Professional Documents
Culture Documents
La storia tardo antica può essere fatta iniziare alla fine dell’epoca dei Severi ( III sec. d.C.)
caratterizzata sia da crisi e decadenza ma anche da una serie di importanti avvenimenti che hanno
dato inizio a un irreversibile processo di trasformazione.
Crisi economico-finanziaria
Pressione dei barbari
Disordine dell’esercito
Decadenza dell’Italia
Valori della romanitas e quelli della cultura orientale.
Affermarsi del cristianesimo
Dopo la morte di Commodo nel 192, pronunciamenti militari nelle province avevano condotto
all’acclamazione di tre diversi imperatori:
1. Clodio Albino in Britannia
2. Pescennio Nigro in Siria
3. Settimio Severo in Illiria e Pannoria
Le guerra civile che ne era scaturita aveva portato alla vittoria di quest’ultimo che instaurò una
monarchia ereditaria burocratico-militare. L’Italia perdeva completamente la sua antica posizione di
privilegio e si giungeva a una netta prevalenza del mondo provinciale. Alla morte dell’ultimo dei
Severi nel 235, la crisi esplose in tutta la sua gravità. Vari pretendenti al titolo di imperatore, tutti
comandanti militari acclamati dalle rispettive legioni, furono causa di una serie di stragi e
distruzioni mentre i barbari moltiplicavano i loro assalti. In particolare violenti furono gli attacchi
dei Goti e dei Persiani.
Nel frattempo in Gallia nacque la secessione delle province occidentali, il cosiddetto imperium
Galliarum comprendente la Britannia, la Gallia e la Spagna. In Oriente invece si formò il regno
palmireno che si estendeva in Mesopotamia, Asia Minore, Fenicia, Arabia settentrionale.
In questo contesto alcuni imperatori come Massimino, Decio e Valerio promuovono numerose
persecuzioni contro i cristiani. La nuova religione tuttavia ne uscì indenne: verso la metà del terzo
secolo era presente in tutto l’impero. Nella sua diffusione nelle province subisce una trasformazione
di primaria importanza, passando a un atteggiamento di confronto e di apertura con la cultura
classica. I membri delle gerarchie ecclesiastiche presentavano la rivelazione cristiana come l’unico
mezzo per salvaguardare il meglio della cultura pagana (filosofia, l’etica, onesti costumi) dalle
barbarie.
Il cristianesimo si diffuse soprattutto tra gli strati più umili del popolo perché offriva un concreto
aiuto materiale e morale, ma anche tra le classi abbienti la cui adesione alla nuova fede
rappresentava una piena valorizzazione dell’antica cultura alla luce di una nuova dottrina.
Alla fine del III sec. (268-283) salirono al governo alcuni principi soldati, detti illirici per la loro
origine dalla penisola balcanica. Al termine di un periodo di guerra civile salì al potere Diocleziano,
da una parte difensore della tradizione e dall’altra profondo innovatore. Egli avviò un’opera di
difesa militare dell’impero affidando a Massimiano la salvaguardia dell’Occidente e dandogli il
titolo di Cesare.
Successivamente trasferì la capitale a Nicomedia. Poco dopo nel 286 elevò Massimiano alla carica
di Augusto e nel 293 nominò due Cesari: Galerio in Oriente e Costanzo Cloro in Occidente.
Egli diede vita al sistema tetrarchico che rispondeva soprattutto a esigenze militari in quanto
avrebbe garantito una più efficace difesa dei confini. Inoltre cercò di risolvere il problema della
successione che aveva causato sanguinose guerre intestine. Attraverso questo sistema gli Augusti
regnanti avrebbero scelto i Cesari. L’unità dell’impero sarebbe stata garantita dalla preminenza
degli Augusti sui Cesari e dell’Augusto Orientale su quello Occidentale.
Nel 305 Diocleziano si ritirò a vita privata lasciando il comando ai rispettivi Cesari. Dopo una
cruenta lotta prevalsero Costantino in Occidente e Licinio in Oriente.
Costantino nel 312 aveva sconfitto nei pressi di Roma Massenzio, figlio di Massimiano in una
battaglia che aveva segnato la sua conversione al cristianesimo.
Nel 313 emanò l’editto di Milano con cui concedeva la libertà di culto ai cristiani e la restituzione
dei loro beni confiscati.
Nel 324, vinto Licinio, riunificò l’impero.
GIULIANO L’APOSTATA
Dopo la morte di Costantino nel 337 l’impero venne diviso in parti uguali tra i suoi figli:
Costantino, Costanzo e Costante. Ben presto scoppiò una guerra fratricida che vide prevalere
Costanzo che riuscì a riunire l’impero. Associato al governo il cugino Giuliano, Costanzo mosse
contro di lui quando questo fu proclamato imperatore dai soldati, ma morì nel 361 e così la guerra
fu evitata.
Giuliano salito al potere cercò di restaurare il paganesimo (da qui il soprannome l’Apostata):
Abrogò le costituzioni che limitavano la libertà di culto.
Ricostruì e restaurò i templi.
Riformò il paganesimo verso una maggiore apertura alla carità e al soccorso dei poveri.
Abolì i privilegi concessi da Costantino alla Chiesa.
Tuttavia tutti i suoi provvedimenti non furono sufficienti a rilanciare il paganesimo. Dopo la sua
morte nel 363 tutti gli imperatori furono fedeli al cristianesimo
La forma che l’impero assume tra Diocleziano e Costantino è quella della monarchia assoluta, dove
l’imperatore era comandante dell’esercito, assegnava le burocratiche, era artefice della pace e della
guerra, imponeva le tasse, era legislatore e giudice.
