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"Ama e fa' ciò che vuoi"

par Pier Paolo Ottonello


Professeur de philosophie à l'Université de Gênes, doyen du Disspe,
dir. de Filosofia Oggi, Riv. Rosm. Di filosofia, Studi Europei et Studi Sciacchani

Se confrontassimo l'interpretazione piú immediata e corrente dell'espressione


"ama e fa' ciò che vuoi" con quella presumibilmente piú approssimata al significato che
essa assume in Agostino, potremmo avere, con ciò stesso, la proporzione della distanza,
drammaticamente immane, fra il nostro piú comune e normalizzato sentire e agire e quello
'normale ontologicamente', ossia adeguato alla norma oggettiva metafisica: senza la quale
non può essere né può essere concepibile nessuna forma di ordine, se non ridotto a minimi
termini convenzionalistici — a livello di norme di comportamento, omologate, poniamo,
a regole stradali o a istruzioni e procedure di funzionamento della qualsiasi macchina.
Infatti la lettura immediata e generalizzata dell’espressione agostiniana
sostanzialmente la riduce al significato del tipo: “in amore tutto è consentito”;
naturalmente, sia prescindendo da vincoli matrimoniali, sia includendoveli. Nel secondo
caso, l'interpretazione, pressoché universale, suona pressappoco: la qualsiasi forma di
vincolo matrimoniale non è che la sanzione pubblica della liceità di tutti gli usi del corpo
e della persona propria e del coniuge, senza nessun limite o legge, eccetto forse quanto
attiene ad un sufficiente consenso reciproco. Un po' come dire: se due assassini operano
in perfetta consonanza e i loro delitti perfetti restano occulti, non scoperti, dunque non
pubblici ma solo nell'ambito della privacy, la società che costoro costituiscono si può
considerare una società perfetta.
L'interpretazione piú prossima allo spirito agostiniano, quale che sia, è comunque
lontana le mille miglia da quelle di questo tipo. A cominciare dalla ragione fondamentale
per la quale la lettura piú corrente che ho cercato di sintetizzare normalizza lo scambio
fra isolati e singoli aspetti dell'amore — quasi frammenti o schegge piú o meno
violentemente separati dal suo centro sostanziale — e l'interezza e pienezza dell'amore.
Oltre che normalizzare lo scambio fra parte e intero, è lettura che si colloca al di qua di
ogni e qualsiasi problematizzazione di tale scambio; che è riduttivo e distruttivo, quanto
piú se ne corre al ritmo del refrain "cosí fan tutti", che è alibi fra i piú facili e menzogneri.
È evidente che, a tale livello, siamo infinitamente al di sotto della qualsiasi forma tanto
di paganesimo quanto di primitivismo, perché siamo al di sotto della stessa animalità: i
figli fioriti dell'oltreuomo si manifestano per quel che sono, cioè sub-bestie.
Infatti sappiamo tutti come, ad esempio, la classicità pagana sempre
nettissimamente distingua e separi l'eros pandemio, o comune e volgare, ridotto a
carnalità infima, e comunque in qualche modo mercenario, in quanto sostanziato di
mercato di scambio di piaceri, e dunque assoggettato alle schiavitú di impulsi e abitudini;
per di piú, questo scambio è, almeno potenzialmente, sollecitato, nelle sue forme piú
esasperate, dalla disperazione che è connessa ad una concezione della vita come intreccio
di realtà sensibili e della vita sensuale come inesorabilmente breve, subito incombendo la
sua fine per l’imprevedibilità e inevitabilità della morte. In fondo, l'uomo carnale,
o sarchico paolino (Rom. 14) include sia il pagano eros pandemio, sia ogni forma di
amore diminutivo di sé, in quanto "lacera" (sarcazo, sarcòs) la persona e la riduce a sue
parti o brandelli, tendendo a dimenticarsi dell'intero, sino a dimenticare sostanzialmente
la dinamica ontologica della perfettibilità e della perfezione che costituisce la persona.
In Platone stesso l'amore è concepito essenzialmente come desiderio di interezza,
di compimento perfetto (Simp. 192e); è dinamica di superamento e di ascensione infiniti,
verso la pienezza della vita e dello spirito. Perciò Eros innalza oltre ogni misura, supera
la ragione stessa in quanto ascende al Bene sovrasensibile, che muove e ordina l'universo
(Fedr. 237 ss.). Il dantesco "amor che muove il sole e l'altre stelle" è piuttosto di risonanza
aristotelizzante e tommasiana. Sebbene, come è noto, Tommaso incentri la tematica
dell'amore sulla dualità dell'amore di Dio come congregativus e dell'amore di sé
come disgregativus, in quanto la fonda fra l'altro sulla concezione della volontà come
