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L'antispreco è servito

Alessandra Mazzotta

ISBN: 9788865866221

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L'antispreco è servito

Ricette teoriche e pratiche contro lo


spreco alimentare

Alessandra Mazzotta

40k Unofficial

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L’antispreco è servito
Alessandra Mazzotta
© 2014 by 40k
Pubblicato nel mese di novembre 2014
ISBN 9788865866221
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This book was produced using PressBooks.com.

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Sommario

40k Unofficial
Econote
Antefatto, servito con mousse al profumo di ricordi
1. Un mondo di rifiuti commestibili: lo spreco alimentare a livello mondiale e italiano
2. Buoni in pratica: le buone pratiche antispreco
3. L'antispreco alimentare nelle parole (e nel piatto) degli esperti
4. Consigli smart per ridurre i tuoi sprechi alimentari
Sitografia
Ringraziamenti
Ti potrebbero piacere anche

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40k Unofficial

Tra editoria e self publishing, 40k Unofficial è una collana di


ebook pensata per prendere i testi lunghi per web e trasportarli
verso la lettura “lean back”, nelle circostanze comode e rilassate
che solitamente associamo al libro di carta.
Negli Unofficial, 40k si occupa del lavoro editoriale di
qualità. Ma non selezioniamo i testi: questi sono completa
responsabilità dell’autore.
Vuoi saperne di più?

L’antispreco è servito!
Cosa si intende per sprechi alimentari e che cosa possiamo
fare per ridurli, dal negozio alle nostre cucine? Che cos’è il
diritto al cibo e come se ne coltiva il rispetto? Quali sono le
buone pratiche antispreco che possiamo seguire o da cui
prendere spunto? E che cosa possiamo fare per regalare una
seconda vita ai nostri scarti alimentari?
Questo ebook è una guida teorico-pratica sull’antispreco di
cibo che definisce con precisione il perimetro del problema, ne
indaga i perché e ne propone il superamento, illuminando
esperienze e buone pratiche sia nazionali sia internazionali.
Grazie all’aiuto di contributi preziosi (da Latouche a
Ercolini e Pallante, da Bairati a Guglielminetti, fino alle
fondatrici del movimento Incredible Edible), Alessandra
Mazzotta offre alternative concettuali e pratiche che ci fanno
vedere il cibo in modo diverso, alternative che guardano alla
condivisione, all’autoproduzione, al riuso creativo anche dello
scarto alimentare. Perché forse ancora non tutti sanno che dai

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fondi del caffè possono nascere funghi commestibili, e che le
mele bacate, grazie alle ricette di Anna Blasco, possono
diventare un prelibato dessert.

Alessandra Mazzotta
Alessandra Mazzotta, giornalista e copywriter, si occupa di
comunicazione ambientale, pratica l’antispreco multiforme e
viaggia come ecoturista anche in sogno. Tra le altre cose, è
caporedattrice di Econote.it e cura il blog Ecoavoi.it.

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@alessandramaz Tutti a tavola, l’antispreco è servito!
Consigli utili e ricette per ridurre gli sprechi alimentari
#sprecoalimentare #cibo

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Econote ebook è la collana di libri digitali dedicati a temi green:
sostenibilità, decrescita, ecologia, stili di vita alternativi.
L’idea alla base della collana è che “un altro mondo è
possibile”. Giorno dopo giorno, attraverso il
sito www.econote.it, proviamo a raccontare storie da un mondo
più verde.
Nella forma ebook vengono approfondite queste tematiche,
in modo divulgativo e con una forte impronta narrativa.
Ebook semplici dedicati a temi importanti. Il nostro
obiettivo è stimolare alla riflessione su argomenti che,
schiacciati dalla morsa della vita quotidiana, spesso finiscono
per essere dimenticati. Impariamo a riappropriarcene.

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Antefatto, servito con mousse al profumo
di ricordi

Stavo seduta col broncio davanti a un fumante piatto di pasta


con piselli, al ritorno da scuola. Io fissavo lui, lui fissava me. Di
fronte a noi, mia nonna, che quel piatto lo aveva pensato,
comprato e cucinato, con amore.
- Dai, mangialo, ché ti fa bene.
- No, mi fa schifo.
- È buono!
- Allora mangialo tu.
- Pensa ai bambini del Biafra, quanto lo vorrebbero.
- Ecco, diamolo a loro perché tanto io non lo mangio.
La manfrina andava avanti almeno mezz’ora, identica
davanti a piatti a base di: spinaci, peperoni, broccoli, cavolfiori
e legumi vari. Intanto il cibo si raffreddava e mia nonna
cominciava a cedere:
- Dai, mangiane solo metà.
- No, è comunque mezzo schifo.
- Vuoi mica che lo butti?
- Sì, lo voglio.
- No, ti prego, che sennò è peccato.
Io la guardavo cocciuta (e affamata), pensando che la
strategia del patetico non mi avrebbe certo fatto cambiare idea.
E infatti il menu alla fine si trasformava in un panino con
stracchino e prosciutto cotto. Ma, senza immaginarlo, quelle
parole avrebbero comunque lavorato a lungo nel mio inconscio,
fino a diventare un disagio. Disagio nei confronti dello spreco in
tutte le sue forme – di acqua, energia, lavoro, talento, soldi,

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giustizia – e ovviamente di cibo, che a tutte è connesso.
È allora forse anche per liberarmi definitivamente dal mio
peccatooriginale che, dopo 18 anni di dieta vegetariana, scrivo
questo ebook teorico-pratico sul tema dello spreco alimentare.
Anzi dell’antispreco: piccolo manuale di idee, consigli e ricette
su come mangiare (quasi) tutto e non sprecare (quasi) niente.
Un prontuario arricchito dalla generosità di contributi
importanti da parte di esperti e amici che aiutano a comprendere
il fenomeno, la sua portata e i suoi impatti. E a porvi rimedio.
Il tutto lo servo con una piccola dedica, come antipasto: a
chiunque si impegni a cucinare qualunque cosa con amore, e a
tutte le persone che lo sanno riconoscere e onorare, fino
all’ultimo boccone.