Ma nel corso del terzo secolo si è anche istituzionalmente consolidato il carattere sacrale
dell’imperatore: Aureliano aveva preteso di essere chiamato dominus e deus. Ma dopo l editto di
tolleranza, quando gli imperatori divennero cristiani, non fu più possibile identificare l’imperatore
con un dio, e si cominciò a dimostrare che egli era l’uomo più vicino a Dio, quasi un vicario cui era
stato affidato, nel disegno della provvidenza, il governo del mondo.
Si diffuse l’idea che la carica imperiale si trasmettesse per via ereditaria, contro la possibilità,
sostenuta da Diocleziano, che si scelga un successore, trascurando invece i legami di quel sangue,
cui la provvidenza divina ha conferito tante fortune e tanta responsabilità. Cosi da Costantino in poi
il trono fu trasmesso sempre ad un figlio, oppure a parenti prossimi dell’imperatore.
Nei casi in cui la dinastia si era estinta, troviamo che l’imperatore era in pratica eletto
dall’esercito,o designato dai più influenti funzionari a corte.
Nella gerarchia ufficiale dopo questi quattro ministri ci sono i magistri scriniorum, responsabili
delle segreterie di vari uffici, e soprattutto di quelli memoriae, epistularum e libellorum.
Al loro finaco lavorano i notarii, un corpo speciale che cura il buon funzionamento della corte
partecipando alle sedute del consistorium e redigendone i verbali.
Un posto di grande rilievo era quello del prepositus sacri cubiculi, capo dei cubiculari, domestici
addetti alla persona e alla dimora del sovrano, e dei silentiarii, sorveglianti addetti alla tranquillita
dell’imperatore.
Poiché l’imperatore era inavvicinabile, il prepositus sacri cubiculi era il solo a vivere con i suoi più
stretti collaboratori.
L’impero aveva poi due capitali, Roma e Costantinopoli. La citta era amministrata da un prefectus
urbi, che era titolare della giurisdizione sui senatori e controllava l’adempimento degli oneri fiscali
e la sicurezza della città.
Dalla metà del IV secolo ci furono due senati, uno a Roma e l’altro a Costantino. Questi organi non
avevano più poteri politici, ma svolgevano una funzione di consulenza per gli affari amministrativi
delle due città. Le norme emanate dall’imperatore erano lette davanti a loro per la pubblicazione
ufficiale.
Costantino riformò anche l’officium prefecti pretorio cosi che il prefetto del pretorio perse i poteri
militari e si trasformò in un funzionario periferico, sebbene di altissimo grado.
Doveva vigilare le province della sua prefettura, emettendo ordinanze con valore di leggi se non in
contrasto con le costituzioni imperiali; aveva una giurisdizione vice sacra, cioe come se fosse
emessa direttamente dal palazzo. Infine aveva competenze rilevanti in campo finanziario, come la
determinazione complessiva dell’annona e la riscossione.
L’impero alla fine del IV sec. risultava diviso in quattro grandi circoscrizioni territoriali: l’Italia e la
Gallia in occidente, e l’Illirco e l’Oriente in oriente.
A capo di ognuna era posto un prefectus pretorio; e ogni prefettura era divisa in più diocesi,
governate da un vicarius; e ogni diocesi era divisa in più province, governate da funzionari con vari
nomi,quali proconsules, consulares, correctortes, presides.
Il vicarius, che vigilava sull’amministrazione delle province, aveva poteri giurisdizionali di prima
istanza con possibilità di appello all’imperatore e di seconda istanza quando la controversia era già
stata decisa dal governatore provinciale.
Nelle città troviamo dal IV sec. il defensor plebis e il curator civitatis. Il defensor plebis, oltre
all’originario compito di tutela dei ceti piu umili, acquistò poteri di polizia, giurisdizione su cause di
piccolo valore, esazione di tributi, diventando un referente cui i cittadini potevano inoltrare
ufficialmente i propri reclami contro gli esattori delle tasse. Il curator civitatis era invece a capo
dell’amministrazione locale, curava l’ordine pubblico, aggiornava l’elenco dei contribuenti,
sorvegliava gli approvvigionamenti della città e istruiva i processi di competenza del governatore
provinciale.
Come si nota, ognuno di questi funzionari aveva, per il suo livello, responsabilità per la riscossione
delle imposte: era fondamentale infatti per l’impero che gli enormi costi dell’amministrazione
imperiale fossero sempre santi da un gettito costante di entrate.
Per questo la prefettura esercitava annualmente un controllo in ciascuna provincia per mezzo di un
canonicarius che controllava la raccolta delle tasse. La riscossione in concreto era affidata ai
susceptores, nominati annualmente dalle curie.
Nel frattempo la situazione militare si era aggravata: i Persiano avevano conquistato vasti territori e
gli Unni spinsero i Visigoti verso le frontiere romane.
Valente, che governava l’Oriente cercò di accogliere i Visigoti nell’Impero come soldati, ma poiché
scoppiarono gravi tumulti intervenne contro i barbari. Nel 378 a Adrianopoli il suo esercito fu
annientato.
Graziano chiamò in suo aiuto Teodosio che riuscì a sconfiggere i Visigoti e ripristinare i confini
dell’impero. Successivamente intervenne in Occidente contro i vari usurpatori del trono imperiale e
ricostituì l’unità dell’impero.
Nel 380 Teodosio primo emanò a Tessalonica un editto col quale imponeva l obbligo di professare
la religione cristiana, distinguendo i cristiani cattolici dagli eretici.
Cosi tra il 313 e il 380 sono poste tutte le basi per la creazione di un impero cristiano confessionale
e venne inaugurato un periodo di intolleranza ideologica e religiosa.