ontologicamente amativa universalis boni e dell'intelletto come essenzialmente
intellezione dell'ens universale. Certamente il Simposio di Platone contiene anche
un’incomparabile inno all’amore: e di autentici inni all'amore e alla carità abbiamo
bisogno e necessità crescenti: tanto piú per la crescente e normalizzata pervasività e
invasività delle forme dell'amore piú parziali, lacerate, deteriorate e deterioranti.
Il Simposio offre la pienezza e completezza razionale, poietica e paidetica, della realtà e
dell'idealità dell'amore: il Cristianesimo la assume nella sua interezza e perfezione.
Platone infatti sottolinea anzitutto che «stacchiamo una sola specie di amore e la
chiamiamo Amore, imponendole il nome dell'intero»: che è infatti l'operazione principale
e piú comune che rende la realtà dell'amore e la parola amore massimamente equivocabili
ed equivocate, corrotte fino alla peggiore degenerazione. È appunto la dinamica riduttiva
che svilisce e annichila l'amore perché ha già avvilito e disgregato la persona. Invece in
Platone campeggia Eros come desiderio di bene e di felicità: eterni, nell'immortalità.
Perciò Eros è assunto come l'interprete, il mediatore per eccellenza, in quanto trasmette
agli dèi le cose degli uomini e agli uomini le cose degli dèi: a questo titolo può
considerarsi il culmine e la pienezza della rivelazione naturale. E, di piú, quasi una
profezia di Cristo stesso, in quanto Eros è caratterizzato da Platone come colui che è
sempre povero, pur senza essere né ricco né povero, e, insieme, è il piú ricco della
ricchezza maggiore, poiché conduce a giustizia e bellezza e libertà e felicità eterne, sia lo
spirito che il corpo; ed è perciò il fuoco che tempra e ordina la società ottima; e, infine,
per realizzare tutto ciò, è disposto a morire per tutti.
È fuor di dubbio che la cristianità, dai primi martiri alla patristica, da Agostino a
Tommaso, ha generato fioriture splendide e fecondissime di forme nuove del Cantico dei
cantici, da Bernardo ai Vittorini e a Bonaventura. Successivamente, Ficino, Bruno,
Spinoza, romanticismo e idealismo, variamente attraverseranno, con residui piú o meno
riduttivi, le conseguenze della piú grande prima crisi della cristianità, dopo il primo
millennio, a ridosso del grande scisma, premessa dello scisma avignonese e poi di quelli
riformati. Ma è noto anche che tra i frutti degli sviluppi del nominalismo, che è alla radice
di tali scismi, almeno dal secolo XII, con il ciclo di Tristano, l'accezione crescentemente
dominante dell'amore diviene quella neopagana dell'amore passione. La sua ascesi
capovolta è quella che conduce dall'adulterio mitizzato alle sofferenze conseguenti, che
sboccano nella necessità tragica della morte, per lo piú per suicidio od omicidio reciproco.
A riordinare questa dinamica profondamente distruttiva del matrimonio, che sempre piú
frequentemente, nello stesso Medio Evo, appare attraversato da crisi ampie e devastanti,
certo non basta nemmeno la parallela significativa intensificazione del culto mariano
proposta dalla Chiesa. Il Tristano «nato per morire di desiderio» e il cui volere diviene il
suo male, ponendosi contraddittoriamente al di là del bene e del male, diviene il modello
che progressivamente margina ed elimina tutti i precedenti — pagani, sacri o "cortesi" —
e ben presto depotenzia in modo evidente gli effetti dei pur ricchissimi modelli di ascesi
e di santità. Fino a sboccare, ai suoi limiti estremi, in de Sade, in Wagner, e negli
oltraomumcoli figli di Nietzsche, nonché nelle piú stracciate deiezioni delle derive
decadentiste, decostruzioniste, trasgressiviste. In breve: dall'accezione socratica
dell'amore come filìa — è significativo che nella contemporanea sofistica dominasse
l'accezione di amore come pathos, come passione —, attraverso l’omnia vincit
amor virgiliano e il nihil difficile amanti ciceroniano, l'uso dei medesimi 'ingredienti'
dell'amore — libertà, sofferenza, perfezione — vede cambiare progressivamente le chiavi
di lettura, fino a incardinarsi in significati che sono agli antipodi di quelli fondativi
dell'Occidente.
Questo tipo di percorso evidentemente si allontana in modo sempre piú profondo
dalla chiave agostiniana e di conseguenza ne impone, infine, una lettura stravolta e
stravolgente, tanto piú quanto piú si presenta come ovvia e aproblematica. È dunque
attraverso la linea agostiniana alimentata, e non solo simbolicamente, da Caterina da
