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Ossigenoterapia

Cenni di fisiologia
Il meccanismo della respirazione è regolato da 3 componenti fondamentali: i sensori, il
controllore centrale e gli effettori.
I sensori sono costituiti dai chemiorecettori centrali, situati nel midollo allungato, e dai
chemiorecettori periferici situati nei corpi (glomi) carotidei e in quelli aortici. I chemiorecettori
centrali rispondono alle modificazioni della concentrazione di ioni idrogeno (H+) del liquido
cerebrale extracellulare, quelli periferici sono invece sensibili a variazioni della pressione parziale
di ossigeno (PaO2) e di anidride carbonica (PaCO2) e del pH nel sangue arterioso.
Il controllore centrale corrisponde a 2 distinti gruppi di neuroni, responsabili rispettivamente
del controllo volontario e del controllo automatico. Il primo risiede a livello della corteccia
cerebrale, mentre il secondo nel ponte e nel bulbo. L’area bulbare deputata alla regolazione della
respirazione automatica è definita centro respiratorio. La scarica ritmica dei neuroni presenti nel
centro respiratorio è alla base dell’automaticità della respirazione. I centri respiratori pontini
(centro pneumotassico e centro apneustico) interferiscono con l’attività del centro respiratorio
bulbare regolando il ritmo della respirazione. L’attività del centro respiratorio bulbare è regolata
anche dalle informazioni provenienti dai chemiocettori. L’attività del centro respiratorio aumenta
se nel sangue arterioso aumenta la pressione parziale dell’anidride carbonica (PaCO2) o la
concentrazione di ioni H+ oppure se si riduce la pressione parziale dell’ossigeno (PaO2). Al controllo
chimico si sovrappongono altri meccanismi di controllo per gli aggiustamenti fini della
respirazione in situazioni particolari.
Gli effettori corrispondono ai muscoli della respirazione: diaframma, muscoli intercostali,
muscoli addominali e muscoli accessori (di cui i principali sono gli sternocleidomastoidei).
L’attività dei muscoli respiratori determina la ventilazione.
Con la volontà è possibile inibire la respirazione ma solo per un periodo di tempo limitato,
superato il quale il controllo volontario viene sopraffatto dal controllo automatico e il respiro
riprende. Il momento in cui l’inibizione volontaria del respiro cessa di agire è determinato
dall’aumento della PaCO2 e dalla riduzione della PaO2 ed è chiamato punto di rottura.
Con la respirazione l’ossigeno inalato entra nei polmoni e raggiunge gli alveoli dove avviene lo
scambio gassoso tra ossigeno (O2) e anidride carbonica (CO2). L’ossigeno passa dagli alveoli al
sangue capillare, l’anidride carbonica passa dal sangue capillare agli alveoli e viene quindi
espirata. Durante l’espirazione la percentuale di O2 nell’aria alveolare diminuisce e quella di CO2
aumenta sino all’inspirazione successiva. Nella tabella 1 sono indicati i valori di riferimento in
condizioni fisiologiche di PaO2 e PaCO2 nell’aria inspirata e nei principali distretti.
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Tabella 1. Pressione parziale dei gas respiratori1


PaO2 PaCO2
mmHg mmHg
aria inalata 156 0
alveoli 100 40
sangue arterioso 97 40
sangue venoso 50 46

Durante la respirazione un adulto sano ha una frequenza respiratoria di 14-20 atti al minuto
mentre i bambini hanno una frequenza maggiore (20-30 atti al minuto). Nell’adulto la pressione
parziale di ossigeno nel sangue arterioso è di norma superiore agli 80 mmHg, ma tale valore varia
in funzione dell’età (vedi tabella 2). Il sangue arterioso a livello dei capillari cede ossigeno ai
tessuti e si arricchisce di anidride carbonica. Ne consegue la riduzione della pressione parziale
dell’ossigeno (PaO2) da circa 97 mmHg a livello arterioso a 50 mmHg a livello venoso.

Tabella 2. Valori di PaO2 rispetto all’età1


Età PaO2
neonato • 40-70 mmHg
bambino/adulto • 97 mmHg normale
• >80 mmHg range accettabile
• <80 mmHg ipossiemia
adulto <60 anni • >80 mmHg range accettabile
adulto <70 anni • >70 mmHg range accettabile
adulto 80 anni • >65 mmHg range accettabile
adulto 90 anni • >60 mmHg range accettabile

Per valutare l’ossigenazione di un soggetto si possono utilizzare metodi non invasivi


(pulsiossimetria) oppure metodi invasivi (emogasanalisi e saturimetria venosa) ma solo
l’emogasanalisi viene accettata per porre l’indicazione all’ossigenoterapia.

