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BARBARA GIZZI Carne cruda e convitati di pietra: il cibo nel melodramma

Nella librettistica italiana, come in altre forme di espressione artistica, il cibo assume spesso il valore di paradigma su cui misurare le potenzialit sociali dei personaggi. La terminologia inerente agli alimenti e agli atti del mangiare e del bere nellambito dellopera italiana non esaurisce la sua funzionalit a livello esclusivamente narrativo, limitandosi alla rappresentazione descrittiva di atti o oggetti necessari al naturale svolgersi della vita, ma pi spesso assume valori metaforici o diventa termine di una relazione con altri aspetti dellesistenza, connessi a sfere intellettuali, passionali o razionali. In considerazione dellimmenso corpus dei testi di opere italiane composte tra il Settecento e i primi del Novecento (termini cronologici che racchiudono senzaltro la grande stagione musicale dellopera italiana) ho effettuato la mia ricerca su una selezione di circa trenta testi, tenendo conto del peso dei compositori ma anche di quello dei librettisti. Va subito detto che tra i testi selezionati solo il Nabucco esclude qualunque termine gastronomico non presentando neppure, fatto comunissimo nel melodramma ottocentesco, un accenno al vino o un semplice brindisi. Tutti gli altri testi includono almeno un riferimento a una pietanza, a un tipo di cibo (spesso frutta o carne, frequente anche luso di tartufi) o a una bevanda (in ordine decrescente di presenza: il vino, la cioccolata, il caff). Per quanto riguarda il Settecento lambientazione spensierata e gaudente del dramma giocoso del secolo suggerirebbe una presenza pi massiccia in questambito di nomi referenti il tema culinario-gastronomico. Ed effettivamente la quantit di tali termini piuttosto significativa. Bisogna per subito aggiungere che la funzionalit di essi nel dramma giocoso pertiene a quella dimensione realistica, narrativa cui si sopra accennato: si nomina il cibo quando necessario fare riferimento a un uso di esso e ci accade in molte situazioni di festa: mense, tavolate, situazioni campestri in cui la vendemmia, il bicchiere di vino o il paniere con la frutta sono indispensabili alla descrizione e quindi alla messa in

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scena della situazione stessa. Le due grandi eccezioni le notiamo da una parte nella produzione di un librettista sui generis, nonch il pi prolifico del Settecento, Carlo Goldoni, e dallaltra in quella di un musicista che era anche bongustaio e cuoco, Gioachino Rossini. Nei testi scritti dal primo e in quelli musicati dal secondo il cibo assume una funzione centrale, legando la propria presenza a uno status sociale, diventando indice di benessere e parametro su cui misurare la capacit di godere la vita, prodromo di una vera e propria filosofia. Si osservino solo alcuni titoli di intermezzi e drammi giocosi composti da Goldoni La bottega da caff, La vendemmia, Il Paese della cuccagna, Le Pescatrici, De gustibus non est disputandum, Il festino per comprendere quanto il tema fosse centrale nellispirazione del commediografo veneziano. In De gustibus non est disputandum la protagonista Artimisia si diverte a contrastare i piaceri dei suoi tre spasimanti: se vogliono conquistarla devono preferirla alle loro passioni: il gioco, latteggiamento allegro e, finalmente, la gola. Don Pacchione il personaggio del mangione per eccellenza. Per tutta lopera si attende di mangiare uno squisito piatto da lui elaborato e preparato, del quale si fornisce anche la ricetta:
un pezzo di vitello con tre dita di grasso / cotto con le tartufole e il presciutto! / Oh, mamma mia! Me lo mangerei tutto! / Pu darsi in questo mondo, / oltre quello del mangiar, gusto migliore?

Ma la sua innamorata lo costringe allastinenza, alla fame pi nera, dichiarando agli spettatori quale sia il proprio vizio e il proprio piacere:
Ecco un gusto esquisito: / far patir lappetito a un mangiatore, / far che trionfi della gola amore!

Giungiamo cos al primo nodo tematico che riguarda il cibo nel melodramma: quello tra il mangiare e lamore. Il connubio frequentissimo in tutta la produzione settecentesca e ottocentesca e, se ha il suo apice, come vedremo, nella figura di don Giovanni, presente nelle opere di Verdi e persino in Tosca, una delle opere pi tragiche di Puccini. Per quanto riguarda il Settecento, lo troviamo, ad esempio, ne Il fumo villano di Giuseppe Petrosellini, musicato da Piccinni, in cui una fanciulla di bassa estrazione si finge dama nobile per conquistare un cavaliere che non sa essere finto anchegli. Il primo espediente messo in atto per la seduzione proprio la tavola: Ella potria rimaner qui con noi a mangiare una zuppa la battuta per convincerlo a restare e, nelle scene successive, la preparazione della mensa ha una considerevole importanza in funzione del personaggio-ospite. Nello stesso libretto sembra si giochi particolarmente sui modi di dire e le metafore gastronomiche, come non mi pasce il fumo ma larrosto e si consideri che il fumo,