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Un mondo di rifiuti commestibili: lo
spreco alimentare a livello mondiale e
italiano

1,3 miliardi di tonnellate di cibo gettati ogni anno nel bidone


mondiale dell’immondizia. Che vuol dire 1/3 di tutta la
produzione di cibo destinato al consumo umano. Sono questi i
connotati dello spreco alimentare globale, secondo il
Rapporto Food Wastage Footprint, pubblicato alla fine del
2013 dalla FAO.
Cibo buttato via in tutte le fasi della filiera agroalimentare,
nessuna esclusa: dal campo alla forchetta, senza troppi scrupoli.
Dimenticando forse che per produrre quel cibo vengono
utilizzati (leggasi sprecati) 250 Km3 di acqua e 1,4 miliardi di
ettari di terreno, e che vengono immessi in atmosfera 3,3
miliardi di tonnellate di gas serra all’anno. Sono gli impatti
ambientali, effetti collaterali a cui ancora dobbiamo sommare i
numeri enormi dello spreco economico e la vergogna
dell’ingiustizia sociale.
In un mondo paradossale in cui un miliardo di persone
soffre di fame e un altro miliardo di malattie connesse con
l’obesità, le distorsioni pesano troppo nel piatto e assumono un
sapore di immoralità: nei Paesi industrializzati, solo per fare
qualche esempio, si cestinano222 milioni di tonnellate di cibo,
che equivalgono – tonnellata più, tonnellata meno – alla
produzione alimentare disponibile dell’intera Africa sub-
sahariana.
D’altronde gli sprechi alimentari sono ovunque:

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dall’agricoltura alla produzione, fino alla distribuzione. Per non
parlare di quelli che avvengono a livello domestico, nelle nostre
cucine, sui cui antidoti concentrerò questo lavoro.
Analizzando gli sprechi alimentari domestici, i numeri
parlano da soli: nei Paesi in via di sviluppo gli sprechi
ammontano a 6-11 kg pro capite all’anno – ci dice ancora la
FAO – contro i 95-115 kg a persona di un europeo e di un
nordamericano. In una sorta di contrapposizione tra chi non ha
diritto al cibo e chi ha invece diritto allo spreco.

Il diritto al cibo e il dovere di non sprecarlo, intervista


a Lorenzo Bairati

Per comprendere meglio questo paradosso, chiedo aiuto a


Lorenzo Bairati, docente di diritto degli alimenti all’Università
degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.

Innanzitutto, come definirebbe il concetto di ‘spreco


alimentare’?
«Dal mio punto di vista lo spreco alimentare è ogni forma di
distorsione che ostacola il pieno raggiungimento del diritto al
cibo, inteso come nutrimento per il corpo e libertà della persona.
Lo spreco alimentare incide negativamente sulla dignità, sul

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rispetto della diversità culturale, sullo sviluppo della
personalità, sulla salute e l’integrità della persona».

Che cosa si intende per diritto al cibo?


« Il diritto al cibo è un’invenzione relativamente recente. È
collegato al diritto all’esistenza, ed è stato elaborato man
mano che il principio di solidarietà ha influenzato la costruzione
teorica dei diritti fondamentali.
Interpretato come diritto all’accesso al cibo, è stato inteso
in un primo momento come una conseguenza del dovere morale
degli Stati ricchi di esprimere una forma di sostegno e
solidarietà nei confronti dei poveri. In un secondo tempo non è
stato più inteso come puramente collegato alla benevolenza
altrui, grazie al lungo cammino che inizia con la Dichiarazione
universale dei diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite (1948) e
giunge alle Costituzioni contemporanee, fra cui spiccano quelle
di Brasile, India e Sudafrica, che hanno riconosciuto il diritto al
cibo come diritto fondamentale della persona».

Coniugare il diritto al cibo: food security, food safety e food


sovereignty. Ci può spiegare le differenze?
«Il diritto al cibo è il prodotto giuridico di un movimento volto a
assicurare la food security, sicurezza alimentare nel senso di
accesso fisico, sociale ed economico a un cibo sufficiente, sano
e nutriente, in grado di soddisfare i bisogni e le preferenze
alimentari necessari per una vita sana e attiva. Complementari
alla food security sono la food safety e la food sovereignty, la
prima intesa come salubrità degli alimenti rispetto ad agenti
contaminanti, la seconda come il diritto dei popoli al
controllo dei loro sistemi alimentari. Si tratta dei tre elementi
su cui si fonda l’alternativa al modello dominante per ciò che
riguarda agricoltura e commercio».

Diritto al cibo e dovere di non sprecarlo: come commentare?

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«La fame nel mondo non è determinata dalla scarsità delle
risorse disponibili ma dal modo in cui esse vengono prodotte e
distribuite. In questo senso il diritto al cibo ha una natura
essenzialmente politica, sia per il suo contenuto complesso, sia
perché chiama in causa le scelte individuali. Il dovere di non
sprecare riguarda in primo luogo la fase della produzione e
coinvolge una dimensione collettiva, incentrata sul rapporto fra
diritto al cibo e logica economica. D’altra parte, chiama in causa
ognuno di noi, al momento delle scelte di consumo».

Cosa intendiamo per sprechi alimentari: food losses vs


food waste

Se forse era immaginabile il malcostume dei Paesi


industrializzati, può magari stupirti che anche nei Paesi in via
di sviluppo si registrino grandi sprechi di cibo. Sono in verità
grandi perdite di cibo, le cosiddette food losses: perdite
imputate a monte della filiera agroalimentare, dalla semina alla
prima trasformazione agricola, dovute ai limiti nelle tecniche di
coltivazione, raccolta e conservazione del cibo, o a infrastrutture
inadeguate per il trasporto e l’immagazzinamento, oltre che a
fattori climatici e ambientali.
Food losses che si differenziano, secondo la definizione
proposta dallo Swedish Institute for Food and Biotechnology,
dai food waste, che sono invece gli sprechi di cibo che
avvengono nelle ultime fasi della filiera (durante la
trasformazione industriale, la distribuzione e il consumo finale),
quelli dunque più legati a fattori comportamentali. Di cui, come
abbiamo visto, i Paesi industrializzati detengono il record.