Glossario
Emogasanalisi: prelievo di un campione di sangue arterioso (emogasanalisi arteriosa o EGA) o venosa tramite puntura
percutanea di un’arteria o di una vena, per determinare le pressioni parziali dei gas nel sangue.
Pressione parziale di ossigeno (PaO2): è un indice della concentrazione di O2.
pH: è il logaritmo inverso della concentrazione degli ioni idrogeno. Man mano che l’acidità aumenta, il pH diminuisce.
Valori del pH compatibili con la vita sono approssimativamente compresi tra 6,8 e 7,8.
Pressione parziale di anidride (PaCO2): è un indice del carico acido. La Co2 viene trasportata nel sangue, nel plasma e
nei liquidi extracellulari in 3 forme: disciolta, come bicarbonato e combinata con proteine.
Saturazione arteriosa: la saturazione di ossigeno arterioso (SatO2) viene definita come rapporto tra emoglobina
ossigenata (HbO2) ed emoglobina totale.
Bicarbonati: indicano il carico basico
Eccesso di Basi (BE): è un valore utilizzato per quantificare la presenza di basi nel sangue (per lo più HCO3-). Si
misura in mmoli/l. Quando diventa negativo, significa che c'è carenza di basi e il soggetta ha un’acidosi metabolica.

Ipossia
L’ipossia può essere provocata da diverse cause:2
• bassa pressione parziale di ossigeno nell’aria inspirata (per esempio se il soggetto è in alta
montagna);
• ipoventilazione alveolare (per esempio se il soggetto soffre di apnee notturne);
• squilibrio tra ventilazione e perfusione (per esempio se il soggetto soffre di asma acuto o di
atelectasie);
• shunt cuore destro-cuore sinistro per difetto congenito;
• perfusione tessutale inadeguata;
• basse concentrazioni di emoglobina nel sangue circolante;
• curva di dissociazione dell’ossigeno patologica (emoglobine anomale, carbossiemoglobina
elevata);
• danno istotossico degli enzimi intracelulari (setticemia, avvelenamento da cianuro).

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Tabella 3. Caratteristiche del soggetto in ipossia1


Ipossia Saturazione Sintomi
dell’ossigeno
lieve 91-94% Tachipnea, cianosi
periferica, tachicardia
moderata 86-90% Alterazione stato di
coscienza, apatia,
rallentamento
psicomotorio, cianosi,
tachicardia.
grave <86% Gravi alterazioni stato di
coscienza, cianosi
diffusa, coma.
Per valori di PaO2 superiori all’80% la misurazione incorre in un
margine di errore pari al 2%. Ciò significa che una saturazione
inferiore al 94% va considerata affidabile, mentre saturazioni
inferiori al 90% indicano ipossia grave che va immediatamente
corretta. Una dislocazione della sonda comporta una desaturazione
apparente pari al 20%.

Misurazione dell’ossigeno nel sangue


Metodi non invasivi
Pulsiossimetria
Il pulsiossimetro è un monitor per la misurazione continua non invasiva della saturazione di
ossigeno arterioso e della frequenza cardiaca. La saturazione arteriosa viene determinata
misurando e confrontando la quantità di luce trasmessa attraverso uno spettrofometro tra sistole
e diastole di ciascuna pulsazione.2,3
Il pulsiossimetro può essere applicato in qualunque sede di spessore tale da non attenuare
eccessivamente il segnale luminoso.3 Le sedi preferite sono le dita, l’alluce, l’orecchio, le labbra e il
naso. Le sonde più usate per la lettura della saturazione dell’ossigeno arterioso sono le sonde a
clip, le sonde a dito, le sonde a orecchio, le sonde flessibili e le sonde soft. E’ fondamentale
scegliere una sede che possa essere completamente coperta dalla clip, perché la luce ambientale
non alteri la lettura. Tra i fattori che possono interferire con la lettura del pulsiossimetro si
ricordano:
• il movimento, che può simulare una desaturazione dovuta esclusivamente ai
movimenti del sensore. In questo caso è importante ripetere la misurazione e fare un
confronto con la frequenza cardiaca rilevata dal monitor;3,4
• le unghie smaltate (sia smalto colorato che trasparente), possono causare artefatti;
perciò si raccomanda la rimozione dello smalto anche quando il segnale appare
normale;
• un cattivo posizionamento del sensore, che può provocare stasi venosa e condizionare,
per la presenza di pulsazioni venose più intense, la lettura di un basso indice di
saturazione.
Nei soggetti con intossicazione da monossido di carbonio o ittero è necessario fare l’emogasanalisi
perché la pulsiossimetria non differenzia la carbossiemoglobina dall’ossiemoglobina e la frazione di
emoglobina satura viene sovrastimata.
Durante le manovre di rianimazione cardiopolmonare la pulsiossimetria è inaffidabile perché le
compressioni toraciche producono una sovrapposizione del polso arterioso e venoso.
Un controllo pulsiossimetrico prolungato può richiedere il cambiamento periodico della
posizione della sonda (in genere ogni 4 ore o in presenza di irritazioni cutanee o di indebolimento
della circolazione).5

Metodi invasivi
Emogasanalisi
L’emogasanalisi consiste nel prelievo di un campione di sangue tramite puntura percutanea di
un’arteria. Con l’emogasanalisi si registrano vari parametri tra cui la pressione parziale di

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ossigeno e anidride carbonica, la saturazione di ossigeno (vedi glossario) e l’equilibrio acido-base


(vedi tabella 4).

