonte, i volontarj si riposero in viaggio,
camminando per altre tre ore, finch arrivati al cos'i
detto piano di Reggio, dove trovavasi un fontanile,
Garibaldi ordin si fermassero, e quivi ponessero il
campo.
Non era ben tempo, giacch i militi, che avevano
fornito circa 40 miglia di faticosissimi sentieri,- e
non avevano mangiato da due giorni, non potevano
resistere pi oltre alla stanchezza ed alla fame. Ca
deva la pioggia a torrenti, e seguit fino al mattino,
quasi per mettere il colmo alla disperazione dei vo
lontarj, che affranti dalla fatica e dagli stimoli della
fame, mal coperti, senza scarpe, e la pi parta senza
neppure il cappotto, giacevano sui nudi sassi inti
rizziti dal freddo e dalla febbre.
Molti di essi non sorsero pi da quel tristo gia
ciglio, e la luce del mattino lasci scorgere pi di
venti cadaveri, per la maggior parte giovinetti in verde
et, che avevano sempre goduti i comodi della vita.
I meno sgraziati furono quelli che avevano avuta
la previdenza di premunirsi di biscotto in Catania.
Essi almeno poterono attutire la fame che straziava
le viscere dei loro compagni. Pure in mezzo a quel
l'orribile scena si viddero esempj di sublime rasse
gnazione, di coraggio, di umanit. I pi forti cedet
tero i loro cappotti ai pi deboli ed ai febbricitanti:

124
molti di quelli che possedevano qualche pezzo di
pane, lo divisero coi camerata affamati. Un giovinetto,
ragazzo di non pi che sedici anni, gemeva sul
suolo, implorando un po' di biscotto; ma sgraziata-,
mente nessuno 'pi ne aveva: un suo compagno lo
sente, fa cinque o sei miglia in mezzo alle tenebre,
a pericolo di cadere in mano della truppa, giunge
fortunatamente ad un casolare di contadini, si fa
dare un po' di pane, e corre indietro a portarlo al
suo giovino compagno. Un altro fra i gemiti della
agonia dava ad alta voce l'estremo addio alla madre
ed all' Italia.
, Durante la notte pi di 800 dei garibaldini, ch'e
rano rimasti in addietro, raggiunsero il campo; ma
la notizia sparsasi dell'attitudine ostile del governo
e la sicurezza che il generale avrebbe evitato ogni
scontro coi soldati del re, furono causa che alcuni di
essi lasciassero le fila, e si disperdessero ne' paesi
vicini, oppure si consegnassero in mano alla truppa.
Nel frattempo Garibaldi s' era recato colla guida
a Santo Stefano, onde procurare i viveri per la sua
gente; ma il villaggio ne era quasi interamente
sprovvisto, per cui il generale ritorn desolato al
campo, dove lo stavano attendendo con ansia, non sa
pendosi a qual parte si fosse diretto.
Egli pass, prima di proseguire il cammino, in
rassegna i suoi militi. Di 3000 uomini rimanevano
poco pi di 1500, che si diminuirono a 1200 allor
ch il generale annunci che nuovi disagi e nuove
fatiche sovrastavano su quelli che avrebbero perse
verato a seguirlo.

12S
Dopo una marcia faticosa e disordinala i rolontnrj
giunsero finalmente a Santo Stefano.
La popolazione li accolse con benevolenza, ma senza
entusiasmo. Tutto quello che vi pot trovare fu di
vorato in un isl.mto.
L essi vennero a sapere eho la guida li aveva in
gannati, e clie la via da loro percorsa era del qua
druplo pi lunga della vera. Avevano impiegato
quarantott'ore in un viaggio che avrebbero potuto
con minori difficolt compiere in dodici. La perfida
guida fu cercata perch si giustificasse, ma essa era
scomparsa ne pi si lasci vedere.
Dunque era stata comprata? Ma da- chi? perch ?
Da chi non si pu con certezza asseverare. Il per
ch chiaro. Si voleva dar tempo alla truppa di cir
cuire la posizione d' Aspromonte , ed i volontarj si
trovavano gi circondati quasi da ogni lato senza che
se ne fossero accorti.
Il generale Cialdini recatosi il giorno avanti allo
sbarco di Garibaldi in Reggio, aveva fatto radunare
la municipalit, e le aveva dichiarato, che nel caso pro
babile e forse imminente della venuta de i ribelli, do
veva essere obbligo precipuo dei maggiorenti del
paese di inculcare ai ci'tadini, sottoporla di sottostare
al bombardamento, la pi perfetta tranquillit ed un
contegno passivo. Al collonnello Pallavicini aveva
poi destinato un corpo di truppe, coll'obbligo d'agire
energicamente contro i volontarj perseguirli senza
posa, circondarli, costringerli a cedere e schiacciarli
anche mediante un combattimento.

126
Quella guida aveva compiuto egregiamente l'inca
rico avuto. La truppa, che aveva potuto precedere
di un gran tratto i garibaldini , si trovava gi di
sposta a riceverli nelle posizioni assegnatele.
Ma Garibaldi procedeva impavido nella santa im
presa e a tre ore dopo mezzanotte diede l'ordine
della partenza da Santo Stefano : i volontarj si ripo
sero in marcia, lasciando ancora indietro una quan
tit dei loro, a cui mancavano la forza e il coraggio
di andar oltre e che venduti i loro fucili, si conse
gnarono alle autorit.
Tutti anelavano di guadagnare il piano detto c il
Forestale d'Aspromonte dove, a norma delle assi
curazioni ripetutamente ricevute, avrebbero trovati
viveri in gran copia, armi e munizioni.
Dopo nuovi inauditi stenti, che soltanto i soldati
volontarj sanno sopportare, giunsero col e ritrova
rono un deserto. Allora la disperazione pervenne al
colmo, alla quale bentosto sottentr il pi completo
scoraggiamento. Quei prodi giovani cadevano di spos
satezza, di fame, di febbre.
La stanchezza era cos grande che al comando
del generale di raccoglier legna per accendere il
fuoco, nessuno si mosse. Un fremito di profonda
mestizia contrasse il nobil volto di Garibaldi, che
con voce alta e tranquilla, esclam: = Vedo bene,
che tocca a me dare l'esempio e traendo la sua
sciabola si avanz verso il bosco, situato ad un chi
lometro circa.
I volontarj risposero col grido di viva Garibaldi,

127
e tutti lo seguirono. Costrussero quindi baracche con
cespi di siepe e rami d'alberi per improvvisare alla
meglio un riparo contro la pioggia, che per tutta la
notte cadde a torrenti. Quella sera non mangiarono
nulla.
La mattina seguente, lo scoraggiamento raddoppi.
Garibaldi se ne avvide, e per incuorarli diresse loro
queste parole : Io so bene, che non posso do
mandarvi una disciplina militare: ma ancora pochi
giorni e noi avremo vinti gli ostacoli: tutto ripren
der allora il suo cammino regolare, e come ho pro
messo, malgrado ogni cosa, noi raggiungeremo la
nostra meta: Roma a morte!
Frenetici gridi di Roma o morte I Viva Gari
baldi! s'alzarono da ogni parte.
Quel grido doveva fra brevi istanti divenire una
trista realt. I volontarj volevano Rema o morte,
ed ebbero .... la morte.