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ovvero lapparenza che non corrisponde a sostanza, quello stesso del titolo; oppure sempre fedele come la mosca al mle; vo salvare la pancia per i fichi e cos via. Tornando a Goldoni, Il Paese della cuccagna , per eccellenza, unopera assolutamente imperniata sul vizio del mangiare e sullingordigia. Bastino i nomi dei personaggi: Lardone, Salciccione, Pollastrina. Anche in questo caso dobbiamo rilevare un rapporto con leros, stavolta di segno opposto rispetto ai precedenti. Nel Paese della cuccagna ciascuno pu mangiare e bere gratuitamente a profusione, purch giuri di non essere mai geloso e di non prendersi cura se il proprio compagno se ne sta allegramente con altri uomini o altre donne. la rinuncia allamore esclusivo il prezzo da pagare per far godere il proprio stomaco senza limitazioni. I due protagonisti, connotati con atti e parole che ne fanno, s, Arlecchino e Colombina, ma anche due personaggi amorosi, dopo la ritrosia iniziale cedono senza alcun dubbio a questo scambio in natura. E non certo un caso che la fanciulla che si introduce nel Paese si chiami Pollastrina, nome allusivo, in forma di metafora gastronomica, a un suo appetibile aspetto dal punto di vista erotico. La metafora cottura/seduzione poi frequentissima nel dramma giocoso, si pu dire che non c circostanza comica in cui non si usi il participio cotto a significare un innamoramento senza speranza, viscerale: in Cenerentola di Rossini, cotto, stracotto, spolpato, in Don Pasquale di Donizetti compare pi volte cotto. Spesso troviamo la metafora in Rossini, ad esempio nellItaliana in Algeri (sono gi caldo e cotto). In Goldoni, per, su questa metafora si costruisce un intero intermezzo, Le Pescatrici, in cui si crea un gioco linguistico metaforico sulla pesca per richiamare la capacit di seduzione delle due giovani protagoniste: no, mia vita, questo mio core tuo, tu lhai pescato, mangialo come vuoi, fritto o stufato. Nello stesso intermezzo al dono di un pesce da parte del giovane innamorato corrisponde un dialogo simile: Caro il mio Frisellino, questo pesce gentile quant bellino / Aprilo e in mezzo ad esso ritroverai il cuor mio / No, aprirlo non voglio / Mangialo vita mia con olio e sale / No poverino, non gli vuo far male. Donne e buon cibo sono spesso legati nel melodramma italiano: un largo uso di questo vincolo compare in Rossini che sappiamo essere stato appassionato intenditore di cibi raffinati, cultore della gastronomia italiana a tal punto da farsi spedire direttamente a Parigi, dal famoso salsamentario modenese Bellentani, cotechini e zamponi nostrani. NellItaliana in Algeri la furba Isabella, per liberarsi dalle grinfie del Bey Mustaf e sposare il suo italiano, escogita un espediente: suscitare in Mustaf il desiderio di far parte delleletta categoria dei Pappataci che, come suggerisce il complice Lindoro: fra gli amori e le bellezze, fra gli scherzi e le carezze, dee dormir, mangiare e bere, ber dormir e poi mangiar. Il piacere emerge da un nodo indissolubile tra leros e il buon cibo, nodo che permane anche nellOttocento: lunico libretto comico di Verdi, Falstaff, che