Tabella 4. Valori di riferimento dell’emogasanalisi (sangue arterioso)1


Adulto
pH 7,35-7,45
PaO2 80-90 mmHg
PaCO2 35-45 mmHg
-
HCO3 22-26 mEq/l
BE (eccesso 0±2
di basi)

Saturimetria venosa
La saturimetria venosa è il valore medio della saturazione venosa in ossigeno del sangue
proveniente da tutti i tessuti. I tessuti ad alto flusso ma a bassa estrazione di ossigeno (rene)
hanno una maggiore rilevanza sulle variazioni della saturimetria di quelli con basso flusso ma con
un’estrazione molto più alta (miocardio).3
Nei pazienti instabili la saturimetria venosa segnala precocemente lo squilibrio del trasporto di
ossigeno e nei pazienti in instabilità emodinamica o respiratoria è un indicatore dell’efficacia della
terapia. Valori normali della saturimetria (68%-77%) suggeriscono un equilibrio tra ossigeno
disponibile e quello consumato dai tessuti. Una brusca riduzione della saturimetria (<65%) può
indicare una riduzione dell’anidride carbonica, della saturazione dell’ossigeno, dell’emoglobina o
di un aumento del consumo di ossigeno. Nei pazienti critici può esservi una concomitanza di
questi fattori.
La misurazione viene eseguita con un catetere a fibre ottiche in arteria polmonare e fornisce
informazioni sulla quantità di ossiemoglobina ed emoglobina totale.
Le cause di un’alterata saturimetria venosa possono essere:
• lo scorretto posizionamento del catetere;
• la migrazione della punta del catetere in un segmento distale dell’arteria polmonare;
• formazione di fibrina lungo il lume del catetere.
Se si verificano alterazioni della saturimetria venosa, si deve lavare energicamente il catetere e
calibrare il monitor. La calibrazione è importante nell’interpretazione della traccia e va verificata
ogni volta che il monitor è staccato dal catetere, quando c’è il sospetto di una misurazione errata e
comunque ogni 24 ore per assicurare la stabilità del sistema.3

Saturazione giugulare
La saturazione venosa nel sangue refluo dalla vena giugulare interna misura l’ossigenazione
cerebrale globale e il rapporto tra substrati energetici disponibili e fabbisogno metabolico
cerebrale. E’ indicata nei pazienti che hanno avuto un trauma cerebrale, un evento ischemico o
emorragico. La procedura è semplice, poco invasiva e utile per controllare gli effetti della terapia
sul riequilibrio del bilancio tra domanda e offerta di ossigeno al cervello.
Viene effettuata inserendo in giugulare (destra o sinistra a seconda delle indicazioni) una sonda
per 10-14 cm. Il corretto posizionamento è confermato da una radiografia (2 proiezioni con mezzo
di contrasto). Ogni disturbo che aumenti il metabolismo cerebrale e/o diminuisca l’apporto di
ossigeno determina una riduzione della saturazione giugulare. La saturazione venosa giugulare
media dell’ossigeno nei soggetti normali è del 62%, con un range che va dal 55 al 71%. Le cause
più frequenti di riduzione della saturimetria sono l’ipertensione endocranica, l’ipotensione
arteriosa e l’ipocapnia. Inoltre la saturimetria può essere alterata dall’aumento del metabolismo
cerebrale per febbre, crisi epilettiche, sedazione non adeguata con disadattamento al supporto
ventilatorio e alle manovre assistenziali. L’aumento della saturimetria può essere determinato da
diversi fattori: iperemia cerebrale, alterata capacità di estrazione di ossigeno da parte del
parenchima danneggiato e dalla presenza di aree perfuse ma infartuate, rapida aspirazione del
campione di sangue.3
E’ possibile utilizzare il catetere giugulare per il prelievo di campioni ematici, ricordando però
che un’aspirazione troppo rapida può innalzare la saturimetria giugulare (misurazione non
affidabile).