Siena a Tommaso da Kempis come l’autore al quale si attribuisce l’Imitazione di Cristo,
da Giovanni della Croce a Rosmini, che è possibile al tempo stesso recuperare letture
proprie di eros e agape e arricchirne la fecondità. Attraverso questa linea,
l'interpretazione dell’“ama et fac quod vis" potrebbe essere cosí formulata, nel modo piú
abbreviato: "ama assolutamente: dunque compi perfettamente ciò che perfettamente
vuoi". Si tratta perciò di una esortazione intensissima e quasi gridata nell'interiorità,
perché fondamentale. In altri termini: "ama, attuando compiutamente il perfecte
quaerere mediante il perfecte velle". Amare è infatti volere con tutto se stesso il Bene
assoluto immutabile: volerlo perfettamente è condizione del perfetto compierlo. Il fare
perfetto è l'amare e il perfetto volere ne è condizione, insieme con il perfetto intelligere il
Bene assoluto. La pienezza della mia libertà è conseguire il Bene assoluto avendolo
scelto: il percorso della libertà è l'ascesi, la cui condizione assoluta è il Bene assoluto
come grazia, che alimenta e perfeziona l'orientarsi dell'intelligenza e il vigore della
volontà. Ogni qualvolta faccio ciò che voglio al di fuori dell'ordo amoris, che volge al
Bene immutabile, volgendomi a beni mutevoli, in verità non amo; e, di necessità, mi
volgo al disorientamento riduttivo sino alla libertà idiota — come la chiama Sciacca —,
cioè alla pura ingordigia del possesso egoistico, alimentato dal mercato delle passioni.
Ma — paolinamente — se non ho amore, non sono niente.
Caterina da Siena con l'intera sua esistenza eleva un sublime inno all'amore,
trascrivendone eloquentissimi contrappunti nei suoi testi. Con la forza illuminante che è
propria solo dell'amore stesso, rappresenta l'uomo come non «fatto d'altro che d'amore»,
per cui «non può vivere senza amore». Da qui le due strade, in assoluta alternativa il
perfezionarsi dell'amore fino ad amare «ciò che Dio ama», e dunque correndo «come
innamorati», mai in ozio, sempre adoperando «grandi cose», cioè dando «la vita per
amore della vita»; l'altra strada è quella dell'amore di sé al di fuori dell'amore di Dio, in
tutte le sue forme mercenarie e distruttrici. La via regia è quella della sofferenza
cruentemente partecipe della croce, che partorisce, già nella vita terrena, il gaudio del
cantico delle creature.
Chiunque abbia interpretato o interpreti il Cristianesimo come essenzialmente
'antivitale' — fino a Nietzsche e alla legione filiata dalla sua sterilità dissolutrice — in
realtà dimostra soltanto di essersi accecato, avendo scelto pervicacemente ribellione e
rifiuto. Non conosco nessun passo postneotestamentario che meglio e piú efficacemente
illumini la chiave della pienezza dell'uomo intero, propria del Cristianesimo, di questo
brano delle Confessioni (X, 6), forse il commento migliore dell’“ama et fac quod vis".
Scrive Agostino, facendo erompere la ricchezza dei frutti del suo amabam amare:
«nell'amare il mio Dio amo una sorta di luce e voce e odore e cibo e amplesso: la luce, la
voce, l'odore, il cibo, l'amplesso dell'uomo interiore che è in me, ove risplende alla mia
anima una luce non avvolta dallo spazio, ove risuona una voce non travolta dal tempo,
ove olezza un profumo non disperso dal vento, ov'è colto un sapore non attenuato dalla
voracità, ove si annoda una stretta non interrotta dalla sazietà».
In questa medesima chiave agostiniana ritengo sia appropriato leggere, ad
esempio, sia Tommaso da Kempis sia Giovanni della Croce. L'inno all'amore come dono
creativo, bellezza ricreativa, libertà perfetta, vi risuona, parrebbe, come all'unisono.
Sicché il primo canta dell'amore che vola, corre, giubila, libero senza impedimenti,
donando tutto per tutto e tutto possedendo in tutto; sempre vigile e levantesi come viva
fiamma, oltrepassando ogni misura e impossibilità e tribolazione; sempre attivo, in quanto
molto fa chi molto ama e molto fa chi fa bene, cioè amorosamente, ciò che fa; e fa bene
quanto piú serve al bene comune, all'amore di tutte le creature nel Creatore. La sua libertà
è perfetta in quanto elegge la segregazione del paolino farsi «servo della giustizia e della
grazia» (Rom. 7, 15), come beni insostituibili e ottimi. Libertà dell'amore di Dio — quella
dei "figli di Dio" — che Giovanni della Croce configura nella salita all'amore piú grande
che vince tutti gli appetiti degli amori inferiori; e, per coerente conseguenza, non annulla