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L’abbondanza frugale e l’utopia della decrescita di
Serge Latouche

Ce lo possiamo permettere? Sono in molti a rispondere di no: il


nostro modello di sviluppo non è sostenibile, perché è costruito
su un assunto errato: le risorse naturali non sono infinite, ma
limitate, e di questo limite si deve tener conto per mettere un
freno allo sviluppo incondizionato e per rivedere l’essenza
stessa di un’economia misurata esclusivamente sulla crescita del
PIL e sull’aumento dei consumi, all’interno della quale dunque
gli sprechi sono ben accetti, ci mancherebbe.
Tra i grandi detrattori di questo modello, il filosofo
economista francese Serge Latouche, il maggior teorico del
pensiero della decrescita, incontrato a Torino in occasione della
presentazione del saggio “Ellul. Contro il totalitarismo tecnico”.
La sua idea? Costruire una società ecosocialista, basata sul
rispetto della natura, l’altruismo, la convivialità. In una parola:
decrescita. «Il progetto della decrescitaè un’utopia ,
un’utopia concreta e necessaria per non disperare, per ridare
speranza all’umanità – ammette –. La decrescita è una
scommessa in senso pascaliano: non sappiamo se si vince o si
perde, ma sappiamo che vale la pena tentare, per recuperare la
forza di sognare».
Come? Partiamo dalla pratica, dalle piccole cose
quotidiane: abbandonare l’abitudine di possedere un’auto
ciascuno, di sprecare, di acquistare cibo che arriva dall’altra
parte del mondo, rivestito di imballaggi in plastica. Insomma,
mangiare meglio, ma non mangiare meno.
La ricetta della decrescita non è una prescrizione a
sacrificio e rinuncia, ma un invito a stili di vita incentrati sulla
sobrietà, sul senso del limite per fronteggiare i problemi
ambientali e sociali del nostro tempo: «Dobbiamo tendere verso
una società frugale, guardando alla frugalità come condizione

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dell’abbondanza, come capacità di limitare la nostra dismisura,
la nostra avidità», conclude Latouche. Lo diceva anche un altro
rivoluzionario: la terra è abbastanza grande per soddisfare i
bisogni di tutti, ma non abbastanza per soddisfare l’avidità di
pochi. Parola di Gandhi, esatto.

Lo spreco all’italiana

Scattata la fotografia dello spreco alimentare globale, è bene


chiederci ora cosa succede a livello locale, per scoprire un’altra
istantanea ahimè inguardabile, tutta italiana. Nonostante la crisi,
noi italiani buttiamo via ancora troppo cibo: il 55% viene
sprecato nella filiera agroalimentare e il restante 45% nel
consumo domestico, mense e ristoranti compresi.
Ogni annolo spreco domestico ci costa più di 8 miliardi di
euro, tradotti in uno spreco settimanale medio di circa 630
grammi di cibo gettato al costo di 6,50 euro a famiglia
(Rapporto 2014 sullo spreco domestico di Knowledge for
EXPO).
La Cia (Confederazione italiana agricoltori) a maggio 2014
denuncia che ogni famiglia italiana in un anno spende
mediamente 515 euro in alimenti che poi non consumerà,
sprecando circa il 10% della spesa mensile. Che vuol dire oltre

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4mila tonnellate di cibo acquistate dai consumatori e buttate
ogni giorno in discarica, pari a 6 milioni di tonnellate in un
anno.
Uno degli studi più accreditati, anche se datati, condotto
dalla Fondazione Sussidiarietà con il Politecnico di Milano nel
2012, stima invece lo spreco domestico intorno all’8% della
spesa alimentare settimanale, per un valore di quasi 7
miliardi di euro l’anno.
Se gli esperti non si accordano ancora sui numeri, il motivo
è che non è poi così semplice ricavarli. Ma, a prescindere dalle
cifre, l’imperativo è comunque quello di ridurre gli sprechi, sei
d’accordo?
Cosa cestiniamo con più leggerezza? Un quinto del pane
comprato, il 4% della pasta, il 39% dei prodotti freschi (latticini,
uova, carne e preparati) e il 17% di frutta e verdura (fonte:
Cia). Certo, siamo più attenti e consapevoli di qualche tempo fa,
ma continuiamo a sprecare peccando di eccessi nel preparare o
servire le porzioni, acquistando troppo cibo che poi lasciamo
scadere nelle nostre dispense o perché non abbiamo ben
compreso (o letto) le indicazioni in etichetta.
Ti riconosci? Se sì, non disperare: non hai che da
cominciare, scegliendo di cambiare il tuo rapporto col cibo sin
da oggi. Imparando, innanzitutto a rispettarlo. Già, perché in
fondo (anche) di questo si tratta. «Il rispetto del cibo è un
valore essenziale, anche da un punto di vista filosofico”, ci
spiega Enrico Guglielminetti, direttore della rivista
SpazioFilosofico:
«Secondo il filosofo francese Emmanuel Lévinas il cibo
non è solo un mezzo per vivere, ma sempre anche un fine. Noi
non mangiamo per vivere, ma viviamo di – e godiamo di –
cibo, così come di aria, luce, sole. Ciò di cui godiamo non è
però solo un oggetto, perché è piuttosto “esteriorità”, qualche
cosa da cui dipendiamo, rispetto alla quale siamo passivi. Alla
esteriorità del cibo corrisponde allora la nostra passività, la

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nostra sensibilità. Il rapporto che abbiamo col cibo è analogo
al rapporto che abbiamo con gli altri: la mancanza di rispetto
per il cibo e/o per gli altri (di cui lo spreco alimentare, che
riduce il cibo a rifiuto, è un caso esemplare) nasce dal tentativo
di ridurre l’esteriorità a qualche cosa che sia in nostro possesso
o in nostro potere. Produrre rifiuti diventa allora un vizio,
l’opposto della virtù».

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Buoni in pratica: le buone pratiche
antispreco

Non ricordo di aver mai visto mia nonna o i miei genitori


buttare via del cibo avanzato. Male che andava, c’era sempre il
cane. Chi ha visto la guerra faceva così. Ma oggi dopo decenni
di vertigine consumistica, complici la crisi e forse una
maggiore coscienza, stanno fiorendo iniziative antispreco un
po’ a ogni latitudine.
Ecco qui una serie di progetti e buone prassidi riduzione
e/o recupero del cibo da cui prendere esempio per diventare
davvero più virtuosi. Da usare come fonte di ispirazione, senza
parsimonia.

Nella produzione di cibo


Il Banco Alimentare è nato negli Usa, poi diffuso anche in
Europa. Oltre a raccolte fondi tradizionali (come la “colletta
alimentare”), in Italia la Fondazione recupera eccedenze di
produzione agricola, industria alimentare, grande
distribuzione organizzata e canali di ristorazione per donarlo
a enti che danno assistenza a persone bisognose. Funziona come
un hub: le derrate sono raccolte in grandi magazzini, che le
smistano agli sportelli sul territorio.

Nella grande distribuzione organizzata


Last Minute Market, spin-off dell’Università di Bologna,
agisce su base locale per creare un collegamento sostenibile tra
le imprese che vogliono donare beni invenduti (o non
commercializzabili) a favore di enti caritativi. Il modello

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organizzativo non è l’hub, ma la rete: tutto funziona grazie a
una logistica efficiente, che tiene anche conto degli aspetti
nutrizionali, igienico-sanitari e fiscali.