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Ossigenoterapia

Ossigenoterapia
Lo scopo dell’ossigenoterapia è di mantenere i livelli di ossigeno nel sangue arterioso entro
valori fisiologici per ridurre al minimo i danni causati dall’ipossia tessutale costantemente
presente in pazienti con scambi gassosi compromessi. Si basa sull’aumento del gradiente di
pressione dell’ossigeno attraverso la membrana alveolo-capillare. Quando l’emoglobina è stata
completamente saturata, un aumento ulteriore della frazione di ossigeno nell’aria inspirata (FiO2)
incrementa la quantità di ossigeno disciolto nel sangue.
In condizioni normali (respirazione normale in aria ambiente) la FiO2 è 0,21 e l’ossigeno
disciolto nel sangue è circa il 2%. Valori più elevati si possono ottenere con l’ossigenoterapia
iperbarica.2
L’ossigeno è equiparato a un farmaco e va utilizzato solo su prescrizione. La scelta della
concentrazione dipende dai valori dell’emogasanalisi e il sistema di erogazione in base al flusso da
somministrare.6
L’ossigenoterapia ad alto flusso consiste nella somministrazione di ossigeno a una
concentrazione superiore a 0,60 per periodi brevi.
L’ossigenoterapia a basso flusso viene utilizzata nei pazienti con insufficienza respiratoria da
broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) per migliorare sopravvivenza e qualità di vita.
Nella BPCO si ha indicazione all’inizio dell’ossigenoterapia a lungo termine quando la PaO2 è
inferiore a 55 mmHg o quando la PaO2 è compresa tra 55 e 60 mmHg in presenza di policitemia,
ipertensione polmonare, segni di ipossia tessutale, cardiopatia ischemica. L’ossigenoterapia a lungo
termine viene anche prescritta nelle seguenti condizioni: fibrotorace post-tubercolare, malattie
interstiziali del polmone, pneumoconiosi, cifoscoliosi, malattie neuromuscolari, bronchiectasie,
ipertensione polmonare grave, ipossiemia intermittente durante il sonno e durante lo sforzo.7
La somministrazione di ossigeno in acuto è indicata nelle patologie broncopolmonari da
qualsiasi causa, accidenti cerebrovascolari, sanguinamento massivo, shock, traumi e alcuni tipi di
avvelenamento, come quello da monossido di carbonio, possono essere trattati con
ossigenoterapia. La velocità di somministrazione dell’ossigeno è variabile rispetto a gravità e
patologia. Visto il particolare comportamento della curva di dissociazione dell’emoglobina,
l’obiettivo terapeutico è raggiungere una saturazione di ossigeno di almeno il 90%, in quanto al di
sotto di tale valore piccole variazioni della saturazione causano grandi riduzioni della pressione
parziale di ossigeno.
In caso di dispnea che non risponde ad altri trattamenti o in pazienti particolari come bronco
pneumopatia cronica ostruttiva, malattie interstiziali polmonari, scompenso cardiaco e soggetti in
cure palliative, l’ossigenoterapia può essere prescritta per uso intermittente. Mancano però prove
sull’efficacia della terapia intermittente, ma è considerata un placebo.6
Nei pazienti ospedalizzati durante la somministrazione di ossigeno occorre sempre valutare i
sintomi e tenere sotto controllo:8
• la saturazione periferica tramite pulsiossimetria (da mantenersi sopra il 90% tranne nei
pazienti con BPCO);
• la frequenza respiratoria e l’utilizzo della muscolatura accessoria (regolarità e profondità
dell’atto);
• la cianosi delle mucose, del letto ungueale;
• la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa;
• lo stato di coscienza (stato confusionale o soporoso possono indicare un’ipercapnia).

Sistemi di somministrazione dell’ossigeno


Nei pazienti non intubati l’ossigeno può essere somministrato con apparati a basso o ad alto
flusso, così classificati in base all’interferenza dell’aria ambiente nel sistema e alla presenza di
serbatoi inspiratori.
I sistemi a basso flusso forniscono al paziente un flusso inspiratorio inferiore alla sua richiesta,
per questo motivo il volume inspirato viene integrato dall’aria ambiente e non è possibile
somministrare l’ossigeno a percentuale controllata. La FiO2 varia molto in base alle modalità di
ventilazione del soggetto.5
I sistemi ad alto flusso invece sono in grado di soddisfare completamente le esigenze del
paziente ed erogano un flusso che può essere anche 4 volte superiore a quello richiesto.
Consentono di predefinire la percentuale di ossigeno inalato.

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Apparati a basso flusso


Cannule o occhiali nasali
La FiO2 massima erogabile è compresa fra 0,24 e 0,50 e il flusso massimo è di circa 6 litri al
minuto Se si utilizzano flussi superiori a 3 litri al minuto, è necessario utilizzare il gorgogliatore per
umidificazione per evitare l’essiccamento della mucosa nasale. Per semplicità di calcolo si può
considerare che ogni litro al minuto erogato aggiunge il 3-4% alla FiO2 (aria ambiente circa 21%). Un
flusso di 1 l al minuto eroga una FiO2 del 24%, mentre un flusso di 2 litri al minuto eroga una FiO2
del 28%. La FiO2 effettiva però dipende dalla compliance del paziente, oltre che dalla patologia di
base. Una frequenza respiratoria elevata diluisce l’ossigeno inspirato con l’aria ambiente.
Non è ancora dimostrato che la respirazione prevalentemente buccale riduca la quantità di
ossigeno inspirato. Tra orolaringe e rinofaringe si formano riserve di ossigeno che viene inalato
indipendentemente dalla via utilizzata.
Le cannule nasali sono ben tollerate dal paziente, perché gli permettono di parlare e mangiare.
E’ importante verificare il corretto posizionamento e lo stato delle mucose nasali per il rischio che
si formino lesioni da decubito. Le cannule nasali disperdono ossigeno durante l’espirazione,
soprattutto se è prolungata.9

Figura 1. Cannula nasale

Maschere facciali semplici


La FiO2 massima erogabile è compresa fra 0,40 e 0,60 e il flusso di ossigeno deve essere fra 6 e
12 litri al minuto. Il volume d’aria varia tra i 100 e i 300 ml. Le maschere sono dotate di aperture
laterali per disperdere l’anidride carbonica espirata e inspirare l’aria ambiente. La Fi02 inspirata
varia in base alla frequenza e al tipo di respirazione. Le maschere sono ingombranti e poco
confortevoli, perché impediscono di parlare, alimentarsi e di espettorare.7 A bassi flussi però, si
può inalare l’aria appena espirata, non sempre rimossa dall’interno della maschera. E’ sempre
necessario umidificare l’aria utilizzando un umidificatore.10

Apparati ad alto flusso


Maschera di Venturi
Sfrutta l’effetto Venturi cioè l’ossigeno sotto pressione passa attraverso un orifizio stretto
determinando una pressione subatmosferica che risucchia l’aria ambiente dentro il sistema. E’
stata progettata per situazioni in cui sono necessarie basse concentrazioni di ossigeno (24-40%).