Qui ci pare giunto il momento di descrivere l'ac


campamento di Aspromonte.
Aspromonte un'erta e ripida montagna che estolle
le sue cime in quell'estrema lingua di terra italica
bagnata per tre lati, da tre mari, il mediterraneo,
l'ionio e l'adriatico.
Partendo dalla grossa borgata di Villa di San Gio
vanni ci vogliono due lunghi giorni di faticosa marcia
per raggiungerne il vertice.

128
Quel monte, quantunque grandeggi quasi isolato
nell'aere, circondalo dovunque da altri pi piccoli
monti assai boscosi che gli fanno corona e die for
mano alla sua base una specie di altipiano denomi
nato appunto il piano de'Forestali.
Questo fu il luogo scelto da Garibaldi per l'ac
campamento degli stremati suoi volont rj.
Un torrente del letto assai profondo divalla sopra
una parte del piano travolgendosi ripido e impetuoso
verso la marina mediterranea.
Un viottolo angusto, delinea seguendole le sinuosit
dei monticoli e gi si perde lontano, lontano, affon
dandosi di tratto in tratto nel torrente per risalire
dall'altra parte.
Questa via, se tale pu chiamarsi, guida a Santo
Stefano, e biforcandosi, a Sinopoli, e a Campignano.
Essa fronteggiava l'accampamento e non aveva nes
suna importanza militare.
Il torrente poteva bens servire di valida difesa
tanto pi che in un punto dominato da un colle
che ne padroneggia il passaggio, ma il generale Ga
ribaldi non volle saperne di difendere gli approcci
con una forza che potesse servirgli di base alle sue
operazioni, sostenendo la sua vanguardia, e neanche
si approfitt dei numerosi fossati che solcavano la
pianura e che in poco tempo potevano ridursi a for
midabili trinciere.
Alle spalle dell'accampamento garibaldino o vol
gente alcun poco a destra il vero monte d'Asproo
monte che confonde le sue pi alte vette coll'azzurrdel bel cielo italico.

129
Da questa descrizione si vede che l' eroe dei due
mondi, Garibaldi, voleva morire, ma non sostenere
una lotta, che se anche fosse riuscita vittoriosa gli
doveva imbrattare le mani di sangue fraterno.
Onore a lui!
Nella previsione che la truppa regolare lo avrebbe
raggiunto, ed attaccato formalmente in quella posi
zione, Garibaldi fece alcuni preparativi di difesa, in
giungendo per di non far fuoco su di essa. Questo
ordine in piena contraddizione con tutti i principj
militari cagion una sorpresa generale.
Come si poteva difendersi senza tirare?
La truppa infatti s'avanz, divisa in due colonne,
mirando con quella di destra a girare l'ala sinistra
dei volontarj, mentre che colla sinistra lentamente
s'impadroniva delle alture sovrastanti al campo ga
ribaldino in modo da spingere i volontarj verso 'a
pianura, dove un battaglione di linea stava pronto a
sbarrare la via.

A tre ore dopo mezzogiorno una parte de'garibaldini, che s'erano sbandati a qualche distanza dall'ac
campamento per raccogliere patate, videro venire la
truppa ed avvisarono gli altri.
I volontarj si posero tosto in linea di battaglia, e
Garibaldi ripet un'altra volta l'ordine perentorio di
non far fuoco.
Quello che poscia successe venne narrato in mille
guise, e tanto da una parte che dall'altra come di
solito v'ebbero esagerazioni.
1 primi ad aprire il fuoco furono i bersaglieri a
spr.
9

130
cui rispose la brigata Como, composta tutta di sici
liani, nuovi affatto ai combattimenti, che vedendosi
assaliti, si valsero delle loro armi come per naturale
istinto di difesa. Il centro per del corpo de'volontarj
non spar un colpo, e lasci, che le truppe regolari
si avanzassero a pochissima distanza dall'accampa
mento: questo esempio venne imitato anche dai ga
ribaldini che avevano dapprincipio opposta resistenza,
i quali, incerti e titubanti fra il dover battersi o no,
non sapevano che fare nel critico frangente in cui si
trovavano, e cessarono ogni opposizione, dando cos
tempo alla truppa di circondarli.
Ma qui ben volontieri cediamo la penna a un' il
lustre giovinetto di Palermo, che fu attore e spetta
tore dei fatti che narriamo e la cui relazione, perche
mite e onesta non pu e non fu messa in dubbio da
nessuno.
Alle due pomeridiane, fatta prima un'ultima di
visione dj viveri, il generale avvisato della vicinanza
d'una colonna regolare, dopo un'ora di marcia, facea
fermare la legione disposta con la destra in tedia
attraverso l'altipiano sovrastante e propriamente sul
limitare del bosco che la corona e da cui prende
nome di Forestale. Il nostro ordine di marcia era
il seguente: i carabinieri genovesi, i 4 battaglioni
bersaglieri con la sinistra in testa, gli altri piccioli
corpi e la brigata Corrao ridotta a 5 o 600 uomini.
I bagagli, le munizioni e tutti gli altri impedimenti
etano al centro.
I! generale con qualche ufficiale di stato mag

131
giore e le poche guide presenti percorreva tutta la
linea. Eravamo cos fermi da due ore su quella for
midabilissima posizione, allorch a circa due miglia
dalla nostra sinistra vedemmo sboccare nella pianura
una colonna composta di G battaglioni d'infanteria, e
altrettante di bersaglieri, in tutto da quattro a cinque
mila uomini effettivi.
Appena i regolari ci scoprirono, preceduti dai
bersaglieri in catena, dispostisi in battaglia mossero
al passo di corsa alla nostra volta. Il colonnello Pal
lavicino, prima d' essere a tiro, divise in due ali la
sua colonna, mirando con quella di destra , coman
dante il colonnello ex garibaldino Eberardt, a girare
la nostra ala sinistra e impossessarsi dell'alture che
ci sovrastavano alle spalle, mentre con quella di si
nistra, agli ordini del luogotenente colonnello Par
rocchia ci avrebbe, appoggiando il movimento del
l'altra, obbligato a ritirarci verso la pianura.
L avea lasciato un battaglione per chiuderci la
via e dove credeva, una volta suo il vantaggio del ter
reno, pi facile vincerci e disfarci.
Per quel disegno,pel lunghissimo giro che dovea
fare la colonna di destra e per i grandissimi ostacoli
di terreno che dovea superare, era tardo sempre
per impedirci una ritirata, incerta la sua esecuzione,
impossibile poi con le forze di cui disponeva il co
lonnello Pallavicino. E perch i fatti son sempre la
autorit pi saggia, ricorder che quasi dopo un'ora
che il fuoco era cessato, ci che avea permesso ai
regolari di compiere al passo di corsa e restringe!

