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NUMERO 56 | INVERNO 2017/18 | COPIA GRATUITA | WWW.BEAUTIFULFREAKS.

ORG

INTERVISTE LIVE RECENSIONI RUBRICHE


Sommario
INTERVISTE
5 Meg
CONCERTI
8 Grimoon
MAPPE
9 I Centri Di Raccolta BF
10 Le Specialità Tipiche
RECENSIONI
11 Full Length
20 EP
RUBRICHE
22 Buccie Candite
25 33 Giri Di Piacere
27 L’opinione Dell’incompetente
28 Chi L’ha Visti?

LE RECENSIONI

Petrolio | Camera | Atom Made Earth | Allred & Broderick | Affranti | Lucio Corsi | Stolen Apples |
Technoir | Management Del Dolore Post-Operatorio | Mòn | Orfeo | One Horse Band | Nadsat | El
Matadot Alegre | VonDatty | 33CL ||| Fuco | Tartage | Wicked Expectation //

BEAUTIFUL FREAKS
Sito web: www.beautifulfreaks.org E-mail Redazionale: redazione@beautifulfreaks.org
Twitter: http://twitter.com/bf_mag Facebook: http://www.facebook.com/beautifulfreaksmag
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Direttore editoriale: Andrea Piazza


Caporedattore: Alberto Sartore
Direttore responsabile: Lorenzo Briotti
Redazione: Maruska Pesce, Marco Mazzinga, Marco Petrelli, Vincenzo Pugliano, Paolo Sfirri,
Bernando Mattioni, Antonia Genco, Rubby.
Hanno collaborato: Daniele Bello, Francesco Sparvoli, Andrea Plasma, Piergiorgio Castaldi, Elisa
Angelini, Daniela Fabozzi, Giacomo Salis, Massimo Tellerini, Greta Margherita, Francesco Angius,
Tiziano Ciasco, Ocramilluna. Infine un ringraziamento particolare a Marco M., Vincenzo P. e Pablo S.
Le illustrazioni sono di Greta Margherita e le mappe sono riadattate da Creative Commons.

Beautiful Freaks è una testata edita da Associazione Culturale Hallercaul


Registrazione al Roc n° 22995
editoriale
Abbattuto ogni record di ascolto per un singolo in streaming, dopo aver conquistato
l’intero mercato mondiale per l’uscita di un album il punto ora è come creare delle
regole di successo per riprodurre tali fenomeni.
Il terreno è fertilissimo, come ampissimo è il margine per scrivere le pagine del futuro,
c’è un argomento però che nell’ultimo anno solletica la fantasia delle persone e ancora
di più delle start up e ciò è incarnato da due parole ricorrenti: Machine Learning e Reti
Neurali.

Il trend si volge quindi all’aiuto delle macchine ed ovviamente essendo due concetti
dove l’applicazione informatica può applicarsi universamente anche l’industria
musicale, come quella editoriale o di produzione video, non può non esserne investita.
Andando a focalizzarsi sul perché ciò è presto detto; i dati di input sono testi o audio
in quanto sono interpretabili in maniera più semplice di un video/immagine. Il Machine
Learning in maniera silente è attivo su ogni sito che abbia capacità di elaborazione
fuori dal comune. Sul social network in blu cliccando su di una qualsiasi immagine con
il tasto destro per poi premere “cerca con Google” si può vedere l’avanzamento del
Learning sulle foto. Colpa mia. A furia di giocare con il Captcha nel riconoscimento di
segnali stradali, foto di macchine, e quant’altro ho dato una capacità di discernimento
fuori dal comune alle macchine. Che di per sé hanno una quantità di materiale da
sfogliare che farebbe impazzire Super Vicki. La divisione Google Book ormai gioca di
fino conscia del suo superpotere e con la funzione Ngram si diverte a farti impallidire
soddisfando la tua curiosità di sapere quante volte sia stata utilizzata anno per anno la
parola “paura” nei libri italiani tra il 1800 e il 2000 (“Amore” vince su tutto ovviamente).
Chissà quali siano le funzioni a loro disposizione, non visibili a chi è fuori. Vogliamo
analizzare foto e video? Ci viene incontro Google Art & Culture grazie alle partnership
con i vari “Istituti Luce” nel mondo per avere un archivio foto e video a disposizione
per un po’ di sano Machine Learning. Ottima mossa dare la disponibilità di offrirsi nel
faticoso compito di digitalizzare gli archivi e di preservarli; alla fine sia gli hard disk dei
server che foto e video hanno bisogno di un’atmosfera protetta e decisamente fresca!
A questo punto il gioco è fatto basta unire le due cose e le macchine cominciano a
imparare.

Questo preambolo è utile per far capire per scremare tra chi può e chi vorrebbe.
C’è una sorta di internet a due velocità, in questo caso intesa sul numero utenze e
dati e dati a disposizione. Chi ha il 99,999% chi il restante e di necessità virtù ovvio.
Non è nemmeno detto che i top player siano interessati a servire anche chi non è
targetizzabile bensì solo a coltivare il loro enorme giardino.
Chi invece non ha a disposizione questa mole di dati può solo creare delle istantanee,
degli snapshot, basati su dati parziali e di conseguenza parziale l’output da generare.
L’appiattimento culturale è dietro l’angolo. Basta seguire anche distrattamente una
radio commerciale per scorgere che le canzoni hanno una base comune, su base
temporale che viene portata avanti a livello globale.
4 BF

C’è una problematica di fondo che viene palesata dalle macchine a guida autonoma.
Posso mettere un punto di inizio e un punto di arrivo, posso mettere una destinazione
a me non conosciuta ma suggerita in base alle valutazioni dei miei amici, parenti,
colleghi.
Ma se è agosto e sto girando un piccola cittadina alla ricerca di una gelateria che mi
piaccia a prima vista, questo alla mia macchinina autonoma non so come chiederglielo.
In definitiva mi chiedo, ammesso che sui dati e sulla memoria non c’è partita, sono
così ingolfati i neuroni umani riguardo, la produzione artistica, se alla prima occasione
deleghiamo tutto ad un’altra intelligenza, seppur artificiale?
Andrea Piazza
BF 5

MEG
Nella tappa di Venaria del 23 novembre cogliamo come occasione il suo tour di concerti nei
teatri “Concerto Per” per farci raccontare le sue ultime novità e progetti.

Allora rispetto all’Imperfezione tour del 2015 in questo tour c’è una maggiore presenza
scenografica che appunto si presta appieno al contesto del teatro.
Sì la scenografia e la regia sono state curate da Umberto Nicoletti, mio collaboratore da
tanto tempo che finora però ha fatto per me regia di video o fotografie, mai uno spettacolo
teatrale del genere. Mi fido ciecamente di lui quindi mi sono affidata a Umberto e l’idea
era quella di fare un tour solo nei teatri per in qualche modo esasperare quel lato un po’
mélo delle mie canzoni, che probabilmente deriva dalle mie radici partenopee, cosa che nei
club magari un po’ si perde. Invece nei teatri avere la possibilità di esaltarla ci stimolava in
qualche modo e quindi abbiamo deciso di fare questo tour teatrale.