Nella piccola distribuzione


Fa bene è un progetto nato in un quartiere di forte
immigrazione a Torino, da un’idea dell’associazione no profit
Plug, realizzato con la cooperativa LiberiTutti e il supporto
della Caritas Italiana. Il progetto prevede il recupero, lo
stoccaggio e la redistribuzione delle eccedenze alimentari
invendute del mercato di Piazza Foroni e delle donazioni
spontanee degli acquirenti (la ‘spesa sospesa’). Cibo
prevalentemente fresco (frutta, verdura e pane) che viene
distribuito in bicicletta almeno due volte a settimana alle
famiglie in difficoltà della zona, che in cambio ricompensano
la comunitàcon ore di lavoro nelle attività di quartiere.

Nella ristorazione
Pay As You Feel Cafe, aperto a Leeds dallo chef Adam Smith,
è un locale dove vengono serviti piatti a base di ingredienti
scartati dagli stabilimenti alimentari della città: dalla bistecca
alla zuppa, o semplicemente una tazza di tè. Non solo recupera
buon cibo prima che finisca in discarica, ma questo caffè sta
anche aiutando a nutrire la gente del posto più in difficoltà:
ognuno paga come può.
Il buono che avanza è una rete milanese di ristoranti ad
‘avanzi zero’: i locali che aderiscono al progetto
dell’associazione Cena dell’Amicizia Onlus propongono ai
clienti di portar via in una sorta di doggy bag il cibo e il vino
avanzati, informandoli sul valore sociale di questa scelta.
Dedicate al vino, le iniziative Portami via
(dell’Associazione Italiana Sommeliers) e Buta stupa, per
evitare lo spreco di vino al ristorante: la bottiglia non
terminata può essere portata via in appositi wine bag dai clienti

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(che per altro l’hanno pagata per intero).

Campagne antispreco
Love Food, Hate Waste, lanciata dal Waste & Resources
Action Programme, è una campagna per sensibilizzare cittadini
e aziende sulla riduzione dello spreco alimentare. Sul sito (in
inglese) si trovano suggerimenti pratici e gustose ricette.
Un anno contro lo spreco è la campagna di
sensibilizzazione intorno ai temi dello spreco lanciata da Andrea
Segrè e il suo Last Minute Market, promossa in partnership col
Parlamento europeo. È rivolta a cittadini, imprese e
amministratori di enti e comuni, che hanno anche la possibilità
di aderire alla Carta SprecoZero, impegnandosi da subito a
attivare buone pratiche sui loro territori.

L’antispreco nella fotografia


Si intitola Forgotten Meal la provocazione di Chiara Allione e
Luigi Ceccon, due fotografi che hanno dedicato al cibo
dimenticato una serie di desolanti scatti che ne immortalano la
metamorfosi in spazzatura. «Il lavoro nasce da una serie di
considerazioni sul cibo: la sua abbondanza (che diamo per
scontata), lo spreco quotidiano e l’evoluzione dell’immagine del
cibo nel mondo dei social network, diventata food
pornography», spiegano i due autori. Per una riflessione anche
estetica sullo spreco.

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Together, siti web e app per condividere il cibo

Se all’estero le esperienze di foodsharing che dall’online


migrano all’offline finendo nel piatto del vicino di casa sono già
realtà collaudate, finalmente cominciano a registrarsi anche in
Italia siti e applicazioni per la condivisione di cibo che
mettono in contatto l’offerta e la domanda, evitando lo spreco

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alimentare. Tra le esperienze all’estero, cito:
Il progetto USA LeftoverSwap è una app nata proprio per
donare cibo in avanzo. Disponibile in inglese e al
momento solo per dispositivi Apple, LeftoverSwap permette di
fotografare i propri ‘avanzi’ – intesi come cibi che per errato
calcolo non saranno cucinati, consumati o che stanno per
scadere –, e inserirli in un database completo di
geolocalizzazione per il loro ritiro.
Anche in Germania esiste un progetto simile:
Foodsharing.de è una piattaforma semplice, privata e
volontaria in cui, organizzandosi e dandosi appuntamento
attraverso il sito, i cittadini di sette città tedesche si scambiano
cibo in eccesso.
Simile a questi, il Casseroleclub di Londra, il Club della
casseruola: ci si registra online e ancora una volta sono la
geolocalizzazione e il concetto di vicinanza fisica ad aiutare a
condividere le porzioni extra.
E in Italia? Ecco qui:
I Food Share è una piattaforma web che permette a utenti
privati, rivenditori e/o produttori di offrire gratuitamente
prodotti alimentari in eccedenza a scopi solidali. Funziona per
territori: una volta registrati, ci si mette in contatto con un
sistema di messaggistica interna per organizzare la consegna o il
ritiro dei prodotti.
Bringthefood è un’app per web e mobile (Android) nata a
Trento, che permette a donatori – ristoranti, negozi di
alimentari, gastronomie e servizi di catering – di segnalare le
eccedenze di cibo alle organizzazioni umanitarie della loro
zona. Chi raccoglie e ridistribuisce gli alimenti visualizza su una
mappa le offerte disponibili, le prenota e si accorda per il ritiro
direttamente con il donatore.
NextDoorHelp è una piattaforma web gratuita di item-
sharing creata a Torino, che permette di regalare qualsiasi tipo

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di cibo o oggetto in buono stato prima che questo finisca in
discarica.
Ratatouille è invece una neonata app di Treviso con una
grafica accattivante: all’interno di un frigorifero virtuale
vengono visualizzati i prodotti in eccesso da donare. Grazie alla
geolocalizzazione è possibile visualizzare su una mappa i
frigoriferi più vicini e contattarli.

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L'antispreco alimentare nelle parole (e
nel piatto) degli esperti

Per saziarti di buone pratiche antispreco ho scomodato per


questo capitolo alcuni degli esperti più interessanti del
panorama anche internazionale, protagonisti di progetti
originali, che in queste interviste raccontano filosofia e scelte di
vita concrete. C’è chi non entra in un supermercato da anni, chi
si autoproduce completamente il cibo e chi dai fondi di caffè
ricava funghi commestibili.