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mette in scena il goloso per eccellenza, segnala subito la stretta relazione tra mangiare e fare allamore gi nellindicazione dellambientazione, indicazione del resto gi presente nel modello shakesperiano: Osteria della giarrettiera. Falstaff pensa di utilizzare un suo presunto ascendente sulle donne per riacquistare le ricchezze necessarie a ristabilire il suo regno ovvero laddome, come egli stesso indica: questo il mio regno, lo ingrandir. Ma le allegre comari di Windsor sono pi furbe di lui e ribaltano la situazione, ecco uno stralcio dai loro giudizi su Falstaff: quellotre, quel tino, quel Re delle pance, lolio gli sgocciola dalladipe unticcio, un monte di lardo, un ghiotton che scialacqua tutto il suo aver nel cuoco. E dalla riconosciuta identit tra Falstaff e un mucchio di carne lardosa deriva anche la soluzione che intendono adottare con lui: lo tufferem nellacqua lo arrostiremo al fuoco. La metafora della cottura gi vista in Goldoni, intesa cio come seduzione che porta allinnamoramento totale si ripropone qui nellammissione dello stesso protagonista (quando fui ben cotto, rovente, incandescente, mhan tuffato nellacqua) che addirittura si pone egli stesso nei confronti della donna come un cibo da cuocere: sono il suo servo, sono il tuo cervo imbizzarrito. Ed or piovano tartufi, rafani e finocchi e sien la mia pastura. E amor trabocchi. Oppure: Squartatemi come un camoscio a mensa! Sbranatemi! Cupido alfin mi ricompensa. Il canone linguistico di e del Falstaff effettivamente tutto impostato sul cibo. Il libretto denso di metafore gastronomiche, nel riuscito tentativo da parte del librettista Boito di creare un contesto veramente adatto a questo prototipo di tutti i pancioni del teatro. Quello che in Shakespeare era uno dei personaggi, qui diventa il protagonista assoluto e la sua importanza sottolineata dalluso ridondante di termini riferiti al cibo anche da parte di tutti gli altri personaggi e anche in circostanze non ovvie: se non siete astuto troverebbe un pasto lauto nella vostra ingenuit; affiderei la mia birra a un tedesco, tutto il mio desco a un olandese lurco, la mia bottiglia dacquavite a un turco, non mia moglie a se stessa, nei giuochi il periglio un grano di pepe. Si potrebbe continuare ma gli esempi sono davvero troppo numerosi. Ho accennato precedentemente allla presenza di un legame eros-cibo persino nel pi tragico Puccini: Tosca ne un esempio. Il secondo atto il pi drammatico dellopera, se nel terzo i protagonisti muoiono, in questa sezione che si concentra la tragedia: nella stanza accanto Cavaradossi torturato a sangue, Scarpia cerca di convincere Tosca a cedere alle sue voglie per salvare lamante e il culmine della scena lassassinio di Scarpia da parte di Tosca. Questalta concentrazione di passionalit si addensa su una tavola imbandita alla quale Scarpia consuma la sua cena cercando di evitare interruzioni finch la morte gli rende impossibile continuare a mangiare. La tavola il luogo in cui eros e cibo si legano come dimostra questa battuta di Scarpia: Dio cre diverse belt e vini diversi. Io vo gustare quanto pi posso dellopra divina. La tavola fornisce anche a Tosca il coltello, larma del delitto. Ed sempre sulla tavola che Tosca

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trova il tovagliolo e lacqua per pulirsi le mani nella ricerca frenetica di una nuova purezza, alla maniera di una Lady Macbeth, azione questa che fornir il pretesto per laria di Cavaradossi del III atto, O dolci mani mansuete e pure. Un altro amante dei piaceri del melodramma italiano, certo il pi grande, don Giovanni, muore sulla tavola. Nellopera perfetta di Mozart e Da Ponte questo intreccio edonistico di cibo e sesso crea una spirale da cui il protagonista non pu pi uscire: a tavola e intorno alla tavola trova la morte. La sua fine principia laddove egli compie lulteriore provocazione nei confronti del commendatore, ormai divenuto convitato di pietra: linvito a cena. La provocazione forte perch colpisce proprio limpossibilit da parte del Commendatore di poter godere dei piaceri, sia in quanto pietra, perch alla statua che don Giovanni si rivolge, sia in quanto cadavere, vittima di don Giovanni stesso. Com noto il Commendatore-statua non solo si presenta alla mensa di don Giovanni, ma proprio ricambiando il suo invito che lo conduce alla morte: Tu minvitasti a cena/ il tuo dover or sai/ rispondimi verrai/ tu a cenar meco. E cos don Giovanni, come Scarpia, muore sprofondando da una tavola imbandita. E come Scarpia nella sera fatale, non smette di mangiare di fronte a una donna disperata, donna Elvira, continuando fino allultimo a deriderne la disperazione: Lascia chio mangi e se ti piace mangia con me. Ledonista riesce a gustare fino in fondo il piacere della tavola, anche di fronte alla donna: le due passioni sono del resto inscindibili nella sua concezione del piacere. Infatti poco prima che donna Elvira, sfinita, esca dalla sua casa, don Giovanni prorompe: Viva le femmine, viva il buon vino! Sostegno e gloria dumanit. In Don Giovanni, per, il cibo diviene anche il pretesto per creare unantitesi tra i beni materiali e quelli spirituali, preludio alla morale finale dellopera: quando don Giovanni ordina a Leporello di portare unaltra cena per il Commendatore, questi sentenzia: Non si pasce di cibo mortale/ chi si pasce di cibo celeste. Del resto tutta lopera, diversamente da Nozze di Figaro e Cos fan tutte, scandita dalla presenza del cibo che viene mostrato come fonte di piacere alternativo e complementare a quello sessuale, nonostante la logica che sorregge il personaggio garantisca il primato delle donne che son necessarie pi del pan che mangio. Don Giovanni sa per che solo il cibo pu essere valido motivo per interrompere un momento damore e irrompendo alla festa di nozze di Masetto e Zerlina, nel tentativo di distrarre tutti per sedurre la ragazza, don Giovanni ordina a Leporello di allestire una ricca e improvvisata merenda: fa che abbiano cioccolata caff vini presciutti cerca divertir tutti e successivamente nellaria Fin chhan del vino si gettano le premesse per una magnifica orgia fondendo insieme i tre elementi del piacere: la tavola (e quindi il vino), il ballo e le donne. Nella festa da ballo si chiamano in scena di nuovo caff e cioccolata, le due bevande maggiormente presenti nel linguaggio del melodramma dopo il vino, e poi sorbetti e confetti due alimenti dolci e preziosi che offrono il