La morte di Teodosio coincide con il definitivo venir meno dell’unità dell’Impero: gli succedono i
suoi figli Arcadio in Oriente e Onorio in Occidente. La storia delle due pars imperiii si diversificò
radicalmente.
CHIESA E STATO
La nascita di un impero cristiano comportò una copiosa legislazione inerente alla Chiesa, ai chierici
e ai vescovi.
Con essa non solo vennero concessi privilegi di varia natura, ma si riconobbe che l’episcopalis
audientia, cioè la giurisdizione dei vescovi che aveva valore non solo nelle le cause religiose, ma
anche in quelle civili. Cos’ gli imperatore riconoscevano che il vescovo potesse essere arbitro di
controversie tra due fedeli, evitando il rischio di essere giudicati da un pagano.
Il chierico acquista uno status privilegiato in quanto ministro della feda. Costanzo concede agli
ecclesiastici l’esonero dai munera, affermando che la “res publica” è retta dalla religione. Teodosio
II dichiarò che il bene dell’impero dipende dalla religione.
Gli imperatori tuttavia concedevano tali privilegi purché il chierico svolgesse nel modo migliore la
sua missione. Le costituzioni imperiali sono esplicite al riguardo al fine di tutelare la moralità degli
uomini di Chiesa.
Teodosio I afferma che i chierici provenienti dal rango dei curiali devono lasciare alla curia
il loro patrimonio se vogliono essere esentati dai munera.
Onorio afferma che per ottenere i privilegi occorre avere una “sanctior vita”.
Teodosio II dispone che i chierici non devono avere nulla a che fare con le faccende
pubbliche.
All’identificazione degli interessi dell’impero e interessi della fede cattolica conseguì una
persecuzione degli eretici, cioè di coloro che attentavano non solo all’integrità della fede, ma anche
agli interessi di tutta la società.
Tra i tanti problemi sottesi a questa impostazione, vi era certamente la necessità di creare sempre
maggiore trai sudditi al fine di garantire massima compattezza rispetto al problema dell’unita
dell’impero minacciato, specie in occidente, dalle invasioni barbariche.
Nel 401 Alarico a capo dei Visigoti penetrò in Italia. Stilicone, generale dell’imperatore Onorio, li
sconfisse e Onorio trasferì la capitale da Roma a Ravenna.
Alarico tornò in Italia e nel 410 saccheggiò Roma, proseguendo poi verso sud per raggiungere l
africa, ma morì vicino Cosenza. Il successore Ataulfo si diresse invece verso la Gallia meridionale
cercando una intesa pacifica con Onorio, di cui sposo la sorella Galla Placidia, così che i Visigoti
ottennero nel 418 l’autorizzazione a risiedere in modo stabile in Aquitania. Nacque il primo dei
regni romano-barbarici.
Nel 475 Oreste, capo dei mercenari barbarici riuscì a deporre l’imperatore Giulio Nepote e a fare
acclamare imperatore il figlio Romolo di appena 13 anni. Egli regnò appena un anno quando fu
deposto da Odoacre. A causa del malcontento generato dal mancato rispetto della promessa di terre
fatta da Oreste, Odoacre era sceso in Italia e, anziché nominare un successore, inviò le insegne
imperiali a Costantinopoli per dire che l’impero era solo quello di Oriente. L’imperatore d’Oriente
gli diede il titolo di patrizio romano con la legittimazione a governare l’Italia. Così nel 476
terminava l’impero romano di Occidente.
L’impero d’Oriente ebbe una dura più lunga: Costantinopoli fu conquistata dagli Ottomani nel
1453. Ciò fu dovuto a fattori di diversa natura:
La posizione geografica
Economia agricola, commerciale e artigianale
La forza dell’esercito e della flotta
L’efficienza della burocrazia
L’autorità imperiale che impersonificava il potere civile e religioso (cesaropapismo)
Nel 527 salì al potere Giustiano che realizzò un’importante opera di restaurazione dell’impero dal
punto di vista:
Legislativo: aiutato da Triboniano diede vita a un’imponente opera legislativa, il Corpus
iuris civilis.
Politico-militare: egli cercò di ricostituire l’impero universale e con l’aiuto di Belisario e
Narsete, suoi collaboratori:
Debellò i Vandali d’Africa (533-534)
Sconfisse i Visigoti in Spagna
Riconquistò l’Italia che passò alle strette dipendenze dell’imperatore d’Oriente che
la governava tramite un funzionario che risiedeva a Ravenna
IL QUADRO GENERALE
L’unica fonte viva del diritto è riconosciuta nell’imperatore. Il termine LEX, riservato in
precedenza alle sole disposizioni normative provenienti dal popolo, viene ora a indicare
direttamente la costituzione imperiale. Si assiste anzi a una sorta di identificazione dell’imperatore
con la legge: egli viene definito LEX ANIMATA, legge vivente. Per altri aspetti della produzione
del diritto si ha invece una evidente frattura tra principato e impero tardo antico.
Giustiniano, con una famosa costituzione che rappre senta una specie di “manifesto”
dell’assolutismo imperiale, giungerà a riservare all’imperatore non soltanto la creazione del diritto,
ma anche la stessa interpretazione. Ai sudditi non resta che la fedele applicazione delle leggi.
L’opera della giurisprudenza del principato tuttavia non è dimenticata. Gli scritti dei giuristi
precedenti vengono infatti utilizzati come diritto vigente, a fianco delle costituzioni imperiali. In
contrapposizione alle leggi (costituzioni imperiali), l’insieme degli scritti giurisprudenziali del
principato è di solito denominato iura, una terminologia efficace per evidenziare la bipartizione
delle fonti del diritto di questo periodo tra fonti vive e fonti che sono ereditate dalla grande
tradizione del passato, ma costituiscono ormai un organismo in sé chiuso e compiuto.