tali amori, ma li integra nella loro verità compiuta, fino al culminare del suo cantico
nell'esclamazione estatica «mio è il cielo, mia la terra e mio è Cristo stesso". Nell'ascesi
amorosa la mia volontà dunque si trascende, unendosi con l'amore divino, fuoco che
purifica da tutte le imperfezioni, incendio che unisce intelligenza e volontà, potenziando
l'intera persona, per la quale tutto appare e diventa possibile, attraverso il morire di amore
per vivere eterno come Amore totale. L'amore non eterno non è amore[1].
Non stupiscono dunque le consonanze, che spesso possono apparire quasi letterali,
fra le determinazioni dell’“ama et fac quod vis" alle quali mi sono appena riferito e quelle
che si ritrovano riccamente, ad esempio, in Rosmini. Medesime le fondamenta teoretiche:
amore è volere il bene, ogni bene, solo il bene; per cui chi non ama il Bene assoluto non
ama affatto può solo moltiplicare simulazioni dell'amore; e la volontà è l'atto di amore
che dispiega la potenza dell’eleggere l'ottimo. Già il Rosmini diciottenne, nella sua Storia
dell'amore[2], offre elementi fondamentali che fioriranno e fruttificheranno con dovizia
nell'intero arco della sua esistenza caritativa. Fra i punti essenziali che vi si affacciano mi
riferisco almeno alle tesi secondo le quali non c'è amore umano senza amore di Dio: dopo
il primo peccato lottano con l'amore le sue simulazioni; tuttavia l'amore, ingegnosissimo,
sublimissimo, fecondo, allarga cuore e intelletto fino all'eternità e all'onnipotenza,
trovando Dio dovunque e dispiegandosi come fruizione di libertà e di bellezza; è «tutta
azione, tutta vita, tutta opera», in quanto vuole perfettamente compiere la volontà di Dio
e, partecipandone, scioglie sé e il creato «dai vincoli dell'impotenza» creaturale. In
essenziale continuità con Platone Agostino Tommaso, Rosmini sottolinea quindi che
l'unico percorso necessario per risanare una società o per ordinatamente costituirla non è
il qualsiasi pur utile metodo, magari raffinatissimamente edonistico o democratico, ma è
segnato dall'assoluta centralità del Bene sommo come il suo fine ultimo: «ciascun uomo
— scrive Rosmini, oltrepassando in modo incommensurabile le piú alte formulazioni, dei
"diritti umani" — ha un prezzo uguale agli altri, come quello che è ugualmente ordinato
a quell'altissimo fine [il Bene sommo]; onde nessuno può piú considerarsi come un
semplice mezzo alla volontà e alla felicità degli altri uomini, prendansi questi
singolarmente; o anche uniti e formanti qualsivoglia maggioranza»[3].
Lungo questa linea di percorso, l’“ama et fac quod vis" traspare ora nei termini
della piú forte ed essenziale iterazione: "ama, ama, ama”!. Ama con tutto te stesso
l'ottimo: vòglilo con tutto te stesso; persevera nell'ordinarti all'ottimo, fino alla perfezione
dell'amore, che è anche la tua perfezione. La volontà ordinata al fine ottimo è la pienezza
della libertà. «La perfezione della libertà» — scrive Sciacca ne La libertà e il tempo —,
«sua aspirazione sempre attuale e mai da sé attuata, è l’elezione assoluta». L'amore
proiettato nella sua pienezza può apparire quasi 'anarchico', in quanto oltrepassa tutte le
leggi e le loro forme che non adeguino l'elezione assoluta dell'ottimo; per cui, scrive
ancora Sciacca, la sua «sola temperanza è l'intemperanza; l'unica prudenza l'imprudenza;
il vero coraggio l'audacia»[4]. Realizza infatti l’esistenza come offerta totale, gratuito
ridonarsi al Donatore, sulla croce della libertà liberata, che assume in sé tutti i beni in
unità incandescente di corpo e di spirito, di rigore e di creatività. Soltanto il bene è
creativo: il male è autocondanna mortale alla ripetitività inesorabile; è "immobile" — dice
Platone —: già inferno di eterno ritorno dell'identico. Solo l'amore è atto, azione,
creatività, dispiegarsi di libertà e di bellezza.
Ma di fronte ad ogni inno autentico all'amore intero, sempre si pone, identica,
anche la domanda: donde il male? L'amore è la croce dell'ascendere dal bene parziale al
Bene assoluto, che è la sua legge somma: alla croce ci si sottrae con aversiones e
con diversiones, che si perfezionano nell'ascesi capovolta del simulare anarchicamente la
potenza divina; fino a gloriarsi di ogni forma di distruzione, nell'autodistruzione eterna,
insieme assurda e tuttavia consumabile. L'inferno è l’assurdo dell'odio, specchio
rovesciato della gratuità dell'Amore eterno. La qualsiasi realtà che si collochi al di fuori
dell'ordo amoris è percorso all'infernale autodistruzione.

