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Impresa sociale

Enti non profit

Impresa sociale 3.0


di Alessandro Mazzullo

Lapprofondimento
La normativa sullImpresa Sociale in Italia, se
da una parte ha saputo innovare, dallaltra
stata un fallimento perch lesperienza empirica ne ha certificato linefficacia.
Il mancato decollo non dovuto esclusivamente al vincolo di non redistribuzione degli utili,
quanto piuttosto allesigenza di un ripensamento organico del dettato normativo.
La riforma auspicabile dovrebbe riguardare,
tra gli altri, la redistribuzione cappata degli
utili; latipicit normativa degli ambiti dintervento dellimpresa sociale; la fiscalit di vantaggio e compensativa.
Riferimenti
D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155

Impresa sociale 1.0

La tematica relativa allimpresa sociale sta tornando ad essere avvertita come un tema di particolare interesse rispetto al quale auspicabile
e prevedibile un intervento di riforma da parte
del Legislatore1.
Lattualit di una riforma mancata

A dare impulso a questa rinnovata attenzione


vi sono innanzitutto ragioni giuridiche legate a
recenti interventi legislativi2; ma a tali motivazioni ne vanno aggiunte altre di carattere economico e sociale che tratteggiano lo scenario
di un Paese in profonda trasformazione che vede emergere in modo sempre pi significativo
il ruolo svolto dallEconomia civile3.
Impressionanti i dati recentemente pubblicati
dallIstat4 che vedono il Terzo Settore come
lunico in grado di vantare ovunque segnali

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positivi, soprattutto in quegli ambiti in cui


lItalia pu e deve sprigionare potenzialit ancora inespresse5 (cfr. Tavola n. 1).
In questottica sinserisce lauspicio di una riforma organica della normativa sullImpresa sociale vista come una delle leve pi importanti
per la crescita di quellEconomia sociale di
Mercato altamente competitiva di cui parla il
Trattato di Lisbona del 20076.
Alessandro Mazzullo - Esperto di diritto degli enti non profit e
delle imprese sociali
Note:
1 Sullargomento, si veda R. Randazzo e G. Taffari, Limpresa
sociale: che fare?, in questa Rivista, n. 6/2013, pag. 9; per un
inquadramento generale di carattere aziendalistico cfr. E. Borgonovi, La funzione dellAzienda non profit come trasformatore di valori individuali in valore economico e sociale: elementi di teoria aziendale, in F. Bandini (a cura di), Manuale di
Economia delle aziende non profit, Padova, 2003.
2 In tal senso, si veda il d.d.l. presentato alla camera: Misure a sostegno dellimpresa sociale (Atto C. 3867 del 17 novembre 2010)
che, tra le altre cose, prevedeva lestensione dellambito di applicazione del D.Lgs. n. 155/2006. Ancora pi clamore ha riscosso lemendamento presentato al Senato il 12/12/2012 (Atto S. 3.2000), che prevedeva lattenuazione del vincolo di non
redistribuzione degli utili di cui allart. 3 del D.Lgs. n.
155/2006. Cfr.: http://www.irisnetwork.it/2012/12/emendamento-impresa-sociale-dibattito/?goback=%2Egna_
4706186%2Egde_4706186_member_198310709.
In ultimo va menzionato il D.L. n. 179/2012, convertito con
modificazioni con la legge n. 221/2012, che ha introdotto le
c.d. start-up innovative a vocazione sociale. Tali start-up operano in via esclusiva nei settori indicati dallart. 2, comma 1 del
D.Lgs. n. 155/2006 e per esse previsto un vincolo solo temporaneo di non redistribuzione degli utili.
3 Termine con cui, nel 1753, labate Antonio Genovesi, chiam
la prima cattedra di Economia al mondo istituita presso lUniversit di Napoli. Pi diffuso il termine di Economia sociale.
4 Istat 9 Censimento industria e servizi, istituzioni e non profit: un Paese in profonda trasformazione. Roma 11 luglio
2013. Consultabile su: http://www.istat.it/it/.
5 Ad esempio nellambito della cultura, si veda lo studio condotto da Banca dItalia, E. Beretta e A. Migliardi, Le attivit culturali e lo sviluppo economico: un esame a livello territoriale,
in Questioni di Economia e Finanza, n. 126/2013, Roma.
6 Sul punto, cfr. anche G. Fiorentini e M. Campedelli (a cura di),
Limpresa sociale, idee e percorsi per uscire dalla crisi, Reggio Emilia,
2010, pag. 77; G. DImperio, Il lavoro nellimpresa sociale: opportunit per superare la crisi, in Enti non profit, n. 3/2013 pag. 37.