È stato molto bello notare il contrasto fra musica elettronica e teatro che rappresenta
quindi una scelta della location particolare, soprattutto quella del teatro Carignano per
la registrazione di Concerto ImPerfetto. Com’è nata l’idea di registrare un live album e
cosa ti ha portato a scegliere proprio la location del Carignano?
Quella del Teatro Carignano era l’ultima data del tour di Imperfezione quindi noi eravamo più
rodati sul palco e poi era l’unica data al chiuso di un tour estivo tutto nei festival all’aperto
quindi diciamo che la location era quella che si prestava meglio per registrare come acustica.
Volevo che si registrasse in una sola serata per offrire al pubblico il concerto intero dall’inizio
alla fine e non dei pezzi presi da vari concerti come a volte si fa, quindi quello che volevo era
dare la versione integrale del concerto del Carignano così com’era…Un po’ come quando si
compravano i bootleg nei negozi di dischi sai no? Quelle registrazioni illegali di concerti che
poi si smerciavano non ufficialmente sul “mercato nero dei vinili live”. Quando non c’erano
ancora internet o YouTube per poter vedere le esibizioni dei tuoi artisti preferiti esistevano
questi e io me li andavo a comprare. Erano appunto le registrazioni di un’intera serata di
concerto e io in genere andavo sempre lì a ricercarmi le versioni diverse dei pezzi, gli errori
nell’esecuzione e le stonature perché mi facevano sentire quell’artista più vicino in qualche
modo. E, del resto, cosa c’è di più imperfetto della performance live per un artista no? È un
momento di grande esposizione e rischio di défaillance quindi è un momento di fragilità e
allo stesso tempo di unione con il pubblico quindi di grande generosità. Perciò con Concerto
ImPerfetto il pubblico si becca il concerto errori compresi. Ed è un approccio vero.

Vivendo o comunque stando molto abroad, mi piacerebbe sapere che effetto ti ha fatto
tornare a suonare a Napoli, la tua città aperta.
Sì io in realtà faccio base a Roma, che comunque rispetto a Napoli è come vivere all’estero
(ride ndr). No ci ritorno sempre con un po’ di ansia da prestazione ma quello da sempre,
anche quando vivevo a Napoli. Suonare in casa mi mette sempre un po’ di ansia, però c’è
sempre un’accoglienza calorosissima e poi è sempre bello andare a mangiare prima o dopo
il concerto le leccornie della mia città. Poi è ancora più emozionante perché in genere nel

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6 BF

pubblico ci sono i parenti, gli amici e le mie amiche più care quindi è una performance molto
più sentita e molto emozionante.

Invece che stimoli stai riuscendo a cogliere da una città come New York?
New York è una città cosmopolita che ti fa sentire cittadino del mondo quindi non
appartenente a nessuna radice. Sei lì e sei parte di una città che va a mille senza fermarsi
mai, dove ci sono delle regole precise e dove tutti più o meno convivono abbastanza
pacificamente rispettando le diversità etniche, culturali e religiose degli altri. E già questa
cosa per me è grande, molto stimolante. Mi basta prendere la metropolitana e guardarmi
intorno nel vagone del treno che, già la scena di vedere persone che vengono da ogni angolo

del mondo, per me è una grande commozione. E poi i musicisti che vedi per strada, o anche
in metropolitana, sono bravissimi, già solo quello. Poi i concerti che offre la città, le mostre
d’arte eccetera insomma è uno stimolo continuo che assolutamente si ripercuote sulla
produzione musicale e artistica.

Quindi un valore aggiunto è dato anche dai suoi contrasti e dalle differenze con una città
come Napoli (anche se anche Napoli può essere caotica come New York a modo suo).
Certo, certo infatti ci sono delle similitudini con Napoli sicuramente. Però diciamo che New
York è come potrebbe essere Napoli se le cose funzionassero (sorride ndr).

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BF 7

Invece la tua etichetta Multiformis è nata per renderti indipendente e per avere un
editing accurato che segui tu dall’inizio alla fine o apre magari spiragli per delle
collaborazioni future con altri artisti?
No le collaborazioni sono a prescindere dall’etichetta, l’etichetta mi serve per sentirmi
autonoma e per sentire di avere un controllo totale sulla mia produzione. Negli anni ho
capito e imparato che era l’unico modo per produrre la mia musica, quindi attorniarmi
di collaboratori che parlano il mio stesso linguaggio. È molto difficile avere a che fare
con le major discografiche o i mezzi standard che veicolano la musica (diciamo quelli
normali) per una persona come me. Quindi ho fatto la mia scelta e sono molto contenta
di questo.

Bene infatti sempre con la Multiformis hai autoprodotto il tuo ultimo disco anche
in formato vinile: che ne pensi del ritorno del vinile nell’era del digitale e dello
streaming?
Eh è una risposta di una community di persone che ancora desiderano le cose di
qualità, che si affezionano alle cose, agli oggetti, a cui non basta semplicemente l’mp3
impalpabile scaricato da internet ma amano le cose, amano la musica. Secondo me il
ritorno del vinile equivale all’amore di certe persone verso la musica, e anche un po’
verso una qualità della vita del vivere con lentezza, gustarsi le cose. Secondo me c’è una
piccola cummunity di persone oggi che in questi tempi frenetici invece chiede a gran
voce questo tipo di cose.

Daniela Fabozzi

Invia il tuo album alla casella email


redazione@beautifulfreaks.org
o all’indirizzo postale che trovi sul nostro sito web.
Potrebbe trovare spazio tra i dischi recensiti su
questa rivista.

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GRIMOON
18/3/2018 @ FANFULLA 5/A - ROMA
A volte, aprendo certe porte può capitare di esser catapultati in un mondo di astronauti in plastilina.

L’ultima volta che BF ha visitato in vesti ufficiali il Fanfulla era tutt’altro Fanfulla rispetto al locale che
ci accoglie adesso, purtroppo. Ormai da qualche anno, dopo un periodo di chiusura, il ridimensiona-
mento stupisce anche chi ci chiede informazioni per strada su
quale sia la porta d’ingresso del locale.
Ridimensionamento che non ha influito sulla programmazio-
ne sempre di buon livello e che questa sera vede ospiti il duo
Italo Francese dei Grimoon.
L’atmosfera è sempre partecipe con gli artisti e questo aiuta
sempre a rompere il ghiaccio.
I Grimoon ricordiamo sono un duo che ha sempre fatto im-
pazzire i nostri recensori proponendo talvolta dei corti di
accompagnamento alle loro tracce con dei dvd allegati agli
album, realizzati dalla bravissima Solenn Le Marchand in tec-
nica Passo 1, che hanno sempre riscontrato altissimo gradi-
mento.
Vestiti da astronauti, chitarra e synth, quali cantastorie del
futuro, ci narrano e ci accompagnano nel video racconto ri-
preso dal loro ultimo album “Vers la Lune” del 2015 che dal
nome al loro tour che va avanti sino ad oggi.
Concept album di un omino di plastilina nel suo girovagare
nello spazio, con incontri insidiosi, nuovi pianeti e scoperte
spaziali raccontate traccia dopo traccia ai composti e atten-
ti astanti. Il risveglio dal racconto onirico viene lasciato alle
ultime tracce riprese dai loro album precedenti, e sempre ac-
compagnate dal loro caratteristico videoclip, che lascia solo
chiedersi quando uscirà la loro prossima fatica.
Il ritorno dei Grimoon a Roma era atteso come l’inizio della
primavera, che tarda ad arrivare da questi lidi.

Massimo Tellerini

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BF 9

INTERVISTE
INTERVISTE LIVE RECENSIONI RUBRICHE
10 BF

LE SPECIALITÀ TIPICHE
di Beautiful Freaks
Abbiamo diviso le recensioni che troverai nelle prossime pagine ordinandole per regione.
Specialità tipiche di stagione selezionate per te da Beautiful Freaks!