132
done grandemente il cerchio i loro movimenti, il
generale Como con due o trecento uomini de'suoi,
dall'estrema destra traversando tutta la linea occupata
dai nostri, si apri senza ostacolo una via di ritirata
per le alture, attraverso la foresta che ci stava alle
spalle.
Se Garibaldi volea combattere, pria che i rego
lari potessero utilmente tirar su noi avrebbero su
bito gravissime perdite dal fuoco dei nostri , inter
nati nella foresta, da cui sarebbero sortiti freschi a
caricare da un terreno sempre dominante, gente che
senza riposarsi d'una marcia di dodici miglia, avea
manovrato per un' ora al passo di corsa , ed asceso
alfine il ripidissimo monte del Forestale, e che contro
noi non avrebbe mai potuto agire simultaneamente
per la lunghissima linea che dovea tenere. E l'animo
certamente non mancava ai nostri, la pi parte spe
rimentati e gloriosi avanzi di tutte le guerre nazio
nali; gli altri, due a trecento disertori che temeano
se presi la fucilazione , e giovani generosissimi che
aveano sfidato senza esitare il peiLolo irreparabile
della traversata sul continente, ed il cui entusiasmo
non si era affievolito innanzi ai disagi degli ultimi
giorni.
E dir ancora d'un altro rimarchevole fatto. Qual
che mese innanzi, in quella stessa posizione, non pi
che quattrocento briganti combatterono innanzi a forze
non inferiori a quelle del colonnello Pallavicino, per
sei ore continue, ritirandosi finalmente in buon or
dine per la foresta. L'ingiunzione di non trarre sulla

133
truppa eh' era stata, in ogni circostanza, la prima
consegna dei nostri ufficiali, era ripetutamente data
in queir ora da un capo all' altro della linea , ed il
generale percorrendone il centro e la sinistra confermavala a viva voce.
I soldati regolari venivano intanto sempre in
nanzi senza trar colpo, finch furono a trecento passi
dal battaglione bersaglieri Menotti e da un altro della
brigata Corrao comandato dal bravo maggiore Raf
faele -Di Benedetto , i quali , per gli accidenti del
terreno, erano pi innanzi un duecento metri e af
fatto scoverti.
L, chi comandava i regolari, non rolendo forsi
perdere una occasione di vincer gente che mostrava
apertamente non voler combattere, dati i segnali pre
ventivi e d'esecuzione con suoni di tromba che s'in
tesero da un capo all'altro della nostra linea, faceva
aprire il fuoco alla prima catena de'suoi bersaglieri.
Erano le cinque e venti minuti ; i volontarj con
una disciplina rara in simili corpi, stettero fermi nel1' ordine di non tirare e per pi di cinque minuti
assistemmo allo strano spettacolo di gente che colle
armi alla mano facevasi inoffensivo bersaglio di va
lentissimi tiragliatori. Per le palle cominciavano a
fare l' ufficio loro e il fuoco concentrato di tutta la
linea su quei due battaglioni e su d' una collinetta
che stava alla destra, ove trenta passi avanti al bat
taglione Bideschini sul limitare della scoscesa era a
tutti facile riconoscere Garibaldi , che circondato da
qualcuno del suo stato maggiore non si stancava di
ordinare non si tirasse.

134
Menotti intanto, vistosi cadere a fianco alquanti
de'suoi, e lui stesso ferito, mancandogli la virt d'e
strema obbedienza , ordin al suo battaglione di at
taccare il nemico. Le due prime compagnie che erano
distese quasi nel piano, dopo aver appena scaricati
i loro fucili, condotte la prima dal capitano Corrado
di Niscemi, intrepido e sperimentato ufficiale che in
quel giorno die prove di singolare valore , e la se
conda dal bravo luogotenente Rocco Ricci Gremitto,
caricarono senz'altro i bersaglieri che loro stavano a
fronte, e li obbligavano a rapidissima ritirata.
Nello stesso tempo il battaglione Di Benedetto
avanzandosi in beli' ordine, con un fuoco vivissimo
fermava gli avversarj sulla nostra destra.
Ma pi grave fatto succedeva in quel momento.
Il generale respingendo ogni istanza si levasse dal
l' espostissimo sito . dopo aver ricevuta una grave
contusione alla coscia sinistra di cui il fortissimo uomo
non di alcun segno, colpito da una palla conica al
collo del piede destro, fatti ancora due o tre passi
era obbligato gridando viva V Italia a sedersi per
terra. L'accompagnavano in quel momento il prode
maggiore Enrico Cairoli che ebbe il cappotto forato
da quattro proiettili, Civinini a cui le sue gravi ed
importanti funzioni non impedirono mai d' essergli
al fianco nelle pi perigliose circostanze, lo scrittore
di questi ricordi, il luogotenente Manci, l'aiutante
barone Turillo Malato, a cui il generale aveva con
segnato il suo rewolver e che in quel giorno di
prove di coraggio e sangue freddo ammirevole.

133
Inducemmo quasi con violenza il generale a farsi
condurre a luogo pi riparato, e trasportato da Ma
lato e dal bravo Bideschini accorso in quel momento,
sul limitare del bosco vi si volle assolutamente fer
mare.
Adagiatolo a terra mentre si cercava della no
stra ambulanza, mi chiese la mia fiasca ed il mio
fazzoletto e si accingeva a medicarsi da s la ferita,
non cessando di dar ordine alle trombe del quartiere
generale suonassero sempre di cessare il fuoco.
E l'ordine ripetuto, continuo, dopo un venti
minuti era al fine completamente eseguito e volon
t rj e soldati confusi e misti salivano fraternamente
il colle tutti in armi e pur fra loro sicurissimi.
t Era infatti seguito che gli uomini del Menotti
arrivati vicinissimi agli avversarj incerti sul da fare
per i ripetuti segnali di sostare fermavano conti
nuando per le grida di Viva l'Italia, Viva Vittorio
Emmanuele in Campidoglio. Allora i bersaglieri
che riordinatisi avanzavano in massa alzarono un
grido di Viva Garibaldi , che fece ricordare alle
camicie rosse che tutti eravamo della stessa terra e
che per uno di quegli accordi che vengono dal cuore,
si slanciarono unanimi alzando in alto le carabine ,
verso i bersaglieri con cui scambiarono fraterni am
plessi e uniti ai quali salirono il colle.
Il fuoco era cessato su tutta la linea. Le perdite
erano pressoch eguali d' ambo le parti; dei volontarj 7 erano i morti e 20 i feriti tra cui parecchi
ufficiali di cui ricorder solo il luogotenente Bozzetti

136
dei bersaglieri Menotti che gravemente ferito, volle
caricare con la sua compagnia.
Meglio che quattrocento volontarj eransi riuniti
intorno all' albero sotto cui era adagiato il gran fe
rito, che impassibile e calmo si assicurava ch.e non
pi sarebbesi combattuto