Enti non profit


Tavola n. 1 Economia civile: dati Istat
301.191 istituzioni non profit (+28% rispetto al
2001)
4,7 milioni di volontari (+43,5% rispetto al 2001)
681.000 lavoratori dipendenti (+ 39,4% rispetto al
2001)
271.000 lavoratori esterni (+169,4% rispetto al
2001)
il 6,4% delle unit economiche attive dellintero sistema produttivo italiano
+ 47,2% nel campo della Sanit e assistenza sociale rispetto al -8,6% del Pubblico*
+76,3% nel campo dellIstruzione rispetto al 10,3% del Pubblico**
* In valori assoluti, nel settore della Sanit e Assistenza sociale, il Terzo
settore detiene una quota di presenza del 13,1%, mentre il Pubblico
dell81,5% e il For profit del 5,4%. Dati relativi al periodo 2001/2011.
** In valori assoluti, nel settore dellIstruzione, il Terzo settore detiene
una quota di presenza del 24%, mentre il Pubblico del 43,5% e il For
profit del 32,5%. Dati relativi al periodo 2001/2011.

La stessa UE, daltronde, attraverso il Single


Market Act7, individua nellimprenditorialit sociale una delle dodici leve per uscire dalla crisi
e per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, cos come auspicato da Europa 2020.
In tale prospettiva, la Commissione ha presentato nel 2011 la Social Business Initiative, con
lobiettivo di supportare linnovazione sociale e
creare un clima favorevole per fare emergere
tutto il potenziale di questo importante settore
che conta:
14,5 milioni di addetti, ovvero il 7,4% della
popolazione attiva in UE-158;
10% del PIL europeo9.
Oggi questEconomia civile risulta fortemente
imbrigliata allinterno di un tessuto normativo
intricato e incapace di veicolare efficacemente
quella massa di capitali di cui avrebbe bisogno
per svilupparsi, fatta eccezione per la normativa
sulle cooperative che tuttavia rappresentano
soltanto una species del genere pi ampio dellimpresa sociale10. Basti pensare alle difficolt
di veicolare allinterno del nostro ordinamento
gli investimenti degli European social entrepreneurship funds (EuSEF) recentemente disciplinati dal Parlamento europeo con il Reg. EU n.
346/201311.

Impresa sociale

Obiettivi, punti di forza e di debolezza


del D.Lgs. 155/2006

La normativa sullimpresa sociale in Italia, se da


una parte ha saputo innovare, abbattendo il
muro di separazione che divideva i soggetti del
Libro I titolo II del Codice civile da quelli del
Libro V, dallaltra stata un fallimento perch
lesperienza empirica ne ha certificato linefficacia12.
Il problema non legato esclusivamente allormai tanto vituperato vincolo di non redistribuzione degli utili, quanto piuttosto allesigenza
di un ripensamento organico che eviti la sedimentazione di interventi normativi di mero ritocco. O meglio questi ultimi, se ci saranno
(impresa sociale 2.0), avranno senso solo nella
misura in cui consentiranno il raggiungimento
immediato di un risultato funzionale alla realizzazione di una riforma pi ampia e soprattutto
pi organica nel medio periodo.
Impresa sociale 3.0: prospettive
per una riforma organica