Leges e iura, unitariamente considerati, formano il ‘diritto scritto’ (ius ex scripto), che è
distinto dal diritto consuetudinario (ius ex non scripto). La consuetudine ha tuttavia una posizione
marginale nel sistema normativo. Nel diritto giustinianeo è ammessa soltanto la consuetudine
SECUNDUM LEGEM, cioè quella espressamente chiamata dalla legge, mentre non trovano spazio
né la consuetudine PRAETEM LEGEM, che va a colmare le lacune legislative, né quella contraria
alla legge (CONTRA LEGEM).
La divisione dell’impero in due parti, l’Occidente e l’Oriente, comprende un dualismo legislativo.
L’impero è sempre sentito come un’entità politico-costituzionale unitaria e indivisa. I
provvedimenti legislativi sono emanati formalmente nel nome di tutti gli imperatori regnanti, ma
ciascun imperatore legifera esclusivamente per la parte di sua spettanza e le costituzioni sono di
conseguenza applicate solo in essa.
L’età tardo antica, anche per le fonti del diritto, è un’epoca di incertezza e di crisi. La
concentrazione nelle mani dell’imperatore del potere normativo non risolve i problemi, mapare
aggravarli. Prima di tutto si vuole una maggiore certezza, che proviene dal disordine e
dall’occasionalità della legislazione imperiale. I testi delle costituzioni sono scritti spesso in un
linguaggio oscuro, che aumenta le ambiguità normative.
Si sente l’assenza di una giurisprudenza guida che, come nel passato, con l’interpretazione, faccia
da filtro tra la produzione normativa imperiale e la sua concreta applicazione.
Problemi in parte simili presenta l’impiego degli scritti giurisprudenziali del passato come diritto
vigente. Le diversità di opinioni erano frutto di uno dibattito continuo (ius controversium) e le
difficoltà nascono dal fattto di considerare gli iura come un corpus normativo unito e cristallizzato.
LE COSTITUZIONI IMPERIALI
Nel tardo impero sono due le categorie principali di costituzioni, 1) le leggi generali 2)i rescritti. I
mandata (istruzioni che l’imperatore dà ai suoi funzionari) scompaiono, mentre i decreta (decisioni
giurisdizionali) si confondono con i rescritti.
La prima appare nel corso del quinto secolo. Sembra che sia un provvedimento avente carattere
particolare, utilizzato a vari scopi, soprattutto per rispondere a domande di province, città o
corporazioni. Essa veniva usata inoltre dagli imperatori per comunicare le sue costituzioni al
collega dell’altra pars.
La seconda è una risposta a domande presentate all’imperatore scritta a margine della richiesta, e
non in calce. Tramite essa si concedevano privilegi o esenzioni di vario genere.
Con Costantino nella produzione normativa imperiale si impongono le leges generales con cui si
riformarono alcuni settori del diritto privato (matrimonio e diritto di famiglia) a causa dell’influenza
cristiana e allo stesso tempo si limita la portata dei rescritti alla singolo questione vietandone
un’applicazione generalizzata.
Nel 491 Anastasio accomuna rescritti, pragmaticae sanctiones e adnotaziones (cioè tutti i
provvedimenti aventi carattere generale) nel divieto di usarli qualora siano contrari al generale ius o
alla utilitas publica.
Questo atteggiamento nei confronti dei rescritti deriva dall’assolutismo imperiale: era proprio da
lavoro interpretativo dei giuristi sulla casistica dei rescritti imperiali che derivava il consolidamento
di importanti innovazioni del diritto privato
In alcuni casi gli imperatori stabilirono pene per il quaestor palatii che rilasciasse rescritti contro la
volontà dell’imperatore. Inoltre venivano combattute le frodi che potevano essere fatte dai privati
che chiedevano l’emanazione di rescritti.
Gli imperatori prescrissero così ai giudici di controllare la veridicità dei fatti e disposero che i
rescritti dovessero essere emanati con la clausola che ne condizionava l’efficacia alla verità dei fatti
esposti.
A poco a poco emerse la necessità di avere dei criteri oggettivi per poter distinguere le leggi
generali dai rescritti. Ci potevano essere delle situazioni dove la distinzione non era chiara. Ne
conseguiva un rischio che si consolidasse nella prassi come soluzione generale quella che era stata
prevista invece per un caso particolare.
Per evitare ciò bisognava fare chiarezza sul grado di valore normativo da attribuirsi alle costituzioni
imperiali. Il riferimento al solo contenuto delle stesse non era sufficiente. La soluzione infine, fu
perciò quella di indicare dei criteri formali.
Nel 426 la cancelleria imperiale occidentale di Valentiniano III affrontò il problema con
un’importante costituzione.
Con questo provvedimento viene per prima cosa ribadita la distinzione tra rescritti e leggi generali,
riconfermando l’efficacia limitata dei primi. Per le leggi generali, si dispone che siano considerate
tali le costituzioni che, anche quando sono prese da un caso particolare, rispondo ad almeno uno di
questi requisiti:
1. Siano trasmesse al senato sotto forma di oratio imperiale.
2. Abbiano l’espressa denominazione di editto o legge generale.
3. Siano rese note presso tutte le popolazioni dell’impero tramite avvisi dei governatori affissi
in pubblico.
4. Avvertano in maniera chiara che quanto stabilito per certi casi debba essere applicato anche
per i casi simili.