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destro a unulteriore allusione moralistica e profetica nella battuta a due di Zerlina e Masetto: Troppo dolce comincia la scena/ in amaro potria terminar. Si sa che Leporello, nonostante sia spesso costretto a rivestire il ruolo di colui che fa la morale al padrone, pure cerca volentieri di emularlo non a caso attraverso il tentato esercizio dei due piaceri dongiovanneschi: tentando quindi di sedurre donne 1 e cercando di godere delle pietanze in particolare nella scena finale (in cui, per lesattezza, il testo si limita a citare fagiano e vino marzimino, un vino italiano prodotto nella provincia di Treviso, inequivocabile e nostalgica passione di Da Ponte che era nato a Cneda, oggi Vittorio Veneto) in cui rubacchia dai piatti mentre li cambia ingozzandosi avidamente e giustificandosi: s eccellente il vostro cuoco, che lo volli anchio provar. Un cuoco eccellente. Don Giovanni sa come si vive e sa, quindi, come trattarsi a tavola e, se le donne hanno, come si accennava, il primato di piacere fondamentale, pur vero che, forse, don Giovanni pi selettivo riguardo al cibo che non riguardo alla donna, che, come sappiamo dal celeberrimo catalogo di Leporello, disposto a sedurre comunque, se sia brutta, se sia bella, purch porti la gonnella. Ulteriore esempio di connessione amore/cibo lo troviamo nel drammaticissimo Pagliacci di Leoncavallo, sebbene sia ovvio che in un contesto cos tragico, al cibo pu essere riservato un posto solo a livello metateatrale, cio nella rappresentazione comica che i pagliacci tengono, come maschere, quando Arlecchino e Colombina cantano a due:
Lamore ama gli effluvii del vin, de la cuccina! ARLECCHINO Mia ghiotta Colombina! COLOMBINA Amabile beone! (Atto II, Scena II)

Sempre a proposito del rapporto tra cibo ed eros un uso del linguaggio gastronomico ben associato a unidea e perfettamente collocato in un contesto drammaturgico, rappresentato da Belfagor, commedia lirica di Respighi su testo di Claudio Guastalla, che a sua volta trae spunto da una commedia di Ercole Luigi Morselli e naturalmente da Machiavelli. Nota la vicenda di

1 Si veda ad esempio nella scena della presentazione a Zerlina come a unemulazione nella seduzione corrisponda da parte di Leporello unemulazione di tipo linguistico: don Giovanni: Oh, caro il mio Masetto, cara la mia Zerlina, Vesibisco la mia protezione. Un tumulto lo avverte che Leporello sta tentando approcci con le contadine, per cui domanda: Leporello, cosa fai l, birbone? E Leporello: Anchio caro padrone, esibisco la mia protezione.

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Belfagor, diavolo che viene sulla terra per sperimentare il matrimonio e verificare se sia cos duro sopportare una moglie. Nel dramma di Respighi il satanico protagonista incontra uno speziale che ha tre figlie e si accorda con lui per sposarne una. Il futuro suocero lo invita cos a colazione il giorno dopo, ma nel giungere Belfagor trova le donne che stanno andando a messa e quindi non hanno preparato nulla. La delusione grande per Belfagor che si era predisposto a unottima colazione e quindi ordina al servo:
Alichino, lo vedi: siamo alla corte di Madonna Fame qui si rischia di stare a denti asciutti od a pane e salame corri a palazzo e avverti il maggiordomo che dsti i cuochi e i fuochi e prepari per tutti cipolle e peperoni sottaceto tartine con acciughe e cervellate risotto con moltissimi tartufi cibro di fegatelli e di carciofi gamberi ed ariguste in salsa verde, gallinacci infarciti di mostarde ed il tutto ben pepato, ben capperato, ben senapato, garofolato zafferanato come piace a me cacio di gorgonzola e frutta dogni sorta e una gran torta al rum brul vini di Spagna vini di Sciampagna, cognac e caff pronto fra unora. Vola. (Atto I)