© THÈMES III/2004
PIER PAOLO OTTONELLO

[1]
Sia per Caterina da Siena che per Giovanni della Croce rinvio al mio volume Ontologia e mistica,
Marsilio, Venezia, 2002, pp. 23-30 e 43-51.
[2]
Se ne veda l’ed. crit., Città Nuova, Roma, 2002.
[3]
Si veda anche l’ontologia rosminiana da me curata: Amore e preghiera, Ares, Milano, 1999.
[4]
M. F. SCIACCA, La libertà e il tempo, Marzorati, Milano, 19652, pp. 263-264.

"Ama y haz lo que quieras”

Si confrontassimo la interpretación más inmediata y la expresión "amor y hacer 'lo que quiere"
con el supuestamente más aproximada a la significado durante la actual en Agustín, tenemos,
por ese mismo hecho, la proporción de la distancia, enorme dramáticamente entre nuestra
sensación más común y normalizado y actuar y lo 'normal ontológicamente', que es adecuado
para la metafísica objetivos estándar, sin la cual no puede haber ni puede ser concebible
cualquier forma de orden, si no se reduce a un convenzionalistici mínimo - a nivel de los
estándares de comportamiento, homologado, digamos, a las reglas de la carretera o a las
instrucciones y procedimientos de operación de cualquier máquina.

De hecho, la lectura inmediata y generalizada de la expresión agustiniana lo reduce


sustancialmente al significado del tipo: "en el amor todo está permitido"; por supuesto,
independientemente de los lazos matrimoniales, y de incluirlos. En el segundo caso, la
interpretación, casi universal, que suena más o menos: cualquier forma de la unión
matrimonial no es que la sanción pública de la legalidad de todo el cuerpo utiliza y de sí
mismos y sus cónyuges, sin ningún límite o ley, excepto, quizás, en cuanto a suficiente
consentimiento mutuo. Un poco de 'cómo saber si dos asesinos operan en perfecta armonía y
perfeccionar sus crímenes permanecen ocultos, sin descubrir, y por lo tanto no es público,
pero sólo en el contexto de la privacidad, la empresa que representan se puede considerar una
sociedad perfecta.

La interpretación más cercana al espíritu agustiniano, sea lo que sea, todavía está a miles de
kilómetros de distancia de los de este tipo. A partir de la razón fundamental por la lectura más
reciente que he tratado de resumir normaliza el intercambio entre los aspectos aislados e
individuales de amor - casi más fragmentos o esquirlas o menos separados violentamente de
su centro sustancial - y la totalidad y plenitud de 'amor. Además de normalizar el intercambio
entre la parte y el todo, es una lectura que está más allá de cualquier problematización de este
intercambio; eso es reductivo y destructivo, cuanto más corres al ritmo del estribillo "para
todos los fanáticos", lo cual es una coartada entre los más fáciles y mentirosos. Es evidente
que, a este nivel, estamos infinitamente por debajo de la de cualquier forma de paganismo
tanto del primitivismo, porque estamos bajo la misma animalidad: los niños floridos overman
se manifiestan por lo que son, es decir, sub-bestias.

De hecho, como todos sabemos, por ejemplo, siempre nettissimamente distingue y separa
pagana pandemio clásica eros, o común y vulgar, reducido a ínfimos carnalidad, y en todo
caso, de alguna manera mercenario, según la sustanciado por el mercado de comercio de los
placeres, y por lo tanto sometido a la esclavitud de impulsos y hábitos; para más, este
intercambio es, al menos en potencia, ha destacado, en sus formas más extremas, de la
desesperación que está conectado a una concepción de la vida como entrelazamiento de la
realidad sensible y la vida sensual como inexorablemente corto, inmediatamente inminente su
fin para el ' imprevisibilidad e inevitabilidad de la muerte. Después de todo, el hombre carnal,
o sarchico Pauline (Rom. 14) incluye ambos pagan pandemio eros, como cualquier forma de
amor corta por sí mismo, como "lágrimas" (sarcazo, Sarcos) la persona y lo reduce a sus partes
o jirones, que tienden a olvidar el todo, hasta olvidar esencialmente la dinámica ontológica de
perfectibilidad y perfección que constituye la persona.