5. Contengano l’ordine che debbano riguardare tutti.
Il problema tuttavia riguardava ancora la legislazione anteriore. Il passo decisivo verso la certezza
e chiarezza del diritto si ebbe con la prima compilazione ufficiale di Teodosiano.
Il problema della conoscibilità delle costituzioni imperiali si presenta in modo nuovo nel tardo
impero. Il nuovo fattore è l’assenza di una giurisprudenza guida che faceva da tramite tra il
legislatore imperiale e i sudditi.
Un altro aspetto problematico era dato dalla stessa materiale reperibilità dei testi delle costituzioni.
Molto carente era la diffusione delle costituzioni tra i privati. Esse infatti non avevano una
circolazione ufficiale ed era lasciata all’iniziativa dei singoli il trarne copia per la diffusione,
attignendo dagli archivi centrali o periferici o dagli albi pubblici, in cui esse erano affisse.
D’altra parte la necessità dei privati di procurarsi e disporre del testo delle costituzioni dipendeva
anche dal fatto che nei processi era onere delle parti indicare espressamente il materiale normativo,
su cui poggiavano le rispettive difese: è la cosiddetta recitatio, tipico atto del processo tardo antico.
Queste difficoltà sono affrontate da giuristi privati che tentano di risolverle tramite compilazioni di
vario genere: ad esempio i Libri decretorum di Paolo e i Libri constitutionum di Papirio Giusto.
Tutto questo lavoro compilatorio si avvalse di uno strumento, per così dire editoriale,relativamente
nuovo: il codex (codice), cioè il libro formato da pagine legate insieme, che sostituì il rotolo di
papiro (volumen). E’ un cambiamento che coinvolse tutta la cultura letteraria antica.
Il nuovo strumento fu adottato con successo per compilare le prime compilazioni di costituzioni
imperiali, tanto che il termine codice finì per designare in modo tecnico le raccolte di costituzioni.
La ragione di questo successo è evidente: il lettore disponeva, con il codice, del testo delle più
importanti costituzioni, che sennò avrebbe dovuto trovare con difficoltose ricerche d’archivio; le
costituzioni inoltre erano collocate in un quadro sistematico e distribuite, sotto vari titoli a seconda
del contenuto.
Le prime compilazioni di costituzioni imperiali risalgono alla fine del terzo secolo, inizio quarto.
Sono il Codex Gregorianus e il Codex Hermogenianus.
Entrambi i codici raccoglievano rescritti imperiali, il cui testo era ridotto alla sola parte contenent e
disposizioni normative, con l’omissione di tutto ciò che fungeva da introduzione o contorno alla
norma vera e propria.
IL CODICE TEODOSIANO
Siccome i tentativi di aggiornamento dei due codici non furono sufficienti a dar conto della
produzione legislativa che si stava accumulando, riapparve così ben presto il problema della
certezza del diritto, legato al disordine legislativo e alla stessa conoscibilità delle costituzioni
imperiali.
A questa diffusa esigenza di darà finalmente una risoluzione in oriente, nel 439, sotto il regno di
Teodosio II, con la pubblicazione della prima compilazione ufficiale di costituzioni imperiali: il
Codice teodosiano (Codex Theodosianus).
Con una costituzione del 429 venne nominata una commissione con un doppio compito:
1. Realizzare una raccolta, per gli studiosi, di tutte le costituzioni emanate da Costantino in
avanti, anche quelle non più in vigore, ordinandole secondo il sistema dei due codici privati
precedenti;
2. Compilare una seconda raccolta, a carattere pratico, in cui ci fossero solo le costituzioni
vigenti, prendendole dai Codici Gregoriano ed Ermogeniano e dal terzo codice appena
composto; dovevano essere inseriti brani dalle opere della giurisprudenza del principato
Questo progetto non fu realizzato, ma non viene abbandonata l’idea di attuare una compilazione.
Nel 435 si ritirano su un processo meno ambizioso: si rinuncia di inserire nella raccolta gli iura e si
nomina una seconda commissione con l’incarico di raccogliere tutte le leggi generali emanate da
Costantino in poi, anche quelle abrogate, con la facoltà di modificarne i testi per eliminare
ambiguità, parti ridondanti e così via.
Il nuovo codice si sarebbe affiancato a quelli Gregoriano ed Ermogeniano.
La commissione concluse in poco più di due anni i suoi lavori; il Codice teodosiano fu pubblicato in
Oriente il 15 febbraio del 438, ed entrò in vigore il 1 gennaio del 439. Contestualmente venne
inviato a Valentiniano III, che regnava in Occidente, dove fu pubblicato con la sua presentazione al
senato di Roma, che lo accolse con grande favore.
Il Codice teodosiano è composto di sedici libri, divisi in titoli
All’interno di ciascun titolo le costituzioni si susseguono in ordine cronologico;
per ognuna di esse è indicato il nome dell’imperatore o degli imperatori che le avevano
emanate; il destinatario e la data
Lo schema seguito è quello dei Digesta del principato.
Però c’è una forte prevalenza di materie di diritto pubblico, rispetto ad argomenti
privatistici.
Un’altra novità è la presenza di un intero libro dedicato soltanto alla legislazione in materia
ecclesiastica e religiosa. Ciò fa capire la grande importanza che il cristianesimo aveva or
mai assunto nell’ordinamento giuridico dell’impero.
