You are on page 1of 6

IL POSTMODERNO TRA MINACCE ED OPPORTUNITÁ.

Il percorso presentato appare esauriente dal punto di vista tematico, con


l’elenco dei caratteri salienti che generalmente vengono considerati propri
della condizione postmoderna, e molto interessante per la proposta
transdisciplinare, peraltro in linea con lo stesso stile che alla temperie
postmoderna si attribuisce.
Si ritiene infatti che tra gli elementi base del postmoderno, la
contaminazione e l’attraversamento siano fra le premesse stilistiche, come
ben dimostrano in letteratura i lavori di Eco, e ovviamente i film suggeriti,
ma io direi tutto Tarantino, da Reservoir Dogs fino a From dusk till dawn,
laddove sarebbe arduo sciogliere l’intreccio tra commedia, poliziesco,
fantasy etc...

Anche l’interesse per il cinema come oggetto di analisi filosofica non é


nuovo nell’ambito dei pensatori postmoderni, o che almeno vengono
considerati tali, e penso alla straordinaria prova di Gilles Deleuze, che
risale ai primi anni ottanta, Cinéma I: L'image-mouvement (1983) e
Cinéma II: L'image-temps (1985); ma ovviamente anche la storia più
recente della letteratura ha dato decisivi contributi all’erosione dei concetti
classici di soggetto (La donna del tenente francese di John R. Fowles é
addirittura del 1969!), di autore (e pensiamo all’esperienza italiana, da
LUTHER BLISSETT fino a WU MING) e ovviamente di spazio e di
tempo.

Mi sembra ovvio a questo punto indirizzare la mia riflessione proprio a


partire dal problema del rapporto tra spazio e tempo, e di una sua certa
inversione che sarebbe intercorsa negli ultimi decenni del secolo scorso...

A questo scopo farò una breve premessa per indicare esplicitamente i miei
riferimenti, che comprendono parte di quelli indicati in bibliografia, alcuni
antecedenti filosofici degli stessi, e un tentativo di distinzione all’interno
della variegata galassia postmoderna, che potrebbe far ancora riecheggiare
l’Eco (non é un errore di battitura, ma la curiosa coincidenza tra segno e
significato...) di quel libro ormai datato che porta il titolo di Apocalittici e
integrati (1964).

1
Tenendo ben fermo il fatto che i pensatori che si occupano di analizzare la
realtà postmoderna sono d’accordo su una serie di elementi caratterizzanti,
proviamo a riassumerli brevemente:

se postmoderno indica evidentemente una uscita dalla modernità,


presagendo una specie di salto mortale dal momento che quest’ultima
sembrava dovesse assorbire in sé il presente in quanto tale, allora esso si
definirà per una serie di scomparse e di esaurimento di alcuni caratteri che
erano specifici del moderno e che non sussistono più.

Parliamo di scomparsa del soggetto così come lo avevamo concepito da


Cartesio in poi, e ci viene in soccorso Michel Foucault che tematizza la
morte dell’uomo come esito necessario della morte di dio, quando in Le
parole e le cose (1966) ci fa toccare con mano come lo sviluppo delle
scienze umane ci consegna una immagine dell’uomo che é l’esatto
contrario di come eravamo abituati a vederlo: da una coerenza e solidità
che costituiva il nucleo di una identità cartesiana fuori dal tempo, ma
anche trascendentale-kantiana che il tempo e lo spazio fonda, siamo
passati ad un oggetto sbriciolato in tante facce possibili, che trova una
unità solo caleidoscopica all’interno di quel gioco di rimandi costituito
dalle relazioni tra economia politica, biologia e linguistica...

Parliamo di scomparsa dei grandi racconti che facevano della storia umana
un romanzo trionfale di acquisizioni progressive in vista di un compimento
finale, e troviamo nuovamente Foucault che ci invita a pensare nel vuoto
dell’uomo scomparso, ma anche il Francis Fukuyama de La fine della
storia, dove l’ultimo uomo sarebbe finalmente libero dall’onere di
possedere (e quindi virtualmente imporre) la Verità storica...