Filiera corta e cibo autoprodotto, la ricetta antispreco


di Maurizio Pallante

La corsa è finita, volenti o nolenti prepariamoci a scendere. Il


modello della crescita è ufficialmente in crisi, del PIL dobbiamo
fregarcene, la politica – nella migliore delle ipotesi – è incapace
di indicare la strada giusta. E allora, dove andare? Avanti, ma
re-inventando vecchie e nuove vie, che ci portino a un ritorno
alla natura, alla sovranità alimentare, a relazioni umane fondate
sulla collaborazione e sulla solidarietà, a stili di vita alti ma
allo stesso tempo responsabili e rispettosi dell’ambiente e delle
sue risorse. Cibo compreso.
È questa la ricetta proposta dal Movimento della
Descrescita Felice, una ricetta che sa di rivoluzione economica,
ecologica, sociale e culturale, che impone di rivedere alcuni
paradigmi dati finora per scontati. Una rivoluzione dolce,
comunque, di cui ci parla Maurizio Pallante, fondatore e

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presidente del Movimento, concentrandosi sul problema dello
spreco alimentare, tra paradossi, rimedi e progetti di monasteri
del terzo millennio dove abitare il futuro. E magari, perché no?,
anche il presente.

Nei Paesi industrializzati, nonostante la crisi, si continuano a


sprecare alimenti perfettamente edibili tra le mura domestiche.
Quali sono le cause e le conseguenze di questo malcostume?
«Da una parte ci sono stili di vita irresponsabili, manca la
consapevolezza del legame tra cibo e stagioni, non viene data
sufficiente attenzione a quanto costa il cibo, produrlo,
distribuirlo. Per cui si spreca tanto, con impatti ambientali
altissimi dovuti anche all’aumento dei rifiuti, con tutto quello
che comporta.
Dall’altra parte, chi vende il cibo ha interesse a che se ne
venda e se ne sprechi sempre di più. L’agricoltura poi, tra
l’uso di concimi chimici e di monoculture che riducono la
fertilità dei terreni, si è trasformata in una vera e propria
‘industria estrattiva’ pensata per produrre il massimo dalla terra,
per vendere e guadagnare sempre più».

A che livello della filiera agroalimentare bisognerebbe


intervenire in modo incisivo per limitare gli sprechi?
«Dipende dal potere che uno ha di intervenire. Alcuni aspetti
attengono a scelte di carattere politico. Come Movimento della
Decrescita Felice noi possiamo influenzare l’ultimo anello della
filiera – i consumatori – attraverso la promozione
dell’autoproduzione, la messa in pratica di atti di
collaborazione che superino la competitività. Il nostro obiettivo
è quello di cambiare gli stili di vita e di comportamento delle
persone, cercando di dare una risposta positiva: la riduzione
delle spese alimentari secondo noi deve derivare
dall’autoproduzione, non certo dalla rinuncia al cibo.
L’idea è passare da un’agricoltura interpretata come

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‘industria estrattiva’ di risorse alla riscoperta della piccola
produzione contadina, con la vendita delle eccedenze, in
un’ottica di filiera corta come massima espressione della
sovranità alimentare a livello territoriale. Questo favorisce la
maturazione della consapevolezza e della responsabilità verso il
cibo, la crescita del rispetto nei confronti della terra e del
lavoro».

La politica appare inefficace nel contrastare lo spreco e, in


generale, nel sostenere una riconversione sostenibile
dell’economia. Perché? Da dove cominciare per invertire la
rotta?
«Meglio stendere un pietoso velo su questo aspetto: non c’è
sensibilità sul tema da parte della politica. Ma per fortuna più
attenzione arriva da associazioni di categoria e dalla società
civile, che sta sviluppando efficaci anticorpi, scegliendo di
partecipare a GAS (Gruppi di Acquisto Solidali) o ad
associazioni come la nostra.
Molto importante anche il lavoro che fanno progetti come
Last Minute Market, anche se sono una medicina rispetto a una
situazione di malattia che non possono curare. Intendiamoci,
sono molto utili da un punto di vista dimostrativo, ma il
problema è che occorrerebbe cambiare nel profondo la
struttura del modello agricolo, della distribuzione e dei
consumi. Solo così si potrebbe guarire il malato. Certo,
eliminare le cause è complicato, perché richiederebbe di mettere
in discussione l’intero sistema di funzionamento delle economie
delle società avanzate. Con tutti i paradossi connessi:
l’agricoltura non dovrebbe sprecare risorse, ma una riduzione
dello spreco comporta di conseguenza una riduzione del PIL,
mentre l’imperativo delle società avanzate è quello di farlo
crescere».

E dunque, come se ne esce? Quali sono le soluzioni proposte

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dal vostro Movimento?
«I nostri consigli sono quelli di puntare all’autoproduzione e
alla filiera corta, facendo magari un piccolo orto, anche sul
balcone, di partecipare ai GAS. Tra i nostri progetti ce n’è uno
che si chiama Università del Saper Fare, pensato proprio per
reimparare forme di autoproduzione legate all’agricoltura e al
recupero della socializzazione.
E poi c’è il progetto dell’Agrivillaggio di Vicofertile, in
provincia di Parma: un vero e proprio monastero del terzo
millennio che vede protagonista un produttore agricolo che sta
trasformando una parte della sua azienda in un insediamento per
60 famiglie, con obiettivi di autosufficienza alimentare e
energetica, un’impronta ecologica 1 e un’alta qualità della vita.
L’alta qualità della vita è molto importante, perché decrescita
non è patimento: la comunità si nutrirà con ottimo cibo di
prossimità, autoprodotto, che non sprecherà».

E lei, ha un suo consiglio personale da condividere?


«Io per esempio non entro in un supermercato da 5 anni. Non
ci vado perché in quei luoghi si compra di più, si è catturati
dalle offerte e i 3×2, finendo poi per sprecare cibo che in verità
non ci serviva. Sono il tempio dell’esaltazione dell’acquisto,
mentre invece bisogna cercare di ridurre l’assolutezza della
mercificazione. Sarebbe utile pensare che non siamo più nel
dopoguerra in una situazione di sovrabbondanza e che se
mangiassimo un po’ meno non ci farebbe certo male. I vecchi lo
dicevano: occorre alzarsi da tavola sempre con un po’ di fame,
mai totalmente sazi».