Il codice teodosiano è stato spesso definito “una pietosa rattoppatura” soprattutto se lo si confronta
con il codice giustinianeo. Tuttavia occorre notare la grande novità di una compilazione ufficiale
che non aveva precedenti e la difficoltà che i commissari dovettero incontrare nella raccolta e
sistemazione delle costituzioni. Inoltre il Codice teodosiano dà grande importanza al diritto
pubblico, cosa ancora più significativa in quanto non esisteva alcun modello (i Codici ermogeniano
e gregoriano vertevano su temi privatistici)
In Oriente il Codice teodosiano rimase in vigore sino al 529, anno in cui fu emanato il primo Codice
di Giustiniano, che lo sostituì. In Occidente la sua influenza si fece sentire più a lungo: nelle zone in
cui la compilazione giustinianea non fu introdotta (perché non riconquistate dagli eserciti di
Giustiniano) il destino del diritto romano sino all’alto medioevo fu anche legato all’utilizzo dei testi
del teodosiano, tramite l’intervento delle c.d. leggi romano-barbariche che lo avevano incluso.
La compilazione del Codice teodosiano non fu solo un tentativo di avere una migliore certezza del
diritto tramite una più agevole rintracciabilità delle costituzioni, ma con esso cambiò anche il modo
di porsi del legislatore imperiale di fronte alla produzione e all’interpretazione del diritto.
Nell’età tardo antica le opere della giurisprudenza del principato furono utilizzate a fianco delle
costituzioni imperiali come diritto vigente. Nell’applicazione vi erano però concrete difficoltà: i
giuristi dovevano districarsi con un materiale vasto ed eterogeneo, l’impiego degli scritti
giurisprudenziali era complicato in quanto questi si riferivano a singoli problemi affrontati (ius
controversium).
Il passaggio della tecnica editoriale del papiro a quella del codice coinvolse anche le opere
giurisprudenziali. Tra il terzo e quarto secolo furono preparate nuove edizioni di molte di esse. Esse
subirono qualche aggiornamento o modifica per renderli meglio fruibili (interpolazioni
pregiustinianee). Questo però generò confusione in quanto non sempre era garantita l’autenticità
delle opere usate come riferimento.
Un tentativo di soluzione si ebbe nel 426: la parte riguardante gli scritti giurisprudenziali è stata
inserita nel Codice teodosiano ed è tradizionalmente denominata “legge delle citazioni”.
Questo provvedimento contiene una regolamentazione precisa dell’uso delle opere dei giuristi del
passato nei processi.
In primo luogo sancisce la validità di tutti gli scritti di Gaio, Paolo, Papiniano, Ulpiano e
Modestino.
Si dispone inoltre che nel caso in cui siano citate in giudizio opinioni giurisprudenziali
contrastanti, debba imporsi l’opinione della maggioranza.
Se c’è parità di opinione, è il pensiero di Papiniano che prevale.
Se Papiniano non è citato, in presenza di parità il giudice può scegliere quella che ritenga
più opportuna.
La legge prevede che possano essere citate opinioni di altri giuristi, purché richiamate nelle
opere dei primi cinque menzionati, e a condizione che si riscontri l’esattezza del riferimento,
controllando il manoscritto originale.
Lo scopo concreto avuto dal legislatore fu quello di regolamentare la citazione dei testi
giurisprudenziali nei processi, dando una soluzione al problema della presenza di passi contrastanti
citati dalle parti a sostegno delle proprie difese.
I principali campi in cui si manifestò l’attività giurisprudenziale tardo antica furono l’insegnamento
e il lavoro sui testi normativi.
I giuristi prestarono la propria attività anche nelle cancellerie imperiali, come consulenti degli
imperatori. La loro opera si svolse nell’anonimato: i testi delle costituzioni era redatti per volontà
del sovrano, senza lasciar nulla intendere sul lavoro preparatorio che stava alla base della loro
emanazione.
L’anonimato è caratteristica quasi tutta la giurisprudenza tardoantica: ciò è dovuto al fatto che
giuristi si limitarono per lo più a redigere commenti, riassunti e a rielaborare le opere del passato.
E’ discusso il valore dell’insegnamento e della cultura giuridica tardo antica. Nelle scuole,
soprattutto quelle orientali, si mantennero intatti lo studio e la riflessione sulle opere dei giuristi del
passato. Ciò contribuì alla conservazione della tradizione giuridica romana, e rese possibile la
compilazione del Digesto, tramite il quale il pensiero giurisprudenziale antico influì in modo
determinante sulla storia del diritto dal Medioevo ad oggi.
Nel tardo impero l’insegnamento si svolgeva sui testi dei giuristi, soprattutto le Istituzioni di Gaio.
Vennero create anche opere didattiche più semplici come l’Epitome Gai (riportata nella Lex
Romana Wisigothorum) o i Fragmenta Augustodunensia che contenevano una parafrasi dell’opera
gaiana.
All’Oriente appartengono gli Scholia Sinaitica che riportano i frammenti di un commento greco ai
Libri ad Sabinum di Ulpiano.
I giuristi non si dedicavano soltanto all’insegnamento. Alcune opere giunte sino a noi al di fuori
della compilazione giustinianea, mostrano come nell’età tardo antica vi fosse una varia produzione
di scritti che avevano l’evidente scopo di rendere più facilmente accessibili i testi della
giurisprudenza del principato e delle stesse costituzioni imperiali. Questo permette anche di
conoscere testi non compresi nelle compilazioni teodosiana e giustinianea.
L’attività giurisprudenziale non ebbero ad oggetto solo gli scritti dei giuristi, ma si rivolse anche
alle costituzioni imperiali, approntando compilazioni private di sole costituzioni, quali i codici
gregoriano ed ermogeniano.
La Lex Romana Wisighotorum riporta leges prese dal codice teodosiano accompagnandole con
un’interpretazione. Questo lavoro ha lo scopo di mediare tra il diritto ufficiale e le esigenze dei
privati.