Frattanto era arrivato un parlamentario dei rego


lari, che in maniera poco urbana pretese dal generale
la resa delle armi. Garibaldi lo fece disarmare. Di
l a poco sopraggiunse il colonnello Pallavicino co
mandante la truppa, che manifest con gentilissimi
modi al generale, l'ordine ricevuto di combatterlo ad
oltranza e di costringerlo con ogni mezzo ad arren
dersi. Propose il disarmo della colonna, che doveva
essere affidata alla scorta delle sue truppe, aggiun
gendo, che secondo la sua opinione, i volontarj sa
rebbero dappoi stati rimandati alle proprie case.
Quindi si convenne:
Che il generale Garibaldi con un seguito di uffi
ciali di cui avrebbe fatto presentare l' elenco , ed ai
qunli verrebbelasciata la spada, sarebbesi recato a Scilla.
Che, lungo lo stradale avrebbe potuto fermarsi
ove meglio a lui piacesse per riposarsi e curare le
ferite.
Che a Scilla avrebbe chiesto un legno inglese per
salirvi a bordo co'suoi, colla clausola per che il co
lonnello Pallavicino dimanderebbe al governo istru
zioni in proposito.
Che il convoglio sarebbe stato scortato da un bat
taglione di bersaglieri in distanza.

137
Appena si sparse tra i volontari la voce che Ga
ribaldi era stato ferito e fu ripetuto ancora l'ordine
di cessare qualsiasi resistenza, essi lasciarono avvi
cinare la truppa e ben presto i ranghi s dell'una
che dell'altra parte si confusero insieme. Antichi
amici che avevano combattute insieme le battaglie
del 1859 e del CO si riconobbero e si strinsero la
mano, rivolgendosi scambievolmente severi rim
proveri.
Il disarmo incominci : in quei*momenti forse al
cuni ufficiali e soldati dell' esercito regolare si la
sciarono trascinare ad atti violenti ed inurbani, meno
degni d'una truppa ralorosa e disciplinata, che avea
combattuto o a meglio dire che aveva vinto quasi
senza combattere i propri amici e fratelli. Noi
non commenteremo quegli atti, persuasi che furono
solo la conseguenza d'un momento di esaltazione fa
cilissimo a nascere nel trambusto dell'azione.
Non possiamo per a meno di rammentare un
fatto che dimostra quanto poco generosamente ven
nero trattati i prigionieri.
Poco dopo lo sbarco , a Melito un drappello di
otto garibaldini spedito in perlustrazione sulla strada
di Reggio, si era spinto sino ad un villaggio situato
a poca distanza dalla citt. Accortosi che non v'era
la truppa, i volontarj commisero l'imprudenza di
entrare in un'osteria onde rifocillarsi, e quel eh'
peggio di fermarvisi oltre il dovere. Tutto ad un
tratto si videro circondati da una mezza compagnia
di linea , e bisogn arrendersi. Furono frugati ,

138
mnltrattati , condotti sulla spiaggia del mare , e fu
fatto loro intendere, all'intento forse d'impaurirli*
che sarebbero stati immantinenti fucilati.
I preparativi che si facevano a tal' uopo dalla
truppa , non sembrando lasciare alcun dubbio nel
prigioni sulle intenzioni del comandante la truppa ,
uno di essi, il maggiore Salomon afferrato il mo
mento opportuno, si slanci in mare, e ad onta che
i regolari gli tirassero varj colpi di fucile, riusc a
salvarsi.
*
II giovine Mondelli, appenna ventenne, di Como,
risolse allora di seguirne l'esempio, e fece l'atto di
gettarsi nell'acqua: ma una palla che lo colpi in
una coscia, lo stese al suolo.
Fu tosto circondato dai soldati, eh' egli preg con
calde parole di risparmiargli la vita , ma l'ufficiale
che li comandava ordin spietatamente che lo finis
sero. Il comando fu eseguito.
Intorno a Garibaldi erasi intanto radunata una
folla di ufficiali garibaldini e de' bersaglieri. La pi
profonda mestizia stava scolpita sui volti di tutti:
solo il generale , col sigaro in bocca , dando tran
quillamente gli opportuni ordini riguardo alla ferita,
sembrava non avesse punto perduto la sua calma
ordinaria, ed allorquando Menotti , egli pure ferito ,
fu trasportato al suo fianco, neppure fece vista di
scorgere suo figlio, e non gli indirizz una sola
parola.
Venne costruita alla meglio una barella, ed ada
giatovi il generale, si cominci il trasporto a braccia

139
nella direzione di Scilla. Giunti a notte inoltrata alla
capanna del pastore Vincenzo , Garibaldi volle fermarvisi, e pass il resto della notte sopra un letto
improvvisato di cappotti, di cui si privarono la pi
parte de'suoi ufficiali di stato maggiore, che dor
mirono all'aperto con una di quelle fredde notti che
sulla cima degli Appennini si alternano cogli infuocati
calori del giorno.
Di l il convoglio si rimise il mattino seguente
in cammino, e dopo quattro ore di faticoso viaggio,
giunse finalmente a Scilla. La popolazione muta ed
in atto dolente accorse a contemplare l' illustre
caduto.
L il colonnello Pallavicino gli comunic l'ordine
ricevuto di imbarcarlo sulla fregata il Duca di Ge
nova, stata espressamente inviata in quella rada dal
governo, ed in pari tempo gli domand se deside
rava di fermarsi a riposare nella citt per quella
notte. Udendo l'ordine governativo, Garibaldi si ri
volse a'suoi ufficiali di stato maggiore e disse loro
con voce calma: Ah! dunque mi avete ingannato!
Poi manifest la sua Volont di salire tosto a bordo.
L'imbarco ebbe infatti luogo qualche istante dopo.
Il generale venne adagiato in un letto di campo , e
quindi per mezzo di corde alzato sulla fregata.
, Steso sul giaciglio ed appoggiandosi colle mani
alle corde , egli stesso ordin la difficile manovra
con una tranquillit e con una tale serenit di viso,
che i marinaj stupefatti lo guardavano con ammi
razione.

140
A dieci de' suoi ufficiali renne concesso di seguirlo.
Trovandosene uno di pi , l'ammiraglio Albini lo
fece ricondurre di nuovo a terra.
Poco lungi, sulla tolda d'un' altra fregata, il gene
rale Gialdini, circondato dal suo stato maggiore,
stava contemplando l' imbarco. Non un saluto venne
diretto al prigioniero.
Perch? .
Un cortese cenno di saluto in quell'istante non
sarebbe stato un atto generoso da una parte , un
conforto all'altra? Non avrebbe fatto sparire antichi
ed ingiusti livori I L'inchinarsi alla sventura non
sarebbe stato un atto pi degno d'un Cialdini e d'un
Albini, che non il freddo e muto loro contegno, in
cui potevasi leggere un senso manifesto d'amara
ironia, di basso amor proprio soddisfatto?
In compenso per, dalla folla silenziosa assem
brata sulla spiaggia, da tutti i balconi e dalle fine
stre delle case di Scilla si videro sventolare bianchi
pannolini.
Il popolo rendeva giustizia all' uomo grande o ge
neroso che era apparentemente caduto, e che gemeva
su di un letto di dolori per avere troppo amata la
sua patria.