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Figura 2. Maschera di Venturi

Il flusso è sufficientemente rapido da far uscire l’anidride carbonica che si accumula nella
mascherina. Variando la misura dell’orifizio e il flusso, la FiO2 può essere impostata a 0,24, 0,28,
0,31, 0,35, 0,40, 0,50 e 0,60 (il kit è fornito con ugelli di diversi colori ognuno dei quali
corrisponde a un certo flusso e a una certa FiO2), consentendo un controllo molto preciso
dell’ossigeno somministrato. Queste maschere assicurano il fabbisogno respiratorio,
indipendentemente dal tipo di respirazione. Nei pazienti con patologia polmonare cronica
ostruttiva questo tipo di maschera non solo migliora l’ipossia, ma riduce anche il rischio di
ritenzione di CO2.10

Tabella 5. Flusso di ossigeno e FiO2 con maschera di Venturi10


FiO2 O2 Colore raccordo
(l/min)
24% 2 azzurro
28% 4 giallo

31% 6 bianco

35% 8 verde

40% 8 rosso

50% 12 arancione

Maschere con reservoir a parziale rebreathing


Un reservoir di circa 600-1.000 ml di volume è collegato a una maschera facciale semplice.
Quando il reservoir si riempie di ossigeno, all’inspirazione gran parte del volume viene dal
reservoir, dove la concentrazione di ossigeno è maggiore. La FiO2 massima erogabile è compresa
fra 0,60 e 0,90 e il flusso di ossigeno deve essere compreso fra 6 e 15 litri al minuto. Circa un
terzo del volume espirato penetra nel reservoir mentre il restante esce dalle aperture laterali della
maschera.

Figura 3. Maschera con reservoir

Maschere con reservoir non rebreathing


Sono molto simili alle maschere con reservoir a parziale rebreathing ma sono dotate di valvole
unidirezionali sia sul serbatoio inspiratorio sia sulle aperture laterali. Possono raggiungere FiO2

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maggiori delle maschere precedenti e i flussi necessari sono uguali. Per esempio se il reservoir è
ben riempito e la maschera aderisce al viso si può assicurare un flusso minimo di 15 litri al
minuto fino a una FiO2 di 1,00.

Cateteri transtracheali
Il catetere transtracheale viene inserito attraverso la cricoide tra il secondo e il terzo anello
tracheale. Questi dispositivi permettono di somministrare l’ossigeno a 2 cm di distanza dalla
carena, la dispersione di O2 è minima e la trachea funge da serbatoio di ossigeno. Consentono un
risparmio di ossigeno di circa il 50% e l’ossigenazione non varia con la frequenza respiratoria, il
volume corrente o il flusso inspiratorio. Il paziente non deve indossare maschere o occhialini, ma
può avere complicanze quali enfisema sottocutaneo, infezioni e cheloidi cicatriziali.11
L’ossigenoterapia transtracheale va presa in considerazione nei soggetti che devono essere
sottoposti a ossigenoterapia a lungo termine. I cateteri transtracheali sono una buona alternativa
per i pazienti che non tollerano la cannula nasale, in quelli con ipossiemia refrattaria o con una
mobilità limitata. Sono controindicati in caso di disturbi della coagulazione non correggibili,
malattie terminali, poca motivazione o scarso supporto, impossibilità a effettuare le visite di
controllo oppure in caso di ostruzione a livello delle alte vie aeree.12

Ottimizzatori di flusso ed economizzatori


Gli ottimizzatori di flusso
Gli ottimizzatori di flusso sono serbatoi contenuti nelle espansioni laterali di particolari
cannule per ossigenoterapia. I serbatoi (uno o 2 secondo i modelli) raccolgono l’ossigeno (circa 20
ml) emesso in fase espiratoria, che viene aspirato all’inizio dell’inspirazione successiva.

Gli economizzatori
Gli economizzatori limitano la somministrazione di ossigeno alla prima parte dell’inspirazione.
Sono sistemi a domanda che, grazie all’apertura di un’elettrovalvola attivabile con un sensore di
pressione, consentono di erogare l’ossigeno nella prima fase dell’inspirazione. Esistono diversi
sistemi (una quindicina) che in genere possono essere collegati alle diverse fonti di erogazione di
ossigeno. Si deve valutare la capacità del paziente di adattarsi alle variazioni respiratorie.

Tabella 6. FiO2 stimata con diversi sistemi di somministrazione dell’ossigeno10


Dispositivi Flusso erogato FiO2 stimata
(l/min)
cannule nasali • 1-2 • 0,24-0,28
• 3-5 • 0,28-0,35
Sistemi a basso flusso: variano in base a flusso erogato, • 6-9 • 0,35-0,45
frequenza respiratoria e volume inspirato
• 10-15 • 0,45-0,50
maschera facciale • 6-8 • 0,34-0,45
• 8-10 • 0,45-0,55
• 10-12 • 0,55-0,65
maschera con • 6-15 • 0,55-0,75
reservoir a parrziale
reabrething
maschera con • 10-15 • 0,80-1,00
reservoir non
rebreathing
maschera di Venturi • 2 • 0,24
Sistemi ad alto flusso: erogano una percentuale di
ossigeno più precisa • 4 • 0,28
• 6 • 0,31
• 8 • 0,35
• 8 • 0,40
• 2 • 0,50
cateteri • 0,28-1,00
transtracheali

Sistemi di erogazione dell’ossigeno


L’ossigeno può essere somministrato sia in ospedale che a domicilio, con sistemi diversi che
vanno scelti in base alle esigenze del paziente ed alla facilità di uso.