Parliamo di perdita della centralità dello stato nazione in virtù della


mondializzazione dei flussi economici e soprattutto finanziari, e non
possiamo non pensare alle acute analisi formulate da Zygmunt Bauman, da
Dentro la globalizzazione a Modernità liquida fino a Vite di scarto...
E poi ancora, il passaggio dall’economia fordista fondata sulla centralità
della fabbrica territoriale, che conteneva in sé la quasi totalità del processo
produttivo, alla terziarizzazione postfordista, in cui le companies
esternalizzano quanto più possono, dislocando interi e fondamentali pezzi
del processo produttivo nelle zone del pianeta dove il costo della
manodopera é più basso... tenendosi stretti solo il packaging, che include il
2
diritto di apporre il famoso logo di cui tutti parlano improvvisamente
grazie a Naomi Klein (No logo, 2000)..., con tutte le conseguenze che la
necessaria flessibilità organizzativa di questo modello comporta sulle vite
delle persone, (quindi ancora Bauman e Ulrich Beck con la sua societá del
rischio); ma anche le nuove frontiere della democrazia organizzativa
indicate dalla rivoluzione di internet, che é non soltanto la modalità
specifica della comunicazione post-moderna con connessa compressione
fino alla scomparsa stessa dello spazio, ma soprattutto il modello del
nuovo modo di relazionarsi, sia in campo professionale che in quello delle
relazioni umane propriamente dette: da una disposizione verticale, propria
dei rapporti di potere dell’età moderna, si passa su di un piano orizzontale,
laddove il nuovo potere (anche economico) non è più il controllo dei
vertici, ma dei nodi strategici e dei flussi, siano essi di uomini, di merci, o
dei capitali finanziari.
Giungiamo infine ad un altro degli elementi chiave della società
postmoderna: la logica dei flussi indica un’ulteriore allargamento del
dominio della merce, non solo nel senso, rilevabile da chiunque, che se le
barriere devono essere abbattute in nome della libera circolazione, queste
tendono a rialzarsi quando si tratta di persone che non veicolano adeguati
interessi commerciali e finanziari, ma anche nel senso che se é vero che i
flussi sono essenzialmente flussi di informazioni, per cui la società
postmoderna viene a buon titolo definita come la società dell'informazione,
é anche vero che l’elevato livello degli scambi riguarda le informazioni
proprio in quanto merci, con quel che ne consegue sulla possibilità che
quelle informazioni spieghino il mondo, piuttosto che costituirlo.
Insomma, la precarietà, la mancanza di punti di riferimento, la liquidità, il
dominio dei flussi, il tramonto della modernità porterebbe via con sé tutti
quelle promesse che, almeno a partire dall’Illuminismo, avevamo sperato
di poter vedere realizzate.
Eppure dicevo non tutti gli analisti condividono, per dire, il pessimismo di
un Bauman o l’ingenuo ottimismo di un Fukuyama, che peraltro proprio di
recente é un poco tornato sui suoi passi, proprio a proposito della fine della
storia.
Torniamo per un momento al rapporto tra tempo e spazio; é ovvio che lo
sviluppo dei trasporti e il tramonto della prospettiva verticale ha
inaugurato una nuova dimensione già prematuramente definita dell’eterno
presente, in cui la simultaneità sembra abolire ogni riferimento alla
profondità del tempo, ma questo oltre che motivo di disorientamento é

3
stato anche a volte letto come una grande possibilità per nuove strategie di
soggettivazione, non più sottomesse alla linea verticale delle tradizioni,
che imponevano modi di essere, di sentire e quindi di vivere prestabiliti;
pensiamo ancora a Foucault, che negli ultimi anni attraverso lo studio delle
soggettività antiche approda ad una nuova forma di riflessione anche
morale sull’uomo, come testimoniato dalla ricerca americana che porta
come titolo Tecnologie del sé, o che ancora precede la tematizzazioni sui
non luoghi di Marc Augé, quando parla di eterotopie in contrapposizione
alla perdute utopie ottocentesche; ma possiamo riferirci anche a Gilles
Deleuze, considerato a torto o a ragione il filosofo del desiderio: sono due
gli elementi strategici del pensiero di Deleuze che ben si adattano ad una
considerazione non timorosa del postmoderno, ossia il concetto di divenire
e quello di desiderio come formulato ne L’AntiEdipo (1970); mi sembra di
poter dire che il primo é inequivocabilmente opposto ad essere, dove
questo veniva appunto inteso come avvicinamento progressivo a modelli
preesistenti, mentre il divenire prevede sempre la possibilità di uno scarto,
di un percorso originale, per dirla in modo banale di una vita sperimentale,
fuori dalle modalità comunemente accettate di soggettivazione; per quanto
riguarda il desiderio, ne l’AntiEdipo Deleuze si sforzava di sottrarlo alle
strade obbligate della psicoananlisi freudiana, che lo costringevano a
tornare continuamente sulla famiglia e sul romanzo familiare, fondandolo
su di una incolmabile mancanza, quindi desinato all’insoddisfazione e alla
frustrazione perenni: il pensatore francese persegue una reale
autoposizione del desiderio, sottraendolo al teatro e alla rappresentazione
per consegnarlo alle sue possibilità produttive e autopoietiche.
Ancora un tratto del postmoderno quanto mai controverso: da qualche
parte Foucault scrive che se il XIX secolo é stato il secolo della storia, il
prossimo (il nostro) serebbe stato quello della geografia, proprio ad
indicare l’ingresso in una nuova dimensione caratterizzata dalla
simultaneità, dalla superficie, dalla contemporanea presenza di molteplici
possibilità, e Deleuze gli fa eco invitando alla costruzione di una geografia
di saperi che escluda il principio dell’unificazione forzata, all’ombra di
una gerarchia, sia essa di marca storica-storicistica o meno...
Questo passaggio (che i nostri due poststrutturalisti intravedono, prima di
auspicare...) sarà inteso, da una linea che va dai nouveaux philosophes fino
a Francis Fukuyama, come la liberazione dai padroni del pensiero, che ci
avevano costretti alla ricerca di una Verità rivelatasi inesistente, e poi da
tutte le Storie che ne erano seguite, foriere dell’ormai aborrito

4
volontarismo che pretenderebbe di dare una direzione forzata alla storia
reale.