141

XI.

Il sacrificio consumato. L'Italia redenta dal san


gue di migliaja di Martiri, si vide un'altra volta
insozzata del sangue de' suoi tgli; ma non era pi
lo straniero che lo aveva versato, bens i suoi me
desimi figli.
Da entrambi le parti si era combattuto per lei
da entrambi i lati si aveva proclamato il voto fatto
di salvarla dai pericoli clie la circondano era
eguale il grido di guerra un'unica bandiera sven
tolava tra le fila degli avvcrsarj gli uni s'erano
mossi per convinzione gli altri pugnavano per
dovere: ma tutti amavano la loro madre comune:
''estremo grido da una parte e dall'altra lo stesso:
Viva l'Italia.
Ma dunque perch s'erano battuti? Chi fra di
essi colpevoli?
Nessuno! Il loro movente era stato l'amore della
patria: essi furono Martiri tutti della causa sacra
della libert!
Soltanto la fatalit li aveva- spinti alla lotta, la dura
fatalit che pesa tuttavia sulla misera Italia , la di
pendenza cio dello straniero.

142
Per disgrazia questa dipendenza il ministero Rattazzi non poteva o non voleva scuoterla da s.
Il terzo Napoleone aveva saputo troppo bene al
lacciare con essa la penisola. Prevedendo che gli
italiani sarebbero insorti contro un'alleanza, che era
sua intenzione di cangiare in prepotente domina
zione, egli aveva preso davvanzo le misure della pi
astuta precauzione.
Prezzo della guerra del 1859 la cessione di Nizza
e Savoja, ma sapeva bene, che lusingando il conte
di Cavour colla prospettiva d'un possente ed unico
regno d'Italia, questi avrebbe acconsentito a qualun
que patto.
Cavour col suo genio e colla sua fermezza riusci
a realizzare in gran parte i suoi disegni, ad onta
della coperta opposizione del monarca francese, che
si era riserbato di eluderne le viste, e che fu, con
tro sua voglia manifesta, costretto dall'imperio delle
circostanze a permetterne l'attuazione.
Napoleone padrone del passo delle Alpi, il nuovo
regno doveva ad ogni modo rimanere ancora suo
vassallo, e cosi fu.
In pari tempo abbisogn all' imperatore il mante
nimento dell' Austria nella Venezia; sconfiggendola
egli la lasciava per abbastanza forte da servire di
eterno spauracchio all' Italia , nel mentre che l' Italia medesima era un' acuta spina ne' fianchi al
l'Austria.
Col porre di fronte due accenniti avversarj Napo
leone, profondo politica sapeva di poter dominare

143
il nascente regno, nel tempo stesso che le forze au
striache venivano di molto indebolite.
Ma la spedizione di Marsala e l'annientamento
della potenza borbonica nelle Due Sicilie, dando una
forte spinta all'unit d'Italia, distrussero d'un colpo
le speranze ed i progetti di Napoleone, il quale non
pot resistere alla corrente rivoluzionaria che tutto
seco travolgeva.
Per trattenerla permise l'occupazione da parte del
nostro esercito delle Marche e delle Umbrie, ed im
pedi come l'aveva di gi impedito alla Cattotica che
l'Eroe del popolo passando il Volturno stendesse il
potente braccio su Roma e ne scacciasse a colpi di
cannone i suoi profanatori.
Ma quasi due anni essendo scorsi infruttuosi e
sterili, la speranza dell' acquisto di Roma e della
Venezia mai realizzandosi; ra naturale che il po
polo italiano si sarebbe commosso, e guidato da Ga
ribaldi avrebbe in qualche modo tentato di fare
quello che non volevano o non potevano fare i suoi
governanti.
La rivoluzione adunque, non ostante gli sforzi
fatti per reprimerla, procedette impetuosa e terribile.
Faceva d'uopo d'un colpo per annichilirla.
Per ottenere questo scopo Napoleone spinse il go
verno italiano in una posizione ;che avrebbe reso
necessario ed indispensabile l'esclusione d'ogni moto
che avesse iniziativa popolare. ,
E affrett il riconoscimento del regno d'Italia da
parte della Prussia e della Russia, le quali non vi

144
acconsentirono che a patto espresso di conservare
statu quo e di abbattere la rivoluzione.
Il ministero Rattizzi, posto nel bivio di accettar
questi patti che ledevano l'onore della nazione,
che ne inceppavano il progredire sulla via della com
piet emancipazione, ma che pure racchiudevano i
loro un grande apparente beneficio; oppure di de
vere, gettandosi nelle braccia della rivoluzione, slan
ciarsi su d' un ignoto cammino irto di triboli e d
difficolt, non stette dubbioso un'istante, ed accett
Da quel momento l'opera de'patriotti divenne pei
lui un gravissimo pericolo, che bisognava allontanare
ad ogni costo, anche a prezzo d'una repressione san
guinosa. Retrocedere non era pi possibile: e Ratlazzi si lasci trascinare dalla corrente, che condusse
lui stesso e l'Italia in un orrendo precipizio.
Ma quel ministero cadde: ora l'aggravare i suoi
fatti sarebbe vilt: ripeteremo solo, che l'infausto
episodio d'Aspromonte non fu che la conseguenza
necessaria della sua trista situazione politica.
Fu una sventura l'assunzione al potere del terzo
partito rappresentato da Rattazzi : la sua esistenza
doveva necessariamente trarre con s una sciagura
ancora pi grande.
Ricasoli e Rattazzi soggiacquero sotto il peso che
s'erano addossato, perch non posero in opera l'u
nico mezzo adatto a salvare l'Italia, e tale sorte sar
pure riserbata ad ogni futuro ministero, che non se
ne varr lealmente e francamente.
Nelle presenti circostanze e nelle istantanee dilli-

145
' colta che pesano sull'Italia si comprende di leggieri
che un moto rivoluzionario sarebbe ora inopportuno
e pericoloso.
Perch riesca, bisognerebbe che lutti i ventidue
milioni d'italiani si levassero come un solo uomo, e
che fossero pronti e disposti a vincere o a perire
sotto le rovine della loro patria.
Quest'Ipotesi non pu sfortunatamente ammettersi
perch gl'italiani non sono disposti a sagrificare sul
l'altare della patria tutti i loro interessi.
Ma l'emancipazione di Roma, che non ci verr
mai data, se non saremo forti abbastanza di pren
dercela, e quella della Venezia, che sar d'uopo
comprare con una nuova guerra sostenuta da noi
soli contro l'Austria, stanno egualmente nelle nostre
mani.
Un ministero che comprenda i veri interessi d'Ita
lia non solo, ma anche della monarchia dovrebbe
completare l'esercito, porlo su d'un piede imponente,
fi armare nel tempo stessala nazione. In que
sti mezzi sta l'unico scampo dello Stato.
In contegno fermo e dignitoso, sicura di s stessa
aspetter allora l'Italia con animo tranquillo il mo
mento di reclamare e di volere assolutamente ci
che le si spetta di diritto, la sua capitale c la Venezia.
Il nuovo ministero sapr desso elevarsi all'altezza
del suo cmpito? Questa tremenda domanda, che
tutti gli italiani si rivolgono con un "palpito indici
bile e con un frinito d'angoscia inenarrabile, ci fa
rabbrividire.
Aspr.
10