La fine della giurisprudenza del principato e della sua funzione di guida nello sviluppo del diritto
contribuì, assieme ad altri fattori, alla trasformazione di alcune peculiari caratteristiche del diritto
privato romano come: l’abbandono dell’impostazione processualistica del discorso giuridico, il
declino della distinzione tra proprietà e possesso, l’affermarsi del principio che il semplice
onsenso fosse idoneo a trasferire la proprietà senza necessità alcuna di ricorrere ai negozi traslativi
tipici, ecc.
Si è parlato a tal proposito di “volgarizzazione del diritto” intesa come semplificazione. La causa di
ciò è da rinvenire nel 212 con l’editto di Caracalla che concesse a tutti gli abitanti dell’impero la
cittadinanza romana. Le popolazioni che per secoli si erano rette secondo il proprio diritto, si
trovarono ad usare il diritto romano adattandolo alle proprie esigenze.
LE LEGGI “ROMANO-BARBARICHE”
Dopo la caduta nel 476 dell’impero romano d’Occidente si formarono regni germanici, governati da
re, nei quali vigeva il principio della personalità del diritto: le popolazioni di origineromana
continuarono perciò a essere rette dal diritto romano, mentre i ‘barbari’ vivevano secondo il loro
diritto, per lo più consuetudinario.
Per venire incontro alle esigenze dei sudditi romani, i re ‘barbari’ ordinarono la compilazione di
alcune raccolte di diritto romano.
Agli inizi del sesto secolo si colloca la Lex Romana Burgundionum. In essa si susseguono norme
liberamente basate sui codici gregoriano, ermogeniano e teodosiano, sulle Istituzioni di
Gaio e sulle Pauli Sententiae, senza però alcuna indicazione della fonte e con ampio ricorso alle
tarde interpretationes di tali testi giuridici.
Assai più importante è la Lex Romana Wisigothorum, che venne emanata nel 506 nel regno
Visigoto, che occupava la Spagna e parte della Francia meridionale. Si tratta di una raccolta di
diversi testi giuridici romani riportati in successione l’uno dopo l’altro; essa contiene: una
parteconsistente del Codice teodosiano e delle Novelle post-teodosiane, con le relative
interpretazioni, L’epitome Gai, gran parte delle sentenze di Paolo, alcune costituzioni tratte dai
codici gregoriano ed ermogeniano, un brano dei responsa di Papiniano.
La legge romana dei visigoti ebbe un ruolo significativo nella Francia meridionale, fungendo da
tramite del diritto romano sino al tredicesimo secolo, allorché si affermò in una sostituzione la
compilazione giustinianea nel frattempo riscoperta in Italia.
Ci fu anche un editto di Teodorico. Si tratta infatti di una compilazione emanata in Italia intorno al
500 da Teodorico il Grande, re degli ostrogoti, il quale riconosceva la sovranitàdell’imperatore
d’Oriente, considerandosi suo governatore d’Italia. Per questo motivo prende il nome di editto e
non legge, ed è destinata a valere per tutti i suoi sudditi, sia romani, sia “barbari”.
LA COMPILAZIONE GIUSTINIANEA
L’opera di compilazione dovuta all’imperatore Giustiniano (527-565), denominata anche, nel suo
insieme, Corpus Iuris Civilis (corpo del diritto civile), segna allo stesso tempo la fine e l’inizio di
un’epoca per la storia giuridica. Essa si colloca al termine della lunga vicenda del diritto romano,
chiudendo la fase antica della sua storia.
Il Corpus Iuris Civilis dà inizio a una nuova vicenda del diritto romano, separata e diversa
rispetto a quella antica.
La novità rispetto al passato è costituita proprio dal fatto che si realizza anche una compilazione di
scritti giurisprudenziali, abbandonando così la soluzione meccanica e un po’ semplicistica della
legge delle citazioni.
Lo scopo pratico avuto di mira da Giustiniano si traduce anche in una più approfondita riflessione
sul contenuto del potere imperiale e sull’uso degli strumenti legislativi che gli sonopropri. La
dimensione assolutistica dell’impero tardoantico trova così alcune delle sue più lucide e
consapevoli formulazioni. In una famosa costituzione emanata nel 529, Giustiniano afferma
solennemente che l’imperatore è l’unico creatore e interprete del diritto.
Ai sudditi è lasciato solo il compito di applicare le leggi imperiali. Se c’è in esse qualcosa di oscuro
e se si avverte qualche lacuna bisogna rivolgersi al sovrano, perché vi provveda.
E’ significativo che proprio nella Tanta Dedoken (533) al termine della compilazione più difficile,
quella dei diritti, sia contenuto il divieto di ogni interpretazione dei testi normativi. Le norme sono
ormai chiare e comprensibili; esse si devono perciò applicare e non già interpretare. Si consente
soltanto, a scopi didattici, la loro traduzione letterale in greco, la composizione di indici e il
richiamo di passi paralleli. Qualsiasi altra riflessione su di esse è vietata.
L’assolutismo imperiale esige programmaticamente il monopolio sia sulla produzione che
sull’interpretazione del diritto.
Il lavoro della commissione durò poco più di un anno e il 7 aprile 529, con la Costituzione Summa
Rei Pubblicae, venne pubblicato il nuovo codice (tale codice non ci è pervenuto perché sostituito
nel 534 dal Codex repetitae praelectiones).
Dopo la compilazione del nuovo codice si considera l’idea di procedere a una compilazione di iura.
Il merito maggiore per aver proposto tale progetto e per esserne stato la guida, va dato a Triboniano,
che già presente nella commissione di compilazione del primo codice, divenne benpresto quaestor
sacri paltii.