Esattamente all’altro capo della riflessione sul postmoderno troviamo


appunto gli studiosi alla Bauman, alla Jameson, che ci vedono invece
l’inizio della fine della cultura occidentale stessa, che, dimentica della sua
Storia (ancora con la maiuscola) e dei suoi Valori, sta inesorabilmente
scivolando verso una neoproletarizzazione planetaria con connessa
distruzione definitiva del pianeta.
Pieno di fascino a questo proposito é il concetto di smaltimento che
Bauman eleva a paradigma delle politiche sociali messe in campo con
l’eclissi dello Stato Sociale: si sarebbe infatti passati dal paradigma del
riciclaggio dei rifiuti a quello della necessaria eliminazione, a causa delle
crescenti quantità che ne vengono prodotte e anche del tipo prevalente (i
rifiuti della tecnologia, sempre più difficili da trattare), e la stessa cosa si
realizza con i programmi di gestione dei cittadini espulsi dai processi
produttivi; infatti, se prima ad esempio la condizione di disoccupazione era
intesa come passeggera, e quindi il lavoratore poteva essere riciclato in un
altro settore etc., ora, dice Bauman, essa é considerata una caduta
definitiva fuori dal circo colorato della produzione volatile delle società di
servizi..., e l’unico rimedio é la distruzione per allontanamento...
Insomma, e per concludere, a fronte di un campo tematico abbastanza
omogeneo e condiviso, il postmoderno presenta una problematicità che mi
sembra tipica delle grandi stagioni culturali.
La stessa possibilità che siamo stimolati alla riflessione davanti a quello
che sarebbe un banale film di mostri, quale forse é uno degli ultimi film di
Tarantino, dal titolo Planet terror (che i critici sono costretti a classificare
in questo modo: Action / Comedy / Horror / Sci-Fi / Thriller ), a me sembra segno di
grande vivacità e consapevolezza culturale...

Del contributo che la letteratura sempre ha dato sia alla riflessione


filosofica che alla consapevolezza del proprio tempo é appena il caso di
ribadirlo con due riferimenti veloci, anch’essi molto vicini al postmoderno
in senso ampio, ovvero gli scritti di Kafka, cui lo stesso Deleuze dedica un
suo libro per metterne in evidenza le potenzialità proprio in quanto
letteratura minore refrattaria ai canoni della grandezza del romanzo primo-

5
novecentesco, e, proprio dall’altro capo di un ideale percorso storico-
tematico, quello che gli americani hanno già definito il new italian epic,
che potremmo ben rappresentare con quella straordinaria opera a metà tra
il romanzo, il reportage, l’indagine sociologica e il pamphlet che é
Gomorra di Roberto Saviano...
Per concludere, mi piace ricordare l’immagine deleuziana del rizoma
contrapposto all’albero, dove il secondo rappresenta la Storia e le storie
unidirezionali, dal basso del passato (vero o solo supposto) verso l’alto di
un futuro preordinato, mentre il primo é questa strana pianta capace di
radicarsi in più punti e poi di continuare ancora ad allargarsi in ogni
direzione, per stabilire nuovi contatti e nuovi incroci di fecondità...;
immagine che indica bene sia una possibile antropologia della libertà e
delle nuove possibilità di soggettivazione, che un nuovo modo di intendere
la storia del mondo, più vicina alla concretezza degli strati geologicamente
sovrapposti che alla rassicurante ma in fin dei conti mistificatrice storia
romanzata, agiografica, delle magnifiche sorti progressive etc... che poi si
vedono solo nei libri, mentre la realtà che ci tocca vivere se ne discosta
quanto mai...
Si tratta allora di raccogliere questi inviti, che sono inviti a non piangere
per la perdita di ciò che era già morto e a costruire qualcosa di nuovo che
sia migliore e più creativo del passato, consapevoli ovviamente che in ogni
sistema culturale non si può eludere il problema delle connessioni perverse
tra i saperi e i poteri, e che almeno finora non c’é stata ancora una societá
che non giocasse sul limite integrazione/espulsione, come dice Bauman a
proposito della società liquida, e che le filosofie della storia, siano esse
trionfali o distopiche, non hanno mai reso un buon servizio a quelli per
conto dei quali si ergevano a portavoce.

You might also like