One Horse Band


Orfeo
Fuco Technoir
Wicked Expectation

33Cl
El Matador Alegre
Affranti

Nadsat

Atom Made Earth


Stolen Apples
Lucio Corsi

Management del Dolore Post-Operatorio

Camera,
Crivellator
Mòn
VonDatty

Tartage
Le nostre importazioni
USA: Allred & Broderick

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BF 11

RECENSIONI
Petrolio
DI COSA SI NASCE
Edison Box / DIO)))DRONE / DreaminGorilla Records /
Taxi Driver / Screamore / V O L L M E R - Industries /
Edwood Records / TOTEN SCHWAN RECORDS, 2017

Enrico Cerrato insieme alla sua chitarra ed ai suoi synth ha dipinto


immaginari distesi nell’animo, ruvidi al tatto e scuri alla vista.
Viene dall’esperienza degli Infection Code dove suona basso e tastiere;
ma si sà, iniziare un progetto solista è sempre una strada aruda. Le
soddisfazioni e le delusioni dipendono solo esclusivamente da te
stesso, bisogna essere fermi nell’animo e nella mente per non perdersi.
Enrico è riuscito molto bene nell’intento, l’album è coerente e vario, collegato da un intenzione che
spazia dal drone a suonorità doom metal e dark ambient.
L’inserimento del piano nelle traccie è lodevole, così come le batterie che non sono sempre presenti
(appunto per questo motivo il loro intervento viene risaltato); insomma entra nel genere e ne esce con
espedienti intelligenti ed è esattamente quello che personalmente cerco in un album.
Tralasciando le generalità e le presentazioni entriamo nel vivo dell’album seguendo passo passo,
traccia per traccia, gli immaginari di Enrico.
“El coco (do you know babau?)” già dal primo secondo fa intendere la serietà del progetto, entra a gamba
tesa nelle orecchie e dell’ascoltarore con un drone stile Sunn O))), che però viene particolareggiato da
synth con annessi arpeggiatori che mandano la traccia oltre l’atmosfera, per poi scandirli con batterie
doom e caotiche. Si conclude impovvisamente così come è iniziato per lasciare spazio a “Eating lights
slowly” che si presenta immediatamente con un piano “pulito” (cosa tutt’altro che scontata nel
genere) per poi costruire una trama attorno con macchine e droni crescenti che tendono pian piano a
distorsioni granulose per poi scoppiare con batterie e bassi massivi.
“Le spit’s treee” inizia in modo simile alla prima traccia del disco ma viene subito particolareggiata da
batterie che si muovono molto bene nell immaginario spazio del suono, a tratti mi rimanda ad artisti
come Samuel Kerridge.
“Los suburbios” è la più lunga del disco; ritorna il piano anche se in maniera decisamente distorta e
si rallentano i ritmi per un esperienza più contemplativa fino a scoppiare, anche qui, con una batteria
che accompagna i droni. “Le Bot Noir” segue la linea dei suoi predecessori e si muove tra parti ritmate
e droni.
Segue coerentemente “La mater de odio” che appare molto come un flusso di materia nera granulosa
che ti sfiora la pelle per poi rilasciarti, a circa metà, in una landa dove suonano campane e si odono
voci di una civiltà aliena alla terra, il viaggio continua con “Vs/us” che viene aperta, questa volta,
da una voce terrena che recita: “Se solo fossi vissuto fino a quel momento, non un secondo di più,
sarebbe stato perfetto” (parole pronunciate da Walter White di Breaking Bad) che si scaglia contro
l’ascoltatore con intermezzi puramente noise che spezzano il flusso.
Un buon album che dà qualcosa di molto interessante ad una scena che sta quasi per fare tendenza
cadendo talvolta nel banale. [7,5/10] • Ocramilluna

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12 BF
Camera
TVATT MUSICHE DAL PROGETTO TEATRALE
Marte Label, 2017

Marte Live, come si sa, si propone come hub culturale d’intreccio di


arti disparate, un progetto di promozione che punta al crossover, alla
misticanza, all’ibrido e al nuovo. Camera, progetto sonoro assolutamente
camaleontico, presenta in questa sede TVATT, colonna sonora di un
omonimo spettacolo teatrale dell’attore e regista Luigi Morra, membro
effettivo della band. Se questo non fosse sufficiente a palesare
immediatamente la natura crossmediale di questa band, ci pensa il
tessuto sonoro a spiazzare ulteriormente: un amalgama compatto ma eclettico ed eterogeneo di
strumenti, suoni, voci, rumori. Essendo nato come colonna sonora teatrale, il disco punta chiaramente
alla definizione di un’atmosfera, che in questo caso è tendenzialmente eterea, una fantasmagoria di
suggestioni malinconiche e decadenti sempre sostenute da un’ossatura di pianoforte. L’idea che resta
è quella di una desolazione calcolata, un essenzialismo che nasconde in realtà un sapiente lavoro di
sottrazione, un gioco di vuoto e pieno che crea anche la dinamica sotterranea del lavoro – mai veramente
prevedibile nella sua uniformità levigata, con pause dilatate che preludono a picchiate da incubo in
abissi rumoristici di un’inquietudine quasi insopportabile. L’effetto generale è quello di un happening
surrealista venato d’industrial, una partitura classica ricucita con legno e metallo. Un po’ freak show,
un po’ teatrino fin de siècle, un “nottuario” (così lo definirebbe Thomas Ligotti) di indizi sonori che è
soprattutto un percorso nell’ombra disegnata dalla congerie musicale evocata dai Camera.
[7/10] • Marco Petrelli

Atom Made Earth


MORNING GLORY
Red Sound Records, 2017

Morning Glory non è il primo lavoro in studio della band di Ancona, ma è


sicuramente quello che ha segnato il loro cammino artistico ed è proprio
per questa motivazione che a quasi due anni dall’uscita ci è ricapitato tra
le mani e merita una piccola analisi. Gli Atom nel frattempo di strada ne
hanno percorsa parecchia, strada per arrivare ai numerosi palchi su cui si
sono esibiti e hanno dato il meglio che potevano, fino a giungere ad una
campagna di crownfunding che dovrebbe finanziare il nuovo lavoro in
studio. Ma facciamo qualche piccolo passo indietro. Difficile collocare questo disco in nicchie o categorie
musicali ben definite, è sicuramente un miscuglio di influenze e suoni, uno studio quasi psicologico della
realtà che ci circonda, raccontata da synth apocalittici e effetti elettronici che sono al limite dell’ascolto.
Se in copertina c’è una figura astratta, un’opera firmata dall’illustratore Hernàn Chavar, che quasi riporta
la mente ad una sorta di test di Rorschach (per intenderci quello in cui si devono interpretare delle strane
macchie d’inchiostro per capire aspetti intimi della personalità di ognuno) il disco è quasi un viaggio
psichedelico nella mente umana, chitarre dissonanti imponenti e sporcate da effetti elettronici freddi e
sincopati, lontani anagraficamente dagli anni settanta ma molto affini alla musica di quegli anni, la dance
appunto si mischia al rock, al blues, alla psichedelia e anche al funky se vogliamo, dando vita alla trama
strumentale del disco. Tracklist astratta anche quella, mentre va non fa per nulla sentire la mancanza di
note cantate o di una voce guida, l’equilibrio strumentale rimane perfetto e in piedi anche senza parole.
E’ un disco che vale la pena riascoltare e tenere ben a mente per apprezzare tutte le sfumature degli
Atom Made Earth. [6,5/10] • Maruska Pesce

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BF 13
Allred & Broderick
FIND THE WAYS
Erased Tapes, 2017