Da notare subito che, oltre ad alcuni alimenti piuttosto frequenti nel genere del teatro musicale i tartufi, le galline, le aragoste sono elencate pietanze ricercatissime, frutto di una mente competente: per esempio il cibro originariamente un piatto toscano, una variante del pollo brodettato nel limone, che qui diventa un intingolo particolarmente saporito di fegatelli e carciofi. Pi in generale i cibi presentati sono tutti estremamente saporiti ma Belfagor vuole aggiungervi di suo pepe, senape, zafferano, condimenti che rendono le pietanze ancora pi saporite e piccanti. Non bisogner ricordare che il cibo piccante considerato generalmente afrodisiaco. Aggiungerei che, trattando qui di un diavolo, la lunga aria gastronomica affidata al personaggio funzionale alla sua connota-

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zione: avido, desideroso di godere, Belfagor si disperer nel secondo atto perch non riesce a consumare il matrimonio, uno che a tavola non si accontenta di pane e salame, cos come sentimentalmente non si accontenta delle due sorelle maggiori, avide e interessate, ma sceglie la terza, pudica, timida, profonda. Il cibo diventa indicazione di un modo di essere, in questo caso diabolico, attraverso una ricerca accurata di ricette e di alimenti sostanziosi e in quanto tali pi legati alla materialit dellessere. Unaltra associazione di idee presente nellambito dellopera quella che indica il cibo quale sinonimo di divertimento puro, di spensieratezza e, quanto pi esso sia raffinato, raro e costoso, diviene anche indice di uno status sociale importante. Nel mio spoglio ho riscontrato un numero elevatissimo di casi in cui a termini inerenti cibi, bevande o latto del mangiare si associa una terminologia legata alla sfera concettuale del divertimento. Cito brevi esempi: Mozart, Don Giovanni: fa che abbiano cioccolata caff vini presciutti cerca divertir tutti Cimarosa, I tre amanti: Divertitevi, fate una mascherata, un festino, una cena Salieri, La cifra: verrem a pranzo teco, terremo alle tue figlie ottima compagnia. Le vogliam divertire Rossini, La gazza ladra: Egli viene, o mia Lucia, come Bacco trionfante. Egli reca lallegria, reca il nettare spumante, che mantiene nelle vene il vigore, la sanit. Ciampi, Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno (testo di Goldoni) Nellantitesi tutto il d si fatica, /facciam di noi strappazzo,/senza un po di sollazzo, e finalmente/poco si mangia e non si avanza niente oppure prendi questi denari e questi dolci/mangia, godi, trastulla, e non temere cose dolci e denari? e il dolce sapore diletto mi d; l sar contento, sapete voi perch? perch v la cucina ove in un caldarone bolle quella farina che forma la polenta che gusto mi dar Nelle atmosfere agresti di molti drammi giocosi del Settecento se mangiare significa divertirsi, significa anche e soprattutto assurgere a uno stato sociale pi elevato, pi rispettabile. Cos nelle Contadine bizzarre di Guglielmi, su libretto di Petrosellini, la contadina sintetizza la sua ambizione a diventare una dama con questa sola battuta: bere in auree tazze, gustar le vivande pi squisite, nel citato Fumo villano la protagonista si preoccupa di preparare una tavola degna di un personaggio che crede di spicco: bisogna far preparar la mensa, ho gente a pranzo. Nella Cenerentola rossiniana Dandini il cameriere del Principe a cui viene richiesto di vestire i panni del suo padrone per mettere alla prova il sincero amore delle candidate a sposare lerede al trono. un cameriere importante, una specie di segretario personale, eppure la propria condizione sociale viene da egli

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stesso svelata raccontando il proprio rapporto con il cibo: io non uso far de pranzi/mangio sempre con gli avanzi indicativa situazione che assegna solo ai nobili il diritto di avere una mensa imbandita e cibi cucinati appositamente per loro. E infatti Dandini, travestito da principe proclamer: oggi che fo da principe vo per quattro mangiar! Nella stessa Cenerentola, del resto, don Magnifico, il padre delle sorellastre che ambiscono al trono, in una lunghissima aria racconta come cambier la propria vita se una delle sue figlie sposer il principe e profetizza la propria futura ascesa sociale attraverso i cibi che, finalmente, compariranno sulla sua mensa:
Da voi due non si scappa; oh come, oh come, Figlie mie benedette, Si parler di me nelle gazzette! Questo il tempo opportuno Per rimettermi in piedi [ ] Mi risveglio a mezzo giorno: Suono appena il campanello, Che mi vedo al letto intorno Supplichevole drappello: Questo cerca protezione; Quello ha torto e vuol ragione Ed intanto in ogni lato Sar zeppo e contornato Di memorie e petizioni, Di galline, di sturioni, Di bottiglie, di broccati, Di candele e marinati, Di ciambelle e pasticcetti, Di canditi e di confetti, Di piastroni, di dobloni, Di vaniglia e di caff. (Atto II, Scena I)

