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di
Matteo De Padova
1. LA SONATA A TRE
Nello sviluppo secentesco della Sonata primeggiava questo tipo di composizione definita a tre,
perché permetteva di unire notevole agilità (con pochi esecutori) e mantenimento di un impianto
polifonico. Questa Sonata raccoglieva l’eredità della canzonetta a tre voci, già nota alla fine del
Cinquecento grazie ad autori come Claudio Monteverdi e Adriano Banchieri. Ovviamente è in
questo contesto che il violino diventa protagonista indiscusso.
È nell’ambito della Sonata a tre che solitamente si fa distinzione tra Sonata da chiesa e Sonata da
camera, distinzione apparsa per la prima volta nell’Op. 22 (Venezia 1655) di Biagio Marini
intitolata Diversi generi di Sonate, da Chiesa, e da Camera. Fra il 1681 e il 1694 Corelli pubblica
quattro serie di Sonate a tre: l’opera I nel 1681, la II nel 1685, la III nel 1689 e la IV nel 1694. La
prima e la terza appartengono alla tipologia delle Sonate da chiesa, la seconda e la quarta a quella
delle Sonate da camera.
Le Sonate da chiesa di Corelli, (in analogia con diverse raccolte precedenti di diversi autori),
comprendono un numero di dodici sonate. Questo è un tratto che rimarrà invariato nelle successive
opere, e testimonia l’istanza di ordine e simmetria rilevata in altre dimensioni del suo pensiero
compositivo. In queste sonate Corelli adotta come canonico lo schema in quattro movimenti (con
alcune eccezioni come nella n. 7 dell’op. I priva del “grave” iniziale o, al contrario, nelle più
variegate sonate op. I n. 9 e op. III n. 12), nella prevalente sequenza grave, allegro, adagio, allegro,
raccogliendo la prassi antica di accostare un tempo veloce a uno lento.
Anche nelle Sonate da camera è presente una struttura canonica in quattro movimenti (anche se
alcune ne comprendono solo tre, mentre un caso particolare è offerto dalla conclusiva n. 12 dell’op.
II, interamente costituita dalle variazioni su una Ciaccona), nella sequenza adagio, allegro, adagio,
allegro con la caratteristica principale dell’utilizzo della danza, per cui i contemporanei di Corelli
definivano queste sonate da camera “Balletti”. Balletto, poi, era un termine usato già da parecchio
tempo nella musica italiana del Cinquecento, destinato ad assumere notorietà internazionale con i
Balletti con li suoi versi per cantare, sonare e ballare a cinque voci e a tre voci di Giovan Giacomo
Gastaldi del 1594. In quest’epoca insomma la prassi di ballare, suonare e cantare con una medesima
musica era ancora viva. Con gli anni cade la componente vocale ma rimane la possibilità di usare le
medesime musiche tanto per ballare quanto per suonare. Infine dal 1660 in poi la musica con
strutture di danze ma definita “da camera” indicherà un genere autonomo.
Una prima differenza tra le due tipologie di sonate sta nella presenza o meno dell’organo; a questa
bisogna aggiungere anche le già accennate differenze di carattere musicale. Ma è necessario uno
sguardo alla situazione precedente a Corelli per vedere quando e in qual modo si siano distinti i due
generi da chiesa e da camera. Alla fine del Cinquecento il concetto di Sinfonie sacre era già diffuso,
ma non esisteva ancora una distinzione fra i due generi da applicare alle sonate. È intorno alla metà
del secolo che comincia a identificarsi un cambiamento, testimoniato dalle Sonate, da chiesa e da
camera di Biagio Marini, e dalle Suonate da chiesa, da camera, correnti, balletto, alemane,
sarabande (1656) di Giovanni Legrenzi. La distinzione è esplicita perché si incontrano serie distinte
di danze per ballare, di danze per camera, e di pezzi più austeri definiti sonate o sinfonie. Negli anni
successivi, anche se le varie raccolte continuavano a portare il titolo “da chiesa e da camera”, la
tendenza era quella di separare i due generi definendo Sonate quelle “da chiesa” e Balletti quelle
“da camera”.