Mi era capitato di recensire una precedente fatica di Peter Broderick, e


ne avevo apprezzato la maturità e una certa tendenza ai territori scu-
ri dell’electro-rock che, credo, ben si adattano ai nostri tempi. Questa
volta il musicista americano, in coppia con David Allred, confeziona in-
vece un disco completamente differente da quello che avevo potuto
ascoltare in passato. Dieci tracce, tendenzialmente brevi, costruite solo
di voci, violino e contrabasso. Un disco essenziale, grezzo senza esse-
re trascurato, che sembra venire da un’altra epoca. L’asciuttezza delle
composizioni di Allred & Broderick è a tratti disarmante; pare di ascoltare un duo da camera, un coro
di fantasmi e una session di prove allo stesso tempo. La precedente menzione del carattere spettrale
di questo Find the Ways merita di essere sottolineata: i pezzi suonano come canti religiosi distorti
in maniera sinistra, ed evocano i territori di desolazioni metafisiche del nord-ovest americano, dov’è
stato registrato dai due in solitudine. L’impostazione prevalentemente “classica” della composizione
si sfilaccia con una certa costanza in momenti di sperimentalismo piuttosto dark, spesso stridenti nei
confronti del tono ieratico dell’album. Un esperimento che è anche un serioso divertissement di due
musicisti che, evidentemente, hanno sguazzato nella libertà creativa che si sono concessi. Monotono,
indubbiamente, ma etereo e delicato, anche nei suoi momenti più cupi. La colonna sonora di un inver-
no inclemente che si guarda dalla finestra. [6,5/10] • Marco Petrelli

Affranti
LA PAURA PIÙ GRANDE
Burning Bungalow, 2017

Ogni tanto la musica ti deve colpire in faccia per farti male, per riuscire
a trasmetterti qualcosa di importante e gli Affranti lo fanno benissimo,
colpiscono duro allo stomaco e lasciano quel senso di dolore che è un
senso di vita, di rinascita. Scusate la premessa simil-filosofica, ma non
ho molte altre parole per descrivere La paura più grande, ultimo disco
di questo gruppo savonese attivo dalla fine degli anni 90 di cui per mia
ingiustificabile colpa non avevo mai sentito parlare, e di cui è anche
difficile riuscire a dare una definizione a livello di genere, direi un hardcore però impregnato di testi
recitati e urlati (ah ma allora i miei amati Teatro degli orrori non si sono inventati nulla, sgamati!),
con un alternarsi di calma e di violenza che ti lascia incollato alla poltrona, o al divano o dovunque
tu sia. Il disco è univoco, segue un filo ben preciso, ci vuole parlare del dolore che proviamo tutti, ci
fa sentire meno soli, perciò non citerò singole canzoni, ma caratteristiche fondamentali di esse che
si ritrovano in tutto il lavoro: a parte i già citati testi (molto ben scritti oltretutto), la parte ritmica
favolosa, con una particolari applausi alla batteria che martella incessantemente e pesantemente, i
bassi che creano questo senso di angoscia, di drammaticità ed emotività. Vorrei solo citarvi un paio
di versi uno tratto da Punto di fuga, canzone labirintica che si descrive con la frase “perché qui non si
perde che la speranza di perdersi”, e l’altro da Sulla scena del delitto “l’urlo è stanco, nasce nella gola
e finisce nella gola”: ecco per me esprimono l’essenza di questo bellissimo lavoro e della sensazione di
liberazione provata nel non sentirsi soli in questi cupi anni. Ultima citazione per l’ultimo brano,cover
di Che poi non è vero di Mauro Pelosi, traformata dagli Affranti ma perfetta per chiudere il loro disco.
Wow! [9/10] • Piergiorgio Castaldi

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14 BF
Lucio Corsi
BESTIARIO MUSICALE
Picicca Dischi, 2017

Più che da Grosseto o Milano uno come Lucio Corsi sembra essere uscito
fuori proprio da un “movimento punk nella foresta” perché altrimenti
non ci si spiega una combinazione di così tanta originalità e fantasia mista
a poesia e delicatezza cristallina. Con il suo secondo lavoro in studio il
cantautore toscano ci fa rituffare nel mondo incantato e fantastico delle
sue canzoni partendo già dall’artwork della copertina che raffigura tutti
gli animali titolo delle 8 tracce sopra un pianoforte piazzato in mezzo al
bosco e a cui è poggiata una chitarra acustica. Copertina parlante quindi perché racchiude visivamente
in un cerchio i personaggi principali delle mille storie cantate nel disco assieme ai due strumenti di
accompagnamento principali. Accompagnato dalla sua fedele chitarra acustica ma anche da altri
strumenti strategicamente arricchenti per l’atmosfera, Lucio ci porta in un viaggio musicale e visivo in cui
si immaginano facilmente i protagonisti muoversi in stop-motion all’interno uno scenario fiabesco pieno
di colori, animali ed avventure curiose. Non manca anche l’ironia a contraddistinguere caratterialmente
ogni animale e a colorare l’incantevole narrazione di questi racconti bizzarri e fantasiosi dipinti con
delicate sonorità fiabesche come se si trattasse quasi di letteratura per bambini. Con il suo cantato ed
il suo stile melodico Corsi ricorda anche il ruolo di menestrello-cantastorie richiamando influenze di
cantautori come De André, Bennato e Lauzi, suscitando infatti un entusiasmante interesse all’ascolto
rafforzato dall’umanizzazione degli animali, resi talvolta voci narranti, quasi a conferirne un aspetto
eroico e fantastico. Ascoltando bene si percepisce anche qualche goccia di nostalgia per quello che le
fiabe rappresentano. Bestiario Musicale è un lavoro per nulla ordinario e che si rende originalmente
poetico, insomma, in una sola parola: bestiale! [8/10] Daniela Fabozzi

Stolen Apples
TRENCHES
Rock Bottom Records, 2017

Fiorentini e noise, esordienti si ma non proprio alle prime armi. Se dan


un lato la formazione presenta il loro album di debutto, i componenti
non sono proprio dei pivellini, e ascoltando questo lavoro se ne ha
la certezza. Il rock in tutte le sue sfumature, dalle origini, al post rock,
dal noise alle sfumature più pop e patinate del genere. Esperienti le
chitarre, si intrecciano a melodie educate e a suoni eclettici e calibrati.
Non facilmente accessibile al primo ascolto, ci mette un pò per divenire
comprensibile, ciò vuol dire che lo studio delle barriere mentali (trincee appunto) a cui punta è abbastanza
articolato e non di facile interpretazione. Timane il fatto che il disco contiene pezzi discontinui, alcuni
potentissimi che meritano più di un ascolto e altri, giusto un paio, che alla fine rispetto al resto, sono
sicuramente troppo ambiziosi. Nulla di catastrofico insomma, un lavoro fatto bene e da mani sapienti,
non eccede ne sbaglia troppo. Le ballad ad esempio spiccano più di qualche altro pezzo che ha difficile
collocazione all’interno del rock e contiene tanti di quegli spunti da distrarre e finisce per assomigliare
troppo a qualcos altro di già sentito.
Top track Mystery Town, seguita da Day Dream, essenziali, pacate, colme di emozioni. Degne di nota
anche Pavement (ricorda vagamente la wave degli ottanta e affascina proprio per questo) e l’apertura
affidata a Red Line.
Arriverà sicuramente il momento di scegliere una strada ben precisa, vada bene per le influenze ma il
troppo storpia anche per chi la musica la fa per davvero. Daltronde già le trincee della mente umana
sono talmente complesse che è davvero controproducente ingarbugliare ancora di più la situazione con
troppi dettagli musicali o volumi spropositati. Comunque i rocker toscani rimangono una garanzia.
[6,5/10] • Maruska Pesce