146
La perplessit degli uomini nostri di Stato i pi
eminenti nell'assumere il portafoglio, l'immensa fa
tica che cost la formazione del ministero Farini,
fecero pienamente risaltare quanto ardua sia la loro
missione eguale pericolosa crisi l'Italia debba ora
superare.
Giammai la penisola si trov in una condizione
cosi miserabile questa letteralmente la parola
con cui pi si addice di denominarla. Noi siamo
circondati da nemici da tutte le parti: l'Austria ci
percuote con duri colpi nella Venezia ; la Francia ci
minaccia, ci deride e ci insulta, poggiando con un
sorriso di scherno il piede .sulle nostre Alpi; il
papa-re ci dilania il cuore e mantiene colle sue orde
assoldate viva e sanguinosa nel nostro petto la turpe
piaga del brigantaggio.
Il governo indeciso, senza piani saggiamente trac
ciati, talfiata servile ai cenni di chi si dice, ma che
in vero pare non sia, nostro alleato, tal altra dibattentesi fra vani sforzi onde scuotere la sua dipen
denza, sospeso fra il desiderio d'agire ed il timore
di trascorrere in un falso passo, non si risolve a
nulla, e nulla opera di quanto da lui attende la
nazione.
I moderati, paurosi e tremanti, e perci appunto
in gran numero, spaventati dalla larva minacciosa
del quadrilatero da un lato, dalla prepotenza fran
cese dall'altra, e tementi il procedere della rivolu
zione, che alle loro orecchie suona Marchia o peggio
si aggrappano a qualunque bench debole sostegno

147
clic si para loro davanti, e col mezzo dei loro depu
tati danno voti di fiducia a qualunque ministero, pui-4
eh sia ministero che poscia ritolgono, senza punto
riflettere die codesto il vero modo di spingere la
loro patria a inevitabile perdita. Essi vanno gridando
unione e concordia, e non s'accorgono, e meglio non
vogliono accorgersi, che nell' attuale caos l'unione e
la concordia sono impossibili, se non si cerca anzi
tutto di fissare un piano deliberato, saggio ed ener
gico, che trasformi il caos in un corpo ordinato.
Nella penombra ergesi il partito d'azione, sempre
forte, e facentesi forte vieppi di giorno in giorno
per gli errori de'suoi antagonisti, l'unico fra tutti
che segu la sua tracciata via con inamovibile perti
nacia, e perci degno pi d'ogni altro di stima.
Esso non transige collo straniero, e molto meno
coll'onore italiano: irritato, perch vede dileguarsi
di di in d la speranza della completa emancipazione
d'Italia, sdegnoso, perch il governo lo teme e lo
lascia isolato senza pensare a trar profitto delle im
mense risorse che potrebbe ricavarne accaparrando
selo, aspetta l'occasione di agire a qualunque costo
e di spingere il governo stesso nell'azione.
Il popolo, intorpidito da tante scosse, incerto dei
suoi veri amici, non sapendo a chi darsi in braccio,
malcontento, sfiduciato, si abbandona in preda ad una
fatale letargia.
Chi lo ridester da essa?
Il governo od il partito d'azione?
Il Parlamento, per colmo di sciagura, diviso, inetto,

448
disfatto in cento brani, senza una maggioranza cha
si attenga fermamente ad una profonda convinzione,
la segua con fermezza. Sempre pronto a dare un
voto di fiducia ed a ritorlo lo emise poco prima
che il ministero Ricasoli cadesse^ e quel voto fu un'
irona. I rappresentanti della nazione lo diedero
anche a Rattazzi quando questi afferr le redini del
potere, e lo diedero bench la maggior parte di essi
non riponessero in lui fiducia di sorta, e nel loro
interno fossero diggi disposti a fargli la pi accanita
opposizione glielo ridiedero poco prima di Aspro
monte convalidando l'operato di Rattazzi in quell'ar
dua circostanza e glielo tolsero dopo Aspromonte
mancando in tal modo di logica, perch o bisognava
disapprovare la linea di condotta del ministero prima
di Aspromonte, o bisognava approvarla dopo. Aspra
mente non che la conseguenza del proclama reale
d'agosto.
Interpellanze succedettero ad interpellanze, biasimi
a biasimi. Ma a che servi tutto questo? A null'altro che a cambiare ministeri.
Eppure, se il governo agiva male, perch non di
sapprovarlo con efficaci misure?
Una fatale scissione regn finora nel Parlamento.
Non erano la destra e la sinistra parlamentare che
discutevano pel bene d'Italia; erano cento piccole
frazioni, che inveivano l'una contro l'altra, diver
genti affatto nelle loro opinioni, e che si accorda
vano soltanto, dopo essersi vanamente sfogate, nell'abbracciare il partito peggiore, quello della aspet

449
tazione passiva, riserbandosi, nel caso eh* questa
loro non aggradisse, di tornare nuovamente all'oppo
sizione.
La dignit dell'assemblea perd in simili inutili
dispute la sua forza ed il suo prestigio. La divisione
che regnava fra essa ed i ministri si riflett sorra
la nazione intera, che non vide in quelle futili lotte
che lo sfogo d'ire personali, e si scisse essa pure
in partiti, ognuno de'quali, a somiglianza della rap
presentanza nazionale, nel mentre decantava il pro
prio patriottismo, immergeva nella discordia la patria.
Ora tocca al nuovo ministero di rimediare a tanti
errori, e di percorrere un cammino meno incerto e
meno rovinoso. Spetta a lui di far rinascere la fidu
cia nel cuore degli italiani, e di guidarli alla meta
anelata dalla nazione.
Molti ne attendono l'opera con ansia fiduciosa.
Molti lo guardano con occhio calmo e severo, e
nulla aspettano da lui.
Ed il Parlamento anche questa volta gli ha dato
un voto di fiducia.
Sar desso ben collocato?
Lo voglia finalmente il cielo.