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Ossigenoterapia

Bombole a gas compresso o a ossigeno gassoso


Sono utili per le terapie a breve termine. Le capienze variano, secondo i fornitori, dai 500 ai
10.000 ml. Vanno sempre utilizzate con un riduttore della pressione, un flussometro e un
umidificatore.

Bombole a ossigeno liquido di tipo stazionario (bombola madre)


e portatile (stroller)
Le bombole a ossigeno liquido sono la modalità di erogazione più adatta ai pazienti che
continuano a essere indipendenti e riescono a camminare perché grazie al contenitore portatile, il
paziente può mantenere una normale vita di relazione. Un litro di ossigeno liquido si converte in
860 litri di ossigeno gassoso e la pressione di ossigeno nella bombola è circa 100 volte inferiore a
quella dell’ossigeno gassoso, quindi il rischio di esplosione sostanzialmente nullo. Occorre però
una bombola “madre” da cui caricare i dispositivi portatili.

I concentratori
Il concentratore rimuove azoto e vapor acqueo dall’aria ambiente, concentra l’ossigeno e può
erogarlo al flusso desiderato anche 24 ore su 24. Il concentratore funziona a corrente e non deve
necessariamente essere collocato nella stanza del paziente.
La riduzione dei costi rispetto all’ossigeno gassoso (circa il 25% in meno) e il limitato ingombro
(38x34x55 centimetri, con un peso di circa 23 kg) sono i vantaggi principali dei concentratori. Di
contro però limitano la mobilità del paziente, non consentono di raggiungere flussi elevati (>4
l/min) e sono rumorosi. Si deve inoltre tenere sempre una bombola di ossigeno di scorta, in caso
di mancanza improvvisa di energia elettrica.

Raccomandazioniper una gestione corretta


dei sistemi erogatori
Umidificatori
Oltre a controllare il dosaggio da somministrare è importante somministrare l’ossigeno umido,
per prevenire l’essiccamento delle mucose. Il controllo e la sostituzione dell’umidificatore variano
secondo l’utilizzo. Occorre controllare la quantità di acqua distillata nell’umidificatore e valutare
se è necessario sostituirlo, nel caso degli umidificatori monouso, o se è necessario il rabbocco.
Sugli umidificatori è sempre segnata la quantità minima e massima richiesta. Se si usa un
gorgogliatore le incrostazioni calcaree possono alterarne il funzionamento fino a ostruire l’ingresso
dell’ossigeno.

Sistemi di erogazione
Le cannule nasali devono essere in narice e il tubo non deve stringere sotto il mento. La
maschera deve essere posizionata correttamente, evitando sfiati dai bordi (è possibile stringere la
clip metallica in corrispondenza del naso). Si deve controllare il fissaggio dei raccordi (per
eventuali perdite) e la presenza di nodi o di clampaggi indesiderati. E’ possibile adattare la
maschera al viso del paziente premendo e modellando la clip di metallo presente all’altezza del
naso. Una posizione scorretta dell’elastico di fissaggio può portare a irritazione o edema da
compressione al volto. Se possibile il paziente dovrebbe indossare la dentiera, per una maggiore
aderenza della maschera.
E’ importante garantire un minimo di mobilità al paziente, utilizzando sistemi della lunghezza
corretta (all’aumento del numero di raccordi aumenta il rischio di perdite).
Non vanno utilizzati grassi od olii lubrificanti sulle guarnizioni per il pericolo di incendio.
I presidi per la somministrazione di ossigeno (maschera, occhialini, prolunghe di raccordo)
vanno sostituiti ogni 24 ore nei reparti a rischio (per esempio in terapia intensiva o in patologia
neonatale) e nei pazienti con infezioni delle vie respiratorie. Negli altri casi sono da considerarsi
monoutente e l’intervallo di sostituzione è il seguente:13
• sondini: ogni 24 ore e al bisogno (quando sporchi);
• cannule nasali: una volta alla settimana e al bisogno;
• maschere: una volta alla settimana e al bisogno.
Inoltre si ricorda di eseguire il lavaggio sociale delle mani a ogni manipolazione e di sostituire
l’umidificatore a fine degenza.