Cibi preziosi, ancora una volta i confetti, i dolci, sempre rari alla tavola dei poveri e le carni pregiate, privilegio dei nobili. Per spiegare come va trattata una sposa don Magnifico consiglia di offrirle a dozzine convitati, pranzi sempre coi gelati. La mensa piena espressione di un raggiunto successo sociale. Rivolgendo nuovamente lattenzione a Goldoni e al suo Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, troviamo questa volta (come spesso accade nel veneziano) un utilizzo retorico pi originale dellidentit cibo-status, risolto con unantitesi. Nellopera la terminologia inerente al cibo presente in modo quasi esclusivo nel linguaggio della famiglia dei Bertoldi e il loro rapporto con esso viene presentato da Goldoni come una loro condizione privilegiata rispetto al Re. Ad esempio Bertoldo fa notare come sia preferibile la propria condizione rispetto a

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quella regale con questa battuta: Io che raccolgo dalla terra il frutto, mangio, e bevo a mia voglia, e faccio tutto. Il mangiare diviene qui sinonimo di libert e lo status da ambire non quello nobiliare, ma anzi quello del contadino che, libero da impegni, da responsabilit e dalletichetta, pu mangiare come e quanto vuole. Infatti tutti i personaggi della famiglia del Re non trattano mai largomento cibo tranne che in un caso: il Re deve mandare via la famiglia dei Bertoldi per non causare gelosia alla moglie e regala a ciascuno qualcosa: a Bertoldo del denaro, a Bertoldino una collana doro e per Cacasenno, il giovine goloso che si presenta nel testo rubando delle pere, ordina ai servi: empitegli de sacchi, /finchegli si contenta/di rape, di fagiuoi, pomi e polenta, adeguandosi nel dono allingordigia del personaggio. Bertoldo Bertoldino e Cacasenno ricchissimo di metafore gastronomiche, che segnalano limportanza del cibo nellambiente contadino dei protagonisti. Dai pi scontati pan per focaccia e questo dei nostri amori il dolce frutto a di marito non patisco appetito o purch bolla il pignatto che importa comparir buffone o matto? Le relazioni fin qui individuate (cibo/amore; cibo/divertimento; cibo/successo sociale) giocano sulla potenzialit del cibo come espressione di ricchezza e benessere e sono quindi, se non scontate, di facile attuazione nellambito del dramma giocoso. Un uso pi sorprendente del linguaggio gastronomico e dellatto del mangiare si riscontra nellopera seria. Naturalmente in questo genere tutto ci che materiale, legato alle funzioni fisiologiche e scatologiche bandito severamente dal pathos, dalla drammaticit, dallalto sentire dei personaggi che amano, combattono, dimostrano il loro valore, si sacrificano, muoiono, non hanno tempo per mangiare. Eppure proprio lesclusione aprioristica di una funzione cos volgare, fa s che il cibo, se e quando presente (e non tanto poco come si potrebbe pensare), abbia un ruolo ben determinato, spesso indispensabile allo svolgimento dellazione (abbiamo visto in Tosca come la tavola divenga il centro dellazione pi drammatica) o si carichi di significati metaforici pi profondi. Se nella Cavalleria rusticana lalta drammaticit dellopera impedisce riferimenti al cibo, pure il vino presente e Turiddu lo offre a tutti per un brindisi in piazza a cui il tradito Alfio non si associa dicendo: il vostro vino io non laccetto diverrebbe veleno entro il mio petto. linizio dello scontro tra i due che culmina con la morte in duello di compare Turiddu. Non pu esservi la spensieratezza di un brindisi quando si subisce un tradimento. Il rifiuto del vino indica il rifiuto a qualsiasi accomodamento, finzione e compromesso in una dimensione socio-geografica in cui la fedelt assume non solo un valore etico ma diventa paradigma di rispettabilit e onorabilit a cui non si pu rinunciare. Se anche il precedente caso rimanda comunque a un rapporto cibo/divertimento, sia pure risolto in modo antitetico, le cose si complicano nella pucciniana Turandot, in cui ci si offre un uso retorico della terminologia referente al