Ragionando in tale ottica di Policy, la riforma


Note:
7 Si veda: http://ec.europa.eu/internal_market/social_business/index_en. htm.
8 Si veda la Social economy and social entrepreneurship - Social
Europe guide/Volume 4 edita dalla Commissione europea il
29/04/2013: http://ec.europa.eu/social/main. jsp?catId=738
&langId=en&pubId=7523. Si noti come il dato occupazionale
sia molto al di sopra della media italiana. LIstat parla del 3,4%
della popolazione attiva.
9 Dati ufficiali della Commissione europea. Si veda:
http://ec.europa.eu/internal_market/social_business/docs/
201205-sbi-leaflet_en. pdf. Se si confronta tale dato con la stima di Unicredit Foundation relativa allincidenza del Terzo
Settore sul Pil italiano (4,3%) si comprendono gli ampi margini di crescita ancora possibili. Vedi Ricerca sul valore economico del Terzo Settore in Italia, Unicredit Foundation, 2012.
10 In tal senso il mutualismo una forza distintiva del sistema
cooperativo ma anche il suo limite ontologico che ne impedisce lestensione a quelle iniziative imprenditoriali che ne sono
prive.
11 Si veda: http://eur-lex.europa.eu/LexUr iServ/Lex
UriServ.do?uri=OJ:L:2013:115:0018:0038:IT:PDF.
12 Secondo i dati delle Camere di commercio, se ne stimano solo
365, con una flessione, rispetto al 2009, del 39%. Vedi la Ricerca sul valore economico del Terzo Settore in Italia, Unicredit Foundation, 2012, p. 13.

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Impresa sociale

Enti non profit

auspicabile dovrebbe perlomeno riguardare i


seguenti punti:
a) redistribuzione cappata degli utili;
b) atipicit normativa degli ambiti dintervento
dellimpresa sociale;
c) fiscalit di vantaggio e compensativa.
Redistribuzione cappati degli utili

Poich la possibilit di remunerare il capitale


investito non deve snaturare lobiettivo principale di massimizzazione dellimpatto sociale
dellimpresa sociale, occorre prevedere un cap.
Ma come?
Si possono sostanzialmente prevedere meccanismi di cap calcolati in base agli utili prodotti, al
capitale investito o in forma ibrida. pertanto
possibile proporre vari scenari13.
1) Sulla scorta del modello delle imprese sociali
che operano con il servizio sanitario in UK,
si potrebbe prevedere un cap tra il 25% ed il
40% sugli utili di gestione (aggregate dividend
cap), destinando gli altri alla capitalizzazione
dellimpresa.
2) In base al modello delle cooperative italiane
o dellEI belga (Entreprise dInsertion)14, possibile redistribuire gli utili per un ammontare
pari ad una determinata percentuale del capitale investito (share dividend cap). Sul punto,
una proposta interessante sul piano sistemico,
quella che si aggancia al cap previsto dal
codice civile per le cooperative a mutualit
prevalente15. Al riguardo, tuttavia, vanno rilevati significativi margini dincertezza interpretativa dovuti: i) al non perfetto coordinamento tra la disciplina del socio cooperatore16, sovventore17 e finanziatore18; ii) alla genericit del riferimento al tasso dei buoni
fruttiferi postali19; al carattere fortemente
speculativo dellinvestimento20.
3) Esistono poi modelli ibridi che prevedono
criteri intermedi tra i due meccanismi. Ne
un esempio la CIC (Community Interest Company) del Regno Unito che, in base al Community Interest Company Regulation del 2005,

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non pu distribuire dividendi in misura


maggiore al 35% del totale degli utili realizzati e lutile distribuito per ogni azione non
pu superare il tasso di prestito (lending rate)
stabilito annualmente dalla Banca dInghilterra pi uno spread del 5%21.
Atipicit normativa
degli ambiti di intervento

Il problema della definizione normativa dimNote:


13 fondamentale attrarre investimenti in Equity per consentire
alle imprese sociali unadeguata capitalizzazione. Per far questo
occorre superare il limite normativo di cui allart. 3 del D.Lgs.
n. 155/2006 e consentire adeguate strategie di exit analogamente a quanto previsto in altri ordinamenti. Sulle varie scuole
di pensiero in materia, v. http://www.vita.it/economia/impresa-sociale/le-6-scuole-di-pensiero-sull-impresa-sociale.html.
14 Emes Profils Nationaux des Enterprises Socials dInsertion: Belgique, Olivier Gregoire. Wp: 03/03
15 Cos come proposto in tempi non sospetti gi da R. Randazzo, Limpresa Sociale, unopportunit per il Terzo Settore, in
Enti non profit n. 11/2009, pag. 25.
16 I soci cooperatori, ai sensi dellart. 2514 c.c., possono ridistribuire dividendi in misura non superiore allinteresse massimo
dei buoni fruttiferi postali (BFP) + uno spread di 2,5 punti %
rispetto al capitale investito.
17 Per i soci sovventori, ai sensi dellart. 4, comma 6 della legge n.
59/1992, previsto uno spread del 2% in pi rispetto al cap
che vale per i soci cooperatori, ai sensi dellart. 2514 c.c. Analogamente per gli azionisti di partecipazione cooperativa.
18 Vedi art. 2526 c.c. cos come modificato per effetto dellart. 1,
D.Lgs. n. 6/2003. Possono aver diritto ad una remunerazione
non cappata dei dividendi (salvo il caso del socio finanziatore,
che sia anche cooperatore della coop a mutualit prevalente, al
quale continua ad applicarsi lart. 2514 c.c.). Per il socio finanziatore, dunque, sembrerebbe non sia previsto alcun vincolo di
redistribuzione degli utili. Si veda sul punto Consiglio del
Notariato, I profili patrimoniali e finanziari nella riforma delle societ cooperative, Studio n. 5307/I, pag. 17.
19 Va in effetti rilevato come tale norma non brilli per chiarezza
interpretativa, vista lesistenza di buoni postali fruttiferi con
rendimenti fissi e/o variabili, capitalizzati o meno, con rendimenti nominali o reali (in quanto indicizzati con il tasso variabile dellinflazione), ecc. Andrebbe poi chiarito il momento in
cui il tasso cos determinato rileva: quello vigente al momento
dellemissione, della sottoscrizione o della remunerazione delle
azioni rappresentative dellEquity?
20 Se prendiamo come riferimento il tasso al 20 anno di un
buono ordinario (alla data odierna siamo al 5,25%), con i limiti
previsti per i soci cooperatori possiamo arrivare ad un cap che
si aggira intorno al 7,5% del capitale investito che un rendimento di tutto rispetto e forse non propriamente sociale. Per i
soci sovventori, si arriva al 9,5%. Per lassoluta assenza di cap
nei confronti dei soci finanziatori si veda la nota 19.
21 Si veda: http://www.legislation. gov.uk/uksi/2005/1788/regulation/22/made.