28
Incredibile Edible Todmorten, la favola del paese che
si mangia. E non spreca

Conosci la favola di Todmorten, il Paese Commestibile dove


il cibo è autoprodotto, raccolto e mangiato da tutti,
gratuitamente? L’ho raccontata in questo articolo, e la sintetizzo
qui per te, perché è una di quelle favole, pardon, cronache che
fanno bene all’umore, per non dire dell’ambiente, della salute,
delle relazioni sociali, dell’economia locale e della fiducia nel
genere umano.
Todmorten è una cittadina a nord di Manchester, che forse
pochi avrebbero cercato sul mappamondo se non fosse diventata
il campo (letteralmente) di una rivoluzione che sta passando alla
storia come Incredible Edible, incredibilmente commestibile.
Cioè? Tutti gli spazi verdi – dalle aiuole davanti alla stazione di
polizia fino ai giardini del cimitero – vengono coltivati con
prodotti locali e quello che cresce – fagioli, piselli, erbe
aromatiche – viene consumato dai suoi abitanti. Incredibile, no?
«Gli obiettivi del nostro movimento sono quelli di fornire
l’accesso al cibo locale per tutti, attraverso il lavoro comune,
la diffusione di conoscenze e competenze e il sostegno alle
imprese del territorio», spiegano le fondatrici. Con un ulteriore

29
ambizioso obiettivo, datato 2018: diventare la prima cittadina
autosufficiente dal punto di vista alimentare.
Ora, se ti stai chiedendo perché ne parlo qui, la risposta è
semplice: se il cibo è autoprodotto, difficilmente ti verrà in
mente di sprecarlo. Parola di Hilary Wilson, insegnante di
cucina e esperta di scarti alimentari, ‘bancaria’ della Banca del
cibo di Todmorten e volontaria del progetto Incredible Edible,
e Pamela Warhurst, ambientalista, attivista e co-fondatrice del
movimento.

Come definireste il concetto di ‘spreco alimentare’?


Hilary: «Qualsiasi cibo che viene prodotto e non consumato, per
qualsiasi motivo, è cibo sprecato».
Pamela: «Io lo intendo nel suo senso più ampio, non solo
‘avanzi‘ sprecati o cibo non consumato a casa, ma anche il cibo
scartato dal rivenditore e dal produttore».

Come si potrebbe evitare tanto spreco, secondo voi?


Hilary: «Per esempio abolendo nel Regno Unito le leggi in
materia di etichettatura come il ‘vendere entro’ una certa data,
o vietando le leggi comunitarie sugli standard dimensionali
per frutta e verdura. Bisognerebbe poi rendere illegale ai
supermercati la possibilità di annullare i contratti con i
coltivatori senza una buona ragione e impedire loro le offerte
promozionali. Infine, occorrerebbe fornire istruzione e
formazione (dalla scuola in su) sullo spreco alimentare e le
autorità locali dovrebbero imporre prelievi finanziari pesanti per
il trasporto dei rifiuti alimentari e per l’utilizzo di impianti di
discarica».
Pamela: «Aumentando la consapevolezza, mostrando
alternative alla produzione dei rifiuti alimentari. Investendo nei
metodi e nei sistemi per renderlo possibile».

Pensate che lo spreco sia uno degli effetti collaterali del nostro

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sistema economico?
Hilary: «Il problema dei rifiuti alimentari è quasi interamente
dovuto alla globalizzazione dell’industria alimentare. I
supermercati hanno il controllo totale sulla crescita, la
distribuzione, i prezzi, la pubblicità del cibo e hanno un
immenso potere anche sulle decisioni del governo. In più il cibo
‘cattivo’ è troppo a buon mercato e il cibo ‘buono’ è invece
troppo costoso. La pubblicità commerciale porta poi i
consumatori a credere che sia indispensabile scegliere tra tante
opzioni».
Pamela: «Secondo me lo spreco alimentare è un effetto
collaterale del distacco, dello scollamento dalla responsabilità
ambientale e sociale».

Quali sono gli sprechi alimentari che più vi indignano?


Hilary: «Come vegana, lo spreco di cibo che mi fa più
arrabbiare è l’uso del grano destinato all’alimentazione degli
animali d’allevamento, quando la stessa quantità di grano data
alle persone potrebbe sfamare il mondo! E mi fa anche
arrabbiare il fatto che la gente pensi che se può permettersi di
comprare il cibo, può poi farne quello che vuole, può dunque
anche permettersi di buttarlo. Tutto il cibo deve essere trattato
con rispetto e pensato come un bene molto prezioso, non solo
come un diritto».
Pamela: «Quello che più mi indigna sono i rifiuti prodotti
nella fase della coltivazione, dovuti a richieste ridicole dei
consumatori e alla mancanza di infrastrutture adeguate, così
come la produzione di rifiuti nella fase di vendita dei prodotti al
pubblico».

Ci date una ricetta o un consiglio antispreco che possiamo


mettere in pratica sin da oggi?
Hilary: «Perdere l’intermediazione dei supermercati,
innanzitutto. Il mio consiglio è quello di aiutare le persone a

31
saperne di più sulla provenienza degli alimenti che compra, su
come cucinarli e utilizzarli. E di dedicarsi alla raccolta – di frutti
di bosco, funghi, foglie di insalata, per esempio –, perché è un
aspetto molto importante dell’educazione alimentare ed è una
politica efficace che abbiamo già sperimentato».
Pamela: «Adottare l’approccio proposto da Incredible
Edible, dando il giusto tempo perché attecchisca. Non è però
una soluzione rapida e fino a che non diventerà un vero e
proprio stile di vita, temo che possa essere solo un ‘approccio
cerotto’, un palliativo».

Rossano Ercolini e la seconda vita dei fondi di caffè

Concludiamo il capitolo con una tazzina di caffè. E con un


progetto che parte proprio dai suoi scarti, quelli che Rossano
Ercolini, papà (tra le altre cose) della strategia Rifiuti Zero e
vincitore del Goldman Environmental Prize 2013, definisce
‘l’oro nero’: i fondi del caffè. Ottimi come substrato per far
crescere i funghi commestibili Pleurotus Ostreatus, ovvero
proteine a basso costo a partire da un rifiuto aureo.
Lo hanno sperimentato in una scuola di Capannori, nel
Lucchese, col progetto Dal caffè alle proteine, realizzato

32
dal Centro Ricerca Rifiuti Zero, di cui Ercolini è coordinatore,
insieme all’azienda Usl 2 di Lucca. Con risultati da 10 e lode:
con i 100 kg di fondi di caffè (da moka o macchina da espresso)
consegnati dalle famiglie dei 190 bambini coinvolti sono
stati prodotti più di 30 kg di funghi solo dal primo raccolto. A
cui ne sono seguiti un secondo e un terzo, seppur inferiori come
portata. E, una volta esausto, il substrato è diventato torba
pregiata, compost perfetto per un progetto di orto scolastico.
«Se si considera che ogni persona adulta produce in
media 75 kg di fondi di caffè all’anno, si comprende
l’importanza di questo progetto – spiega Ercolini –, che, se
esteso su larga scala, potrebbe avere molti benefici». L’idea,
dopo questa prima fase sperimentale, è infatti quella di
sviluppare una start-up aziendale per progetti che prevedano la
vendita di kit per funghi home-made attraverso la grande
distribuzione, la produzione di funghi freschi destinati ai GAS e
alla ristorazione a km zero.