INTERVISTE LIVE RECENSIONI RUBRICHE


BF 15
Technoir
NEMUI - NEW ECOSYSTEM MUSICALLY IMPROVED
Cane Nero Dischi, 2017

Il genere del nuovo millennio è la confusione del genere. Attraverso


ponti digitali si uniscono forme di espressione un tempo inconciliabili,
favorendo la sperimentazione di nuove identità ibride. Come nel caso
dei Technoir, dove l’incontro di diverse inclinazioni musicali ha originato
un’idea singolare e coesa, sfacciatamente figlia del suo tempo. Jazz
ed elettronica, soul e r’n’b: si riconoscono ma non si incontrano mai da
soli. La voce black di Jennifer e i livelli di chitarre di Alexandros sono il
tratto distintivo di un progetto ambizioso e ben riuscito, che infila dodici tracce ispirate, caratterizzate
da una meticolosa ricerca di equilibrio, sia funzionale che estetica. All’interno di New Ecosystems
MUsically Approved si avverte un senso di tridimensionalità costruito dalle sovrapposizione di suoni,
in modo simile a quello sperimentato da artisti come Jamiroquai, Pretty Lights, Ben Khan. Le combo
armoniche tra voce e sample riescono ad evocare un’ampia gamma di suggestioni all’interno di un
immaginario ben preciso, in cui delicatezza e potenza coesistono con naturalezza, su basi ritmiche
stilizzate funzionali all’espressione dei due protagonisti. Alla ridefinizione continua di una raffinata
intesa... [7,5/10] • Pablo

Management del Dolore Post-Operatorio


UN INCUBO PERFETTO
La tempesta dischi, 2017

Devo dire che ho ascoltato diversi anni fa i Management del Dolore


Post-Operatorio in un concerto live e ne rimasi folgorato, all’epoca
pensai che era uno dei gruppi che mi avevano impressionato di più negli
ultimi anni, con testi in italiano pieni di sarcasmo, taglienti e mai banali
e con una potenza musicale molto forte, e quindi avevo aspettative
abbastanza alte per questo loro ultimo lavoro che si intitola Un incubo
stupendo: ma si sa, quando si parte con le aspettative alte di solito si
finisce per fare un gran tonfo!
Partiamo col dire che il disco è fortemente caratterizzato da due cose, le chitarre di Di Nardo e le
melodie di Romagnoli, il che sarebbe anche giusto visto che sono l’anima e il corpo del gruppo, ma
purtroppo non è un punto a favore perché ci sono solo quelle e non sono nemmeno troppo originali.
Anzi la cosa che mi ha deluso di più è proprio la banalità sia dei testi che dei riff di chitarra che forse
si salvano solo nei due brani iniziali Naufragando e Un incubo stupendo; da lì in avanti si entra in un
tunnel di frasi banali (per esempio “vedevo sul suo viso i fuochi d’artificio” di Il tempo delle cose inutili”
oppure l’inizio del ritornello de Il mio corpo in cui il “ma no ma dai ma che” ricorda addirittura il “ma
no ma si ma su ma dai” di una orribile canzone di tanti anni fa) e di riff altrettanto scontati (sempre ne
Il mio corpo o in Visto che te ne vai il riff sembra quello di tante famose canzoni dei Franz Ferdinand).
Il resto delle canzoni cercano di ricreare un mood alla Vasco Rossi (Una canzone d’odio e Esagerare
sempre) sia per il modo di cantare che per le intenzioni con, nel primo dei due brani un riff simil-
orientale alquanto discutibile. Alla fine dell’album ci sono Marco il pazzo, che quando parte sembra una
canzone de Il teatro degli orrori ma poi senza la rabbia verbale e musicale va a finire come una canzone
di Cristicchi, e poi Ci vuole stile in cui si prende in giro un modo di fare canzoni, ma onestamente
sembra e spero che sia più un’autocritica. Insomma i MaDeDoPo si sono trasformati nei Thegiornalisti,
ma io come sempre preferisco gli originali e soprattutto preferivo gli originali MaDeDoPo.
[5/10] • Piergiorgio Castaldi

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16 BF
Mòn
ZAMA
Urtovox, 2017

Lungs è l’apertura perfetta per il disco a tutti gli effetti, sia come
prima traccia che come singolo anticipatore dell’uscita dell’album. È
infatti un brano che racchiude l’ecletticità e l’approccio internazionale
dell’intero lavoro di questa giovane band di Roma dando subito una
chiara percezione dello stile e della stoffa che dimostrano di avere i Mòn.
Degni di nota sono gli intrecci vocali dati dalla voce calda di Stefano con
la voce più delicata di Carlotta che portano a delle preziose suggestioni
armoniche in contrasto alle linee musicali a volte sintetiche. The Flock è l’esempio migliore di questa
fantastica armonia vocale, che apre ad effetto senza essere circondata da altri strumenti se non dopo
l’attacco musicale da cui passa in secondo piano ritornando talvolta a far capolino. Anche Fragments
offre un’apertura più soft con la sola voce femminile che sfocia in un insieme di altri elementi come
linee di chitarra campionate e voci sintetiche stile Daft Punk. Non mancano le linee sperimentali come in
That Melts Into Springs, dove la chitarra accelera il ritmo base creando un bel groove anche con il basso
ed il cantato distorto. Sorprendentemente piacevole si rivela il refresh verso la fine di Indigo, come se
avessimo cambiato traccia senza accorgercene, ci catapultiamo da quello che sembra essere un classico
finale di traccia in nuovi giochi di ritmica e cambio di velocità ancora per qualche minuto. Nel complesso
Zama mescola finemente sonorità talvolta cullanti e talvolta più aggressive ed incisive con una bella
dose di carica da vendere ma ben equilibrata, viaggiando su una struttura dei brani originale e sempre
coinvolgente. L’ascolto è reso quindi molto piacevole e crea sicuramente la curiosità di sentirli dal vivo.
[7,5/10] Daniela Fabozzi

Orfeo
ARCADIA
Cane Nero Dischi, 2017

Cantautore sopraffino e delicato, abbandona nei suoi testi tesi e


casistiche di vita vissuta, con leggerezza e senza prendersi troppo sul
serio. A metà strada tra la vecchia scuola del cantautorato uderground,
troppo carico di aggettivi e argomentazioni dal linguaggio poco
comprensibile a molti, e le nuove leve dell’ indie patinato e scarno di
contenuti interessanti, Federico Reale è l’antieroe metropolitano, un pò
lo sfigato della situazione che però ha molto da dire. Il suo primo lavoro è datato 2014, l’ep ‘Sangue’
che gli permette di iniziare un piccolo tour nel interland lombardo. Segue Arcadia, un disco terso di
piccole emozioni, senza strafare e con un tappeto musicale pulito, essenziale e curato ma non in modo
artefatto (o fintamente approssimativo come nelle produzioni dell’indie moderno). La sua chitarra
distorta si identifica in atmosfere rock, a spingersi quasi al limite con noise, arricchendosi di accenni
elettronici che si mescolano alle parole e distorcendo l’armonia acustica del tutto. Intenzionalmente è
un disco ben strutturato e ricco di molti spunti positivi, all’ascolto risulta diretto e assolutmente fruibile
e diretto. Il disco è essenzialmente un viaggio tra paesaggi di campagna desolati e analizzando l’essere
umano in ogni sua peculiarità. Ne viene fuori un’analisi che contrappone situazioni e azioni, le casualità
affrontate dal in base al comportamento umano, un interessante punto di vista da analizzare. Apre ‘Io
che non sono il sole’ quasi concettualmente legato alla chiusura con ‘Voglio evitare il paradiso’, entrambi
pezzi degni di menzione. Come daltronde lo è ‘La mia forma migliore’. forma canzone se così possiamo
dire, arrangiamento rischiato, rispetto al resto del disco. Non disturba e si tiene abbastanza alla larga
da Calcutta e similar (nonostante venga citata nel disco la città) e non è affatto male. Lo collochiamo
sicuramente tra le cose interessanti da tener d’occhio. [6,5/10] • Maruska Pesce