Enti non profit


presa sociale stato uno dei nodi pi importanti che la stessa Commissione europea si
trovata a dover sciogliere, data anche leterogeneit di soluzioni normative allinterno dei diversi ordinamenti statuali. Lapproccio, tuttavia,
stato quello pragmatico di individuare delle
linee guida, lasciando alla discrezionalit dei
singoli Stati membri il problema dellinquadramento giuridico delle imprese sociali. Il
D.Lgs. n. 155/2006, sempre in ragione di quei
timori che ne hanno frenato le spinte pi innovative, opt per una perimetrazione del fenomeno, attraverso lindividuazione tassativa
dellutilit prodotta dallimpresa sociale, nonostante lassoluta mancanza di agevolazioni che
giustificassero un cos ristretto confinamento.
In base a tale norma sono imprese sociali
quelle che scambiano o producono beni o servizi di utilit sociale in quanto rientranti nei
settori tassativamente individuati dallart. 2,
comma 2 del D.Lgs. n. 155/2006 o quelle che
impiegano lavoratori svantaggiati secondo la
definizione di cui al comma 2 del medesimo
articolo.
Tale approccio formale presenta due svantaggi
perch rischia di:
i) di escludere imprese che pur essendo sociali
non rientrano nella fattispecie astratta descritta dalla norma;
ii)includere unimpresa operante in quei settori
ma che presenta elementi sostanzialmente
non compatibili con il suo status.
Il presunto vantaggio, invece, sarebbe quello di
evitare di svuotare di senso lelemento distintivo della socialit, finendo per riconoscerlo indiscriminatamente in ogni manifestazione
dellattivit imprenditoriale.
In UK stato realizzato un approccio diverso,
improntato ad un pi pragmatico accertamento
caso per caso. Nel sistema delle Community
Interest Companies, laccreditamento del carattere sociale dellimpresa effettuato da un Regulator caso per caso, appunto. Tale sistema consente un adeguamento dinamico dello stru-

Impresa sociale

mento giuridico alla mutevolezza dei bisogni


sociali emergenti.Vi da chiedersi se non possa
esser rilanciato un sistema analogo anche in
Italia, garantito da unautorit pubblica indipendente o nellambito delle competenze di
un Ministero (MEF o MISE).
Fiscalit di vantaggio e compensativa

chiaro tuttavia che laspetto fiscale e rimane un elemento fondamentale di qualsiasi riforma. Ma deve confrontarsi con le esigenze
macroeconomiche del Paese.
Tanto che il problema principale non individuare il singolo regime fiscale agevolativo da
estendere allimpresa sociale, quanto capire come questo sia sostenibile in termini di finanza
pubblica.
Ebbene pu risultare di particolare interesse
confrontare limpatto economico dellintero sistema di fiscalit agevolata a favore del Terzo
Settore (tax expenditures), in base ai dati raccolti
dal gruppo di lavoro guidato da Vieri Ceriani22.
La normativa fiscale riguardante tale ambito,
attraverso la rielaborazione di quei dati (cfr. Tavola n. 2), si dipana attraverso unampia pletora
di disposizioni normative (circa 100) che per
ragioni di semplicit sistematica possiamo raggruppare in tre macro aree:
deduzioni e detrazioni relative ad erogazioni
liberali al Terzo Settore: 19 disposizioni normative per un valore assoluto di 129,55 milioni di euro23;
regimi fiscali di favore riguardanti gli enti
non commerciali: 70 disposizioni normative
per un valore assoluto di 627 milioni di
euro24;
regimi fiscali di favore riguardanti le societ
Note:
22 Vedi: http://www.mef.gov.it/primo-piano/documenti/
20111229/Relazione_finale_del_gruppo_di_lavoro_sullxerosione_fiscale.pdf
23 Allegato 1 Relazione Vieri Ceriani Schede numeri: da 110 a
128.
24 Allegato 1 Relazione Vieri Ceriani Schede numeri: da 177 a
223.

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Impresa sociale

Enti non profit

cooperative: 14 disposizioni normative per


un valore di circa 480 milioni di euro25.
Tavola n. 2 - Tax expenditures
N. norme

Valore TaxExp/PIL*
assoluto
(milioni)