Lo so, adesso ti stai chiedendo come far nascere i funghi a


casa tua. Niente di complicatissimo: ogni kit è composto per il
90% dai fondi di caffè freschi (che hanno al massimo tre
giorni), un po’ di segatura come strutturante e il micelio, cioè i
semi dei funghi, da acquistare nei negozi di agraria (o anche sul
web).

33
Posiziona il kit al buio per circa 25-30 giorni, in un
sacchetto di nylon chiuso, a una temperatura tra i 20 e i 24
gradi. Una volta che il micelio abbia invaso l’intero substrato,
sposta il tutto in un sacchetto di carta con due finestrelle, e
sistemalo in un punto mediamente illuminato, ricordando di
bagnarlo periodicamente. Dopo circa 7/10 giorni spunteranno i
primi funghi, che saranno pronti per la raccolta dopo 3/4
giorni. Ricorda che seguiranno uno o due raccolti prima che il
kit diventi ‘solo’ ottimo fertilizzante per le tue piante.

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Consigli smart per ridurre i tuoi sprechi
alimentari

Metabolizzato il quadro della situazione, assaporato qualche


utile modello ispiratore, continuiamo il percorso con consigli
smart da mettere in pratica sin da oggi, per fare tutti,
attivamente, la nostra parte. Scoprendo che consumatori
virtuosi – se non lo si nasce – lo si diventa.

Decalogo antispreco
Ecco innanzitutto un semplice decalogo smart antispreco, da
usare tra cucina e negozio. Approvato da tutte le nonne italiane.

1. Pianifica unmenu per i prossimi pasti, tenendo conto di


quante volte mangerai a casa e di quante persone dovrai
sfamare
2. Apri frigorifero e dispensa e controlla cosa manca. Dato
che ci sei, metti in prima fila i prodotti vicini alla scadenza,
per consumarli prima
3. Fai la lista della spesa prima di fare la spesa
4. Compra solo quello che pensi di consumare. Non
lasciarti tentare troppo dalle offerte 3×2 e non far la spesa
quando hai fame: sarai portato a comprare di più!
5. Controlla le date di scadenza dei prodotti che acquisti
6. Conserva in modo corretto il cibo tarando il frigorifero a
+4 gradi e leggendo con attenzione cosa riportato sulle
etichette alimentari
7. Servi porzioni modeste: c’è sempre tempo per fare il bis
8. Riutilizza il cibo che hai avanzato: puoi congelarlo o

35
creare nuove ricette nei giorni successivi. Gli avanzi
andrebbero riposti in frigorifero e consumati entro 48 ore.
Alcuni alimenti sono sicuri anche dopo 3-5 giorni, ma più si
temporeggia, più alto è il rischio di intossicazione
alimentare
9. Condividi! Hai comprato/cucinato cibo in eccesso?
Condividilo con amici, vicini di casa o su siti web e app
dedicati
10. Fidati dei tuoi sensi: olfatto, vista e gusto: se qualcosa non
ti convince, meglio non rischiare! Gettalo nel secchio
dell’organico, o fallo diventare compost domestico

Le etichette: da leggere con attenzione. E gli occhiali da vista


Inforca gli occhiali perché sulle etichette alimentari sono
presenti indicazioni molto importanti, da seguire con attenzione
per conservare e consumare i prodotti in modo corretto.
Fondamentali, innanzitutto, le diciture ‘consumare entro‘
o ‘data di scadenza‘ presenti sul packaging degli alimenti
altamente deperibili, perché significano che dopo la data
indicata quei prodotti vengono considerati insicuri per il
consumatore. È il caso di alimenti freschi come uova, latte,
carne e pesce, per esempio, che sono da evitare se scaduti.
Quando un avverbio fa la differenza. La data ‘
preferibilmente entro ‘, invece, si riferisce a una durata
minima degli alimenti a lunga conservazione : ha un valore
orientativo perché dopo tale data i prodotti sono ancora
commestibili, ma possono registrare un lento decadimento
nutrizionale e organolettico (gusto, consistenza, etc.). Questa
indicazione è tipica degli alimenti a lunga conservazione come
pasta, riso, sughi, marmellate che vanno preferibilmente
consumati entro la data indicata, ma con una tolleranza anche

36
ampia, in alcuni casi addirittura di qualche mese.
Poi, certo, ci sono i singoli casi. Per quanto riguarda lo
yogurt, per esempio, lo si può consumare anche dopo 7-10
giorni dalla data indicata dal produttore se la confezione non
presenta rigonfiamenti e se non sono visibili muffe. Ma più si
tergiversa, meno fermenti lattici vivi rimarranno.
Capitolo ‘barattoli e scatolette aperti‘ (salse, marmellate,
legumi, tonno, pelati): leggi cosa recita in materia di
conservazione l’etichetta. Le diciture ‘dopo l’apertura
conservare in frigorifero‘ e ‘dopo l’apertura consumare
entro x giorni‘ sono consigli che è bene seguire, perché i
prodotti dopo quel periodo subiscono un rapido decadimento
organolettico e l’incremento della carica microbiotica può
essere molto rapido.
Se poi sono presenti muffe sulla marmellata dimenticata,
arrenditi anche se lo strato ti sembra superficiale e scegli tu se
cestinarla nel bidone dell’organico o se destinarla al compost
domestico.

Da sedano nasce sedano: i miracoli della natura


Apri il frigorifero e le ante del mobile della cucina e elenca
quello che sta per diventare scarto alimentare. Niente sconti, che
mi dici delle patate e dell’aglio germogliati? E che farai di quel
gambo di sedano avanzato dal pranzo? Da rifiuto a risorsa, la
natura ha del miracoloso.
Lo sai, per esempio, che dasedano nasce sedano? Già,
questo ortaggio è capace di ricrescere facilmente a partire dal
proprio gambo. Prova: dopo aver tagliato e mangiato le coste,
conserva 5 centimetri di gambo, posizionalo in un piattino con
dell’acqua in una zona soleggiata e attendi l’inizio dello
sviluppo delle foglioline, prima di trasferirlo nell’orto o nel vaso
sul balcone.
Procedimento identico per i cipollotti. E per il cespo

37
diinsalata.
Lo spicchio d’aglio germogliato e le patate (tagliate in
parti, ognuna con germoglio) andranno invece interrati: si
svilupperanno nel terreno e nel giro di poco tempo potrai
raccoglierne di nuovi. Meraviglioso, no? E a costo zero.

