Professional Documents
Culture Documents
A questo scopo farò una breve premessa per indicare esplicitamente i miei
riferimenti, che comprendono parte di quelli indicati in bibliografia, alcuni
antecedenti filosofici degli stessi, e un tentativo di distinzione all’interno
della variegata galassia postmoderna, che potrebbe far ancora riecheggiare
l’Eco (non é un errore di battitura, ma la curiosa coincidenza tra segno e
significato...) di quel libro ormai datato che porta il titolo di Apocalittici e
integrati (1964).
1
Tenendo ben fermo il fatto che i pensatori che si occupano di analizzare la
realtà postmoderna sono d’accordo su una serie di elementi caratterizzanti,
proviamo a riassumerli brevemente:
Parliamo di scomparsa dei grandi racconti che facevano della storia umana
un romanzo trionfale di acquisizioni progressive in vista di un compimento
finale, e troviamo nuovamente Foucault che ci invita a pensare nel vuoto
dell’uomo scomparso, ma anche il Francis Fukuyama de La fine della
storia, dove l’ultimo uomo sarebbe finalmente libero dall’onere di
possedere (e quindi virtualmente imporre) la Verità storica...
3
stato anche a volte letto come una grande possibilità per nuove strategie di
soggettivazione, non più sottomesse alla linea verticale delle tradizioni,
che imponevano modi di essere, di sentire e quindi di vivere prestabiliti;
pensiamo ancora a Foucault, che negli ultimi anni attraverso lo studio delle
soggettività antiche approda ad una nuova forma di riflessione anche
morale sull’uomo, come testimoniato dalla ricerca americana che porta
come titolo Tecnologie del sé, o che ancora precede la tematizzazioni sui
non luoghi di Marc Augé, quando parla di eterotopie in contrapposizione
alla perdute utopie ottocentesche; ma possiamo riferirci anche a Gilles
Deleuze, considerato a torto o a ragione il filosofo del desiderio: sono due
gli elementi strategici del pensiero di Deleuze che ben si adattano ad una
considerazione non timorosa del postmoderno, ossia il concetto di divenire
e quello di desiderio come formulato ne L’AntiEdipo (1970); mi sembra di
poter dire che il primo é inequivocabilmente opposto ad essere, dove
questo veniva appunto inteso come avvicinamento progressivo a modelli
preesistenti, mentre il divenire prevede sempre la possibilità di uno scarto,
di un percorso originale, per dirla in modo banale di una vita sperimentale,
fuori dalle modalità comunemente accettate di soggettivazione; per quanto
riguarda il desiderio, ne l’AntiEdipo Deleuze si sforzava di sottrarlo alle
strade obbligate della psicoananlisi freudiana, che lo costringevano a
tornare continuamente sulla famiglia e sul romanzo familiare, fondandolo
su di una incolmabile mancanza, quindi desinato all’insoddisfazione e alla
frustrazione perenni: il pensatore francese persegue una reale
autoposizione del desiderio, sottraendolo al teatro e alla rappresentazione
per consegnarlo alle sue possibilità produttive e autopoietiche.
Ancora un tratto del postmoderno quanto mai controverso: da qualche
parte Foucault scrive che se il XIX secolo é stato il secolo della storia, il
prossimo (il nostro) serebbe stato quello della geografia, proprio ad
indicare l’ingresso in una nuova dimensione caratterizzata dalla
simultaneità, dalla superficie, dalla contemporanea presenza di molteplici
possibilità, e Deleuze gli fa eco invitando alla costruzione di una geografia
di saperi che escluda il principio dell’unificazione forzata, all’ombra di
una gerarchia, sia essa di marca storica-storicistica o meno...
Questo passaggio (che i nostri due poststrutturalisti intravedono, prima di
auspicare...) sarà inteso, da una linea che va dai nouveaux philosophes fino
a Francis Fukuyama, come la liberazione dai padroni del pensiero, che ci
avevano costretti alla ricerca di una Verità rivelatasi inesistente, e poi da
tutte le Storie che ne erano seguite, foriere dell’ormai aborrito
4
volontarismo che pretenderebbe di dare una direzione forzata alla storia
reale.
5
novecentesco, e, proprio dall’altro capo di un ideale percorso storico-
tematico, quello che gli americani hanno già definito il new italian epic,
che potremmo ben rappresentare con quella straordinaria opera a metà tra
il romanzo, il reportage, l’indagine sociologica e il pamphlet che é
Gomorra di Roberto Saviano...
Per concludere, mi piace ricordare l’immagine deleuziana del rizoma
contrapposto all’albero, dove il secondo rappresenta la Storia e le storie
unidirezionali, dal basso del passato (vero o solo supposto) verso l’alto di
un futuro preordinato, mentre il primo é questa strana pianta capace di
radicarsi in più punti e poi di continuare ancora ad allargarsi in ogni
direzione, per stabilire nuovi contatti e nuovi incroci di fecondità...;
immagine che indica bene sia una possibile antropologia della libertà e
delle nuove possibilità di soggettivazione, che un nuovo modo di intendere
la storia del mondo, più vicina alla concretezza degli strati geologicamente
sovrapposti che alla rassicurante ma in fin dei conti mistificatrice storia
romanzata, agiografica, delle magnifiche sorti progressive etc... che poi si
vedono solo nei libri, mentre la realtà che ci tocca vivere se ne discosta
quanto mai...
Si tratta allora di raccogliere questi inviti, che sono inviti a non piangere
per la perdita di ciò che era già morto e a costruire qualcosa di nuovo che
sia migliore e più creativo del passato, consapevoli ovviamente che in ogni
sistema culturale non si può eludere il problema delle connessioni perverse
tra i saperi e i poteri, e che almeno finora non c’é stata ancora una societá
che non giocasse sul limite integrazione/espulsione, come dice Bauman a
proposito della società liquida, e che le filosofie della storia, siano esse
trionfali o distopiche, non hanno mai reso un buon servizio a quelli per
conto dei quali si ergevano a portavoce.