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BF 17
One Horse Band
LET’S GALLOP!
Autoprodotto, 2017

Una one-man band che è anche un cavallo, perché chi l’ha detto che
solo gli uomini possono suonare blues? Let’s Gallop! Si apre con un
entusiasta commentatore del Kentucky Derby che afferma proprio
questo, mentre Declaration of Intent parte di scatto al colpo di revolver
d’ordinanza. Esperimento semiserio ma condotto con evidente
conoscenza dei mezzi espressivi di nicchia, One Horse Band espone la
propria mercanzia fatta di chitarre slide, accordature aperte, sventole
di grancassa e ululati che lasciano presagire intenti VM18. Un disco estremamente divertente,
insomma – veloce, sudato, fracassone, pieno di voglia di ballare, sballare e far festa. Il cavallo deve aver
studiato la scena nella quale è andato a inserirsi, da Bob Log III ai Blues Explosion, senza dimenticare
classici e mostri sacri quali Mississippi Fred McDowell o alcuni momenti particolarmente graffianti di
Sua Maestà Tom Waits. Attitudine punk, lo-fi e blues che One Horse Band spara a raffica dalle corde
maltrattate delle sue chitarre, con l’intento neanche troppo mascherato di far ballare le signore – e
convincerle a seguirlo nel backstage a concerto finito, probabilmente. C’è anche tempo per un paio di
escursioni nei territori del Folk-Blues acustico, nei quali il cavallo dimostra innegabilmente la propria
padronanza del linguaggio, riuscendo anche a incantare con Altare, pezzo di chiusura morbidissimo e
placido, quasi un’alba dopo una notte di bevute, balli, sesso e fracasso. [7/10] • Marco Petrelli

Nadsat
CRUDO
Upupa Produzioni, Oh! Dear Recordings, Toten Schwan Records, Koe
Records Low Profile, Vollmer Industries, È Un Brutto Posto Dove Vivere,
2017

Michele Malaguti (chitarre, Dronething, RTG) e Alberto Balboni


(batteria, gong), duo con base a Bologna, in arte Nadsat propongono
il loro fulminante secondo lavoro, Crudo. Niente voci, niente basso,
niente tentennamenti, ma un distorto, allucinato, grottesco viaggio
nel noise, nella sperimentazione, nella dimensione del math rock più estremo e corrosivo. Per farsi
un’idea basta ascoltare la macabra e ossessiva marcia di Novus col suo incidere sincopato e bizzarro,
che improvvisamente cede il posto ad una rincorsa sfrenata e tribale, interrotta dal pulsare di un
alfabeto cupo e alieno. Simili per effetto straniante e spiazzante l’oscura e industriale Umhlaba o
l’acida e allucinata Sivik, pezzi che travolgono l’ascoltatore. Linguaggi e stili decostruiti e rimescolati,
filtrati da una vera passione per la giustapposizione e il contrasto, dal prog all’alternative metal, dal
rock sperimentale al drone elettronico, ma senza orientarsi verso il pastiche, cercando piuttosto una
sintesi personale e uno stile. I brani conclusivi dell’album Droid e Dolimite rappresentano un più che
valido esempio di questo tentativo. [7/10] • Vincenzo Pugliano

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18 BF
El Matador Alegre
DREAMLAND
Cabezon Records, 2017

A ben cinque anni dal suo disco d’esordio Giuseppe Vallenari, in arte El
Matador Alegre, è tornato in studio per realizzare qualcosa che, come
lascia intuire il titolo, ha molto a che fare con atmosfere sognanti e
notturne. Atmosfere oniriche, rilassanti ed introspettive vengono infatti
mescolate con elementi elettronici ed alternative creando intrecci con
chitarra ed elettronica a volte cullanti e altre volte nostalgiche. La quiete
e le ritmiche acustiche conferiscono un approccio prevalentemente slow
all’ascolto, dove la chitarra ha un ruolo melodico e di accompagnamento ma assume anche funzione
ritmica a sprazzi. In generale c’è la giusta combinazione di elettronica, senza abusare o prevaricare le
sonorità più acoustic del disco che può essere identificato come indie folk, dai brani cantati in inglese
con una voce filtrata e alle volte pastosa che ben si presta proprio al genere acustico. Il brano che
probabilmente racchiude di più questo mix è I Am Legion, dall’incipit un po’ più black che apre a linee di
elettronica sempre più palesate verso la fine per poi passare ad un letto di chitarra fluida che è la linea
più presente nell’album. Le strutture dei brani non sono mai fisse ed inquadrabili, Dreamland si rivela nel
complesso piacevole all’ascolto ma allo stesso tempo niente di troppo accattivante o esaltante.
[6,5/10] • Daniela Fabozzi

Crivellator
RUMORE DE MERDA
Autoprodotto, 2017

Noise rap, gabber, noise core, rumorismo oppure se preferite “demenza


rumoristica in chiave sarcastica” (cit. da Pisellate sui denti) tutto questo
dalla profonda e paludosa provincia italiana, da Latina per la precisione.
In Rumore de merda c’è un uso esasperato di sintetizzatori, distorsioni,
effetti sghembi e dissonanti, ritmi martellanti e velocissimi, che pulsano
e battono nelle casse e soprattutto nelle orecchie di chi ascolta. I
padiglioni auricolari sono torturati senza pietà, anzi con gusto sadico
e dissacrante dall’ineffabile Crivellator (Fabio Crivellaro), provocatore fin dai titoli dei suoi pezzi, First I
masturbate a dog then i shake your hand (based on a true story) per esempio, o Sono andato con una
troia nigeriana e ho contratto l’Ebola, o KIAVT NFACC insopportabili quanto derisori e beffardi. Questo
è lo stile del nostro freestyler, prendere o lasciare. Musica e testi da non affrontare con serietà (ma
cosa c’è di più serio della demenzialità di questi tempi?), potrebbero divertirvi, di certo Crivellator si è
divertito moltissimo. [6/10] • Vincenzo Pugliano

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BF 19
VonDatty
NINNENANNE
Tsunami Station/Goodfellas, 2017

Secondo album del romano VonDatty, alle prese questa volta con un
lavoro introspettivo e notturno, meno urlato e sofferto del precedente
Madrigali, dai toni spesso personali, morbidi, quasi onirici, anche se
intensamente emotivi. La vena cantautoriale del musicista emerge
con prepotenza in brani quali Dalla carne, Non credere ai fiori, La
parte mancante, Ad ogni piccola morte, Il peso delle labbra, canzoni in
cui si parla di amore, di relazioni, di verità, ma senza sentimentalismi
e compiacimenti. Ne viene fuori la fragilità e al tempo stesso la forza dei legami e delle emozioni,
dalla passione alla disillusione, raccontate con sincerità e delicatezza. Motivi e sonorità più rock,
aspre e decise, si ascoltano in Wonderland e La pietà, quest’ultima con la partecipazione vocale di
Daniele Coccia dei Muro del Canto, e soprattutto in Grigio Perla, graffiante e dura, forse il pezzo più
convincente dell’album, sia nei testi e sia nelle atmosfere musicali, crepuscolari e tirate. Altro brano
molto intenso e oscuro è il coinvolgente Profumo con la partecipazione al canto di Sarah Moon.
L’album non appare del tutto omogeneo, variando per registri e tonalità, forse in maniera eccessiva,
ma VonDatty conferma la sua vena compositiva e la sua capacità di misurarsi con la forma canzone in
modo originale e sincero. [6,5] • Vincenzo Pugliano