Il lessicografo francese Sébastien de Brossard (1655-1730) fu il primo a definire e a differenziare in
sede teorica i due generi di sonate a seconda della loro funzione. Nel Dictionaire de musique (Parigi
1701) affermava:
“Le Sonate sono propriamente grandi pezzi, variati di ogni tipo di movimento e di espressione, di
accordi ricercati o straordinari, e tutto ciò puramente secondo la fantasia del compositore. Di Sonate
ne abbiamo fino a 8 parti, ma ordinariamente sono a Violino solo o a due Violini diversi con un
Basso continuo per il Clavicembalo, e spesso un Basso più figurato per la Viola da gamba, il
Fagotto, ecc. Gli italiani solitamente le riducono in due generi. Il primo comprende le Sonate che
chiamano da Chiesa, cioè adatte alla chiesa, che cominciano di solito con un movimento grave e
maestoso, adeguato alla dignità e alla santità del luogo. Sono propriamente queste ad esser chiamate
Sonate. Il secondo genere comprende le sonate che chiamano da Camera, cioè adatte alla camera.
Sono propriamente suites di diversi pezzetti adatti a far danzare, e composti sotto lo stesso modo o
tono. Questo tipo di sonate cominciano solitamente con un Preludio, o Sonatina, che serve da
preparazione a tutte le altre danze; seguono l’Allemanda, la Pavana, la Corrente, e altre danze o
arie serie; quindi vengono le Gighe, le Passacaglie, le Gavotte, i Minuetti, le Ciaccone, ed altre Arie
allegre. E tutto ciò, composto sullo stesso modo o tono e suonato di seguito, forma la sonata da
camera. La sonata contiene solitamente una suite di 4, 5 o 6 movimenti, più spesso su un medesimo
tono. La Sonata da Chiesa si distingue da quella chiamata da Camera o Balletti, per il fatto che i
movimenti di quelle da chiesa sono Adagio, Largo ecc., mescolate a fughe che costituiscono gli
Allegro; mentre i movimenti di quelle da Camera sono composti, dopo gli Adagio, con arie dal
movimento regolato, come un’Allemanda, un Adagio, una Gavotta, una Bourrée o un minuetto. Si
vedano le opere di Corelli come esempio”.
Le differenze tra le Sonate della prima parte e quelle della seconda, sono più o meno le stesse che si
trovano tra le Sonate da chiesa e da camera. Infatti nella prima parte è usata la fuga, che occupa il
secondo movimento (allegro), e può tornare anche nell’ultimo (come nei nn. 1 e 6); mentre è
assente nella seconda parte, anche se non mancano spunti imitativi fra violino e violone, come nel
vivace del n. 11. Delle tre voci delle fughe, due vengono suonate dal violino ed una dal violone.
Attraverso la fuga Corelli ripropone col violino un certo andamento polifonico. Questo accade
specialmente durante le cadenze e a conclusione del pezzo dove spesso troviamo addirittura tre (ma
anche quattro) suoni simultanei. Un altro modo per mimare l’aspetto polifonico col violino solo è
costituito dalla tecnica dell’arpeggio. In quasi tutte le sonate della prima parte si trova almeno una
volta una sequenza di accordi di tre note accompagnati dall’indicazione “arpeggio”. In questo caso
l’esecutore deve, per così dire, sgranare l’accordo, ed eseguire le note in rapida successione
muovendo l’archetto in giù e su ripetutamente. Questo crea all’orecchio dell’ascoltatore un certo
effetto polifonico.
Nelle fughe Corelli vuole riproporre in un certo senso la tipica sonorità della Sonata a tre. Anzi, si
può forse dire che tutta l’op V è una specie di sintesi delle quattro raccolte precedenti. Da un lato
troviamo lo stile contrappuntistico, ripreso negli episodi fugati; dall’altro il riutilizzo dei due stili
(grave e danzevole) ma in questo caso uno affianco all’altro. Questi stili nelle Sonate a tre erano
separati: grave (op.I), danzevole (op.II), grave (op. III), danzevole (op. IV). Lo stile solistico è
quindi sublimazione dell’idioma a tre, e ben presto il modello corelliano si espanderà in Europa
influendo anche sulla musica di J. S. Bach, che non mancherà di rendere omaggio al Nostro
attraverso la Fuga in Si minore (BWV 579) su un tema di Corelli tratto dall’op.III n.4.
BIBLIOGRAFIA
A. Basso, L’età di Bach e di Haendel, Torino,Edt 1986
M. Bukofzer, La musica barocca, Milano, Rusconi 1982
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N. Zaslaw, Ornaments for Corelli’s Violin Sonatas, op. 5, in “Early Music”, XXIV, pp. 95-115