Frattanto si stenda un velo sui lugubri avveni


menti che funestarono recentemente il nostro sven
turato suolo, e scenda solo una lagrima di pianto
sulla tomba dei generosi, a qualsiasi delle due parti

150
essi appartenessero, che caddero nella convinzione
di giovare alla patria.
Se fossero periti sotto i colpi dello straniero, di
fendendo l'indipendenza del loro suolo nativo, il no
stro dolore sarebbe grande s, ma ne invidieremmo
quasi in egual tempo la sorte.
In questa dolorosa circostanza per il nostro af
fanno deve essere immenso, inconsolabile, per cos
dire, giacch essi perirono per mano d'italiani, per
mano di fratelli.
Qusto sangue sparso da noi stessi, quest'amara
lezione, che travolse in lutto profondo l' Italia, spe
riamo che inaugurer una nuova ra per l'affitta
nostra patria, e- persuader a coloro che affereranno
le redini del governo, che solo in se stessa l' Italia
deve rinvenire la forza di esistere e di incamminarsi
alla completa indipendenza, tanto da lei anelata.
Intanto poniamo qui l'elenco dei martiri, che tali
veramente si possono chiamare i caduti ad Aspro
monte.
Morti della truppa regolare.
Cagher, caporale. Fregoni, soldato. Calabrini, idem. Formicola, idem. Bornia, idem.
Feriti.
Ferrali Luigi, luogotenente. D' Argcnzio Giu
seppe, sottotenente. Algeri Gaetano, idem. Piatto
Vincenzo, sergente. Fastarese Gavino, idem.

151
Traverso Agostino, cap., Bordino Luigi, idem.
Caporazza Luigi, soldato. Riccardi Gius., idem.
Vassalini Pietro, idem. Nicoli Giuseppe, idem.
Donizella Abramo, idem. Coperto Mauro, idem.
Dotto Felice, idem. Sonaglio Serafino, idem.
Alviso Giuseppe, idem. Caputo Michele, idem.
Corradi Antonio, idem. De-Antoni Angelo, idem.
Bentivoglio Aurelio, idem. Gastaldi Bartolomeo,
idem. Frigerio Luigi, idem. Plumaita Gia
como, idem. Manara, carabiniere.
Morti garibaldini, n* 7.
Ricci capitano delle guide', i nomi di questi al
tri martiri non sono conosciuti. Sulla loro tomba non
sta scritto neppure un nome!
Feriti,
Garibaldi Giuseppe. Garibaldi Menotti.
Vitto Giuseppe. Orso Ignazio. Borzetto Salva
tore. Tettamo Gaspare. Fraenza Paolo. Ricci
Attilio. Lobianco Angelo. Marone Michele.
Romeo Giovanni. Gagliardo Salvatore. Biello
Domenico. Sorrentino Salvatore. Zagri Carmelo
Allegro Angelo. Pecorella Mariano. Macchi
Francesco. D'Angelo Antonio. Accardi Giuseppe
Mondelli. Bozzetti.

1
152

XII.

Ora eccoci al Varignano. L'uomo che onor l'Italia,


sua patria, in America, dove raccolse tanta gloria da
essere proclamato Massimo Eroe, dove vinse tali tita
niche battaglie, la cui fama sorvolando sull'immensa
estensione dell'Oceano, trapass in Europa a decan
tare il valore, la costanza, l'energia, l'incorruttibile
virt del profugo Nizzardo , gran capitano e gran
marino a un tempo , soldato sempre della libert ,
acerrimo nemico della tirannia; l'uomo che la illu
str sulle sponde del Verbano nel 1848, a Roma
nel 49, a Varese, a Como, a Treponti, in Valtellina
nel 1859, che vinse le favolose battaglie di Calataflmi
e di Palermo; l'uomo il cui nome suona. Milazzo,
suona Volturno ; colui che da tutti i popoli inciviliti
viene ammirato, nuovo Washington; giace prigio
niero e gravemente ferito in un deserto forte della
ligure riviera.
La vita di questo nuovo Bajardo senza macchia
e senza paura, oltre ogni dire agitata e ricca di
gloriose gesta, tutti un seguito d'imprese ispirate ai
pi sublimi sentimenti, eseguite con un coraggio

153
eroico, coronate dall'esito il pi brillanta che pos
sono immaginare i pi fantastici sogni. Ma Garibaldi
trionfatore, Garibaldi Dittatore, non fu mai s grande
come Garibaldi, non vinto, pure ferito e prigioniero
al Varignano.
L'Italia tutta si vest a lutto e pianse, con lui pro
strata, sul suo letto di dolore. Il mondo si commosse
meravigliando davanti a un tanto spettacolo, e la
umanit con nuovo e non mai veduto esempio, l'uma
nit che di solito vilmente applaude al successo e
disprezza l'infortunio, sta volta, s'inchin riverente
all'illustre caduto, perch aveva compreso la santit
dell'impresa di Roma, perch si era penetrata della
giustizia della causa capitanata da Garibaldi!
Ora ci si affaccia dinanzi il seguente problema :
I due tentativi di Sarnico e di Aspromonte, anche
nella pi favorevole ipotesi che il governo italiano
li avesse tollerati , anzi li avesse sottomano ajutati ,
avevano qualche probabilit di riuscita di fronte
alle forze che Austria e Francia potevano contrap
porre loro?
Alla doppia domanda risponderemo che dall'Eroe
che con soli mille volontarj male armati e mancanti
d'artiglieria, vinse a Calatafimi l'esercito del Borbone
numeroso di circa otto mila uomini; che lo fug a
Palermo, accresciuto del doppio, che lo snid da Mi
lazzo quantunque avesse appoggiate le spalle a un
riparo formidabile, dall'Uomo che, con quindici o venti
mila volontarj in linea, guadagn la gran battaglia
del primo ottobre sul Volturno, che il Solferino

154
della campagna delle Due Sicilie, contro un esercito
triplo di numero, agguerrito, composto di elementi
fedelissimi (giacch nessuno negher che coloro che
seguirono Francesco II a Capua ed a Gaeta dopo il
7 settembre 1860, dovevano essere attacatissimi alla
sua dinastia), provvisto abbondantemente di muni
zioni e di artiglieria, e che per soprapi aveva una
base sicura di operazione , la linea del Volturno, e
dietro a s il campo trincierato formato dalle due
fortezze di Capua e di Gaeta; dall'Eroe che oper
tali prodigii , che quasi sembrano impossibili , tutto
si deve ritenere probabile, nulla deve recare mera
viglia, e non lecito pronunziare giudizii su fatti
che rimasero incompiuti.
D'altra parte, quanto alla progettata spedizione sul
Veneto o nel Tirolo, chi sa dire le intelligenze, che
il generale Garibaldi poteva avere in quei paesi;
chi conosce le fila Indubbiamente di lui tese onde
preparare nel Veneto, lo scoppio, a un dato momento,
di una formidabile insurrezione, che potentemente
aiutando i movimenti dei volontarj, avrebbe di ne
cessit incagliate e disturbate le operazioni degli
Austriaci; chi pu affermare che l'Ungheria non at
tendesse che il segnale d'una lotta sull'Adige e sul
Cadore per insorgere unanime divergendo le forze
dell'Austria, e mettendo a fuoco e a fiamme quel
decrepito impero?
Forse che alcuno oserebbe dichiarare assoluta
l'impossibilit in Garibaldi e ne' suoi di sostenersi
nei monti del Bellunese e del Friulano, venti, trenta.