Il 15 dicembre 530, con la costituzione Deo Auctore, diretta a Triboniano, si dà inizio ufficialmente
all’opera di compilazione. A Triboniano viene affidato anche il compito di scegliersi i collaboratori
per formare la commissione che dovrà procedere al lavoro.
Il materiale da raccogliere doveva essere tratto da scritti di giuristi muniti del ius
respondendi, senza tener conto dei limiti contenuti nella legge delle citazioni.
I commissari dovevano evitare contraddizioni e ripetizioni.
I testi dovevano essere opportunamente modificati, per renderli più chiari e idonei al diritto
vigente.
I brani così selezionati e adattati erano da distribuirsi in cinquanta libri, ciascuno dei quali
diviso in titoli, seguendo l’ordine del Codice, e dell’editto perpetuo.
Una volta inseriti nel Digesto i brani giurisprudenziali erano da considerarsi assimilati a
costituzioni imperiali.
Il lavoro venne svolto assai rapidamente, in circa tre anni, e il 16 dicembre 533, con la costituzione
bilingue Tanta Dedoken, Giustiniano pubblicava il Digesto, preparando l’entrata in vigore al 30
dicembre dello stesso anno. La costituzione prevede, inoltre, il divieto di far uso di testi normativi
che non siano tratti dallo stesso Digesto e dalle altre compilazioni ufficiali (Codice e Istituzioni), e
ricorda che il grande “rispetto nei confronti degli antichi” aveva indotto a non tacere il nome dei
giuristi, indicando l’autore di ogni frammento.
Il Digesto (abbreviato con D.) è diviso in cinquanta libri, ciascuno dei quali diviso a sua volta in
titoli, muniti di una rubrica che indica l’argomento trattato nel titolo. All’interno dei titoli seguono i
frammenti, tutti preceduti da un breve iscrizione, che indica l’opera da cui il frammento è tratto e il
giurista che ne è l’autore. I frammenti più lunghi sono divisi in un principio e in più paragrafi.
La costituzione TANTA a scopi soprattutto didattici, divide il Digesto in sette parti:
1) comprende i libri 1-4 riguardo ai principi generali e alla giurisdizione;
2) la PARS DE IUDICIIS8libri 5-11), dedicata al processo;
3) la PARS DE REBUS (12-19), che tratta di obbligazioni econtratti;
4) l’UMBLICUS (20-27) che si occupa di obbligazioni e diritto di famiglia;
5) DE TESTAMENTIS (28-36), relativa alla successione testamentaria;
6) libri 37-44 dedicati ad altri istituti successori e ad argomenti eterogenei;
7) ultima parte che comprende gli ultimi cinque libri, riguardo a vari argomenti tra cui la
STIPULATIO, il diritto criminale, l’appello, il diritto municipale.
Giustiniano dichiara in modo esplicito che i brani dei giuristi raccolti nel digesto hanno lo stesso
valore delle costituzioni imperiali e che pertanto debbono trovare applicazione in tutti i processi, sia
futuri, sia ancora precedenti.
Metodo seguito dai compilatori nel compiere il Digesto: due principali spiegazioni; teoria delle
“masse” e l’esistenza di compilazioni a catena, i c.d. Predigesti.
Pochi giorni prima della pubblicazione delle Istituzioni, con la costituzione Omnem (533),
Giustiniano riformò gli studi giuridici. Gli studenti dovevano utilizzare, come tesi di studio, le opere
comprese nella compilazione. Non si poteva far più uso degli scritti degli antichi giuristi. Si
dovevano invece usare le Istituzioni, il Digesto e il Codice.
C’era però il problema della lingua: i testi Del CORPUS IURIS erano scritti in latino, lingua che
non era compresa dagli studenti orientali, i quali conoscevano solo il greco.
I professori di diritto apprestarono perciò una serie di opere didattiche, in greco, per rendere
accessibili Istituzioni, Digesto e Codice ai loro studenti, violando così l’ordine di Giustiniano che
vietava qualsiasi traduzione e riassunto.
Dalla data di pubblicazione del primo Codice (7 aprile 529) alla costituzione Deo Auctore (15
dicembre 530) Giustiniano emanò varie costituzioni, che l’imperatore stesso denomina nel loro
insieme cinquanta decisioni (Quinquaginta Decisiones), tramite le quali vennero affrontate varie
questioni controverse.
Subito dopo la compilazione del Digesto, l’imperatore diede incarico a Triboniano, posto a capo di
una commissione ristretta, di procedere alla necessaria revisione e integrazione del Codice, facendo
tutte le modifiche, i tagli e le correzioni che si rendessero necessari. L’opera procedette
velocemente e con la costituzione Cordi del 534 venne pubblicato il secondo Codice, il Codex
Repetitae Praelectionis che sostituiva integralmente il primo.
Il codice è diviso in dodici libri suddivisi in titoli. All’interno di ciascun titolo i frammenti delle
costituzioni si susseguono in ordine cronologico. Ogni frammento è preceduto da una prescrizione
che contiene il nome dell’impe ratore o degli imperatori che emanarono il provvedimento ed è
completato da un sottoscrizione con la data di emanazione.
I Basilici sono una raccolta di brani tratti da opere di giuristi antichi (giuristi del sesto secolo).
L’ultima opera di questo genere è un manuale in sei libri (Hexabiblos) di Costantino Armenopulo,
scritto intorno al 1345.
Per quanto riguarda l’Occidente basta ricordare che la compilazione giustinianea venne introdotta in
Italia, dopo la sua riconquista, con la c.d. Pragmatica Sanctio Pro Petitione Vigilii, una costituzione
inviata da Giustiniano al papa Vigilio nel 554.