Erogazioni
liberali

19

130

0.008%

Enti non
commerciali

70

627

0.042%

Cooperative

14

480

0.032%

Totali

103

1.237

0.082%

* Valori percentuali arrotondati per eccesso

Questi dati sono a dir poco significativi se confrontati con quelli recentemente certificati
dallIstat e relativi allimpatto non solo sociale,
ma anche economico del Terzo Settore. Se paragoniamo quel valore con la stima dellEconomia sociale in ter mini di PIL italiano
(4,3%)26, possiamo arrivare a dire che la cosiddetta fiscalit di vantaggio a favore del c.d. Terzo Settore ha un peso enormemente inferiore
(circa 1 miliardo di euro nel 2011) rispetto ai
benefici anche solo economici da esso prodotti
(4,3% del PIL, ovvero circa 65 miliardi), con un
rapporto di circa 1 su 6527, al netto dei benefici
sociali e degli ulteriori risparmi per la spesa
pubblica.
Ci detto possibile compiere un ulteriore
passaggio, pensando ad un sistema di fiscalit
completamente nuovo che chiameremo fiscalit compensativa.
Capovolgendo la logica e partendo dalla considerazione che non tanto il Terzo Settore a
necessitare di agevolazioni dallo Stato quanto
piuttosto questultimo ad esser agevolato dal
primo, si potrebbe pensare per le nuove imprese sociali ad un sistema compensativo parametrato al loro impatto sociale.
Si consideri un esempio, riportato nella Tavola n. 3, basato sul meccanismo dei social
bonds.

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Tavola n. 3 - Fiscalit compensativa:


un esempio
UnImpresa Sociale si avvale del lavoro di ex-detenuti, reinserendoli socialmente ed assicurando un
impatto sociale che ha rilevanza anche sul piano
della finanza pubblica.
Labbattimento del tasso di recidiva, infatti, si traduce in un oggettivo e quantificabile risparmio per
lAmministrazione penitenziaria pari a 100.
Ad esso, in realt, si connettono anche una serie di
ulteriori vantaggi per la collettivit e per le persone
coinvolte nel progetto. Quellimpresa produce beni
che le rendono un reddito pari a 100 (al netto degli
altri costi e in particolare degli stipendi che ammontano a 200). Su quel reddito limpresa sociale
dovrebbe pagare imposte per 30, ma grazie al
buon livello di rating sociale certificato riesce ad
usufruire di un credito dimposta pari a 20.
Risultato microeconomico: lo Stato incassa 10 e risparmia 80 (100-20); limpresa guadagna 90 (10010); i diversi lavoratori guadagnano complessivamente 200 che vengono utilizzati per comprare beni di consumo e su cui pagheranno le imposte da
lavoro dipendente.
Risultato macroeconomico: una collettivit pi sicura; un aumento del tasso di occupazione; un aumento del PIL; un aumento delle entrate erariali (dirette
ed indirette); un risparmio della spesa pubblica.

Per fiscalit compensativa sintende un sistema


che riconosca allimpresa sociale non unagevolazione, ma la giusta compensazione tra quanto
dovuto dallimpresa a titolo dimposta e quanto
risparmiato grazie al suo impatto sociale.
Un sistema che consenta di collegare un determinato beneficio fiscale in funzione del rating
sociale periodicamente certificato e soggetto ad
ispezioni.
Note:
25 Vedi i dati estrapolati dallAllegato 1 della Relazione del gruppo di lavoro sullerosione fiscale guidato da Vieri Ceriani Schede numer i: 33,100,209,210,211,227,229,230,231,
232,236,237,245,249,250,258,388,392,398,434,447,473,495,
496,500,563,577,582,586,632,633,634,646,648,
649,650,694,702. Va tenuto conto che per alcune voci minori
manca una determinazione precisa degli effetti finanziari,
mentre altre impattano finanziariamente anche su soggetti diversi dalle non profit o dalle cooperative.
26 Vedi nota n. 9.
27 Rapporto derivante dal confronto tra il costo delle tax expenditures relative al Terzo settore con la percentuale di PIL ad esso imputabile secondo Unicredit Foundation. Senza tener
conto degli ampi margini di crescita che possibile desumere
dal rapporto tra lincidenza sul PIL italiano (4,3%) ed europeo
(10%): vedi nota 9.