En el mismo Platón, el amor se concibe esencialmente como un deseo de plenitud, realización


perfecta (Simp. 192e); es una dinámica de superación infinita y ascensión, hacia la plenitud de
la vida y del espíritu. Así, Eros se eleva por encima de todas las medidas, sobrepasa a la razón
misma en la medida en que asciende al Bien suprasensible, que mueve y ordena el universo
(Fedr 237 ss). El "amor de Dante moviendo el sol y las otras estrellas" es más bien de
resonancia aristotélica y tommasiana. A pesar de que, como se sabe, Thomas incentros el tema
del amor en el amor de Dios como la dualidad congregativus y el amor de sí mismo como
disgregativus, ya que entre otras cosas sobre la base de la concepción de la voluntad como
facie universalis ontológicamente amative y Dell intelecto como esencialmente la intelección
del ener universal. Ciertamente Simposio de Platón también contiene un canto incomparable
al amor: amor y auténticos himnos y la caridad que necesitamos y las crecientes necesidades:
aún más por la creciente penetración y capacidad de invasión y normalizadas las formas de
amor más parciales, desgarrado , deteriorado y deteriorado. El Simposio ofrece la plenitud e
integridad de la racionalidad, poietica y paidetica, de la realidad y de la idealidad del amor: el
cristianismo lo asume en su totalidad y perfección. Plato hecho señaló en primer lugar que
"nos separamos una especie de amor y llamamos amor, imponiendo el nombre del conjunto":
ése es de hecho la tarea principal y más común que hace que la realidad y la palabra amor al
máximo inequívoco y equívocos , corrompido a la peor degeneración. Es precisamente la
dinámica reductiva que degrada y aniquila el amor porque ya ha degradado y desintegrado a la
persona. En cambio, en Platón se encuentra Eros como un deseo de bien y felicidad: eterno, en
la inmortalidad. Por lo tanto eros es contratado como intérprete, el mediador por excelencia,
porque transmite a los dioses las cosas de los hombres y los hombres las cosas de los dioses:
este título puede considerarse la culminación y la plenitud de la revelación natural. Y, más, casi
una profecía de Cristo mismo, como eros se caracteriza por Platón como el que es siempre
pobre, sin ser ni ricos ni pobres, y, en conjunto, es el más rico de mayor riqueza, ya que
conduce a la justicia y belleza y eterna libertad y felicidad, tanto el espíritu como el cuerpo; y
es, por lo tanto, el fuego que apaga y ordena a la mejor sociedad; y finalmente, para darse
cuenta de todo esto, está dispuesto a morir por todos.

No hay duda de que el cristianismo, los primeros mártires de la patrística, desde Agustín a
Thomas, creó hermosas flores y fecondissime de nuevas formas de Cantar de los Cantares, de
Bernard a Vittorini y Buenaventura. Posteriormente, Ficino, Bruno, Spinoza, el romance y el
idealismo, cruce de diversas maneras con los residuos más o menos restrictiva, las
consecuencias de la mayor crisis antes de la cristiandad, después del primer milenio, cerca de
la Gran Cisma, la premisa del cisma de Avignon y luego aquellos reformados Pero también se
sabe que entre los frutos del desarrollo del nominalismo, que está en la raíz de estas
escisiones, al menos el siglo XII, con el ciclo de Tristán, el sentido dominante de amor
crescentemente se convierte en la pasión neopagana del amor. Su ascetismo invertido es el
que conduce desde el adulterio atenuado al sufrimiento consiguiente, que resulta en la trágica
necesidad de la muerte, principalmente a través del suicidio o el asesinato mutuo. Para
reordenar esta dinámica profundamente destructiva del matrimonio, que cada vez con mayor
frecuencia, en la misma Edad Media, que es atravesado por amplia y devastadora crisis, ni
siquiera lo suficiente para la intensificación paralela significativa del culto mariano propuesto
por la Iglesia. Tristán 'nace para morir de deseo 'y cuya voluntad se convierte en su mal,
colocándose contradictoriamente más allá del bien y del mal, se convierte en el modelo que
poco a poco Márgenes y elimina todo lo anterior - pagana, sagrado o' amable "- y muy pronto
debilita los efectos de los muy ricos modelos de ascetismo y santidad. Hasta terminar en, al
extremo, en el de Sade, en Wagner, y los niños oltraomumcoli de Nietzsche, así como en la
mayor parte de decadentiste desgarrado derivas de estiércol, deconstruccionista,
trasgressiviste. En resumen: dall'accezione amor socrático como filia - es significativo que en la
sofistería contemporánea dominan el significado del amor como pathos, como una pasión - a
través del Amor vincit omnia Virgilio y Cicerón nihil los ventiladores duros, el uso de los
mismos "ingredientes" del amor, libertad, sufrimiento, perfección, ven cómo las claves de la
lectura cambian progresivamente, hasta que se incardinan en significados que están en las
antípodas de los fundadores de Occidente.