33CL
TRENTATRE
Goti Records, 2016

“Sabrina vai di pompe al doposcuola” è la frase che più mi ha colpito


di Trentatre. Un fantastico strillo simbolo della stagione punk rock più
autentica, fatta di riferimenti sessuali e alcolici, turbe vere e immaginate,
che in questo album trova un fedelissimo amarcord. I 33 Cl sono una
compagine veneta di non arresi, tre minatori del quattro quarti a cassa
dritta punk che senza velleità menano duro su un territorio a loro
congeniale; il risultato è un lavoro musicalmente solido, che, come nei
capostipiti del genere, si rivela un perfetto stantuffo per l’espressione di
insofferenze sociali e personali. Senza fronzoli. Senza superare i 3 minuti a traccia. Un impatto di neanche
30 minuti complessivi che verrà sicuramente apprezzato da chi ricorda la propria turbolenza come ieri.
Da chi ripensa all’acne come il peccato originale di un’insoddisfazione ancora attuale. In definitiva, da chi
cerca nel punk un antidoto alle rotture di cazzo dell’età adulta. D’altro canto troverà in disaccordo coloro
che credono nell’evoluzione, nel cambio delle stagioni, nella perdita del pelo come abito della maturità.
Non sempre esistono soluzioni. E’ bello ricercare un pogo immaginario in cui i problemi possano essere
urlati senza la pretesa di analizzarne le cause. La rabbia mantiene giovani, a dispetto del tempo.
[6,5/10] • Pablo

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20 BF

EP
Fuco
ADDICTED
Smartz Records, 2017

Fuco, che si definisce “entità a 3-4 teste” è un esperimento


Piemontese, direttamente da Canavese, definita da qualcuno il cui
nome non sarà rivelato “il peggior posto della regione”. Non so quanto
quest’affermazione risponda a verità perché a Canavese non sono mai
stato, ma le tre tracce di questo snello EP comunicano innegabilmente
un certo senso d’oppressione e oscurità. Declinato fedelmente secondo
i canoni di un post-rock massiccio che strizza l’occhio tanto ad alcune
frange di metal d’ambiente quanto alla psichedelia (che il nostro elenca tra le sue passioni insieme
alla bagnacàoda). Il sound di questo lavoro è dilatato, solido e curato, ed è indirizzato verso involuzioni
ed evoluzioni che permettono ai pezzi di “respirare” e depositarsi con tutta calma nell’orecchio
dell’ascoltatore. Sarei curioso di sapere com’è fatto il “basso modificato” elencato tra le duties perché,
a primo acchito, ero convinto che ad arrotondare le note tenebrose dei Fuco ci fosse una canonica
Fender stra-effettata, pilastro del genere. L’unica pecca di Addicted è forse quella di dedicarsi a un
genere ormai un po’ logoro, e lo dico con la malinconica rassegnazione di un appassionato sull’orlo di
una precoce crisi di mezza età. Immaginate i Mogwai inchiodati al turno di notte della Thyssen, costretti
a tornare a casa nel buio, nella nebbia, e avrete un’idea di come suonano questi imenotteri sabaudi.
[6,5/10] • Marco Petrelli

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BF 21
Tartage
MY PERSONAL THOUGHTS
Qanat Records, 2017

Ep di esordio per il compositore parlermitano Lucio Giacolone in arte


Tartage per il suo progetto elettronico, in parallelo alla sua carriera di
bassista impegnato in progetti di matrice math rock.
My Personal Thoughts è un EP dalla canonica durata di 30 minuti dove
delle basi ritmiche ruvide fanno da contraltare al cantato e alla melodia
quasi eterea senza soluzione di continuità.
È forse la scelta di queste basi tracotanti a non far risaltare granchè l’EP,
spesso si ha la sensazione di una ricerca ritmica di ogni tipologia che stona, che attira l’attenzione su
un qualcosa di fine a sé stesso, non valorizzando il progetto. Pensieri personali, niente più.
[5,5/10] • Plasma

Wicked Expectation
FOLDING PARASITE
Autoprodotto, 2017

L’attenzione su questo EP non può che incentrarsi in principio


sull’artwork che lo racchiude, tra l’altro citato anche nella rubrica delle
copertine, dove strano a dirsi ma di più a realizzarsi viene reso grafico il
titolo dell’album “Folding Parasite”.
Per non essere da meno richiede per sè la stessa attenzione anche l’EP,
sotto forma di musica, ed i presupposti sono buoni.
Un inizio quasi dichiaratamente omaggio ai Radiohead post Kid A, con
un cantato alla Dan Black, lascia pregustare delle buone potenzialità, che intendiamoci, vengono
mantenute traccia dopo traccia, ma lasciando qualche riferimento che non lascia intendere mai
veramente l’anima del gruppo e dell’album stesso.
Album che si aggira tra rock ed elettronica con qualche accenno space, ricorda per certi versi una
versione più soft degli anch’essi torinesi N.A.M.B. ma senza lasciare al termine dell’ascolto un’impronta
veramente decisa di sé. [6/10] • Plasma

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33 GIRI DI PIACERE
SARAH RECORDS - L’ETICHETTA DELLE CILIEGIE

La Sarah Records per me è una scoperta molto recente. Conoscevo larga parte della produzione della
Factory e della Creation ma i dischi della Sarah mi mancavano completamente. Poi, grazie ad un amico,
ho saputo che a rappresentare il jangly pop, l’indie britannico e lo shoegaze c’era anche questa etichetta
fondata a Bristol nel 1987.

Nel mese di marzo del 2015, il New Musical Express definisce


Sarah la seconda più importante etichetta indipendente di
tutti i tempi. La ragione principale è la musica che ha prodotto
nei suoi quasi venti anni di esistenza ed anche il suo essere
stata fortemente anti-capitalista e contro la cultura del
collezionismo musicale. Per questa ragione, la produzione
della Sarah è piena di singoli usciti solo su cassetta, con scelte
fortemente anti economiche come quella di non mettere pezzi
inediti sulle compilation. I 7 pollici hanno delle copertine che
raffigurano luoghi di Bristol come stazioni ferroviarie e inoltre
costano la metà di quelli delle etichette simili.

Quando nel 1988 esce Shadow Factory, la prima compilation


che raccoglie i migliori singoli a solo un anno dalla fondazione,
Sarah Records spiega la sua missione politica. Si tratta di una
risposta agli “anni in cui i cd prendono il sopravvento e il vinile
muore, quando le major creano falsi etichette indie e l’indie diventa un genere e non un’ideologia (…)
gli anni di Margaret Thatcher, di John Major e della Clausola 28 (…), ossia quando la cultura dei ladri
prende piede”.

Che Clare Wass e Matt Haynes, i due fondatori, siano cresciuti a suon di fanzine è fin troppo evidente.
Un po’ come sta succedendo negli Stati Uniti in cui sul finire degli anni Ottanta sorgono diverse case
discografiche indipendenti, Wss e Haynes si legano completamente a quel modo di concepire la musica,
pur non prodicendo dischi punk hard-core ma bensì di
ottimo pop. Sempre nel presentare Shadow Factory (che
in copertina raffigura l’area portuale di Welsh Back), in
contrapposizione alla politica delle finte etichette indie,
i due spiegano che tra le tracce non c’è nessuna uscita
inedita proprio per non alimentare il mercato delle bonus
track.