Enti non profit


Ovviamente tale sistema si fonda:
sulla valutazione dellimpatto sociale, ovvero
sulla possibilit di attribuire un rating sociale
allimpresa sociale;
sulle garanzie di correttezza, efficacia, indipendenza e periodicit di questa valutazione.
La prima condizione garantita dalladozione
di metriche di misurazione dellimpatto sociale
su cui si sta interrogando la stessa Commissione
europea28 che considera questo punto come
strategico per lo sviluppo del Social Business in
Europa.
La seconda condizione pu esser assicurata da
un meccanismo che preveda:
lattribuzione della qualifica di impresa sociale e del primo rating sociale ad opera del Regulator,del Ministero competente;
una certificazione obbligatoria e periodica29
da parte di agenzie di revisione accreditate
dal Regulator o dal Ministero, analogamente
a quanto accade nel sistema di vigilanza delle
Cooperative attraverso la revisione cooperativa30 e le ispezioni straordinarie.

Impresa sociale

porto Debito/Pil (D/Y), incrementando


lavanzo primario (Gt-Tt/Yt), ovvero razionalizzando limposizione fiscale (T)31 e la
spesa pubblica (G) necessaria a supportare i
bisogni sociali al cui soddisfacimento esse
concorrono;
di aumentare il peso del denominatore del
rapporto D/Y, sia attraverso lincremento dei
livelli occupazionali32 che equivalgono ad un
aumento dei consumi e quindi dellofferta
produttiva; sia in termini di beni e servizi sociali effettivamente prodotti;
laumento del PIL (Y), a sua volta, genera
nuove entrate (T) per lo Stato e cos via in
un circolo virtuoso e win-win.
Tutto ci a dimostrazione del fatto che limpresa sociale 3.0, cos delineata, potrebbe davvero costituire lanello di congiunzione tra crescita, risparmio ed equit.

Riprendendo lesempio della Tavola n. 3, si potrebbe differenziare il beneficio fiscale (ad esempio sotto forma di credito dimposta) in base ad un rating
che vada da AAA a C, prevedendo un sistema di
aliquote diverse. Nel caso di prima, supponiamo
che limpresa abbia ottenuto una tripla A alla quale
collegato un credito dimposta pari al 20% del
reddito. Supponiamo che lanno successivo perda
la tripla A e sia valutata BB: anzich aver diritto al
20% il suo beneficio fiscale scenderebbe al 10%
costringendola a pagare tasse per 20, anzich per
10. Ovviamente vale lesempio inverso.

Ragionando in termini macroeconomici e partendo dalla nota equazione che esprime il vincolo di bilancio:
Bt/Yt-Bt-1/Yt-1 =(r-g)(Bt-1/Yt-1)+(Gt-Tt/Yt)
ne deriva che se ancorassimo il riconoscimento
del beneficio fiscale alleffettivo raggiungimento di un impatto sociale misurabile potremmo
innestare un meccanismo virtuoso capace:
di diminuire il peso del numeratore del rap-

Note:
28 Si veda: http://ec.europa.eu/internal_market/social_business/expert-group/social_impact/index_en. htm
29 Obbligatoria per quelle imprese che vogliano usufruire della
qualifica sociale e dei benefici fiscali.
30 Art. 2 D.Lgs. n. 220/2002.
31 Ovvero parametrando il beneficio fiscale al rating sociale dellimpresa sociale ex lege, anzich riconoscerlo in modo generalizzato a tutte le imprese sociali, a prescindere dallimpatto effettivamente assicurato.
32 Si consideri il significativo incremento del +39% del livello
occupazionale nel Terzo Settore registrato dallIstat nellultima
indagine svolta sul periodo tra il 2001 e il 2011 (indagine del
luglio 2013). In valori assoluti, secondo i dati Istat, loccupazione nel Terzo Settore incide per il 3,4% della popolazione
lavorativa attiva, con ampi margini di crescita rispetto al livello
della media europea che si attesta intorno al 6%.

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Impresa sociale
Tavola n. 4 Schema di sintesi

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Enti non profit

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