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cibo che esula dal suo significato proprio per trascendere a significati di forte spessore drammatico. Lopera si apre su un quadro cruento: lame che guizzano, sangue che sprizza, tutto un ungere e arrotare di uncini, coltelli pronti a ricamar le pelli. Gli oggetti che presentano il regno di Turandot sono questi e il loro significato reso chiaro dalla frase con cui Ping, Pong e Pang tentano di dissuadere Calaf dal suonare il gong che far di lui un altro pretendente destinato a soccombere alla bella principessa: Fermo? Che fai? Tarresta!/Chi sei? Che fai,/che vuoi? Va via!/Va la porta questa/ della gran beccheria una grande macelleria, dunque, il regno della principessa degli enigmi, macelleria dove i pretendenti sono trattati alla stregua di pezzi di carne da macello, luogo dove, al pari dei macelli antichi e moderni, sono parole del testo, si trivella, si sgozza, si spella, si uncina e scapitozza, si sega e si sbudella. La metafora forte e rivela il gusto barbaro di Turandot di umiliare a tal punto il maschio da privarlo della sua identit umana, trattandolo alla stregua di un animale, perch animalesco luomo come lo era stato quel Re dei Tartari che priv con la violenza la sua ava Lou-Ling della purezza. Ma Adami e Simoni, i librettisti di Puccini si spingono oltre, in una metafora estremamente violenta che non si trova, come del resto la precedente, nel modello gozziano: nel lunghissimo, estenuante tentativo di evitare un altro scannamento, Ping, Pong e Pang fanno sfoggio di capacit retoriche non indifferenti per convincere Calaf a evitare la prova e dipingono cos Turandot:
Che cos? Una femmina colla corona in testa e il mantello colla frangia ma se la spogli nuda carne cruda! roba che non si mangia!

Turandot carne cruda, anche lei una cosa immangiabile e quindi fisiologicamente inutile, inconsistente, poco appetibile, una donna illusoria, che non esiste, come viene detto pi in l, scomodando la filosofia orientale: Turandot non esiste/non esiste che il niente /nel quale ti annulli non esiste che il Tao. Il cibo ancora una volta non nominato dai personaggi tragici, Calaf e Turandot, ma da quelli che hanno una funzione comica rispetto allazione scenica. Solo che qui i comici collaboratori di Turandot (ricordo, per inciso, che Pong ha il compito di gran cuciniere) non usano il cibo in senso e contesto realistici, ma come pretesto per esprimere la propria concezione della vita: una vita che sia profondamente reale, lontana dagli affanni e dalle crudelt della macelleria, una vita in cui conta ci che si mangia, ci che necessario e che si raggiunge con i sensi, contro lillusione, la carne cruda che non si mangia.

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Il cibo ancora presente in Turandot in funzione non ovvia. Pong e Pang si tengono pronti a ogni evento: se Calaf vince bisogner organizzare un matrimonio, se perde un funerale: Pong, il cuciniere, destinato a preparare le nozze, Pang le esequie. Nel secondo atto si parla dunque di cibo, precisamente di the, zucchero e noci moscate, ma non in relazione alle nozze, momento di gioia: le cibarie che Pang predispone sono le offerte e il banchetto che in Cina si usava e si usa tuttora consumare in occasione dei funerali, tradizione parzialmente estesa allOccidente, ma in modo meno eclatante rispetto allOriente in cui si deve celebrare il funerale con un banchetto quanto pi ricco sia possibile. perci Pang, responsabile delle esequie a citare i cibi che ho sopra indicato e non Pong, che pure ha lufficio di cuoco nel regno di Turandot. Il cibo, in Turandot, perci inscindibile dallidea di morte: ogni qualvolta si nomina qualcosa da mangiare o un atto legato al mangiare (il macello delle carni) si allude alla morte, stabilendo una nuova relazione (cibo/morte) per cui Turandot viene a rappresentare un caso unico tra quelli da me esaminati. Anche in Bohme lapparente vivacit con cui avviene lapproccio al cibo da parte dei protagonisti in realt rivelatoria di una condizione triste, della fame insaziabile di questi artisti scapigliati. Larrosto freddo e il pasticcio dolce portati da Schaunard, cos appetibili per le pance vuote di Rodolfo e Marcello, non vengono mangiati subito ma conservati per i giorni oscuri e del resto sarebbe inopportuno per artisti cos brillanti,
pranzare in casa il d della vigilia mentre il Quartier Latino le sue vie addobba di salsicce e leccornie? Quando un olezzo di frittelle imbalsama le vecchie strade? (Atto I)

Per la strada davvero un tripudio gastronomico, le urla dei venditori ci prospettano aranci, datteri, marroni caldi, torroni, panna montata, caramelle, crostata, latte di cocco, prugne di Tours. Ancora una volta la significativa presenza di tale abbondanza di dolci allude alla festa (limminente Natale) e al benessere. In questo clima di godimento gastronomico il gruppo di bohemmiens ordina il pranzo al Caf Momus, probabilmente il ristorante pi famoso dellopera lirica, davanti al quale si svolge tutto il secondo atto:
MARCELLO (al cameriere) Vogliamo una cena prelibata

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Carne cruda e convitati di pietra: il cibo nel melodramma COLLINE (Vedendo il cameriere gli grida con enfasi:) Salame! [] SCHAUNARD Cervo arrosto! MARCELLO (esaminando la carta ed ordinando ad alta voce al cameriere) Un tacchino! SCHAUNARD Vin del Reno! COLLINE Vin da tavola! SCHAUNARD Aragosta senza crosta! [] RODOLFO E tu, Mim, che vuoi? MIM La crema. (Atto II)