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Ossigenoterapia

Istruzione del paziente


Bisogna insegnare al paziente (vedi dopo Assistenza al paziente in ossigenoterapia) a ricaricare
lo stroller dalla bombola madre, avvertendolo di tenerlo sempre dritto. Gli stroller hanno
dimensioni e pesi diversi (da 2 a 3 kg) con autonomia da 3 a 7 ore a seconda del flusso di ossigeno
e del peso dello stroller.
I sistemi tipo dewar di ossigeno liquido sono dotati di un indicatore luminoso di carica. E’ bene
controllarne lo stato prima e dopo ogni utilizzo.
Controllare ogni 24 ore la quantità di ossigeno nelle bombole e valutarne l’autonomia.
Moltiplicando la pressione nella bombola per il volume della bombola si ottengono i litri contenuti.
Le bombole di ossigeno devono essere dotate, oltre che di regolatore di flusso, anche di un
manometro. La pressione viene letta sul manometro ed è espressa in bar, varia in base allo stato
di riempimento della bombola. Il volume della bombola è riportato sulla bombola o sulla scheda
acclusa (per esempio una bombola di 5 litri di ossigeno ha una pressione letta sul manometro di
150 bar. Moltiplicando la pressione (150 bar) per il volume della bombola (5 litri) si ottengono i
litri di ossigeno contenuti (150 x 5 =750). Per valutare l’autonomia è sufficiente quindi dividere il
volume di ossigeno residuo per la quantità somministrata espressa in litri al minuto (con un
consumo di 10 litri/minuto, la bombola avrà un’autonomia di 75 minuti).
I pazienti che utilizzano l’ossigeno liquido devono saper ricaricare lo stroller dalla bombola
madre. Occorre spiegare ai pazienti di:
• mantenere lo stroller in posizione verticale per evitare fuoriuscite di ossigeno liquido
• verificare tramite l’indicatore di riempimento a led o a dinamometro che il contenuto di
ossigeno liquido nell’unità base sia sufficiente;
• posizionare l’unità portatile in modo che s’innesti nell’apposito alloggio sagomato posto
sul coperchio dell’unità base;
• esercitare una pressione dall’alto verso il basso per collegare i connettori di
riempimento, appoggiando una mano sulla sommità del contenitore per mantenere
l’unità portatile in posizione verticale;
• azionare senza forzare la leva di riempimento tenendo sempre la mano sulla sommità
dell’unità portatile. Ciò permetterà il travaso dell’ossigeno liquido segnalato da un
sibilo piuttosto acuto e dalla fuoriuscita di ossigeno gassoso;
• alzare e abbassare la leva di riempimento ogni 20-30 secondi per evitare la formazione
di ghiaccio che potrebbe causarne il blocco per congelamento;
• mantenere premuta l’unità portatile per assicurarne la stabilità e la corretta posizione
di riempimento;
• chiudere la leva di riempimento dopo circa un minuto e mezzo dall’inizio
dell’operazione di ricarica quando si nota un denso vapore bianco intorno al coperchio
dell’unità base che indica il riempimento dell’unità portatile;
• sganciare l’unità base premendo l’apposito pulsante di rilascio trattenendo dalla
tracolla l’unità portatile. Se tale operazione si rivelasse difficoltosa ciò potrebbe
dipendere da un congelamento del punto di connessione delle unità. Non forzare e,
senza alcun tipo di intervento, attendere qualche minuto per permettere al ghiaccio di
sciogliersi, poi sganciare l’unità portatile;
• controllare sull’indicatore di livello dell’unità portatile il contenuto di ossigeno (in
genere un dinamometro che si attiva afferrando la cinghia di trasporto dal lato
dell’indicatore);
• se la leva di riempimento non dovesse chiudersi, rimuovere comunque l’unità portatile
dall’unità base premendo il pulsante di sblocco. L’unità portatile interromperà
l’erogazione di ossigeno dopo qualche minuto. Attendere pochi istanti per permettere al
ghiaccio di sciogliersi, poi chiudere la leva di riempimento;
• evitare qualsiasi contatto con il liquido versato, il ghiaccio e i vapori se il contenitore si
capovolge accidentalmente perché potrebbe causare lesioni cutanee da ipotermia;
• fare riferimento alle indicazioni fornite dal produttore.

Assistenza al paziente in ossigenoterapia


La saturazione dell’emoglobina deve essere controllata in continuo. Il paziente va posizionato
seduto o semiseduto, alzando la testiera del letto o utilizzando un cuscino.