L’antispreco è servito: il menu della food maker Anna Blasco


Siamo arrivati all’ultimo ostacolo, quello che ti consacrerà
definitivamente Esperto dell’Antispreco. Per superarlo,
chiamo in soccorso un’amica, dato che le mie competenze
culinarie lasciano parecchio a desiderare (cucino tutti i giorni,
sì, ma cibo commestibile, nulla di più). Allora, sei pronto?
Indossa un grembiule da cucina, perché dovrai realizzare alcune
ricette ideate per l’occasione dalla vulcanica food stylist & food
maker Anna Blasco, cuore e cuoca a Torino dell’associazione
Qubì e di Gaia Ecobanqueting.
Per te ha immaginato 4 piatti da preparare con ingredienti
comuni, che spesso giacciono dimenticati sull’ultimo ripiano
della credenza: assemblati con un pizzico di fantasia formano
un menu inconsueto per 2 persone, capace di stupire anche i
palati più scettici.

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Antipasto The Day Before:
Plumcake di legumi e verdure
- 1 tazza di ceci o fagioli cotti
- 2 uova
- 1 tazza di latte
- 1 tazza di farina tipo 0 (o qualsiasi altra farina)
- salvia e rosmarino qb
- 1 scalogno
- cime di cipollotti
- 1 tazza di verdure avanzate tagliate a cubetti
- olio evo qb
- sale e pepe qb
Fai un soffritto con lo scalogno, le cime dei cipollotti, la
salvia e il rosmarino tritati finemente, unisci una tazza di cubetti
di avanzi di verdura. Aggiungi i legumi, le uova sbattute, il sale,
il pepe, la farina e infine il latte a filo. Fodera con carta da
forno uno stampo da plumcake e versa il composto. Inforna per
30 minuti a 180 gradi. Ottimo servito tiepido con un’insalatina
di stagione.

39
Primo primaverile con ensemble di ingredienti ‘Non ti
scordar di me’:
Lasagnetta con viole mammole e formaggi recuperati
- 1 confezione di lasagna fresca
- 8 viole edibili
- 1 tazza di scarola (o cicoria) “dimenticata in frigo”
- 20 gr di burro
- 1 cucchiaio di farina tipo 0
- 1 tazza di latte
- 150 gr di rimasugli misti di formaggio
- olio evo qb
- sale e pepe qb
Prepara la besciamella: in una casseruola fondi il burro,
unisci la farina setacciata e il latte a filo, mescola bene con una
frusta per evitare la formazione di grumi; aggiungi sale e pepe.
Lava e monda la scarola e falla saltare in poco olio evo.
Prepara la lasagna adagiando i singoli fogli su una teglia,
farcisci ogni strato con le verdure saltate, i tocchetti di
formaggio recuperati e la besciamella. Sull’ultimo strato adagia
le viole. Copri con carta stagnola per evitare che i fiori si
secchino troppo e cuoci in forno per 20 minuti a 180 gradi.
Se hai avanzato semi (dal sesamo al papavero), falli tostare
in padella e versali sulla lasagna come guarnizione prima di
servire.

Secondo con Minestrone Reloaded:


Spiedini di polpette di minestrone
- 1 tazza di minestrone di cereali e legumi avanzato
- 1 uovo
- 2 cucchiai di pan grattato
- erbette aromatiche a piacere qb
- olio di semi per friggere qb
- sale e pepe qb

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In una ciotola sbatti l’uovo, unisci il minestrone del giorno
prima (scolato) e il pan grattato. Mescola per rendere il
composto omogeneo. Forma delle polpettine e friggile a
immersione in abbondante olio ben caldo: scola e aggiungi sale.
Servile calde infilzate con spiedini.
Puoi anche preparare le polpette al forno per renderle più
leggere, adagiandole su carta da forno in una teglia e
cuocendole per 15 minuti a 180 gradi.
Dolce di mele d’antan:
Mele con cannella e uvetta
– 3 mele bacate
- 1 cucchiaio di miele o zucchero di canna
- un cucchiaino di cannella
- un cucchiaio di uvetta
Lava e pela le mele (se non sono biologiche). In una
casseruola dai bordi alti cuoci per 10 minuti a fuoco medio le
mele con la cannella, l’uvetta precedentemente ammollata in
acqua tiepida e lo zucchero. Puoi anche servirle aromatizzate
con fiori di lavanda.

Ora tocca a te. E buon appetito!

Se il Menu Antispreco ti è piaciuto, non fermarti qui: crea


altre ricette o scoprile sul sito Love Food, Hate Waste (in
inglese). Oppure leggi i libri e il blog Ecocucina
dell’ecofoodblogger Lisa Casali, che, folgorata anni fa da un
carciofo, ha fatto sua la nobile missione di trasformare gli scarti
alimentari in deliziose eco-ricette. Perché le piccole virtù si
coltivano anche davanti ai fornelli. E sono contagiose. Allora,
buon appetito!

41
Sitografia

www.aisitalia.it
www.bancoalimentare.it
www.barillacfn.com
www.bringfood.org
www.butastupa.net
www.casseroleclub.com
www.cia.it
www.decrescitafelice.it/
www.ecoavoi.it
www.ecocucina.org
www.econote.it
www.eufic.org
www.fabene.org
www.fao.org
www.foodsharing.de
www.ifoodshare.org
www.ilbuonocheavanza.it
www.incredible-edible-todmorden.co.uk/
www.lastminutemarket.it
www.leftoverswap.com
www.lovefoodhatewaste.com/
www.nextdoorhelp.it
www.ratatouille-app.com
www.rifiutizerocapannori.it/rifiutizero/
www.sik.se
www.unannocontrolospreco.org

42
Ringraziamenti

Un grazie – in ordine di apparizione – alla redazione di Econote


per l’occasione che mi ha offerto, all’amica Anna Blasco, a
Maurizio Pallante, Hilary Wilson, Pamela Warhurst, Estelle
Brown, Lorenzo Bairati, Enrico Guglielminetti, Rossano
Ercolani, Christian Racca, Serge Latouche, Chiara Allione e
Luigi Ceccon per la loro squisita disponibilità. A Giorgio
Cattaneo, maestro di parole e generosità e Rachel Morris per
l’aiuto nelle traduzioni. E infine a Erri e mia sorella, e loro
sanno perché.

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