Este tipo de camino, evidentemente, se aleja cada vez más de la clave agustiniana y, en
consecuencia, impone, finalmente, una lectura distorsionada y abrumadora, mientras más
evidente y problemática resulta. Por lo tanto, es a través de la línea agustiniana alimentado, y
no sólo simbólicamente, por Catalina de Siena a Tomás de Kempis, como autor a quien se
atribuye la Imitación de Cristo, por Juan de la Cruz en Rosmini, puede recuperar
simultáneamente lecturas de eros y ágape y enriquecer su fecundidad. A través de esta línea,
la interpretación de '' le gusta et fac quod vis "podría ser tan formulado de una manera más
abreviada" absolutamente le gusta: de este modo cumplir perfectamente lo que quiere "Por
tanto, esta es una muy intensa y casi gritó de ánimo. 'interioridad, porque esencial En otras
palabras:. ' amor, aplicando plenamente la quaerere perfecte por perfecte velle' amar es de
hecho la voluntad con todo su ser el bien absoluto inmutable:. falta está haciendo
perfectamente perfectas condiciones para el perfecto no es el 'amante y perfecta que se
proporciona, junto con la perfecta intelligere el bien absoluto la plenitud de mi libertad es
lograr el bien absoluto haber elegido:. el camino de la libertad es el ascetismo, cuya condición
absoluta es el bien absoluto como gracia, que nutre y perfecciona la orientación de la
inteligencia y el vigor de la voluntad. Siempre que hago lo que quiero fuera del amoris, que se
vuelve hacia el Bien inmutable, volviéndose hacia los bienes cambiantes, en verdad yo no amo;
y, por necesidad, me vuelvo a la desorientación simplista hasta que la libertad idiota - como lo
llama Sciacca - que es pura codicia de posesión egoísta, impulsado por las pasiones del
mercado. Pero, paolinamente, si no tengo amor, no soy nada.

Catalina de Siena con toda su existencia eleva un sublime himno al amor, transcribiendo
contras puntos elocuentes en sus textos. Con la fuerza iluminadora que solo es propia del
amor, representa al hombre como "no hecho de otra cosa que de amor", por lo cual "no puede
vivir sin amor". A partir de aquí los dos caminos, en absoluto alternativa a la perfección de
amor al amor "que Dios ama", y lo que se corre "como amantes', nunca está ocioso, siempre
con el objetivo" grandes cosas ", es decir, dar' vida por amor de la vida "; el otro camino es el
amor propio fuera del amor de Dios, en todas sus formas mercenarias y destructivas. El camino
real es el de sufrir cruelmente envuelto en la cruz, que da a luz, ya en la vida terrenal, la alegría
del cántico de criaturas.

Cualquiera que haya jugado o interpretar el cristianismo como esencialmente 'anti-vida' -


hasta Nietzsche y legión filiata de su infertilidad dissolutrice - de hecho sólo demuestra que
cegado, teniendo rebelión tenazmente elegido y el rechazo. No conozco ningún paso
postneotestamentario mejor e iluminar con mayor eficacia la clave para el cumplimiento de
todo el hombre, su cristianismo, este pasaje de las Confesiones (X, 6), tal vez el mejor
comentario de '' le gusta et fac quod vis. ", Escribe Agustín, haciendo estallar la riqueza de los
frutos de su amor amabam "en amar a Dios porque el amor de un tipo de luz y la voz y el olor y
la comida y abrazar: la luz, la voz, el olor, la comida, el abrazo el hombre interior que está en
mí, en mi alma brilla una luz desenrolla desde el espacio, donde una voz no viene abrumado
por el tiempo, donde un olor no fuera fragancia dispersada por el viento, donde se coge el
gusto no disminuido por la codicia, donde un cierre no es interrumpido por la saciedad ".

En esta misma clave agustiniana, creo que es apropiado leer, por ejemplo, tanto a Tommaso
da Kempis como a Giovanni della Croce. El himno al amor como un regalo creativo, una belleza
recreativa, una libertad perfecta, resuena, parece, al unísono. De modo que el primer canto
del amor que vuela, corre, jubiloso, libre sin impedimentos, dando todo por todo y por todo,
poseyendo en todo; siempre alerta y levantesi como una llama viva, superando cada medida e
imposibilidad y tribulación; siempre activo, ya que es muy popular entre aquellos que aman y
aquellos que lo hacen bien, es decir amor, hagan lo que hacen; y lo hace mejor cuanto más
sirve al bien común, el amor de todas las criaturas en el Creador. Su libertad es perfecta
porque elige la segregación de la Paulina para convertirse en "un servidor de la justicia y la
gracia" (Romanos 7, 15), como bienes irremplazables y excelentes. La libertad del amor de
Dios, el de los "hijos de Dios", que Juan de la Cruz configura en el ascenso al mayor amor que
supera todos los apetitos de los amores inferiores; y, consecuencia coherente, no deshacer
esos amores, pero los integra en su verdad logrado, hasta el clímax de su canción la
exclamación éxtasis "es mi cielo, mi tierra y mi propio Cristo." ascetismo amante de la mi
voluntad por lo tanto se trasciende, uniéndose con amor divino, el fuego que purifica de todas
las imperfecciones, el fuego que combina la inteligencia y la voluntad, el fortalecimiento de
toda la persona, por lo que todo parece y es posible, a través de la muerte del amor a vivir
para siempre como Amor total. El amor no eterno no es amor [1].