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Ossigenoterapia

Oltre alla valutazione del miglioramento della saturazione si deve controllare il respiro (se il
soggetto respira con meno difficoltà, senza utilizzare i muscoli respiratori accessori, se ha
tachipnea, dispnea), i parametri vitali, le caratteristiche qualitative e quantitative delle secrezioni.
Può essere utile associare un programma di fisioterapia respiratoria: manovre di percussione,
vibrazione e drenaggio posturale ed esercizi di respirazione profonda, tosse efficace e utilizzo dello
spirometro stimolante.
Se lo stato di coscienza del paziente è alterato o vi è un’alterazione del riflesso della tosse può
essere utile posizionare un sondino nasogastrico per evitare l’inalazione, la distensione gastrica e
il rischio di polmonite ab ingestis.11
Eventuali aritmie cardiache sono una risposta all’ipossia tessutale che stimola i chemocettori
dell’arco aortico e del seno carotideo con tachicardia e tachipnea per aumentare la quantità di
emoglobina satura circolante. Le tachiaritmie aumentano il consumo di ossigeno a livello cardiaco.
L’ambiente va controllato, conservando il microclima cioè mantenendo temperatura e umidità
costanti.
Si deve insegnare al paziente una corretta igiene orale. Il primo sintomo è la secchezza delle
fauci, che può dare infezioni al cavo orale poiché viene meno l’azione disinfettante e pulente della
saliva oltre a causare difficoltà a parlare, mangiare e deglutire. Questo sintomo può essere
controllato umidificando l’ambiente utilizzando un umidificatore nella camera o una pentola con
acqua bollente vicino al letto e aumentando l’introduzione di liquidi per bocca. Se il paziente ha
arsura in bocca ma non ha desiderio di bere o ha vomito può succhiare dei cubetti di ghiaccio di
sola acqua oppure preparati con spremute di arancia e pompelmo o arancia e limone.14 La
vitamina C contenuta in questi agrumi stimola la secrezione salivare ma bisogna fare attenzione
che non vi siano lesioni in bocca perché soprattutto il limone potrebbe causare bruciore. Si può
suggerire di masticare pezzi di ananas che stimolano la salivazione. Spruzzare in bocca umettanti
artificiali più volte al giorno può essere d’aiuto. La saliva artificiale non ha le proprietà pulenti e
disinfettanti della saliva naturale ma elimina la spiacevole sensazione della bocca asciutta. Se il
paziente respira a bocca aperta, deve bere sorsi di acqua di frequente.
Durante la somministrazione di ossigeno tramite la maschera va prestata particolare
attenzione alla cute del volto.
L’uso non corretto di presidi può non assicurare l’apporto di ossigeno ideale per il paziente.
Inoltre, può risultare pericoloso per il paziente e l’operatore. Utilizzare alti flussi di ossigeno con le
cannule nasali può creare un riempimento di gas del gorgogliatore non sfogato dal raccordo oltre
ad aumentare il rischio di epistassi e di danni alle mucose nasali da aumentata pressione di
uscita del gas.10

Complicanze dell’ossigenoterapia
La somministrazione di ossigeno va sempre controllata con attenzione, soprattutto nei soggetti
affetti da broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), nei quali i centri respiratori sono
insensibili allo stimolo della CO2 e sono attivati indirettamente dallo stimolo ipossico dei glomi
carotidei. Per questo, il miglioramento della PaO2 può accompagnarsi a una riduzione della
ventilazione con conseguente aggravamento dell’ipercapnia (fino al coma ipercapnico).15
Alte concentrazioni di ossigeno e per periodi prolungati possono portare effetti tossici aspecifici,
dovuti alle alterazioni dell’attività enzimatica cellulare.16 In rari casi è stata segnalata una
tossicità da O2 anche con concentrazioni basse del 24%.
A livello polmonare è possibile avere riduzione dell’attività muco-ciliare e della funzione
macrofagica, formazione di membrane ialine e vasodilatazione polmonare.
A livello sistemico le complicanze possibili sono vasocostrizione sistemica, riduzione
dell’eritropoiesi e della gittata cardiaca.17

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Ossigenoterapia

Bibliografia
1. Brunner, Suddarth. Nursing medico chirurgico. Casa Editrice Ambrosiana 2001.
2. Beattie S. Back to basics with O2 therapy. Research on Nursing 2006;69:37-40.
3. Iacobelli L, Lucchini A, Asnaghi E et al. La saturimetria. Minerva anestesiologica 2002;68:488-91.
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oxygen therapy. British Journal of Anaesthesia 2000;84:584-6.
5. Eastwood G, Gardner A, O’ Connell B. Low-flow oxygen therapy: selecting the right device. Australian
Nursing Journal 2007;15:27-30.
6. Agenzia italiana del farmaco. Guida all’uso dei farmaci. Masson 2007;4.
7. Linee guida per l’ossigenoterapia a lungo termine (OLT). Rassegna di patologia dell’apparato
respiratorio. Aggiornamento anno 2004;19:206-19.
8. Kelly C, Riches A. Emergency oxygen for respiratory patients. Nursing Times 2007;103:40-2.
9. Terzano C, Pacilio R. Malattie dell’apparato respiratorio. Springer editore 2006.
10. Dal Negro RW, Goldberg AI. Ossigenoterapia domiciliare a lungo termine in Italia. Il valore aggiunto
della telemedicina. Springer Verlarg 2006.
11. Gentili A, Nastasi M, Rigon L.A et al. Il paziente critico. CEA Milano 1993.
12. Armin Ernst. Procedure interventistiche in pneumologia. Linee Guida dell’American College of Chest
Physicians,Procedures Network Steering Committee. CHEST Edizione Italiana 2003;2:76-101
13. National Guideline Clearinghouse. Guidelines for preventing healthcare associated Pneumonia.
Center for Disease and Control 2003.
14. Brivio E, Magri M. Assistenza infermieristica in oncologia. Linee guida, procedure e protocolli di
assistenza. Masson editore 2007.
15. Booker R. Chronic obstructive pulmonary disease. Part two--management. Nursing Times
2007;103:28-9.
16. Balentine JD. Pathology of Oxygen Toxicity. Academic Press 1983.

Dossier InFad – anno 3, n. 38, aprile 2008


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Redazione: Nicoletta Scarpa
Autore dossier: Paolo Catenacci, Fondazione San Raffaele del monte Tabor, Milano

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