LA MUSICA DI SARAH

La Sarah Records ha prodotto alcuni nomi minori


della scena indie degli anni Ottanta. “Jangly indie-pop
sensibility” la definisce sempre il New Musical Express.
Pur essendo, la produzione, un po’ povera, le compilation
Shadow Factory e Air Ballon Road rappresentano due
ottimi compendium. Molti gruppi infatti non sono riusciti
a realizzare interi lp ma bensì solo manciate di singoli qui

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26 BF
in larga parte presenti. Come per la più
nota Creation, Sarah produce gruppi
con una forte influenza Sessanta con
largo uso di chitarre, con melodie filtrate
attraverso sonorità post-punk e new
wave. Non mancano riferimenti a gruppi
molto popolari all’epoca come gli Smiths,
è il caso degli Another Sunny Day, e non
mancano anche esempi decisamente più
psichedelici come i Field Mice che a me
ricordano tantissimo gli Stone Roses.

Sarah crea quindi le basi per far esplodere


l’indie che negli anni Novanta raggiungerà
l’apice commerciale, piantando i germogli
di band che scaleranno le classifiche
come Blur, Oasis o Pulp, per citare i più
famosi.

DISCOGRAFIA ESSENZIALE
I dischi dell’etichetta sono difficili da reperire. In Rete si trova qualcosa, altro è stato ristampato dalla
Cherry Red Records. Oltre alle due citate raccolte, a seguire una mini - discografia essenziale da non
perdere.

Ochids - Lyceum
Sea Uchins – Stardust
Field Mice – For keeps
Another Sunny Day – London Weekend

Lorenzo Briotti

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BF 27

L’OPINIONE
DELL’INCOMPETENTE
“Chiedo scusa alla favola antica | se non mi piace l’avara formica | io sto dalla parte della cicala |
che il più bel canto non vende... regala!” da Filastrocche in cielo e in terra di G. Rodari

Caldo che non si riesce a dormire, che non si riesce KMFDM - Hau Ruck
a lavorare, che non si riesce e basta. Vi siete mai Insomma, nel duro mondo dello show biz, hanno
chiesti perché il mondo continua ad andare così avuto più “giri di do” che “giri in cui hanno preso”.
bene nonostante il caldo e tutto il resto? Beh, ve lo Io il disco lo trovo bello e con una sua originalità
dico io: un po’ per il diffondersi dei condizionatori, nonostante che i suoi ritmi ipnotici, il cantato
un po’ per il progressivo affermarsi di un solido moribondo e lo sferragliare distorto della chitarra
sistema di incompetenza. Nelle grandi democrazie sia qualcosa che ho già sentito spesso anche
e nei boards of directors delle grandi aziende ci altrove.
sono solo grandissimi incompetenti a ricoprire Il brano che mi è piaciuto di più in assoluto è il
i ruoli più importanti. Ricordo che al colloquio in n.5 Magnolia Caboose Babyshit (1:07) una breve
BF per l’assunzione sbaragliai la concorrenza e bellissima cavalcata mozzafiato (io l’avrei
quando alla domanda: “cos’è intitolata: Breathless Running)
il giro di do”? risposi: “il giro in dove la chitarra, protagonista
cui non si prende” (dieci minuti assoluto, parla proprio.
di applauso e standing ovation Gli altri pezzi nell’ordine in cui
della commissione). vengono proposti:
Il verduraio sotto casa mia che 1.This Gift (3:34) dal ritmo
invece era molto competente sincopato e ritornello in coro;
(tanto da riconoscere la 2.Flat Out Fucked (2:15);
frutta buona e consigliarla ai 3.Get Into Yours (3:50) bella
clienti) ha chiuso. Ma non c’è l’intro; 4.You Got It (2:50); 5.
problema, a tre isolati da qui è Magnolia Caboose Babyshit
sorto un’ipermercato francese (1:07) di cui abbiamo già detto;
di cinque piani aperto h24 che 6.Come to Mind (4:52) una
è superdotato, ovviamente, di aria condizionata. ballata lenta, i cori suggeriscono l’immagine di
Al reparto “frutta e verdura” c’è un settantenne qualcosa che riaffiora dai ricordi; 7.Here Comes
laureato in scienze delle comunicazioni con Sickness (3:41) con l’intro di chitarra distorta,
contratto giornaliero rinnovabile a raggiungimento la batteria e la voce malata; 8.Running Loaded
budget. Devo dire che non sa una mazza di frutta (2:50) dal ritmo incalzante, come una corsa che
e verdura, però riesce facilmente a convincerti che esplode nel ritornello; 9.The Farther I Go (2:07)
l’acquisto di pomodori fucsia a forma di cetriolo veloce e semplice, che resta in mente già dal primo
sia la scelta migliore che tu possa fare. ascolto; 10.By Her Own Hand (3:16) lenta e con
Bene, scusandomi per la breve digressione, vi la voce che cambia di tono; 11.When Tomorrow
parlerò ora dell’album “Mudhoney” dell’omonimo Hits (2:39) all’inizio non cantata ma parlata,
gruppo. Sembra che i Mudhoney, per rimanere lentissima, ipnotica, paranoica; 12.Dead Love
fedeli alla loro originale idea di musica (garage (4:27) a chiudere potente e abbastanza incaxxata.
rock) ed alle proprie inclinazioni, non abbiano Vi auguro una felice e incondizionata esistenza!
avuto lo stesso successo di altri gruppi come i Rubby
Nirvana, gli Alice In Chains, i Soundgarden.

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“CHI L’HA VISTI?”
Ovvero: Breve scheda di identità di gruppi inutili
scomparsi nel nulla e che (per ora) ci hanno risparmia-
to una reunion ancora più inutile.
a cura di Mazzinga M.

MAOW
Genere: Cuddlecore
Nazionalità: Canadese
Formazione: Corrinna Hammond (basso e voce); Neko Case (batteria e voce); Tobey Black (chitarra e
voce).
Discografia: I Ruv Me Too (Ep, 1995); The Unforgiving Sounds of Maow (Lp, 1996).
Segni particolari: da Meow a Maow ma mai Miao!
Data e luogo della scomparsa: 1997, presso la sede della “Vancouver Orphan Kitten Rescue
Association”.
Motivo per cui saranno (forse) ricordati: per essere state paragonate alle prime Go-Go’s.
Motivo per cui dovrebbero essere dimenticati e mai più riesumati: perché più che Go-Go’s erano
delle No-No’s!

EASY GOING
Genere: Disco.
Nazionalità: Italiana.
Formazione: Paolo Micioni (voce dal 1978 al 1979 e sostituito dal ballerino/cantante Russell Russell nel
1980); Francesco Bonanno (ballerino); Ottavio Siniscalchi (ballerino).
Discografia: Easy Going (Lp, 1978); Fear (Lp, 1979); Casanova (Lp, 1980); The Best of Easy Going (Lp
compilation, 1983).
Segni particolari: “E benvenuti a sti frocioni, belli grossi e capoccioni, e tu che sei un po’ frì frì, e dimme
un po’ che c’hai da dì!” (cit. film: Fracchia la Belva Umana)
Data e luogo della scomparsa: 1983, nella stanza di Gianni Boncompagni nel leggendario palazzo della
RAI in Viale Mazzini.
Motivo per cui saranno (forse) ricordati: essere stati prodotti da niente po’ po’ di meno che da un
Goblin come Claudio Simonetti. Che culo!
Motivo per cui dovrebbero essere dimenticati e mai più riesumati: aver dato l’idea a gente priva di
talento come, per esempio, l’ex 883 Mauro Repetto che si può essere in una band senza saper fare nulla.
Se non danzare come la versione drogata di un Herbert Ballerina nel film “L’uomo che usciva la gente”.

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