Así que no sorprender a las consonancias, que a menudo pueden aparecer casi palabra por
palabra, entre las determinaciones de '' le gusta et fac quod vis "a la que me acabo de referir, y
aquellos que se encuentran ricamente, por ejemplo, en Rosmini Mismas los fundamentos
teóricos: el Amor. desea el bien, todo bien, sólo es bueno, por lo que no ama el bien absoluto
no le gusta que sólo puede multiplicarse simulaciones de amor, y la voluntad es el acto de
amor que se desarrolla el gran poder dell'eleggere . Ya el Rosmini dieciocho años, en su
Historia de amor [2], proporciona los elementos fundamentales que florezcan y
fruttificheranno en la gran obra de caridad a lo largo de su existencia. Entre los puntos
esenciales que el rostro me refiero al menos la tesis según la cual no hay amor humano sin el
amor de Dios, después de la primera lucha pecado con su amor simulaciones, pero el amor,
ingeniosa, sublimissimo, fructífera, se agranda el corazón y el intelecto a la eternidad, y la
omnipotencia, encontrando a Dios en todas partes y desplegándose como un fruto de libertad
y belleza; Es "toda acción, toda la vida, todo el trabajo", así quiere hacer la voluntad de Dios y,
partecipandone, se disuelve en sí y ha creado "por las limitaciones de la impotencia" de la
criatura. En continuidad esencial con Platón Agustín Thomas, Rosmini, por tanto, hace hincapié
en que se requiere que el único camino para poner remedio a una empresa o de constituir
claramente no es siquiera un método útil, tal vez raffinatissimamente hedónica o democrático,
pero está marcada por la centralidad absoluta del bien supremo como su objetivo final: "cada
hombre - escribe Rosmini, pasando inconmensurablemente la más alta de las formulaciones
de" derechos humanos "- tiene un precio igual a los demás, como lo es igualmente ordenó que
orden más alto [el bien supremo] ; para que nadie pueda considerarse a sí mismo como un
mero medio para la voluntad y la felicidad de otros hombres, tómelos individualmente; o
incluso unidos y formando una mayoría "[3].

A lo largo de esta ruta, el "ama et fac quod vis" transpira ahora en términos de la iteración más
fuerte y más esencial: "¡amor, amor, amor!". Ama con todo tu ser lo mejor: vòglilo con todo tu
ser; persevera en ordenarte lo excelente, hasta la perfección del amor, que también es tu
perfección. La voluntad ordenada al final es excelente, la plenitud de la libertad. "La perfección
de la libertad" -escribe Sciacca en La libertà e il tempo-, "su aspiración siempre presente y
nunca implementada por sí misma, es una elección absoluta". El amor proyectado en su
plenitud puede parecer casi "anárquico", en la medida en que trasciende todas las leyes y sus
formas que no adaptan la elección absoluta de lo excelente; por lo tanto, escribe Sciacca, su
"única temperancia es la intemperancia; la única prudencia es la imprudencia; verdadero valor,
audacia "[4]. Se da cuenta de la existencia de hecho como un ofrecimiento total, ridonarsi libre
del Dador, en la cruz de la libertad liberada, que asume todos los activos en unidades de
cuerpo incandescente y el espíritu, el rigor y la creatividad. Solo lo bueno es creativo: el mal es
la autocondena mortal a la repetición inexorable; es "inmóvil" - dice Platón -: ya el infierno del
eterno retorno de lo idéntico. Solo el amor es acto, acción, creatividad, despliegue de libertad
y belleza.

Pero frente a cada himno auténtico a todo el amor, la pregunta siempre se plantea, idéntica:
¿de dónde viene el mal? El amor es la dell'ascendere centro procedente de la parcial al bien
absoluto, que es su norma suma: para cruzar uno escapa con aversiones y Diversiones, lo cual
es perfecto ascetismo invertida de anárquica simular el poder divino; para la gloria de cada
forma de destrucción, en la autodestrucción eterna, absurda y, sin embargo, consumible. El
infierno es el absurdo del odio, un espejo invertido de la gratuidad del amor eterno. Cualquier
realidad que se encuentra fuera del acuerdo amoris se conduce a la autodestrucción infernal.

[1] Tanto para Catherine de Siena como para Juan de la Cruz, referencia a mi libro Ontología y
misticismo, Marsilio, Venezia, 2002, pp. 23-30 y 43-51.
[2] Ver la ed. Crit., New Town, Roma, 2002.
[3] Ver también la ontología rosminiana curada por mí: Amor y oración, Ares, Milán, 1999.
[4] M. F. SCIACCA, Libertad y Tiempo, Marzorati, Milán, 19652, pp. 263-264.

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