Estrema golosit questa della malaticcia protagonista: ancora una volta il dolce nellimmaginario collettivo oggetto di massimo piacere. Importante anche il modo in cui vengono presentati i cibi, in considerazione del fatto che il gruppo ospita in quelloccasione una donna e quindi, per lennesima volta, il cibo diviene strumento di seduzione o almeno di dimostrazione di attenzione e considerazione:
SCHAUNARD (con somma importanza al cameriere, che prende nota di quanto gli viene ordinato) E gran sfarzo. C una dama! (Atto II)

Di conseguenza a tavola il lauto pranzo diventa un pretesto per considerazioni metaforiche sullamore: Amare dolce ancora pi del miele... sentenzia Mim, ma Marcello, che ha visto la sua amante Musetta con un altro uomo, proclama stizzito secondo il palato miele, o fiele!... e la descrive con queste parole: E come la civetta uccello sanguinario; il suo cibo ordinario il cuore... Mangia il cuore!... Per questo io non ne ho pi... ma termina pi prosaico: Passatemi il rag! Non solo lamore presta la propria terminologia a considerazioni gastronomiche e viceversa, ma anche la poesia pu servire a esaltare una pietanza, come

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Barbara Gizzi

nella battuta di Colline, quanto mai opportuna a un tavolo al quale siede un poeta che ha appena bruciato il suo manoscritto per scaldarsi al fuoco: Questo pollo un poema! La capacit artistica dei protagonisti pu prendere spunto dal cibo o dallassenza di esso, come nel quarto atto, quando, dopo aver scandito il tempo conteggiando la fame ( lora del pranzo di ieri), i giovani artisti inscenano un banchetto lussuoso su quattro pagnotte e unaringa:
COLLINE Il pranzo in tavola. (Siedono a tavola, fingendo dessere ad un lauto pranzo.) MARCELLO Questa cuccagna da Berlingaccio. SCHAUNARD (Pone il cappello di Colline sul tavolo e vi colloca dentro una bottiglia dacqua.) Or lo sciampagna mettiamo in ghiaccio. RODOLFO (a Marcello, offrendogli del pane) Scelga, o barone; trota o salmone? MARCELLO (Ringrazia, accetta, poi si rivolge a Schaunard e gli presenta un altro boccone di pane.) Duca, una lingua di pappagallo? SCHAUNARD (Gentilmente rifiuta, si versa un bicchiere dacqua poi lo passa a Marcello; lunico bicchiere passa da uno allaltro. Colline, che ha divorato in gran fretta la sua pagnotta, si alza.) Grazie, mimpingua. Stasera ho un ballo. (Atto IV, Quadro IV)

Lo scherzo fra amici fa superare la tristezza dellassenza di cibo. Ma la stessa assenza diviene tristemente drammatica nello stesso quadro scenico quando, poco dopo, giunge Mim morente e diventa necessario fare i conti con la dispensa vuota e quindi con limpossibilit di recare anche il minimo conforto alla malata:
MUSETTA (da parte agli altri tre) Che ci avete in casa?

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Carne cruda e convitati di pietra: il cibo nel melodramma MARCELLO Nulla! MUSETTA Non caff? Non vino? MARCELLO (con grande sconforto) Nulla! Ah! miseria! (Atto IV, Quadro IV)

Se nel primo atto la presenza del cibo, nonostante la scarsit di denaro, poteva ancora essere un piacere e non una necessit, dunque gli alimenti citabili potevano essere le aragoste, il pasticcio, il cervo, la crema, alimenti di lusso, nellultimo atto lassenza dellindispensabile, pane, caff, vino, di quel cibo che non indice di uno status, non fonte di divertimento, non arma di seduzione, ma il tramite con la vita stessa, conduce Marcello alla consapevolezza della propria miseria nascosta fino ad allora dallo scherzo goliardico e ora impossibile occultare, con una moribonda l, sul letto. Ed questa stessa consapevolezza che porter i protagonisti a crescere e maturare, sacrificando gli ultimi beni per comprare a Mim lagognato manicotto e chiamarle un dottore. In conclusione di questo breve excursus mi pare risulti evidente come la presenza di alimenti e di situazioni in cui si mangia, o si vorrebbe mangiare, allinterno dellopera italiana del Sette e Ottocento, non sia esclusivamente legata alla contingenza della spettacolarit di un banchetto o finalizzata allespressione di un puro e semplice atto fisiologico, ma illumini piuttosto rapporti e relazioni di ordine metaforico che precisano la centralit del cibo prevalentemente come oggetto-simbolo di vita, di felicit e di benessere, centralit suggellata da queste parole di Rossini: Mangiare e amare, cantare e digerire: questi sono in verit i quattro atti di questa opera buffa che si chiama vita, e che svanisce come la schiuma di una bottiglia di champagne. Chi la lascia fuggire senza averne goduto, un pazzo.

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