155
quaranta giorni, contro un esercito fosse anche triplo,
quadruplo, quintuplo, sestuplo di numero, ma in
viso alla popolazione, anzi circondato ovunque da
terribile rivolta , dando intanto tempo a questa di
estendersi maggiormente in tutte le provincie venete?
La rivoluzione, quando accettata da un popolo
come suprema necessit , finisce quasi sempre ad
essere vincitrice, quando poi viene capitanata da
queir uomo che Garibaldi, colle circostanze politi
che e colle accidentalit di terreno che il Veneto
presenta , il suo esito non pu mettersi in dubbio,
tanto pi se si vuole considerare ai larghi ajuti che,
volere e non volere , gli sarebbero pervenuti dalla
Lombardia e dal resto d' Italia.
Ma e il quadrilatero e i cento mila soldati , che
guardano le provincie della Venezia...?
in onta a tutto questo diciamo che una vittoria di
Garibaldi avrebbe strascinato nella lotta anche il go
verno italiano, il quale ai cento mila austriaci avrebbe
dappoi contrapposto duecento mila prodi italiani , e
infine ripetiamo che da cosa nasce cosa e che Gari
baldi non uomo che'possa venire cos leggermente
giudicato senza prima aver veduto compiersi i fatti.
Alcuno dir: ma queste sono nulla pi che ipo
tesi...
S certo , rispondiamo , ipotesi pari a quelle che
furono accampate contro il progetto di Garibaldi.
Riguardo al suo piano formulato nei due motti di
t Roma o morte che fu strozzato sull'infausta pianura
di Aspromonte, ben volontieri cediamo la penna all'au

166
tore del ragionato libretto : Garibaldi e Rattazzi,
ossia luce sui fatti di Sarnico e di Aspromonte.
Ecco che dice in risposta a un sig. Pimpeterre ,
il quale sosteneva l' intrapresa di Garibaldi impos
sibile.
Chi impedir al popolo italiano di credere che
Garibaldi avrebbe riuscito nel 1862 come riusc
nel 1860? che avrebbe trovato il debole dell' arma
tura, invisibile ad ogni altro , e avrebbe potuto im
piegare mezzi possibili soltanto a lui ? Si parla sem
pre dell'onore francese che senza macchia, e che
non dev' essere bruttato da una disfatta ; ci si dice
che la grande nazione sacrificher il suo ultimo sol
dato, il suo ultimo scudo per la gloria del suo eser
cito.
Ma che cosa fa questo al nostro caso ? Credesi
forse che Garibaldi noi sappia anch'esso al pari e
meglio d'un altro? Credesi forse ch'egli non conosca
i francesi e l'esercito che ne fa il giusto orgoglio?
E perci? Chi ha mai detto che Garibaldi abbia so
gnato d'attaccare i francesi alla bajonetta? Nulla lo
prova. Se al contrario egli si fosse avanzato alla te
sta d'un esercito d'uomini inoffensivi, se avesse pro
seguito il suo cammino malgrado il cordone militare
francese lungo la frontiera pontificia, s'egli ne avesse
sostenuto il fuoco senza rispondervi, ma senza arre
starsi, credete che i soldati francesi avrebbero lun
gamente resistito a quello strano combattimento? cre
dete che il nuovo spettacolo d'un popolo intiero che
offre il suo petto senza difesa, ma che non indie-

457
treggia, il quale domanda la Capitale al prezzo della
sua vita, credete che il prestigio del nome di Gari
baldi nontavrebbe finito di soggiogare i soldati fran
cesi, cos sommamente impressionabili per tutto ci
che grande, nobile ed eroico?
Permesso dubitarne; mille esempii offre la
storia moderna di quel paese e principalmente delle
loro rivoluzioni, che tornano in appoggio del dubbio.
Quando noi leggiamo nell' istoria di Garnier Pages
(Voi. IV, pag. 395) quella eloquente descrizione del
l'effetto morale prodotto sopra i soldati dalla scarica
fatale al bastione dei Cappuccini , noi non possiamo
credere che la truppa francese avrebbe lungamente
continuato un ignobile massacro.
t I soldati, pallidi, muti, dall'occhio fisso, erano
come paralizzati; alcuni versavano delle lagrime.
Un capitano del 14 di linea dava indizii d'un pro fondo dolore ecc.
Si dir ch'erano fratelli, ch'erano francesi; sia;
noi non siamo francesi, n fratelli, ma siamo amici,
siamo uomini risoluti a morire per la patria; e agli
occhi dei francesi ci molto.
t Ignoro le idee di Garibaldi sui mezzi di esecu
zione, ma oso sostenere, che non s'intese giammai
di attaccare i francesi a bajonetta spianata, ma bens
colle armi morali d' imponenti dimostrazioni d' un
popolo intero
Il ministro Rattazzi sper fare dell'uomo del po
polo un ribelle volgare, il popolo invece , innalzai
dogli un monumento imperituro di riconoscenza, lo

188
divinizz pi che eroe, martire, della causa italiana,
la quale, per quella solidariet di principi! che do
vrebbe unire tutte le nazioni, la causa della libert
di lutti i popoli.
Il governo italiano persistendo in un falso sistema
s'ostin a voler imprimere il marchio della colpa
sul fronte di quegli uomini che, spinti da un'ardente
amore patrio e partendo dal principio che in diplo
mazia cosa fatta capo ha, intendevano costringerlo,
in onta a tutti g' impacci diplomatici che gli tene
vano legate le mani, a portarsi in Campidoglio; ma
il popolo, non ingannato nel suo buon senso, rese loro
piena giustizia, riversando la colpa su chi di ragione,
e gi sorto, il giorno in cui si avverrarono le se
guenti parole che troviamo nell'opuscolo: Una voce
iella prigione ; giacch oggimai il popolo ha capito
che senza Roma impossibile che l' Italia si regga
compatta e possente:
Il giorno in cui la nazione toccher con mano
t l'impotenza e l'incapacit del presente sistema a
t risolvere il problema della sua esistenza, e l'ul tima illusione le sar caduta, in quel giorno an che il giudizio dei ribelli di Aspromonte e di chi
li ha condannati sar pronunciato inappellabile e
o finale.
Oggi non sappiamo se compiangere pi la ce cita del governo, il quale non s'accorse che noi
gli spianevamo la via di Roma , dove esso poteva
entrare prima di noi, e con tutti gli onori del
trionfo o se pi condannare la sua madornale

189
ingratitudine verso un partito che sempre gli ha
lasciato raccogliere quanto aveva seminato nel solo
scopo dell'unit della patria.
Soldati della rivoluzione, il disastro di un
giorno non ci far mutare bandiera. La nostra
fede d'oggi sar quella di domani, perocch noi
siamo convinti che la rivoluzione sola potr dare
nazionalit e libert non solo al popolo italiano,
ma a tutti i popoli che in Europa le anelino.
E i popoli hanno compresa questa verit e hanno
rivendicato Aspromonte coli' amore manifestato, col
dolore dimostrato, colle larghe cure elargite a Gari
baldi al Varignano!

.i

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